Rassegna stampa 16 agosto

 

Teramo: era detenuto da due giorni, 30enne muore suicida

 

Il Centro, 16 agosto 2006

 

Trent’anni, di Farindola, era stato arrestato per tentata violenza sessuale. Si è impiccato con un lenzuolo alle sbarre della finestra della cella del carcere di Castrogno dove era detenuto da due giorni con l’accusa di tentata violenza sessuale. L.C., 30 anni, di Farindola (Pescara), era stato arrestato domenica notte dai carabinieri di Silvi Marina. Il suo corpo è stato trovato intorno alle 8.20 dagli agenti di polizia penitenziaria del turno montante, che non hanno potuto far nulla per salvarlo. In carcere non è stato chiamato neanche il 118. Il medico della casa circondariale, accorso nella cella, non ha potuto che constatare la morte del giovane.

Sull’episodio la procura della repubblica di Teramo ha aperto un’inchiesta, della quale si occupa il Pm David Mancini. Essendoci stato il cambio di turno alle 8, non è escluso che agli agenti del turno smontante - quello notturno - possa essere addebitata un’omissione (in teoria dovrebbero controllare i detenuti attraverso lo spioncino ogni venti minuti). Prima di lavorare su una simile ipotesi, però, la procura dovrà conoscere esattamente l’ora della morte. Per questo è stata disposta l’autopsia, che dovrebbe essere eseguita oggi o domani.

L.C., secondo testimonianze raccolte a Farindola, avrebbe lasciato una lettera indirizzata alla madre. Forse una richiesta di perdono. È immaginabile che alla base del suo gesto ci sia stata la vergogna per l’arresto subito, visto che apparteneva a una famiglia molto stimata ed era sostanzialmente incensurato (per lui solo un piccolo precedente, molto poco significativo). Il giovane sarebbe dovuto comparire davanti al giudice ieri mattina per la convalida dell’arresto, ma in tribunale non è mai arrivato. L.C., che recentemente aveva trovato lavoro in una ditta metalmeccanica di Chieti Scalo, era stato bloccato dai carabinieri di Silvi Marina domenica notte mentre cercava di fuggire dal palazzo di via Piave nel quale avrebbe tentato di legare e violentare una prostituta romena. La ragazza, urlando e reagendo fisicamente, aveva richiamato l’attenzione dei vicini di casa, costringendo l’uomo alla fuga. I carabinieri ritengono che il giovane potesse aver colpito altre volte. Avevano già ricevuto, una ventina di giorni fa, una denuncia da un’altra prostituta che esercita a Silvi e che aveva riferito di essere stata legata e violentata da un giovane la cui descrizione fisica e la cui automobile corrispondevano a quelle dell’operaio di Farindola. Addosso a L.C. erano stati trovati dei lacci, che presumibilmente dovevano servire per legare la vittima.

Bologna: detenuto bosniaco di 34 anni trovato morto in cella

 

Adnkronos, 16 agosto 2006

 

Il gas butano di una bomboletta da cucina, inalato per "sballarsi", gli ha causato un rigurgito di cibo che lo ha soffocato. Così ha trovato la morte il detenuto bosniaco di 34 anni trovato morto venerdì sera nel bagno della sua cella del carcere bolognese della Dozza. Lo ha stabilito l’autopsia decisa dalla Pm Lucia Musti ed eseguita dal medico legale Irene Facchini che già dopo una prima ispezione corporale aveva escluso l’ipotesi violenta. A trovare il giovane in fin di vita era stato il magrebino con il quale divideva la cella. L’uomo aveva percepito un forte odore di gas provenire dal bagno dove lo slavo si era ritirato molto tempo prima per inalare il gas.

Dopo aver aperto la porta il magrebino aveva trovato il bosniaco privo di sensi tra il wc e la doccia con accanto la bomboletta e una maglietta usata dalla vittima per coprirsi il capo e rafforzare così l’effetto dell’inalazione. Una pratica, hanno spiegato gli inquirenti, molto usata dai detenuti per "sballarsi". Per liberare l’ambiente dal gas il nordafricano aveva buttato la bomboletta in cortile dalla finestra dove poi è stata trovata dagli agenti della squadra mobile intervenuti in carcere insieme al pm e al medico legale. Sin da subito era stata ritenuta poco credibile l’ipotesi del suicidio perché il ragazzo era contento della sua permanenza alla Dozza, ottenuta su sua esplicita richiesta.

Latina: esce con l’indulto e va sotto un treno, forse è suicidio

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

Francesco Ruggero, uscito dal carcere grazie all’indulto è stato travolto, ieri sera, da un treno sulla linea Salerno-Roma. L’incidente si è verificato tra Monte San Biagio e Fondi. Non si esclude alcuna ipotesi sull’accaduto, compresa quella di un suicidio. Il pendolino viaggiava a circa 160 km/ora e il corpo è stato ritrovato lungo i binari a 3 km da Monte San Biagio. In corso le indagini della Polizia ferroviaria di Formia; nella notte disagi per il traffico ferroviario.

Parma: muore per sospetta overdose tre giorni dopo l’indulto

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

Marocchino di 33 anni stroncato da un’overdose o da un malore. Tre giorni è durata la libertà di M. B. B., marocchino di 33 anni uscito mercoledì scorso dal carcere di Piacenza per l’indulto e trovato in fin di vita sabato sera in piazza della Pace. Il giovane è morto durante il trasporto all’ospedale. Sentenza senza scampo, senza seconde possibilità: ucciso da un arresto cardiocircolatorio, stando al referto medico. Ma si tratta di capire che cosa abbia scatenato la crisi letale.

Salerno: libero da 24 ore trovato morto, forse per overdose

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

L’indulto non è stato un bene per Antonio Cafiero, 31enne originario di Napoli. Il giovane partenopeo è stato trovato morto, domenica, in un’abitazione a Salerno. Cafiero, scarcerato il giorno prima dal carcere di Bellizzi Irpino, in provincia di Avellino, si era subito recato a casa della convivente. Le cause del decesso sarebbero ancora da accertare. Tuttavia, gli investigatori stanno battendo una pista che sembrerebbe attendibile. Secondo gli inquirenti, infatti, l’ex detenuto napoletano potrebbe essere morto in seguito a un’overdose di stupefacenti.

Torino: scarcerato al mattino tenta il suicidio la sera stessa

 

Adnkronos, 16 agosto 2006

 

Tentare il suicidio il giorno stesso in cui si esce dal carcere. È avvenuto intorno alla mezzanotte a Torino dove un ragazzo di 27 anni, scarcerato ieri mattina grazie all’indulto, è stato salvato dai carabinieri mentre si stava gettando da un ponte. Al momento non è ancora chiaro cosa abbia spinto il giovane a tentare quel gesto e se possa essere legato al fatto di essersi trovato fuori dal carcere magari senza nessuno su cui fare affidamento.

Il giovane, già noto alle cronache perché figlio di un uomo trovato murato in cantina alcuni anni fa, era tornato in carcere a metà luglio quando gli era stato revocato il provvedimento alternativo dell’affidamento in prova ai servizi sociali. I carabinieri si erano presentati a casa sua e lui aveva cercato di fuggire calandosi dal balcone ma era stato bloccato e arrestato.

Ieri mattina, grazie all’indulto, è tornato libero ma al termine della giornata è stato notato da una pattuglia del Nucleo radiomobile mentre scavalcava la balaustra del Ponte Stura. I militari sono intervenuti e lo hanno afferrato impedendogli di gettarsi. Ai carabinieri il giovane avrebbe detto di avere troppi problemi e di non farcela più ad andare avanti.

Bologna: nel Cpt muore un immigrato ed è subito rivolta

 

La Repubblica, 16 agosto 2006

 

Mohamed stava male da giorni. E i medici dell’ospedale, che lo avevano visitato due volte venerdì scorso, lo avevano dimesso prescrivendogli una terapia antinfiammatoria e consigliandogli di chiamare l’ambulanza se i sintomi si fossero aggravati. Un disturbo banale. Ieri pomeriggio, i compagni della sua camerata al Cpt di Bologna, il "carcere dei clandestini" dove sono rinchiusi gli stranieri da identificare, pensavano che dormisse. E invece Mohamed, tunisino di 33 anni, era morto. Da ore.

La sua morte, il decesso di un ospite super-controllato in una ex caserma riconvertita anni fa in centro di trattenimento, ieri pomeriggio ha scatenato la rivolta degli ospiti e un mare di polemiche. Gli immigrati nordafricani si sono radunati in cortile urlando "Allah è grande" e hanno incendiato materassi e lenzuoli. È intervenuta in forze la polizia e la rivolta è stata sedata senza scontri.

Ma in città, dove sabato scorso è morto in carcere un altro detenuto, il quarto in otto mesi, oltre all’immediata apertura di un’inchiesta che dovrà valutare se i soccorsi sono stati tempestivi, fioccano le polemiche. Il garante per i detenuti del Comune, Desi Bruno, che da mesi chiede inutilmente al Viminale e alla Prefettura il libero accesso al centro, consentito solo ai parlamentari, chiede "accertamenti rapidi e la possibilità che le verifiche siano consentite anche ai consiglieri comunali. Il Cpt deve diventare una casa di vetro".

Di certo non lo è. Lì dentro non può entrare nemmeno un magistrato di sorveglianza. Lo dice il giudice del tribunale di sorveglianza di Bologna Maria Longo: "Il legislatore non considera i Cpt luoghi di espiazione pena anche se sono comunque "luoghi separati". Forse bisognerebbe prevedere forme di verifica da parte di organi giurisdizionali".

Lì, dove ieri è morto Mohamed, un passato segnato dalla cocaina, anni fa ci fu un blitz dei No Global che smontarono il centro di trattenimento ancora in fase di costruzione, causando danni per centinaia di migliaia di euro. Innumerevoli poi le proteste, le rivolte, gli incendi, le ispezioni, e tanti i poliziotti finiti sotto inchiesta per presunti pestaggi. La Procura più tardi aprì un’inchiesta perché qualcuno denunciò la presenza di tranquillanti nel cibo. Tutto archiviato.

Ora il sospetto di lacune nell’assistenza e nella sorveglianza, e la morte di un immigrato che, secondo alcuni, poteva essere salvato. Mohamed, scarcerato a Isernia l’11 giugno (era dentro per droga) passato per il Cpt di Roma e poi portato a Bologna il 19, era sotto stretto controllo medico. O per lo meno doveva esserlo. All’ingresso disse subito del suo passato di ex cocainomane e per questo era in terapia con farmaci anti epilettici. L’inchiesta, il sequestro delle cartelle cliniche (anche all’ospedale Sant’Orsola) e l’autopsia diranno cosa l’ha ucciso. Nessuna traccia di violenza sul corpo. Ad un consigliere comunale, altri ospiti hanno rivelato che l’immigrato ieri mattina si lamentava. "Non lo hanno soccorso in tempo". Voci non verificate, però. Secondo Daniele Giovanardi, presidente della "Misericordia" di Modena, che gestisce anche il Cpt di Bologna, e fratello dell’ex ministro Ccd per i rapporti col Parlamento, "al centro c’è un medico in servizio 24 ore su 24. Auspico un’inchiesta rapida. Anche per fugare le voci di chi potrebbe accusarci in modo strumentale".

Roma: prete 43enne accusato di pedofilia s’impicca in casa

 

La Repubblica, 16 agosto 2006

 

Nel biglietto ha scritto: "Mamma, non sono un pedofilo". Don Marco Agostini, 43 anni, religioso della congregazione dei padri Oblati ed ex parroco, era agli arresti domiciliari al quartiere Prenestino per violenze sessuali continuate e aggravate. Ieri si è impiccato con un lenzuolo fissato al terrazzo della palazzina dove viveva con la madre Assunta, in quel momento assente.

Le accuse dei ragazzi che frequentavano il suo oratorio, a Pomezia, erano ormai un peso insopportabile. Un macigno di centinaia di pagine sulle scrivanie dei magistrati e delle autorità vaticane incaricate del processo di secolarizzazione. Dopo la rimozione dall’incarico era certa la revoca del sacerdozio. Ad Agostini, che nei mesi scorsi aveva già tentato il suicidio ingerendo pasticche, erano contestate decine di episodi di pedofilia.

Sconcertante la sua linea difensiva: "Sì, è vero, quei ragazzi li ho toccati ma non ho avuto rapporti sessuali. Li ho massaggiati anche su tutto il corpo. Ma mentre li toccavo, parlavo loro di Dio. Perché Dio, secondo me, te lo devi sentire addosso. È una questione fisica, non solo spirituale". Un decennio di abusi, decine di ragazzini, tra Roma, Torvajanica e Pomezia, soggiogati, plagiati, terrorizzati. E anche quei massaggi, per gli inquirenti, erano violenza sessuale, in una cornice di messinscene esoteriche come il "rito della croce".

I ragazzi si disponevano a terra in cerchio, tutti intorno a un grande crocifisso. A turno, poi, ciascuno entrava nel cerchio e si poneva sdraiato sulla croce proprio come Gesù sul Golgota, con le mani e i piedi simbolicamente inchiodati, per confidare i propri problemi. "Dovete capire come ci si sente, sulla croce", li catechizzava. Il racconto dei suoi giovani parrocchiani (che all’epoca avevano tra 10 e 16 anni) è un mosaico di orrori: "Tutto quello che avveniva doveva restare in segreto, rivelarlo sarebbe stato un peccato mortale. Se qualcuno di noi cercava di parlare, veniva subito allontanato dal gruppo".

Don Marco davanti ai magistrati si definiva un mistico, un pranoterapeuta che massaggia i ragazzi perché davvero convinto di far loro del bene. Le baby-vittime hanno raccontato di non essere mai state costrette con la forza a subire violenze, ma di essere state progressivamente persuase, e obbligate psicologicamente.

Quando qualcuno riuscì a rompere il silenzio fu convinto a ritrattare. Sono state le intercettazioni delle telefonate con le vittime a inchiodare il prete. "Se venite a trovarmi portate i filmini", raccomandava nel marzo 2005 da Assisi, dove gestiva un ostello. "Abbiamo deciso che veniamo a trovarti ad Assisi, quanto costa l’albergo?", chiedevano i ragazzi. "Non vi preoccupate delle spese, qui comando io.

La mia stanza è sempre libera ma procuratevi qualche pornetto", ribadiva don Marco. Anche dall’Umbria il religioso aveva mantenuto i contatti con il gruppo "Ragazzi nuovi" fondato a Pomezia e i giovani lo chiamavano in continuazione per avere consigli. "Ti telefono perché ho un problema, sono innamorato di una ragazza ma mi blocco. Come faccio?", gli domanda uno. "E tu quando ti avvicini a lei, fa finta che sia io", rassicurava il religioso.

Ad arrestarlo tre mesi fa erano stati gli agenti della mobile di Roma, al termine di un’indagine partita nel 2004 nel corso della quale erano state raccolte le testimonianze di una trentina di ventenni, vittime di abusi da parte del sacerdote quando erano ragazzini a lui affidati in quanto animatore del centro parrocchiale. Per l’11 settembre era fissata l’udienza al tribunale ecclesiastico dove si stava svolgendo il processo per la riduzione alla secolarizzazione di don Marco, che per la prima volta sarebbe stato messo a confronto con uno dei giovani.

L’imminenza della data potrebbe essere uno degli elementi per spiegare il suicidio. Chi ha sporto denuncia ha parlato di un abisso infernale, fatto di sudditanza psicologica, molestie reiterate, violenze. Qualcuno si è spinto a raccontare anche di riti satanici. Ma tutti erano legati dal segreto. Nessuno sapeva che accadeva agli altri, nessuno osava rivelare il legame col prete che ognuna delle vittime, solo maschi, riteneva esclusivo. Poi si è fatto avanti il primo e tutti sono riusciti a liberarsi dall’incubo.

Firenze: concesso l'indulto a un detenuto... morto due anni fa

 

Adnkronos, 16 agosto 2006

 

Le autorità ne hanno disposto la scarcerazione grazie alla legge sull’indulto, ma il detenuto era già morto da due anni. È successo ieri a Firenze, come raccontano oggi alcuni quotidiani locali. Faliero Parenti, nel 2000, all’età di 88 anni, a Sesto Fiorentino, aveva ucciso la moglie malata da tempo, tentando poi il suicidio. Per quell’omicidio l’uomo era stato condannato a sei anni, da scontare in una struttura per anziani.

Giustizia: un manuale per difendersi dall’ignoranza sull’indulto

di Francesco Forgione (deputato Prc, membro Commissione Giustizia)

 

Liberazione, 16 agosto 2006

 

Un’orchestrata campagna di disinformazione sul merito della legge e forse un’incauta presentazione politica hanno contribuito a far vivere un’importante conquista come un volgare inciucio con la destra.

È ancora necessario tornare a riflettere e ad informare sull’indulto. Girando per le feste di Liberazione, incrociando i tanti popoli della sinistra, tante sono le domande, i dubbi, le ostilità. Un’orchestrata campagna di disinformazione sul merito della legge e forse anche un’incauta presentazione politica del provvedimento - "scambio di prigionieri" - ha contribuito a far vivere in larghe fasce di opinione pubblica democratica e di sinistra una nostra conquista, frutto di anni di battaglia politica, come un volgare inciucio con la destra, se non, addirittura, come una capitolazione a corrotti e corruttori, furbetti, padroni omicidi e persino a politici mafiosi. Tutte falsità orchestrate da chi, comunque, era ostile a qualunque atto di clemenza che intaccasse la condizione drammatica delle carceri: a destra, da chi ha lavorato in questi anni alla diffusione di una cultura "dell’ordine" intrisa di razzismo, paure, leggi del taglione, difesa del tabù della proprietà fino alla legittimazione del diritto d’uccidere; a sinistra, da quanti non hanno mai visto, negli anni di Berlusconi, un paese reale che non soffriva solo per i conflitti d’interesse irrisolti, per le leggi ad personam, per l’indignazione etica verso la degenerazione privatistica della politica, ma anche per gli effetti devastanti delle scelte liberiste, per l’impoverimento generale che ha spinto fino all’illegalità intere fasce di popolazione. Quando criticavamo un antiberlusconismo relegato nella sfera etica, incapace di incontrare domande e bisogni sociali in grado di prospettare un’alternativa di società, parlavamo esattamente di questo.

Il carcere è ormai lo specchio della condizione sociale più degradata del paese: non solo per i drammatici numeri della sua popolazione, oltre 60mila detenuti a fronte di una capienza di poco più di 40mila, ma per la sua composizione umana, sociale, etnica, anagrafica, aggravata, in questi anni, dalle leggi della destra - Bossi-Fini, droghe, ex Cirielli - che ne hanno fatto esplodere tutti gli argini di sopportabilità. Da questa condizione è partita la nostra iniziativa, e non da ora. Negli ultimi anni abbiamo lavorato con tutte le associazioni di volontariato dentro e fuori le carceri, abbiamo raccolto senza pregiudizi l’appello del Papa, abbiamo marciato il giorno di Natale con donne e uomini di tutti gli schieramenti politici, tra i quali l’attuale presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. Ad inizio legislatura, abbiamo presentato un nostro disegno di legge di indulto ed amnistia, per molti versi simile a quelli di altri gruppi parlamentari. Avremmo voluto di più, tenere assieme indulto ed amnistia, anche in vista della riforma del codice penale e dell’intero sistema delle pene, che dovrà essere proposta al parlamento dalla Commissione guidata da Giuliano Pisapia. E avremmo voluto anche un provvedimento che chiudesse dal punto di vista penale la vicenda politica e sociale degli anni ‘70 e ‘80 e dei cosiddetti "anni di piombo". Abbiamo verificato che l’unico obiettivo raggiungibile, anche per la maggioranza parlamentare richiesta, era l’indulto e per questo abbiamo lavorato spronati anche dagli appelli del presidente della Camera Fausto Bertinotti.

Quindi è un risultato anche nostro e un partito come Rifondazione comunista, come spesso ha fatto nella sua storia, credo debba avere il coraggio di valorizzare una scelta che può non interpretare il senso comune immediato e confliggere con le spinte e le culture regressive che lo determinano, ma che determina una chiave di lettura della società, del rapporto tra cambiamenti sociali e costruzioni istituzionali, tra libertà individuali, diritti collettivi e sicurezza sociale. Dobbiamo riappropriarci, politicamente e culturalmente, di una parola, garantismo, che, come altre - penso a riforme o riformismo - è stata snaturata e ha visto cambiare il segno della sua funzione che nella storia della sinistra e del movimento operaio è stata quella di tutela da ogni forma di sopruso e sovversivismo del potere.

Raccontiamo dunque questo indulto. Intanto, in quanto atto di clemenza che agisce sulla pena, la nostra Costituzione impone il carattere di generalità e nel corso degli anni (nella storia repubblicana gli indulti sono stati oltre trenta) la Corte costituzionale ha indicato come possibili solo esclusioni per reati che provocano grande allarme sociale. Rimangono quindi esclusi i reati di strage, terrorismo, violenza sessuale, pedofilia, sequestri di persona, tratta di persone e schiavitù, produzione e traffico di stupefacenti con relativo riciclaggio dei proventi, usura, mafia e tutti i reati aggravati dal favoreggiamento alla mafia. Mai un provvedimento di indulto ha avuto tante esclusioni, oltre al fatto che i suoi benefici decadono se chi ne usufruisce, nei cinque anni successivi, commette un reato che comporta una pena detentiva superiore a due anni di reclusione.

Guardiamo alcuni effetti reali, tra quei casi simbolo, volutamente amplificati e falsati.

Non è un colpo di spugna. A differenza dell’amnistia, che cancella il reato, l’indulto approvato dal Parlamento condona tre anni a fine pena. Ma, proprio per questo, presuppone che un processo ci sia stato, una responsabilità penale sia stata accertata e una condanna sia stata inflitta. Per esempio, grande scalpore ha suscitato sulla stampa l’uscita dal carcere di un contadino calabrese che aveva assassinato la moglie (questa la notizia nei titoli), ma solo tra le pieghe degli articoli si scopriva che l’uomo aveva già scontato 19 dei 22 anni di carcere che gli erano stati inflitti.

Nessuna cancellazione dei reati finanziari e contro la pubblica amministrazione. In carcere per questa tipologia di reati ci stanno poco più di 60 persone, a fronte dei 12mila beneficiari dell’indulto. Ma non è questo il problema. Finanzieri, manager, grandi corruttori e corrotti, per esempio, a differenza di un migrante che spesso non capisce neanche i reati che gli contestano perché non conosce la lingua, non hanno certo il problema del gratuito patrocinio, anzi, dispongono di avvocati e legali in grado di reggere i processi e di evitare il carcere. Del resto, il caso simbolo, Cesare Previti, avendo superato i 70 anni, in virtù della legge, scontava la sua condanna agli arresti domiciliari nella sua casa romana, con permesso ad uscire per alcune ore al giorno. Ora, come tutti, avrà diritto a uno sconto di pena di tre anni e verrà affidato ai servizi sociali, dove ogni giorno dovrà svolgere il suo lavoro. Non gli è stato cancellato il reato e neanche la pena. Anzi, per Previti, come per tutte le tipologie di reati simili, non ci sarà alcuno sconto per le pene accessorie sia temporanee che permanenti, che riguardano, per esempio, l’interdizione dai pubblici uffici. Previti quindi non potrà mai più ritornare in Parlamento né svolgere la sua professione di avvocato.

L’indulto non cancella il risarcimento civile delle vittime, né mette a rischio la sua concessione. Anche su questo è stato creato un allarme che non corrisponde alla realtà. Lo ha spiegato molto bene a Liberazione un magistrato dall’indiscusso rigore professionale e sociale come Felice Casson (si pensi al processo per le morti operaie a Porto Marghera). Dalle vittime dell’amianto agli infortuni sul lavoro, non viene cancellato il risarcimento delle vittime e, guardando l’applicazione concreta delle pene, quasi mai per questi reati sono stati dati più di tre anni di reclusione. Per questo nessun padrone è mai andato in galera. Nessun regalo quindi. Semmai, il problema va affrontato in sede di riforma del codice penale, dove vanno ridefinite e inasprite le pene per questi reati e, soprattutto, rese efficaci. Lo stesso vale per le vittime del caso Parmalat, per il quale non solo il processo, vista la gravità dei reati, potrà portare a pene significative, sulle quali l’indulto inciderà solo in parte, ma tutte le vittime non vedranno intaccato il loro diritto al risarcimento.

Nessun mafioso uscirà dal carcere. Anche su questo la polemica è stata volgare e strumentale. L’indulto esclude il reato di 416bis, l’associazione mafiosa, e tutti i reati ad esso collegati. Mentre include il 416ter, voto di scambio, che è un articolo del codice inapplicato. Chi conosce e studia le cose di mafia sa che i voti non si scambiano con denaro (416ter) ma all’interno di un sistema di relazioni e di potere nel quale si controllano appalti, concessioni edilizie, piani regolatori, finanziamenti pubblici, assetti burocratici. Un magistrato come Antonio Ingroia, pubblico ministero al processo Dell’Utri, proprio relazionando su mafia e politica all’ultimo convegno di Magistratura Democratica ha parlato di "inefficienza della fattispecie di cui all’art. 416 ter che avrebbe dovuto sanzionare l’accordo politico-mafioso". Non è un caso che in 15 anni sia stato applicato una sola volta, mentre da qualche tempo, proprio per aggredire il sistema delle collusioni esterne alla mafia (è il caso di molti politici siciliani e dello stesso processo che vede coinvolto il presidente della regione) si applica l’art. 7, cioè l’aggravante per favoreggiamento alla mafia, articolo escluso dall’indulto. È lo stesso articolo col quale vengono istruiti oltre il 70% dei processi per estorsione e pizzo che, così, assieme all’usura non beneficiano dell’indulto.

Come si vede, proprio analizzando le quattro tipologie sulle quali si è concentrata la campagna di disinformazione e lo scontro politico dentro e fuori il parlamento, la realtà è diversa.

Non ci interessa fare polemiche al passato. Dalla "banda bassotti", alla legge salva mafiosi, dal colpo di spugna all’indulto per i furbetti, ognuno, forza politica o commentatore, pronunciando queste affermazioni ha qualificato se stesso, il suo stile e il suo rigore morale anche nel dispiegare una legittima battaglia politica. Per quanto ci riguarda abbiamo lavorato solo per riportare il carcere, luogo di espiazione della pena ma anche di dolore sociale, allo spirito del dettato costituzionale, per misurare anche attraverso i suoi livelli di civiltà e la sua capacità di recupero sociale, la qualità più generale della civiltà giuridica e della democrazia del nostro paese.

Ma se ciò indica un discrimine e un orizzonte per ridefinire le culture e le identità politiche della sinistra nel suo rapporto con le libertà e con la società, facciamone anche un elemento centrale non solo della nostra iniziativa esterna, ma anche della nostra rifondazione politica e culturale.

Indulto: escono dal carcere e trovano un ordine d’espulsione

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Escono dal carcere e non hanno casa, lavoro o famiglia, ma solo un obbligo d’espulsione da rispettare entro cinque giorni. Molti non obbediscono e vivono da fuggitivi, in attesa che un ricorso venga accettato, che qualcuno li riesca ad aiutare. È questa la situazione di tanti extracomunitari che escono dal carcere "grazie" all’indulto e che si ritrovano senza punti di riferimento, con l’incubo di dover tornare nel Paese che hanno abbandonato. "La situazione è davvero grave", spiega Maria Vittoria Mora del Naga, associazione milanese di volontari che si occupa di assistenza socio- sanitaria e dei diritti di stranieri e nomadi.

 

Perché la situazione è così difficile?

Prima seguivamo queste persone fin da quando erano in carcere e le aiutavamo a prepararsi ad uscire. Gli immigrati potevano parlare con gli operatori, trovare un lavoro pagato già dentro il carcere e una volta fuori li aiutavamo a cercare una casa e un’occupazione. Così, se il reato che li aveva fatti finire dentro non era troppo grave, potevano chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. Avevamo il tempo di creare un contesto positivo, premessa di un possibile reinserimento nella società. Anche se non c’è mai stata molta disponibilità a rinnovare il permesso di soggiorno a chi è stato in carcere, c’era almeno una speranza che si poteva concretizzare. Invece adesso diventa tutto più difficile, con il rischio che, mentre sono fuori senza niente e nessuno, ci "ricaschino". L’ipotesi di molti operatori è che nei prossimi mesi una buona parte di chi ha beneficiato dell’indulto farà ritorno in carcere. Molti sono disperati. Basta pensare a quello che è accaduto due giorni fa: un ragazzo, uscito da San Vittore, é tornato alle porte del carcere a chiedere di poter rientrare perché era senza punti di riferimento. Mi chiedo se non sarebbe stato più opportuno aspettare ancora qualche mese per questo provvedimento, per fare in modo di predisporre le misure necessarie.

 

Cosa succede quando un immigrato esce dal carcere?

Il carcere segnala alla questura quanti stranieri stanno per uscire. Arrivano gli agenti che portano gli extracomunitari in questura con una camionetta dove fanno i controlli del permesso di soggiorno. A seconda dei casi, si stabilisce se l’immigrato è soggetto al decreto d’espulsione oppure no. A quel punto lo straniero esce dalla questura e se ha l’obbligo di lasciare il Paese dovrebbe rispettarlo entro cinque giorni. Di fatto, la maggior parte delle persone non rispetta l’obbligo di espulsione e spesso cerca aiuto dalle associazioni come la nostra o nelle cooperative. Noi forniamo un servizio per fare ricorso al decreto d’espulsione. E se, verificando la situazione, ci accorgiamo che ci sono le premesse per un eventuale rinnovo del permesso di soggiorno ci attiviamo in quel senso.

 

Nel frattempo dove vivono gli immigrati?

Questo è uno dei molti problemi che ci sono. Infatti, mancano le strutture pubbliche per accoglierli. Il privato sociale, cattolico e laico sta facendo tantissimo, si sta attivando per cercare di trovare soluzioni, ma purtroppo le nostre forze non bastano. Per le persone senza permesso di soggiorno è veramente difficile trovare un alloggio, una sistemazione anche solo temporanea. Non possono nemmeno andare nei centri di accoglienza perché chi li gestisce deve attenersi alle convenzioni. Ieri è venuto a chiedere assistenza al Naga un ragazzo di 28 anni. Quando gli ho domandato dove sarebbe andato a dormire lui mi ha risposto che non gli restava che andare sotto un ponte.

Indulto: la CNVG propone un Coordinamento nazionale

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

La Conferenza nazionale volontariato giustizia (CNVG), attivamente coinvolta in tavoli ministeriali "frettolosamente e tardivamente convocati" (così sostiene l’organizzazione), sostiene la proposta di creare un coordinamento nazionale, composto da rappresentanti istituzionali centrali e periferici, Volontariato e Terzo Settore, per far fronte all’emergenza indulto.

Lunedì 7 agosto, la Cnvg ha partecipato a un incontro convocato dal Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero con le parti sociali Cnca, Arci, Antigone, Federserd, Comunità Papa Giovanni XXIII, Seac, Gruppo Abele, Convol e altri.

"Molti i problemi finiti sul tavolo del Ministro nell’intento di sollecitare le istituzioni a farsi carico di problematiche complesse che il Volontariato ed il Terzo Settore stanno affrontando - afferma la Conferenza -, con uno sforzo che spesso viene vanificato da normative inadeguate o insufficienti, a cui si aggiunge il rallentamento stagionale se non la sospensione di certi servizi. Diversi i fronti su cu le parti chiedono d’intervenire e che interessano i Ministeri della Giustizia, degli Interni, della Salute, della Solidarietà Sociale".

All’Amministrazione penitenziaria si chiede di agevolare l’opera dei volontari fornendo loro elenchi dei dimessi, con l’indicazione delle notizie essenziali riguardanti la loro condizione e i loro bisogni immediati

"Gli Interni, attraverso le Prefetture, dovrebbero invece intervenire sui Servizi territoriali, per la presa in carico dei soggetti più bisognosi, valutando altresì la possibilità di concedere deroghe ai decreti di espulsione o comunque di procedere a rimpatri assistiti - continua la Cnvg -. Più complessa e lunga la revisione della attuale legge sull’immigrazione, che non lascia alcuno spazio al superamento di palesi incongruenze, come nel caso degli stranieri già beneficiari di misure alternative alla detenzione e positivamente inseriti in attività lavorative, improvvisamente declassati a clandestini da espellere".

"Altro aspetto drammatico, che interessa la Sanità - continua - è quello delle migliaia di ex detenuti tossicodipendenti in trattamento, a cui si aggiungono i sieropositivi e coloro che hanno patologie psichiatriche. In molti casi l’interruzione improvvisa delle terapie può causare danni seri ed è quindi indispensabile che queste persone siano avviate ai Sert e alle strutture sanitarie locali, superando i limiti della non residenza, per una presa in carico urgente che la legge comunque garantisce in casi gravi, arrivando a sospendere i decreti di espulsione per gli stranieri. Le comunità di accoglienza devono inoltre poter contare sul sostegno economico del pagamento delle rette da parte dello stato.

Soprattutto in certe grandi città, dove più è presente e attiva la rete delle comunità di accoglienza, queste problematiche sono state affrontate sin dal primo momento, come si è potuto, ma resta il fatto che siamo in piena estate e i Sert, di cui si chiede il potenziamento, lavorano invece a ranghi e orari ridotti".

Per la Cnvg, "urge approntare, da qui a uno - due mesi, azioni e interventi per l’integrazione sociale delle persone scarcerate, con il coinvolgimento di enti locali, del volontariato e del terzo settore. In base alla legge 328 del 2000, Regioni e Comuni hanno la responsabilità di programmazione e operativa rispetto a persone che presentano disagi o problemi di inserimento sociale. Per fronteggiare tuttavia la straordinarietà degli interventi, una fonte di finanziamento aggiuntiva può essere individuata nella Cassa delle ammende".

"Stanno anche emergendo problemi nei rapporti di lavoro di detenuti già in misura alternativa e dipendenti di cooperative sociali, a causa della cessazione delle agevolazioni fiscali - conclude -. Sarebbe inoltre necessario un congruo rifinanziamento della legge Smuraglia n.193 del 2000 che prevede sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono persone ex detenute (per i 6 mesi successivi alla fine della pena)".

A fronte di questa grave e complessa situazione, la Conferenza nazionale volontariato giustizia sostiene la proposta da più parti avanzata di creare un coordinamento nazionale, composto da rappresentanti istituzionali centrali e periferici, Volontariato e Terzo Settore, auspicando che d’ora in poi cessi la disastrosa abitudine di rincorrere le emergenze, almeno quando, come in questo caso, sono facilmente prevedibili.

Indulto: ministro Ferrero scrive agli amministratori locali

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Il Ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha inviato una lettera ufficiale agli assessori alle Politiche sociali delle Regioni, delle Province e dei Comuni, al presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, al presidente coordinatore della Commissione politiche sociali della Conferenza dei Presidenti della Regioni, al presidente dell’Upi, al presidente dell’Anci per illustrare le misure di assistenza da realizzare a favore degli ex detenuti, beneficiari dell’indulto.

"A seguito dell’approvazione della legge sull’indulto - scrive Ferrero -, è stata convocata dal mio Ministero, il 7 agosto scorso, un incontro a cui hanno preso parte rappresentanti di servizi pubblici ed espressioni del privato sociale, impegnati nell’assistenza alle persone che escono dal carcere. Sono stati esaminati e concordati i primi urgenti interventi da realizzare per far fronte all’aumento delle richieste che l’attuazione della legge avrà sui servizi territoriali. I rappresentanti del Ministero hanno assunto l’impegno di rappresentare, così come stanno già facendo, le istanze venute dagli operatori anche al Ministero della Giustizia, della Salute e dell’Interno che, a vario titolo hanno competenza in materia".

"Per quanto concerne le competenze del Ministero della Solidarietà - evidenzia Ferrero -, confido che gli assessori regionali, provinciali e comunali vorranno sollecitare la massima attenzione e il maggior impegno dei rispettivi uffici per fornire adeguate e pronte risposte ai problemi che incontra chi esce dal carcere".

Ferrero informa anche che, "nell’impossibilità di fornire immediate risorse aggiuntive", è stata convocata per il prossimo 5 settembre, presso il Ministero della Solidarietà, una riunione con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni e del mondo dell’associazionismo, "in cui verrà formalizzato un tavolo di lavoro permanente per elaborare un piano organico per il reinserimento sociale degli ex detenuti a livello nazionale.

Sarà nostra cura - conclude Ferrero -, all’esito della riunione, di segnalare la disponibilità di eventuali risorse aggiuntive per le attività di accoglienza e reinserimento. Chiedo di comunicare al Ministero sia eventuali progetti e buone pratiche, realizzate in questi giorni, sia le eventuali difficoltà incontrate".

Indulto: Milano; gli sportelli Agesol rimangono aperti

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

"I fondi stanziati dal ministero del Lavoro destinati a finanziare i progetti di inserimento lavorativo degli ex detenuti che beneficiano dell’indulto ci saranno di grande aiuto." Licia Roselli, direttrice dell’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro (Agesol), è soddisfatta dei 13 milioni di euro che ieri il Governo ha deciso di mettere a disposizione per i tirocini di formazione e gli incentivi per le imprese che assumono ex detenuti.

 

Com’è la situazione della richiesta di lavoro da parte degli ex detenuti?

Da quando l’indulto è diventato legge fino a venerdì scorso non abbiamo ancora avuto molte richieste. Quando un detenuto esce dal carcere, infatti, oltre al pensiero del lavoro ha l’esigenza di soddisfare bisogni primari come reinserirsi in famiglia, oppure se non ne ha una, cercare una casa o un posto dove sistemarsi. La ricerca del lavoro si colloca in una fase successiva. Inoltre non dimentichiamo che cercare lavoro ad agosto è difficile per chiunque: le aziende chiudono e le sostituzioni estive vengono stabilite a giugno. Poi, prima che un ex detenuto trovi un lavoro ci vuole tempo perché deve capire cosa vuol fare, essere seguito, imparare il mestiere e solo allora è pronto per lavorare.

 

Come vi siete organizzati per affrontare "l’emergenza"?

Continuiamo a lavorare al progetto Orfeo, uno sportello per detenuti ed ex detenuti in cui si avviano piani di orientamento e accompagnamento al lavoro, in collaborazione con la Provincia di Milano. Questa settimana c’è una segreteria aperta dove si prendono gli appuntamenti e dal 20 agosto ci saranno gli operatori che aiuteranno gli ex detenuti attraverso percorsi di orientamento. Dal 28 agosto aprirà un altro sportello a Cinisello, per le persone che abitano a Milano Nord.

 

Come viene organizzato l’inserimento lavorativo?

Dopo la prima fase di orientamento la vera difficoltà è quella di trovare aziende disponibili ad avere in tirocinante che viene seguito da un nostro tutor. Anche se i tirocini sono finanziati, non è semplice trovare imprese disposte ad inserire una persona che sta imparando. Non dimentichiamo, infatti, che la maggior parte delle aziende lombarde sono medio- piccole e non è semplice per loro inserire per personale. Alcuni ex detenuti trovano lavoro anche nelle cooperative sociali, ma molte di queste hanno già esaurito la possibilità di nuove assunzioni. Per questo motivo credo che si potrebbe dimostrare molto utile il contributo di mille euro sotto forma di sgravi fiscali per ogni lavoratore assunto da un’impresa. Così facendo si incentivano le aziende ad assumere.

 

Di quali altri contributi possono disporre gli ex detenuti?

Purtroppo credo che chi esce con l’indulto non possa beneficiare della legge "Smuraglia" (ndr. Legge 22 giugno 2000, n. 193) che prevede varie misure con le quali si intende favorire l’attività lavorativa dei detenuti. Potranno beneficiare di altre leggi, come ad esempio, la Over 40. Inoltre come Agesol chiederemo alla Provincia finanziamenti per tirocini e borse lavoro. Vorrei però sottolineare che il problema che ci troviamo ad affrontare non è la mancanza di disponibilità politica da parte delle istituzioni come Comune e Provincia, ma il fatto che la legge sull’indulto è arrivata ad agosto, quando i capitoli di spesa sono già stati stanziati.

Indulto: su tossicodipendenze la Sanità "chiama" le Regioni

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Il ministero della Sanità scriverà entro domani alle Regioni "richiamando l’attenzione" sulle possibili emergenze legate agli ex-detenuti con gravi problemi di salute e convocando gli assessori alla Sanità per il 29 agosto prossimo. È il primo risultato dei contatti avviati dal ministero della Solidarietà sociale dopo l’incontro di ieri con una decina di associazioni, incontro da cui è nata la "Rete di solidarietà per l’inserimento degli ex-detenuti".

Funzionari di via Fornovo si sono visti stamattina con i colleghi della Sanità rappresentando i principali problemi. In particolare, per le persone con una tossicodipendenza alle spalle la prima necessità è che vi sia una presa in carico post carceraria allo scopo di evitare ricadute pericolose nel consumo di sostanze (si è avuto anche un caso di overdose il giorno dopo l’indulto): ciò può comportare un ricorso straordinario a farmaci sostitutivi (metadone) come "tampone" per i primi giorni, ma in generale significa per la rete dei servizi pubblici per le tossicodipendenze (Sert) la capacità di "gestire un possibile improvviso aumento della massa di utenti", come dice il vice capo di gabinetto della Sanità, Claudio De Giuli, che ha partecipato all’incontro di stamattina.

Altri problemi riguardano la cosiddetta "doppia diagnosi": è risaputo che un numero rilevante dei detenuti con problemi di droga presenta anche patologie psichiatriche, più o meno lievi. E l’uscita di centinaia di queste persone rappresenta sicuramente un problema che i servizi della sanità si trovano a fronteggiare.

Uno degli elementi sottolineati già nell’incontro di ieri è che per il momento le risposte degli enti locali sono caratterizzate da una grande disomogeneità: alcuni comuni e regioni hanno risposto con prontezza e messo in campo mezzi e personale; altri non hanno attivato nulla di particolare.

Uno degli obiettivi della lettera del ministero della Sanità è infatti quello di sollecitare tutte le Regioni ad essere pronte riguardo queste emergenze, ovviamente attraverso i servizi di cui hanno la competenza esclusiva. E di farlo senza abbassare la guardia, nonostante il periodo feriale.

La comunicazione è stata spedita alla Commissione sanità della Conferenza Stato-Regioni, cioè al coordinamento degli assessori alla Sanità guidato dal toscano Enrico Rossi, che avrà appunto il compito di convocare i colleghi per una riunione a Roma con il ministro Turco il 29 agosto.

Indulto: 13 milioni di euro per sostenere gli ex detenuti

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Tredici milioni di euro dal Governo per pagare tirocini di formazione a duemila ex detenuti che beneficiano dell’indulto e garantire a chi esce dal carcere un sostegno economico: l’hanno annunciato il ministro della Giustizia Clemente Mastella e Cesare Damiano, ministro del Lavoro. In concreto, si tratta di veri e propri percorsi formativi che avranno una durata di sei mesi e prevedono un sostegno al reddito di 450 euro al mese, più un contributo di mille euro sotto forma di sgravi fiscali per ogni lavoratore che sarà assunto da un’impresa. Per realizzare tutto ciò sono state interpellate, come ha spiegato il ministro Damiano, alcune imprese cooperative e aziende; i corsi verranno organizzati attraverso Italia Lavoro. Al momento, sono dodicimila i detenuti che hanno già beneficiato dell’indulto, ma altri tremila avranno presto lo sconto di tre anni di pena. Complessivamente - secondo la stima del ministero della Giustizia - il provvedimento di clemenza coinvolgerà quindicimila detenuti. Per duemila di loro, si aprirà presto la strada di un percorso di reinserimento lavorativo; una risposta, dunque, da parte del Governo, a quanti avevano criticato l’indulto come misura presa senza tener conto delle necessità concrete dei beneficiari. Al piano illustrato oggi collaboreranno Federsolidarietà, Cnca e la Lega delle cooperative sociali, con cui i due ministeri, come ha spiegato Damiano, hanno realizzato un tavolo congiunto per monitorare i risultati, poiché "non vogliamo erogare risorse a fondo perduto. Aspetteremo i risultati e in caso positivo penseremo a un incremento".

"Il progetto verrà via via definito nelle prossime settimane - dice Sergio d’Angelo, presidente di Gesco, consorzio di cooperative sociali aderente alla Lega nazionale delle cooperative - . In sostanza, si tratta di tirocini formativi per gli ex detenuti che verranno accolti all’interno delle cooperative sociali. L’esperienza durerà dodici mesi e, attraverso le cooperative sociali, le persone verranno collocate anche in cooperative non sociali e in aziende". La funzione di tutoraggio e accompagnamento per gli ex detenuti "sarà comunque garantita dalle cooperative sociali".

Per d’Angelo, "si tratta di una delle più grandi operazione mai tentate di reinserimento lavorativo di persone svantaggiate; è un segnale davvero importante". Soddisfatto Riccardo De Facci (Cnca): "Come Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza, avevamo già promosso un tavolo per la ‘gestionè dell’indulto. A nostro avviso è stata una scelta coraggiosa, da parte del Parlamento, con il rischio però di controindicazioni: in pieno agosto, quando tutto è fermo e i più sono in vacanza, migliaia di persone escono dal carcere e si trovano a fare i conti con i problemi dell’immediato quotidiano". Per cui, "siamo assolutamente disponibili a collaborare a questo progetto, illustrato oggi, con le misure che i ministeri in questione stanno attivando. L’indulto ci sta dicendo - conclude De Facci - che quella del carcere è una tematica del nostro sociale quotidiano. E questo percorso di accoglienza e accompagnamento al lavoro permetterà di offrire occasioni di inserimento importante".

Indulto: rete di solidarietà sociale per il reinserimento

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

L’incontro tra una decina di associazioni impegnate nell’accoglienza di detenuti, immigrati e tossicodipendenti e il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero è servito a decidere una serie di "cose da fare" a partire da domani. L’intento è quello di attivare "nel più breve tempo possibile reti istituzionali e sociali in grado di non abbandonare a se stessi gli ex detenuti scarcerati", si legge in uno stringato comunicato stampa emesso nel tardo pomeriggio; un comunicato su cui comunque il ministero si spinge ad annunciare la nascita di una "rete di solidarietà sociale per sostenere il reinserimento degli ex detenuti".

Alla riunione sono intervenute il Cnca, Antigone, Arci e Arci Ora d’Aria, Papillon, Associazione Papa Giovanni XXIII il Gruppo Abele, Saman, la Seac, la Conferenza volontariato giustizia, Federserd, la Convol e la Consulta penitenziaria del Comune di Roma. Al termine bocche cucite da parte dei partecipanti, una cautela chiesta direttamente dal ministero e spiegata da fonti di via Fornovo con la delicatezza istituzionale da garantire in questo momento. Domani infatti vi saranno incontri con i ministeri dell’Interno e della Sanità, durante i quali la Solidarietà sociale cercherà di ottenere - per le rispettive competenze - le disposizioni sulle principali emergenze segnalate nei primi convulsi giorni della scarcerazione di massa (vedi lanci nella colonna degli approfondimenti a lato).

L’idea sarebbe quella di arrivare poi a una circolare indirizzata alle regioni, con l’obiettivo di dare uniformità agli interventi e di stimolare i territori finora meno attivi. L’obiettivo, si legge ancora nel comunicato di Ferrero, è "creare una sorta di ponte tra carcere e territorio". Il periodo per avviare un progetto del genere non si presenta certo favorevole. Per questo il ministro rimarca come esso sia "destinato a svilupparsi nel tempo, superando l’attuale fase emergenziale". Il tavolo comunque è nato e tornerà a riunirsi ai primi di settembre.

Indulto: Metis; l'interinale, per reinserire disabili ed ex detenuti

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2006

 

Piermario Donadoni, a.d. di Metis, una delle principali agenzie di lavoro interinale, entra nel dibattito sui 15mila ex carcerati che sono usciti grazie al provvedimento di clemenza: "Il ministro Mastella dice di volersi impegnare per il loro reinserimento? Siamo disponibili a fare la nostra parte". Un discorso che si inserisce nel quadro più generale delle categorie deboli a cui 1’interinale guarda con interesse.

Dalla riforma Treu nel 1997 ad oggi, il settore è stato un punto di riferimento soprattutto per lavoratori con un identikit preciso: giovani, diplomati e con poca esperienza alle spalle. Già negli ultimi anni, però, la percentuale di "over 40" è cresciuta dal 9% del 2000 al 14,5% del 2005.La nuova sfida è riuscire a inserire nel mercato del lavoro anche invalidi, detenuti e disabili. Per legge dovrebbero essere il 10% del personale delle aziende medio-grandi, ma non succede quasi mai. Le categorie deboli oggi rappresentano solo 1’1% dei nostri contratti.

 

Non teme che invece le aziende rifiuteranno un’occupazione a questi lavoratori?

Noi siamo un acceleratore di opportunità. Un ragazzo che viene da noi trova lavoro in media in tre settimane, contro i tre mesi che impiegherebbe iniziando a mandare curricula da solo. Possiamo offrire la stessa possibilità anche a persone che appartengono a fasce deboli. Certo, all’inizio ci sarà un po’ di titubanza, ma siamo sicuri che quando arriveremo con la nostra proposta commerciale ben formulata, e la spiegheremo ai clienti, avremo una risposta positiva.

 

Anche ex detenuti e persone uscite dalla droga?

Occorre che le persone abbiano recuperato da un punto di vista psicofisico. Detto questo, anche gli ex detenuti o gli ex tossicodipendenti possono essere aiutati a ritornare al lavoro con contratti interinali. Le aziende sanno che saremo noi a risolvere ogni problema che dovesse presentarsi.

 

Qualche esperimento?

Come Metis abbiamo realizzato un call center di Telecom Italia nel carcere San Vittore a Milano e alcuni detenuti hanno continuato a lavorare anche una volta usciti di prigione. A San Patrignano abbiamo aperto un ufficio virtuale in cui aiutiamo gli ex tossicodipendenti che stanno per uscire. Per quanto riguarda i disabili, poi, c’è un caso significativo: una società aveva deciso di spostare la sua struttura e aveva fra i suoi dipendenti anche un ragazzo sordomuto. L’azienda è venuta da noi e si è impegnata a retribuirlo per un certo periodo in attesa che trovasse un nuovo impiego. Noi l’abbiamo assunto a tempo indeterminato e dopo alcune missioni presso i nostri clienti è stato confermato. Potremmo quasi essere un ammortizzatore sociale...

 

Il Governo non dovrebbe prevedere degli incentivi?

Più che di incentivi abbiamo bisogno che il Governo mantenga 1’attuale normativa sullo staff leasing che consente a noi di assumere lavoratori a tempo indeterminato per poi metterli a disposizione dei nostri clienti. Si tratta di una norma che una parte del centrosinistra vorrebbe rivedere.

 

Offrirete questo servizio a costo zero per l’erario?

Basterebbe fiscalizzare i costi d’inserimento per i primi due o tre anni.

 

Gli altri Paesi europei sono più avanti su questi temi?

Sì. In Francia esistono società private che gestiscono l’inserimento lavorativo delle fasce deboli. In Olanda sono gli stessi centri di lavoro interinale che hanno divisioni specializzate con questo scopo. Si tratta di un modello a cui guardiamo con favore. Da settembre inizieremo a discuterne con le altre agenzie per trovare, anche in Italia, il modo di favorire l’ingresso delle categorie deboli nel mercato del lavoro.

Giustizia: il carcere di Verona interpella la comunità cristiana

di Arrigo Cavallina - (Liberare la pena. Convegno del 21 gennaio 2006)

 

Le carceri italiane sono sovraffollate, molto oltre quella che è considerata la loro capienza massima. Sta forse crescendo a dismisura la delinquenza? Le statistiche rispondono che no, non ci sono aumenti sensibili. Da dove proviene allora questo maggiore afflusso di detenuti? Le stesse statistiche ci informano che per due terzi non appartengono ad organizzazioni criminali, non fanno della violenza antisociale una scelta di vita, ma sono indotti a compiere reati in relazione ad una condizione di povertà e disagio: appartengono prevalentemente a queste tre categorie, a volte sovrapposte tra loro: immigrati irregolari, tossicodipendenti, persone con difficoltà psichiche.

Senza offrire superficiali giustificazioni a chi viola la legge, senza scaricare ogni colpa su una generica "società", viene comunque da chiedersi se non ci siano corresponsabilità nel generare questo anello di povertà che sembra circondare e minacciare la nostra cittadella di benessere.

Più in particolare, possiamo chiederci in che rapporto sta la nostra ricchezza, il nostro stile di consumi con i sostanziali squilibri, ingiustizie e impoverimento di aree e popolazioni e quindi con la migrazione di tanti disperati in cerca di un lavoro che è invece riservato a pochi. I nostri martellanti modelli di successo, facilità, merci che risolvono ogni problema, con la diffusione di vere protesi chimiche, le droghe, che si sostituiscono alle risorse della persona, spingendola alla dipendenza e alla commissione di reati. La nostra frantumazione, indifferenza, mancanza di solidarietà e attenzione ai vicini, con le tante solitudini, depressioni, reazioni psichicamente malate. Si potrebbe proseguire parlando delle famiglie, della televisione, della formazione dei giovani.

La legge stessa, possiamo chiamarla innocente quando considera reato grave non obbedire all’ordine di andarsene dall’Italia per tornare alla miseria d’origine, il restare per sopravvivere?

Io, cristiano, che da dietro i vetri del mio appartamento riscaldato guardo i "clandestini" ammassati in una casa in rovina, coi letti di cartone, mi sento coerente se mi accontento di gridare "via!" o "in galera!"?

Una galera, poi, che non basta più. Costa troppo, se ne costruiscono altre ma da anni è bloccato e insufficiente il personale che dovrebbe farle funzionare. Così è difficile anche l’attività cosiddetta rieducativa, affidata prevalentemente alle iniziative delle scuole, dei privati, del volontariato, in orari e spazi troppo ridotti. E ancora più difficile è lo sforzo di chi, detenuto che si prepara ad uscire o uscito del tutto, vorrebbe ricostruirsi una vita regolare, con lavoro, abitazione, amicizie.

La Caritas diocesana veronese, assieme alle associazioni di volontariato "La Fraternità", "Società di S. Vincenzo de’ Paoli" e "Don Tonino Bello" e con la collaborazione di Telepace e Verona Fedele ha organizzato lo scorso 21 gennaio nel Teatro della Santissima Trinità un convegno dal significativo titolo: "Liberare la pena. Il carcere di Verona interpella la comunità cristiana".

Preso atto che "più volte i detenuti di Montorio si sono rivolti pubblicamente o tramite il Vescovo, il cappellano, altri religiosi, alle comunità cristiane chiedendo dialogo e accoglienza", la locandina d’invito dichiara l’intenzione di offrire "l’opportunità di conoscere la realtà oltre i pregiudizi, di metterci in discussione per operare scelte di coerenza cristiana, con l’obiettivo e la speranza di promuovere nei diversi territori e all’interno della comunità cristiana veronese percorsi di rinnovata attenzione verso il mondo della pena".

Evidentemente l’iniziativa ha colto un fermento nuovo. Saranno le richieste inascoltate di Papa Giovanni Paolo II per un gesto di clemenza verso i detenuti costretti dal sovraffollamento ad una sofferenza aggiuntiva non prevista dalla legge, sarà una sensibilità che finalmente cresce, sarà magari un oscuro senso di colpa per il lungo periodo d’indifferenza, ma mai in passato si era vista, su questi temi, tanta partecipazione. Il teatro era gremito, classi di studenti in galleria, persone in piedi fin fuori delle porte, tutto trasmesso in diretta da Telepace.

Nella prima parte del convegno il Procuratore capo dott. Papalia e il Direttore del carcere di Verona dott. Erminio hanno tracciato il quadro di sfondo, con riferimento alla situazione normativa e di fatto. Si è ben capito, tra l’altro, che una condizione iniziale di povertà e svantaggio, oltre ad essere facilitante nella probabilità di commissione di un reato, si riversa a cascata su tutti i meccanismi concreti del processo e dell’esecuzione penale, creando una disparità di trattamento che rischia di compromettere anche la speranza di reinserimento. Mentre le misure alternative al carcere, cioè i percorsi previsti dopo un certo tempo di pena scontata per riavvicinare alla società, stanno dando risultati migliori di ogni aspettativa, la recente legge detta "ex Cirielli" ne riduce gravemente l’applicazione, sempre a danno dei più svantaggiati, con un effetto addizionale sul sovraffollamento.

Al centro del convegno la conseguente riflessione di don Virgilio Balducchi, della Conferenza regionale volontariato giustizia della Lombardia e cappellano nel carcere di Bergamo. Attribuire alla pena lo scopo di ricambiare il male fatto con altro male è radicalmente anticristiano. Dio, ci ricorda don Virgilio, va a cercare Caino e gli fa prendere coscienza di quel che ha fatto, ma lo difende dalla vendetta. Dovremmo chiederci come far penetrare un messaggio d’amore anche nelle forme giuridiche, come configurare una pena senza odio e ritorsione ma aperta alla speranza, una pena che sia aiuto a ritrovare se stessi, progetto di riconciliazione.

Proclamare la libertà ai prigionieri e visitare i carcerati sono due indicazioni date da Gesù stesso. Il credente non può far finta che non lo riguardino. L’annuncio di salvezza è rivolto anche al più sgradevole malfattore, alla sua coscienza e possibilità di diventare altro; e visitare è la nostra ricerca di mezzi concreti per riattivare la responsabilità, ricostruire il tessuto lacerato della convivenza. Il carcere, oggi ancora al centro della penalità, non è certamente uno strumento efficace e andrebbe ridotto ai casi necessari, mentre il nostro compito è farci tessitori di giustizia, proponendo soluzioni e diffondendo una cultura di solidarietà con i più deboli, di tutela dei diritti, di attenzione ad ogni persona, di incontro e mediazione tra offensore e vittima, di attività riparative.

Relazioni assolutamente necessarie come l’amicizia, l’affetto, il perdono, la riconciliazione, possono essere promosse ma non imposte dalla legge. Il volontario è chiamato a portarle nell’amministrazione della giustizia con la gratuità della sua azione e dei rapporti con tutti, detenuti e familiari, vittime e operatori penitenziari, testimoniando che una vita giusta è premio a se stessa.

Le comunità ecclesiali devono riconoscere che anche in carcere c’è una comunità cristiana, con le sue necessità e i suoi doni. Don Virgilio ha raccontato questo episodio, che l’ha aiutato a capire il suo ruolo di cappellano. Un detenuto, dopo la scarcerazione per l’ennesima volta aveva combinato grossi guai ed era rientrato in carcere. Davanti allo sguardo di desolato rimprovero di don Virgilio gli ha detto: "Io posso non credere alla mia possibilità di cambiamento, ma se non ci credi tu, non venire qui domenica a celebrare l’Eucarestia".

Molto concrete le sue indicazioni di temi per una pastorale del penale, che dovrebbe essere promossa da un’apposita commissione:

- accoglienza alle vittime e alle loro famiglie;

- valorizzazione e approfondimento deontologico del lavoro degli operatori della giustizia;

- accompagnamento delle persone detenute e delle loro famiglie;

- promozione del dialogo tra religioni in contesti di forte conflittualità;

- formazione di un volontariato competente;

- opere che siano segno di accoglienza nelle comunità parrocchiali;

- cammini di riconciliazione.

Ha terminato ricordando che "le nostre comunità sono i luoghi in cui vivono, da cui provengono e dove ritornano gli uomini e le donne che incontriamo in carcere; è lì che si producono i conflitti e, ancor prima, i germi del bene e del male ed è lì che si possono prevenire e curare le ferite".

Dopo la proiezione di filmati con interviste significative e interventi dal pubblico, don Maurizio Guarise, direttore della Caritas veronese, ha rilanciato la proposta che ogni parrocchia "adotti" almeno un detenuto, prendendosi cura di lui, dei suoi bisogni ed eventualmente della sua famiglia, entrando in corrispondenza e con gesti di attenzione, accoglienza nei permessi, aiuto nel reinserimento.

Il Vescovo di Verona padre Carraro ha assicurato il suo appoggio ad un’iniziativa di accoglienza residenziale per ex detenuti. Ha ricordato i numerosi passi, nei testi del Sinodo, che indicano stile di comportamento e di testimonianza nelle situazioni di disagio, con riguardo in particolare al carcere e alle conseguenze dell’intervento penale. Ha sottolineato l’importanza del grande Convegno ecclesiale che si terrà proprio a Verona nel prossimo ottobre. E ha concluso invitandoci tutti a guardare verso le povertà secondo l’esempio di S. Giovanni Calabria.

Indulto: la CNVG è coinvolta nei tavoli di lavoro ministeriali

 

Comunicato stampa, 16 agosto 2006

 

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia si trova in questi giorni attivamente coinvolta in tavoli ministeriali frettolosamente e tardivamente convocati dopo che, per effetto dell’indulto, il flusso dei detenuti rimessi in libertà, già sostenuto sin dai primi giorni, ha ormai raggiunto quota 14.000.

Lunedì 7 agosto, è stato il Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero a volerci incontrare, insieme alle parti sociali rappresentate dal Cnca, Arci, Antigone, Federserd, Comunità Papa Giovanni XXIII, Seac, Gruppo Abele, Convol e altri.

Molti i problemi finiti sul tavolo del Ministro nell’intento di sollecitare le istituzioni a farsi carico di problematiche complesse che il Volontariato ed il Terzo Settore stanno affrontando, con uno sforzo che spesso viene vanificato da normative inadeguate o insufficienti, a cui si aggiunge il rallentamento stagionale se non la sospensione di certi servizi. Diversi i fronti su cu le parti chiedono d’intervenire e che interessano i Ministeri della Giustizia, degli Interni, della Salute, della Solidarietà Sociale.

All’Amministrazione Penitenziaria si chiede di agevolare l’opera dei volontari fornendo loro elenchi dei dimessi, con l’indicazione delle notizie essenziali riguardanti la loro condizione e i loro bisogni immediati

Gli Interni, attraverso le Prefetture, dovrebbero invece intervenire sui Servizi territoriali, per la presa in carico dei soggetti più bisognosi, valutando altresì la possibilità di concedere deroghe ai decreti di espulsione o comunque di procedere a rimpatri assistiti. Più complessa e lunga la revisione della attuale legge sull’immigrazione, che non lascia alcuno spazio al superamento di palesi incongruenze, come nel caso degli stranieri già beneficiari di misure alternative alla detenzione e positivamente inseriti in attività lavorative, improvvisamente declassati a clandestini da espellere.

Altro aspetto drammatico, che interessa la Sanità, è quello delle migliaia di ex detenuti tossicodipendenti in trattamento, a cui si aggiungono i sieropositivi e coloro che hanno patologie psichiatriche. In molti casi l’interruzione improvvisa delle terapie può causare danni seri ed è quindi indispensabile che queste persone siano avviate ai Sert e alle strutture sanitarie locali, superando i limiti della non residenza, per una presa in carico urgente che la legge comunque garantisce in casi gravi, arrivando a sospendere i decreti di espulsione per gli stranieri. Le comunità di accoglienza devono inoltre poter contare sul sostegno economico del pagamento delle rette da parte dello stato.

Soprattutto in certe grandi città, dove più è presente e attiva la rete delle comunità di accoglienza, queste problematiche sono state affrontate sin dal primo momento, come si è potuto, ma resta il fatto che siamo in piena estate e i Sert, di cui si chiede il potenziamento, lavorano invece a ranghi e orari ridotti.

Urge approntare, da qui a uno-due mesi, azioni e interventi per l’integrazione sociale delle persone scarcerate, con il coinvolgimento di enti locali, del volontariato e del terzo settore. In base alla legge 328 del 2000, Regioni e Comuni hanno la responsabilità di programmazione e operativa rispetto a persone che presentano disagi o problemi di inserimento sociale. Per fronteggiare tuttavia la straordinarietà degli interventi, una fonte di finanziamento aggiuntiva può essere individuata nella Cassa delle ammende.

Stanno anche emergendo problemi nei rapporti di lavoro di detenuti già in misura alternativa e dipendenti di cooperative sociali, a causa della cessazione delle agevolazioni fiscali. Sarebbe inoltre necessario un congruo rifinanziamento della legge Smuraglia n. 193 del 2000 che prevede sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono persone ex detenute (per i 6 mesi successivi alla fine della pena).

A fronte di questa grave e complessa situazione, la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia sostiene la proposta da più parti avanzata di creare un coordinamento nazionale, composto da rappresentanti istituzionali centrali e periferici, Volontariato e Terzo Settore, auspicando che d’ora in poi cessi la disastrosa abitudine di rincorrere le emergenze, almeno quando, come in questo caso, sono facilmente prevedibili.

Indulto: Croce Rossa; per gli extracomunitari è stato un male

 

Vita, 16 agosto 2006

 

Un evidente paradosso scaturisce dall’applicazione dell’indulto: il Presidente Nazionale della Croce Rossa Italiana, Massimo Barra, rileva il rischio di una "discriminazione per gli ex detenuti extracomunitari che usufruiscono del provvedimento, di fatto perdendo la possibilità di proseguire nei percorsi formativi, sanitari e di assistenza già in corso".

"Un paradosso - evidenzia il Presidente Nazionale CRI - che vede, come sta accadendo a Roma ad esempio, gli ex detenuti extracomunitari una volta fuori dal carcere, prelevati e trattenuti nel centro CPT di Ponte Galeria, vanificando i tentativi di recupero in atto".

"Qualcuno più fortunato - aggiunge il presidente Barra - non trattenuto nel centro CPT, sta proseguendo nel tentativo di recupero sanitario e formativo. È il caso di un ex detenuto extracomunitario che, all’indomani della notizia dell’indulto, si era rivolto alla Croce Rossa, scrivendomi una lettera accorata nella quale chiedeva aiuto per poter proseguire l’obiettivo, ribadendo l’intenzione di voler tornare in comunità a Villa Maraini per continuare il lavoro interrotto".

Il Presidente Barra chiede, quindi, rivolgendosi ai Ministri dell’Interno, della Giustizia e della Salute, che siano "esclusi provvedimenti discriminatori per tutti gli ex detenuti extracomunitari e che sia garantita a tutti i detenuti la possibilità di prosecuzione del tentativo di recupero, attraverso percorsi formativi e sanitari già in corso, senza distinguere tra le diverse patologie comprese le tossicodipendenze, per le quali allo stato non esiste una copertura finanziaria da parte del Servizio Sanitario Nazionale, lasciando, per gli ex detenuti extracomunitari, l’onere a carico esclusivamente delle strutture di accoglienza".

Indulto: nella Cassa ammende 100 milioni di euro "congelati"

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Progetti di reinserimento sociale per i detenuti che beneficiano dell’indulto? Per attuarli ci vogliono risorse economiche disponibili nell’immediato. Ha discusso anche di questo argomento con la Conferenza nazionale volontariato giustizia, ieri pomeriggio, il ministro della Giustizia Clemente Mastella. "Si parla di dirottare delle risorse per gestire questa emergenza e per consentire i Comuni a farsene carico: una possibilità è quella di dirottare i costi risparmiati in carcere grazie all’uscita dei detenuti per coprire le spese dei progetti esterni, in collaborazione con il privato sociale e le cooperative", riferisce Claudio Messina, presidente della Cnvg. Ma ci sono circa 100 milioni di euro "congelati" nella "Cassa ammende", fondo costituito da tanti anni presso l’Amministrazione penitenziaria. "Il fondo è costituito da multe comminate ai detenuti, somme destinate a finanziare progetti di reinserimento sociale".

"Solo un paio di anni fa era stato attuato un Regolamento di gestione ed era stata costituita una Commissione interministeriale per gestire il Fondo, ma poi l’ex ministro Roberto Castelli non l’ha più convocata", riferisce Messina, ipotizzando che queste risorse consistenti "facciano gola al Dipartimento amministrazione penitenziaria per affrontare le note difficoltà in cui versa". Finora sono stati finanziati dalla Cassa ammende solo una decina di progetti proposti dallo stesso Dap, mentre "tutti quelli presentati dal volontariato sono stati respinti e non finanziati". Il ministro Mastella - che aveva accennato a questa possibilità anche nel question time di ieri pomeriggio - ha già fatto presente il problema al responsabile del Dap, Giovanni Tinebra, "che però si è irrigidito in proposito", riferisce Messina, ricordando che Tinebra, "anche se più volte invitato, non ha mai partecipato ai lavori e ai convegni della nostra Conferenza. Ma il suo mandato sta per scadere: attendiamo a settembre la nomina del nuovo responsabile del Dap".

Dal punto di vista procedurale, però, il ministro ha pressoché esaurito il suo ruolo, dato che la Cassa agisce in autonomia attraverso un proprio consiglio di amministrazione. Dato il periodo estivo, e dati soprattutto i precedenti, è dunque impensabile che la sollecitazione del ministro e della Conferenza dei volontari venga raccolta a breve scadenza. Nonostante ciò permetterebbe di intervenire oltre l’emergenza sulla nuova situazione creatasi dopo l’indulto.

Toscana: rafforzata assistenza al disagio psichico dei detenuti

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Se grazie all’indulto una parte di detenuti sono usciti dal carcere, per i tanti rimasti la situazione resta ai limiti della vivibilità: sovraffollamento, precarie condizioni igieniche, malattie. E disagio psichico diffuso, che si manifesta con atti di autolesionismo, tentati suicidi, suicidi riusciti.

Per questo, per il secondo anno consecutivo, la Regione ha finanziato con 90.000 euro il progetto Retintegrare, gestito dalla Fondazione Michelucci, per dotare gli istituti penitenziari più a rischio dal punto di vista del benessere psichico di un incremento di assistenza psicologica: più psicologi esperti nell’assistenza ai detenuti in crisi, e un maggior numero di ore a disposizione.

Retintegrare era già partito in via sperimentale nel 2005, con un finanziamento della Regione alla Fondazione Michelucci di 70.000 euro. Valutato positivamente il primo anno di sperimentazione, è stato deciso di ripetere l’iniziativa anche per il 2006. Forse è anche grazie a interventi di questo tipo che, nei dieci istituti più a rischio (Sollicciano, Livorno, Pisa, Lucca, Pistoia, Montelupo, Prato, Porto Azzurro, San Gimignano, Arezzo) i suicidi si sono ridotti: da 5 nel 2004 a 2 nel 2005.

"Questo progetto - chiarisce l’assessore al diritto alla salute, Enrico Rossi - si concentra su quella particolare condizione di disagio psichico causata proprio dalla detenzione, e vuole dare una risposta efficace che consenta di evitare i danni estremi di una gestione ottusa del carcere. Per troppo tempo le carceri sono state considerate terra di nessuno, senza regole né diritti. Come Regione stiamo assumendo una serie di iniziative per garantire ai detenuti le stesse opportunità e prestazioni sanitarie garantite ai cittadini liberi. Retintegrare va in questa direzione. Un migliore benessere psichico non può che comportare un miglioramento della qualità della vita dei detenuti e una maggiore facilità di gestione anche dal punto di vista della custodia".

Dal 2000, quando le competenze dell’assistenza sanitaria ai detenuti sono state trasferite dal ministero di giustizia al servizio sanitario nazionale (e la Toscana è stata inserita fra le tre Regioni in grado di realizzare il trasferimento in via sperimentale), la Regione, in collaborazione con il Prap (Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria), ha messo in atto una serie di iniziative per la prevenzione e la tutela della salute dei detenuti: dagli interventi di sorveglianza sulle malattie infettive, all’avvio di programmi per le vaccinazioni; dal miglioramento delle attività di assistenza e prevenzione nei servizi penitenziari minorili, all’assistenza farmaceutica ai detenuti; dall’inserimento nel Piano Sanitario Regionale di una specifica azione volta a promuovere la salute all’interno delle carceri toscane, alla redazione di un testo di legge regionale sull’assistenza sanitaria in carcere. Tra le principali patologie di cui risultano soffrire i detenuti, è risultato che molte sono legate, appunto, alla sfera psichica: da qui la decisione di integrare e rafforzare l’assistenza psicologica.

Droghe: per cambiare la legge Fini il governo sceglie il ddl

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

L’obiettivo di cambiare radicalmente la legge Fini-Giovanardi sulle droghe rimane nelle intenzioni del governo, ma la via per farlo sarà il disegno di legge. È questo l’orientamento politico che sta prendendo corpo dopo le prime riunioni della commissione informale costituita dal ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Una commissione non pubblicizzata, che ha il compito di risolvere il "rebus" di una legge scomoda che l’attuale esecutivo vorrebbe cambiare a breve, pur non potendo farlo sia per motivi giuridici che di opportunità. Della Commissione, da cui non emerge alcuna dichiarazione ufficiale, fanno parte almeno 5 magistrati: 3 sono consulenti o interni al ministero (Giovanni Cannella, Gianfranco Viglietta e il capo di gabinetto Franco Ippolito), gli altri sono Francesco Misto (Procura generale di Milano) e Francesco Margara (ex direttore del Dap); alle riunioni hanno poi partecipato anche il presidente dell’associazione Antigone, Patricio Gonnella, e l’ex-parlamentare antiproibizionista Franco Corleone.

Riguardo i contenuti, tutti hanno convenuto che la cancellazione intera o di parti singole della legge è poco praticabile per diversi motivi. Ad esempio il legame con la legge ex-Cirielli: la Fini-Giovanardi aveva ammorbidito le dure sanzioni previste in caso di recidiva di soggetti tossicodipendenti, dunque un’abrogazione potrebbe far tornare la ex-Cirielli valida anche in questa parte, con conseguenze pesanti sui consumatori coinvolti in reati di droga.

Ma sono soprattutto le opportunità politiche a frenare le tentazioni di procedere d’urgenza. Ciò significherebbe infatti adottare un decreto legge, su cui dopo due mesi bisognerebbe andare all’approvazione in Parlamento, magari ponendo la fiducia. In pratica si ripeterebbe la stessa procedura seguita dal Governo Berlusconi - e fortemente contestata dall’opposizione di centro sinistra - che negli ultimi mesi di legislatura inserì la Fini-Giovanardi nel decreto per le Olimpiadi invernali.

Accantonata questa via, ci si starebbe quindi muovendo verso una riforma organica della legge sulla droga, "che superi la Fini-Giovanardi" e revisioni l’intero impianto del Dpr 309/90 da essa ritoccato solo in alcune parti. Ed è qui che si apre una discussione molto ampia. Tra i numerosi temi sul tappeto si possono citare i seguenti:

la revisione delle tabelle del principio attivo delle singole sostanze: una prima modifica riguardante il raddoppio della cannabis consentita potrebbe venire dal decreto dei ministeri della Salute e della Giustizia, ma Clemente Mastella, responsabile del secondo dicastero, non ha ancora controfirmato la bozza inoltratagli dalla collega Livia Turco, né al momento è dato sapere se intenderà farlo. Nella maggioranza resta comunque la volontà di intervenire su tutta la suddivisione delle sostanze stupefacenti e soprattutto sui vari elementi che - oltre al principio attivo - determinano lo spesso difficile confine tra consumo e spaccio;

la questione delle sanzioni amministrative per i consumatori: la Fini-Giovanardi le ha inasprite fino a farle sconfinare nel penale e coinvolgendo i questori, ma la necessità di rivedere tutto questo capitolo (valutandone l’effettiva efficacia) è al centro del dibattito già da molti anni;

la certificazione della tossicodipendenza per l’accesso ai programmi di recupero: secondo la Fini-Giovanardi potrà essere fatta anche dalla comunità private e non più solo dai servizi pubblici (Sert), dopo che le Regioni avranno stabilito gli standard da seguire; è il "vecchio" nodo della pari dignità tra pubblico e privato, su cui i consensi sono così trasversali da rendere difficile un ritorno tout court al vecchio regime.

Ci sono infine altri argomenti, come l’obbligo di denuncia di soggetti tossicodipendenti da parte di insegnanti e operatori, l’uso del metadone, l’affidamento alle pene alternative etc.

Il "rebus" consiste dunque nella risoluzione di un dilemma: da una parte il lavoro di revisione dell’intera normativa sulle droghe si preannuncia estremamente complesso e tale da dover essere affrontato con i passaggi istituzionali adeguati. Dall’altra parte il Governo di centro sinistra si trova nella necessità di dare seguito alle proprie intenzioni di modificare le parti più urgenti della Fini-Giovanardi allo scopo di evitare i pericoli più volte segnalati, in particolare l’inasprimento della risposta repressiva e l’afflusso di migliaia di nuovi detenuti per droga.

Indulto: Padova; uno sportello al servizio di chi è uscito

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Si chiama "SOS Indulto" lo sportello aperto dal Comune di Padova con la collaborazione del gruppo di "Ristretti Orizzonti", il periodico del carcere, e altre associazioni del territorio: rimarrà aperto per tutto il mese di agosto. "Il Comune ha messo a disposizione buoni pasto e posti per dormire - racconta Ornella Favero, coordinatrice di "Ristretti Orizzonti" - . Se qualche ex detenuto vuole tornare a casa, facciamo in modo di pagargli il biglietto del treno. In tutto siamo circa dodici volontari, qui allo sportello: noi di Ristretti, alcuni legali di Avvocato di strada, la Caritas…".

I dati, aggiornati a tre giorni fa: dalla casa di reclusione di Padova sono uscite 220 persone - "il carcere è quasi dimezzato", dice Ornella Favero - , mentre dalla casa circondariale, più piccola, altre 60. Il problema più grande è rappresentato dai detenuti immigrati in uscita: "Cerchiamo di capire come muoverci, cosa fare per loro - prosegue la Favero - , ma non ci sono molte possibilità. Penso che questa potrebbe essere l’occasione per sperimentare percorsi di regolarizzazione per quegli stranieri che, a partire dal carcere, avevano già cominciato un percorso di reinserimento, facendo qualche lavoro, oppure ottenuto la semilibertà". In uscita non ci sono solo immigrati, ma anche persone con problemi di dipendenza, di disagio psichico.

"L’indulto è stato inatteso, una sorpresa per tutti dopo tante aspettative deluse. Anche noi eravamo impreparati. C’è chi è stato scarcerato all’una di notte…" All’inizio, per chi esce, "c’è l’ebbrezza della libertà, c’è grande felicità. Ma già ora si toccano con mano i primi problemi. Noi volontari facciamo difficoltà ad agganciare queste persone con i servizi. Senza contare che siamo in agosto…" Il Comune di Padova, tuttavia, "si è subito attivato. Stamani - conclude Ornella Favero - c’è stata una riunione con il vicesindaco, Claudio Sinigaglia, che è anche assessore alle Politiche sociali. C’è lo sportello, e poi a Padova funziona anche un’unità di strada, con le cucine popolari: stiamo lavorando con loro".

Indulto: Siena; servono misure straordinarie per i beneficiari

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Arriva dalla Provincia di Siena un segnale importante in Toscana per fronteggiare la situazione provocata dal provvedimento di indulto, che secondo i dati diffusi dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha restituito la libertà a circa 800 detenuti. L’assessore alla sicurezza sociale, nonché vicepresidente, della Provincia di Siena Alessandro Pinciani, con l’appoggio del presidente Fabio Ceccherini, hanno scritto al presidente della Regione Claudio Martini e al vicepresidente Federico Gelli lanciando un’iniziativa: destinare le risorse regionali - a disposizione delle dieci province - dedicate alle politiche per la sicurezza urbana a misure straordinarie e urgenti a seguito dell’indulto, con l’obiettivo di attivare una rete tra gli enti locali e i vari soggetti coinvolti sul territorio, e avviare progetti di reinserimento sociale dei detenuti beneficiari del provvedimento. "L’indulto ha creato una situazione di emergenza straordinaria - sottolinea l’assessore Pinciani -, abbiamo pensato di far fronte mettendo intanto a disposizione le risorse che ci sono state assegnate per le politiche di sicurezza urbana".

Si tratta del Fondo regionale deliberato dalla Giunta il 5 giugno scorso e che si compone di 200mila euro, 20mila per ciascuna delle dieci province. La Giunta ha in questo modo previsto di finanziare protocolli d’intesa con le province toscane che partecipino alle attività di promozione delle politiche per la sicurezza. "Abbiamo scritto alla Regione - continua - dicendo che vogliamo mettere a disposizione la nostra parte del Fondo, per attivare o migliorare una vera e propria rete di servizi di prima accoglienza e di indirizzi a percorsi di recupero sociale". Le possibilità di impiego delle risorse sono molteplici, "si potrebbero attivare collaborazioni con le associazioni, i Sert attivi sul territorio - precisa Pinciani - utilizzarle per progetti di reintegro. Sarebbe in ogni caso importante attivare un tavolo di concertazione che coinvolga la Regione e soprattutto le altre province, sperando che vogliano contribuire alle iniziative e devolvere la loro parte del Fondo". Segnali positivi in questo senso stanno arrivando dalle Province di Grosseto e Firenze, con cui la Provincia di Siena ha preso i primi contatti, mentre entro la fine del mese è attesa una risposta da parte della Regione.

Indulto: Genova; kit di sopravvivenza per gli scarcerati

 

Redattore Sociale, 16 agosto 2006

 

Dovrebbero essere circa 300 i detenuti delle carceri genovesi che, nel corso del 2006, beneficeranno dell’indulto. La Giunta provinciale, su proposta dall’assessore Giulio Torti, ha approvato questa mattina l’ipotesi progettuale che vede, in concorso con il Comune di Genova, una serie di iniziative atte a sostenere le persone che saranno o sono state scarcerate sia nel primo reinserimento sia in una seconda fase di medio periodo.

La Provincia di Genova acquisterà 300 buoni pasto, del valore di 10 euro l’uno, per coprire il fabbisogno di 100 persone per 3 giorni. Nel contempo fornirà anche 1000 biglietti giornalieri dell’Amt o della Atp, le due aziende comunale e provinciale di trasporto urbano. Nel complesso il kit per ovviare alla prima emergenza comprende anche buoni doccia, foglio informativo sull’accesso ai servizi di prima accoglienza e l’aggiunta di 150 posti letto al normale sevizio offerto dal Massoero. Altri interventi mirati riguardano donne, giovani madri con bambini e tossicodipendenti. Quanto alla seconda fase del progetto, Provincia e Comune con Sert e sportello unico delle carceri, hanno elaborato percorsi di avviamento a lavoro e attivazione sociale.

Imperia: evadono in tre, ma un turista li fa catturare

 

La Repubblica, 16 agosto 2006

 

Evasi nel giorno di Ferragosto alla vecchia maniera, ripresi subito. È durata poco la fuga di tre detenuti dal carcere di Imperia. Un turista li ha visti scavalcare il muro di cinta, vicino al campo di calcetto, e ha dato l’allarme.

Due italiani sono stati catturati a una ventina di metri dal penitenziario. L’albanese Hoxal Qemal, 27 anni, in carcere per omicidio, considerato un soggetto molto pericoloso, è stato preso più tardi nei pressi di villa Grock. Gli altri due detenuti sono: Michele Sannini, 45 anni, di Napoli, condannato per aver compiuto tredici rapine e il cognato, Giovanni Abbagnato, 38, di Milano, accusato di reati analoghi. Saltando dal muro, Sannini si è fratturato una gamba ma ha tentato comunque di scappare. Il sostituto procuratore di Imperia Ersilio Capone ha aperto un’inchiesta per accertare l’efficienza del servizio di vigilanza del carcere. Pare che il posto di ronda fosse incustodito per carenze di organico e per la giornata festiva.

Imperia: evasione, sul muro di cinta mancavano i controlli

 

Sanremo News, 16 agosto 2006

 

Sarebbe stato non funzionante l’impianto di video sorveglianza del carcere di Imperia al momento dell’evasione, ieri, dei tre detenuti che sono stati arrestati poco dopo dai carabinieri e dalla polizia. È quanto emerge dalle indagini sull’evasione che ha visto come protagonisti un albanese in carcere per omicidio e due italiani dentro per rapina. Stando ai primi accertamenti sembra che le telecamere non funzionassero, per via di alcuni lavori di ristrutturazione dell’impianto elettrico, anche se non viene ancora escluso il guasto.

Ma questa non sarebbe stata l’unica falla nella sicurezza ad agevolare la fuga dei tre detenuti. Pare, infatti, che mancasse la ronda in servizio sul muro di cinta dal quale i tre carcerati si sono lanciati nel vuoto compiendo un volo di quindici metri e guadagnando così (seppur per pochi minuti) la libertà. La mancanza di vigilanza sarebbe da attribuire ai diversi congedi per ferie e alla mancanza di personale che attanaglia già da tempo il carcere. Sul caso è stata aperta un’inchiesta da parte del sostituto procuratore Ersilio Capone di Imperia. "Abbiamo in corso dei lavori di ristrutturazione per migliorare la sicurezza interna dell’istituto ­ commenta il direttore del carcere di Imperia, Angelo Manes -. Lavori che, in effetti, ci creano dei problemi. Tutti gli interventi di risanamento delle camere sono già stati completati, mentre sono in corso i lavori per il rifacimento dell’impiantistica. A interventi conclusi, sicuramente, la situazione cambierà". Sulla lamentata carenza di organico da parte degli organi sindacali, Manes, afferma: "I sindacati fanno il loro lavoro. Certo, però, che una carenza di organico esiste". In tutto si parla di una decina di persone.

L’evasione è avvenuta poco dopo le 17 di ieri. I tre detenuti ­ Qemal Hoxhal, 27 anni, albanese in carcere per omicidio; Michele Sannini, 45, di Napoli, dentro per tredici rapine e il cognato, Giovanni Abbagnato, 38, di Milano, accusato di quattro rapine ­ sarebbero riusciti a scavalcare la recinzione del campo di calcetto, durante l’ora d’aria. Giunti a circa quattro metri dal suolo avrebbero dilaniato la rete con le mani, quindi si sarebbero aperti un varco verso un terrapieno. Da lì avrebbero proseguito la corsa verso il muro di cinta interno dell’edificio. Sarebbero saliti per altri quattro metri circa, fino al posto di ronda incustodito e a quel punto si sarebbero lanciati nel vuoto compiendo un volo di circa 15 metri in caduta libera. In seguito all’urto col suolo, Sannini si è fratturato una gamba, ma ha proseguito la fuga; Abbagnato si è procurato diverse escoriazioni a un braccio, mentre, Qemal, è rimasto illeso. I due italiani sono stati catturati, pochi istanti dopo, dai carabinieri a meno di cento metri dal carcere, grazie alla tempestiva segnalazione di un anonimo turista che dal balcone di casa ha visto i tre detenuti sgattaiolare dal penitenziario. Sannini, portato subito in ospedale, ha riportato una frattura scomposta ed esposta della tibia destra guaribile in 60 giorni. Al momento è piantonato a vista. L’albanese, invece, è stato preso neppure un’ora dopo dalla polizia, nei pressi di Villa Grock, a Imperia. Sul posto era già presente un elicottero dell’Arma.

Indulto: allarme per gli scarcerati, tra suicidi e overdose

 

L’Unità, 16 agosto 2006

 

Di lui si sa solo che è di nazionalità cinese e che ha una quarantina di anni, uno dei tanti che il due agosto scorso ha beneficiato dell’indulto e si è trovato fuori, senza cibo né un letto. Ha vagato una settimana, ha dormito alla stazione. Poi venerdì pomeriggio è salito sulla scalinata di Santa Maria Novella a Firenze e si è gettato nel vuoto. Ora qualcuno dice che non era un tentativo di suicidio, ma l’ultimo disperato mezzo per farsi ricoverare ed avere così un pasto caldo.

Emanuele Ponturo ha 30 anni, tossicomane da quando ne aveva 15. Anche lui era felice di uscire dal carcere di San Vittore, ma la sua gioia è durata una settimana appena. Pochi giorni fa è entrato in una farmacia con una siringa in mano. Non voleva l’incasso, ma tentare una rapina era l’unica soluzione. Quando i carabinieri chiamati dal farmacista sono arrivati a prenderlo ha detto solo: "Grazie, vi prego mi riportate in carcere? Fuori ho sempre crisi di astinenza, dentro invece mi davano il metadone". Gli ufficiali del comando provinciale di Milano ora spiegano: "Ci siamo subito resi conto che era disperato. Abbiamo chiamato il magistrato, fatto presente la situazione, e lui ha firmato subito l’arresto".

È l’altra faccia dell’indulto. C’è l’emergenza di chi fuori si trova improvvisamente senza un lavoro; quella dei tossicodipendenti che non sono più seguiti e una volta fuori tornano all’eroina e muoiono di overdose perché il fisico non è più abituato; quella dei malati di Aids che dovrebbero passare dal carcere all’ospedale ma non è sempre così; quella degli extracomunitari che magari escono con un decreto di espulsione e devono trovare i soldi per tornare a casa.

Un piano del governo c’è: il ministro del Lavoro Damiano e della Giustizia Mastella hanno stanziato 10 milioni di euro per il reinserimento di duemila detenuti al lavoro. Il ministro della Solidarietà sociale Ferrero ha convocato le comunità e a settembre metterà a punto nuove misure per il reinserimento. Ma in questi giorni, in queste settimane, il peso della gestione dell’indulto, del recupero e il sostegno di chi, improvvisamente, dopo il carcere si trova a non saper dove andare è ricaduto sulle comunità, sui volontari, sui centri di assistenza religiosi, sulla Caritas. Lo racconta bene l’Avvenire che ha dedicato più di un articolo al tema. Parrocchie e volontari si sono autotassati per pagare cibo, vestiti, e biglietti aerei.

A Padova la Caritas ha così potuto garantire la distribuzione di 500 buoni pasto e 100 buoni notte per alcune strutture civiche. A Terni e a Bergamo oltre all’apertura della mensa straordinaria per i poveri e alla distribuzione di cestini alimentari la diocesi ha ampliato il dormitorio e aperto le strutture notturne per i senza dimora che vengono solitamente utilizzate per le emergenze freddo. Poi ci sono le storie degli immigrati.

Racconta sempre l’Avvenire: Fernando, 26 anni, argentino, è uscito dal carcere di Busto con in tasca il foglio di via e 20 centesimi. Il biglietto aereo per Buenos Aires costa 1500 euro e quelli non li danno né il carcere, né la questura. Ha bussato alla porta di "casa Onesimo" centro di accoglienza per ex detenuti gestito dall’associazione Volgiter, legata alla Caritas. Gli hanno dato vestiti, un letto e due pasti al giorno. Ora è in attesa che la raccolta di fondi per pagargli il biglietto aereo vada a buon fine.

C’è chi adesso - Rosy Bindi ad esempio - dice che forse c’è stata troppa fretta. "Forse si poteva prevedere una gradualità maggiore per l’impatto dell’inserimento degli ex detenuti". Certo è che le associazioni, almeno quelle che si occupano di tossicodipendenti, l’allarme lo avevano lanciato da subito. La differenza tra il carcere e la libertà, per chi era dentro per ragioni di droga, è l’assenza di cura, la morte per overdose. Certo nessuno di loro si è mai sognato di dire che no, l’indulto non s’aveva da fare, ma certo si dovevano garantire subito delle reti di salvataggio.

Di morti - post indulto - se ne contano già almeno tre. Il primo, B.S. 32 anni, ha beneficiato della libertà nemmeno cinque ore. È stato trovato steso per terra con una siringa accanto intorno alle 15 del 2 agosto scorso. Era uscito da San Vittore quella stessa mattina. Vincenzo Navarra è invece morto in casa, a Benevento, 5 giorni dopo la scarcerazione. Così un pregiudicato 31enne di Piano di Sorrento (Napoli) scarcerato l’1 agosto dalla casa circondariale di Bellizzi e trovato cadavere a Salerno nell’abitazione il 7 agosto. Villa Maraini, la più importante comunità terapeutica romana, fondata dall’attuale presidente della Croce Rossa Massimo Barra, già il primo agosto aveva lanciato l’allarme: circa il 40% dei tossicodipendenti che seguivano i loro programmi hanno chiesto di restare in comunità come fossero ancora sottoposti a provvedimento restrittivo.

Indulto: Dap; un piano straordinario per malati che escono

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

Sono 115 i detenuti gravemente ammalati che grazie all’indulto stanno lasciando i centri clinici delle carceri italiane. Per loro il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha predisposto un piano di intervento straordinario affinché sia garantita loro piena accessibilità, tempestività e continuità delle cure necessarie. Con una circolare diramata in giornata dal responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dap, Sebastiano Ardita, sono stati allertati i provveditori perché avvenga un passaggio di consegne tra la sanità penitenziaria e i servizi sanitari regionali.

Su 207 con Hiv conclamato curati negli istituti penitenziari, per 62 si apriranno le porte delle carceri grazie all’indulto. Saranno trasferiti in ambulanza, a spese del Dap, negli ospedali più vicini. In 10 hanno già lasciato il carcere romano di Rebibbia e ora sono ricoverati allo Spallanzani.

Trasferimenti negli ospedali più vicini anche per 13 ex detenuti con Hiv fino ad oggi curati a Milano- Opera, 18 a Napoli - Secondigliano, 14 a Torino - Lorusso Cutugno, 10 a Genova - Marassi. Oltre a malati di Hiv conclamato, in ospedale andranno anche ex detenuti cardiopatici e con patologie oncologiche.

In totale, sino ad oggi, sono 14mila i detenuti che hanno beneficiato dell’indulto: entro Ferragosto si prevede che dalle carceri saranno usciti in circa 17mila, un numero superiore a quello stimato inizialmente in 15.500.

Il piano straordinario predisposto dal Dap per gli ammalati (non solo quelli ricoverati nei centri clinici delle carceri) considera come aree prioritarie di intervento tutte le forme di patologia cronica, in particolare la tossicodipendenza, le malattie psichiatriche, l’Hiv e la disabilità motoria. Ai provveditori regionali dell’amministrazione penitenziaria è stato raccomandato di assicurare ai detenuti in uscita dettagliate informazioni scritte (indirizzo, numero di telefono, e orari di apertura) sui servizi sanitari territoriali ai quali gli ex detenuti potranno rivolgersi a seconda della patologia che è stata loro diagnosticata. E ancora: i responsabili sanitari delle carceri dovranno preparare una relazione contenente le principali patologie riscontrate e le terapie praticate durante la detenzione; a chi beneficia dell’indulto - è scritto nella circolare - saranno garantiti i farmaci e qualsiasi altri presidio sanitario (comprese stampelle e tutori per la disabilità motoria) per assicurare la continuità terapeutica per il tempo necessario. I responsabili sanitari degli istituti penitenziari dovranno inoltre mettere nero su bianco elenchi suddivisi per patologie dei detenuti in uscita da inviare ai servizi sanitari territoriali che così predisporranno i necessari piani assistenziali.

Il Dap, sempre nella circolare firmata da Ardita, raccomanda infine il coinvolgimento delle associazioni di volontariato e del privato sociale perché sia data particolare importanza agli interventi sociosanitari a favore dei detenuti ai quali sono state condonate le pene.

Indulto: Cgil segnala la "Provincia di Como" a Garante privacy

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

 

La Cgil della Lombardia ha segnalato al Garante della Privacy che il quotidiano la Provincia di Como, nella edizione di domenica 6 agosto, ha pubblicato l’elenco e l’anno di nascita, con il reato per il quale erano stati condannati, dei detenuti del carcere di Como che hanno usufruito dell’indulto. Il Dipartimento Politiche Sociali della Cgil Lombardia - si legge in una nota - pur non entrando nel merito delle valutazioni politiche del giornale sull’indulto, ha però voluto segnalare al Garante che indicare con nome e cognome chi è uscito dalla detenzione rischia di violare la privacy e di marcare pesantemente e negativamente il futuro di chi è intenzionato a ricrearsi un avvenire lontano dal carcere.

Il sindacato ha reso noto che l’Autorità ha avviato un’apposita istruttoria preliminare per verificare la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali raccolti e diffusi in riferimento alla pubblicazione; a tal fine sono stati richiesti gli elementi utili di valutazione sia al quotidiano sopraindicato sia al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria interessato.

Quello che abbiamo pubblicato - ha replicato il direttore del quotidiano Giorgio Gandola - è semplicemente l’applicazione del diritto di cronaca senza alcuna dietrologia che riguarda evidentemente solo la Cgil. È una scelta fatta serenamente visto anche che tanti detenuti si sono fatti intervistare dal nostro quotidiano come dai colleghi delle televisioni, che li hanno anche ripresi, in tutta Italia. Pubblicare l’elenco non mi sembra discriminatorio perché è un atto pubblico e quindi non è coperto da segreto istruttorio. Riteniamo di non aver danneggiato nessuno, ma di aver dato un’informazione ai nostri lettori.

Prato: uno sportello informativo per i detenuti scarcerati

 

Ansa, 16 agosto 2006

 

L’ufficio sarà attivo dal lunedì al sabato dalle ore 9.00 alle 12.00, presso la sede dell’associazione Barnaba, in via Montalese 422. È stato deciso nel corso di una riunione alla presenza degli operatori del settore, presso l’assessorato ai servizi sociali del comune. Questa la risposta per gestire la fase più immediata, una volta che il carcere della Dogaia si è aperto per coloro che hanno beneficiato del provvedimento di clemenza. Sono 96 i detenuti rimessi in libertà nei primi due giorni, circa 40 di questi sono domiciliati a Prato.Le strutture sociali delle istituzioni locali e della Asl, nonché le associazioni del volontariato, sono state allertate da subito e per i detenuti liberati, che ne hanno bisogno o lo richiedono, funzionano già la mensa e l’asilo notturno dell’associazione La Pira. Anche l’assessorato alla multiculturalità del comune giovedì 10 e giovedì 17 agosto metterà a disposizione i propri uffici per i detenuti stranieri che hanno goduto dell’indulto. Per venerdì della prossima settimana, inoltre, sarà convocato un nuovo summit con le associazioni del volontariato, per fare un punto sulla situazione e per verificare quanti si siano rivolti al punto di ascolto dell’associazione Barnaba, che avrà il compito, in base alle esigenze che si manifestano, di attivare la rete sociale di istituzioni, Asl e volontariato.

Indulto: Roma; l'allarme reati è ingiustificato, nessun rientro

 

Asca, 16 agosto 2006

 

Questa mattina Luigi Nieri, assessore al bilancio della Regione Lazio e Patrizio Gonnella Presidente dell’Associazione Antigone, hanno visitato l’Istituto femminile e l’istituto maschile del Nuovo Complesso di Rebibbia. Ad oggi, ci fanno sapere, sono uscite 140 donne del carcere femminile di cui 6 con bambini. Inoltre in 60, sempre grazie all’indulto, hanno terminato anticipatamente l’esecuzione della misura alternativa. Sono rimaste in carcere 7 donne con bambini di età inferiore ai 3 anni.

Dal Nuovo Complesso di Rebibbia, carcere maschile, invece, grazie all’indulto sono uscite 676 persone. I detenuti in data odierna sono 906. Mai il numero era stato così basso negli ultimi 20 anni. "L’allarme intorno ai reati compiuti da persone uscite grazie all’indulto - dichiara Luigi Nieri - è un allarme ingiustificato. Non c’è stato nessun rientro per nuovi reati in queste due carceri. Invece, c’è stato uno sforzo straordinario della società civile e degli operatori penitenziari per favorire un percorso di reinserimento sociale".

Verona: come l’indulto ha rivoluzionato la vita in carcere

 

L’Arena di Verona, 16 agosto 2006

 

Cinquantadue celle vuote, 380 detenuti nella sezione uomini quando la capienza è di 450 e ventisette donne quando nella loro sezione ci sarebbe spazio per una cinquantina di carcerate. E ci sono anche detenuti che chiedono, comunque, di rimanere in tre in cella, dopo aver firmato la liberatoria alle autorità della casa circondariale. Un documento indispensabile per evitare poi la "censura" di sovraffollamento nelle celle nonostante parecchie siano vuote dopo l’applicazione dell’atto di clemenza. Una situazione che solo fino a tre settimane fa, poteva essere descritta nel libro dei sogni. E che, invece, dopo l’approvazione dell’indulto è diventata realtà. Sui 320 uomini, usciti dalle celle grazie all’atto di clemenza, il 70, 75%, erano stranieri.

La maggior parte di loro (si parla di un centinaio) è stata raggiunta dal provvedimento di espulsione dalla Questura al quale difficilmente daranno corso. A tanti altri, è stato fissato l’appuntamento negli uffici di lungadige Galtarossa per discutere la loro posizione anche se sembrano destinati ad essere espulsi.

L’indulto nel carcere di Verona ha rappresentato una vera e propria boccata d’ossigeno. "La situazione", ammette il comandante degli agenti di polizia penitenziaria, Luca Bontempo, "è completamente cambiata". La tensione ha lasciato posto ad un clima più sereno, "con la forte riduzione di atti di autolesionismo tra i carcerati", spiega ancora il comandante, "e la diminuzione di liti, colluttazioni e risse". La scelta di rimanere in tre per cella "è dettata anche dalla necessità di sostenersi durante il periodo della pena oltre che per ragioni culinarie e per non sentirsi troppo soli", spiega ancora Bontempo.

Il clima è migliorato anche tra chi nel carcere ci lavora: "Molti miei colleghi (sono 350 gli agenti in forza nel carcere di Montorio ndr) hanno potuto recuperare i riposi, ad altri è stato concesso il congedo e si sono ridotte anche le ore di straordinario per evadere le pratiche per l’indulto" spiega il comandante degli agenti. E c’è anche una precisazione: "Se si oltrepassano le 40 ore di straordinario in un mese, queste vengono recuperate con ulteriori riposi mentre le prime quaranta ore vengono regolarmente pagate".

La maggior disponibilità di tempo per gli agenti vuol dire anche "la possibilità di svolgere indagini al di fuori del carcere per notizie di reato raccolte tra le celle" aggiunge Bontempo. La polizia penitenziaria, infatti, può svolgere accertamenti e denunciare i responsabili di reati all’autorità giudiziaria al pari delle altre forze dell’ordine. "Molti di noi ora", aggiunge Bontempo, "avranno ora molto più tempo per recarsi fuori dal carcere e svolgere preziosi accertamenti per risalire ai responsabili dei reati".

Sul futuro nella casa circondariale di Montorio, però, nessuno sembra voler scommettere: "Spero che la situazione rimanga uguale a quella di oggi", conclude Bontempo, "ma credo poco al ravvedimento dei detenuti, soprattutto, dei recidivi. Ho il timore che la situazione presto possa tornare uguale a quella di prima con parecchio sovraffollamento nelle celle".

Reggio Calabria: ecco il garante dei diritti delle persone recluse

 

Quotidiano di Calabria, 16 agosto 2006

 

È stata illustrata lunedì mattina la figura del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, istituita nei giorni scorsi dal consiglio comunale di Reggio Calabria. Alla conferenza stampa, tenutasi alla casa circondariale di Reggio Calabria, erano presenti l’assessore comunale alle Politiche Sociali Tilde Minasi, il presidente del consiglio comunale Aurelio Chizzoniti, la direttrice del penitenziario Carmela Longo, il magistrato di sorveglianza di Reggio Calabria Lucia Minauro e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Paolo Quattrone.

L’obiettivo è stato quello di illustrare l’importante funzione che questa figura andrà a rivestire nell’ambito del settore carcerario. Reggio Calabria, dopo Bologna, Roma, Firenze e Torino si dota, dunque, di una struttura fondamentale, che si pone, come evidenziato dalla Longo, quale "evento raro nel panorama nazionale, un’innovazione che tende a concretizzare la cosiddetta riabilitazione del detenuto per la quale risulta fondamentale l’apporto della società civile".

Il presidente del consiglio Aurelio Chizzoniti ha evidenziato come si tratti di "un’iniziativa che facilita l’attività di chi opera all’interno dell’istituto per la sua capacità di instaurare momenti di mediazione, ma, soprattutto, che può agevolare il riconoscimento dei diritti dei detenuti. Ringrazio perciò il consiglio comunale che ha votato all’unanimità la delibera". Molto dettagliato l’intervento dell’assessore Minasi che ha illustrato il progetto definendo il garante "una figura necessaria a fronte dei mutamenti che il mondo carcerario ha subito negli anni, trasformandosi da luogo di mera reclusione a spazio di riabilitazione.

Sin dal nostro insediamento abbiamo collaborato con l’istituto per migliorare, quanto sia possibile, la vita al suo interno: basti pensare, tra gli altri, al progetto "Libertà in carcere". Il garante, perciò, svolgerà funzioni di vigilanza e verifica riguardo il rispetto dei diritti fondamentali, e diverrà figura di riferimento anche per coloro che sono soggetti a misure alternative. In particolare, si occuperà della prevenzione dei conflitti, della mediazione, dell’informazione, del supporto alle esigenze del detenuto, anche durante la fase immediatamente successiva alla reclusione. "Nonostante equipe molto valide e scrupolose - ha poi aggiunto Minauro - l’uscita dal carcere rappresenta sempre un momento difficile: il garante potrà assicurare il suo apporto facendosi carico dell’esigenza lavorativa dell’ex detenuto che, magari proprio dentro l’istituto, era stato coinvolto in interessanti opportunità formative".

"Reggio Calabria è dalle prime città d’Italia ad istituire questa figura: in una regione che di solito risulta sempre tra le ultime del paese questo non può che definirsi un atto meritorio - ha dichiarato Quattrone -. I detenuti sono cittadini e come tali devono godere dei diritti fondamentali. Cercheremo di sensibilizzare anche gli altri enti locali calabresi sul ruolo e l’importanza del garante: l’azione dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria dimostra un’attenzione reale nei di chi sta pagando il suo debito ed ha tutti i diritti di rientrare nella società, per questo ringrazio il sindaco Giuseppe Scopelliti, la sua giunta e l’intero consiglio comunale".

Quattrone ha, altresì, snocciolato dati confortanti in merito alle criticità degli ambienti penitenziari ed illustrato i progetti realizzati o che partiranno a breve nella nostra regione: un vivaio nel carcere di Laureana; una falegnameria prevista a Rossano; un’officina all’avanguardia per l’alluminio che si aprirà a Vibo, e, poi a Reggio un laboratorio per marmi. "Questa politica penitenziaria - ha infatti concluso - è foriera di risultati positivi di cui parlano i numeri: pochi sono i recidivi perché concreta è la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro".

Giustizia: Pisapia; occorre che le pene siano davvero rieducative

 

Vita, 16 agosto 2006

 

"Tutti si sono ormai resi conto che il Codice Rocco va aggiornato perché, da un lato, appare feroce, irrogando pene pesantissime, dall’altro, si è dimostrato sempre più inefficace dal punto di vista della prevenzione e della funzione rieducativa. Il programma dell’Unione e quello della Casa delle libertà sostanzialmente convergono su questa priorità".

Lo ha dichiarato Giuliano Pisapia, presidente della commissione ministeriale incaricata di dare un nuovo assetto al Codice penale, in un’intervista a Il Sole 24 Ore. "Sulla revisione del diritto penale - ha aggiunto Pisapia - il dialogo non solo è possibile ma è doveroso. Inoltre, per tutta una serie di reati, che non destano allarme sociale, il carcere deve rappresentare l’extrema ratio; mentre le cosiddette misure alternative vanno trasformate in sanzioni principali, che il giudice di merito potrà disporre in prima battuta". "Del resto - ha osservato il presidente della commissione ministeriale - ridurre la popolazione carceraria è l’unica strada per consentire all’organizzazione penitenziaria di svolgere quell’attività di reinserimento sociale che la Costituzione assegna".

Giustizia minorile: arriverà presto la riforma

di Daniela Melchiorre, Sottosegretario alla Giustizia

 

Vita, 16 agosto 2006

 

Si è insediata nei giorni scorsi in via Arenula una Commissione ministeriale per la riforma della Giustizia Minorile. Due gli obiettivi prioritari: elaborare un’organica riforma ordinamentale mediante la creazione di un corpo normativo unitario e l’istituzione del Tribunale della Persona, dei Minori e della Famiglia; costituire l’Ordinamento penitenziario minorile, atteso ormai da oltre trenta anni. Il sito del ministero della Giustizia ha pubblicato la presentazione del sottosegretario alla Giustizia, Daniela Melchiorre, presidente della Commissione. Ecco la versione integrale di questo contributo:

L’assetto ordinamentale della giustizia della persona, dei minori e della famiglia presenta da tempo molteplici profili di criticità che esigono un efficace e organico intervento riformatore. Non a caso, almeno a partire dagli anni ottanta, si sono registrate varie iniziative legislative, nessuna delle quali è finora giunta a compimento. In particolare, nel corso della XIV legislatura, il Governo aveva presentato un ddl di riforma della giustizia minorile, che - disarticolando l’attuale struttura dei tribunale per i minorenni - ne prevedeva sostanzialmente la soppressione, ne trasferiva le competenze in materia civile a sezioni cosiddette specializzate dei tribunali ordinari e conservava ai tribunali per i minorenni unicamente la competenza penale, così infrangendo clamorosamente la necessaria unità della giustizia minorile.

Fortunatamente, quel progetto di riforma - che peraltro nulla prevedeva circa la più ampia giurisdizione della persona e della famiglia - fu bocciato alla fine del 2003 dalla Camera dei Deputati in seguito all’approvazione di una pregiudiziale di costituzionalità presentata dai gruppi parlamentari del centro-sinistra.

Il provvidenziale naufragio parlamentare della riforma Castelli ha lasciato tuttavia irrisolto un problema reale, che occorre urgentemente affrontare. In particolare, appare ormai inaccettabile l’attuale dispersione delle competenze in soggetta materia fra una pluralità di uffici giudiziari (tribunali per i minorenni, tribunali ordinari, giudici tutelari, procure della Repubblica presso i tribunali ordinari), che crea non poche disfunzioni e sovrapposizioni.

Conformemente a quanto previsto nel programma dell’Unione - che recepisce sul punto le suggestioni delle proposte formulate, sia pure con varie modalità e accentuazioni, anteriormente al progetto Castelli - l’impianto di un organico disegno riformatore dovrebbe prevedere innanzitutto la razionalizzazione del sistema, mediante l’unificazione delle competenze disperse, in capo a un unico organo di giustizia. L’unificazione potrebbe ricomprendere tutte le materie, civili e penali, attualmente assegnate al tribunale per i minorenni, quelle dei tribunali ordinari in materia di famiglia e stato della persona e le competenze dei giudici tutelari. Può ipotizzarsi altresì un accorpamento delle competenze in materia di reati contro la famiglia e in danno della persona minorenne, così prevedendosi un giudice della persona, del minore e della famiglia, competente in materia civile e penale, preferibilmente strutturato in un organo di giustizia con criteri di autonomia funzionale e organizzativa secondo il modello degli attuali tribunali per i minorenni.

Tale giudice dovrebbe essere caratterizzato dall’elevato grado di specializzazione in una materia che, per sua natura, esige conoscenze e sensibilità particolari. La specializzazione, oltre che da un’adeguata e permanente formazione dei componenti dell’organo giurisdizionale, può essere garantita da due fondamentali e irrinunciabili requisiti: l’esclusività delle funzioni e la composizione mista, che preveda cioè - ogni qualvolta la decisione coinvolga soggetti minorenni - la presenza di giudici onorari i quali assicurino, nella valutazione e nella decisione, il necessario concorso di saperi altri da quello giuridico in materie nelle quali l’effettività della tutela giurisdizionale richiede una lettura pluridimensionale della condizione minorile nella realtà dinamica e complessa delle relazioni familiari.

Le esigenze prospettate fondano la necessità di istituire una Commissione ministeriale che, attraverso l’apporto di esperti in materia di diritto di famiglia e minorile - appartenenti al mondo accademico, alla magistratura e all’avvocatura specializzate - sia in grado, in tempi ragionevoli, di predisporre un’ipotesi adeguata di riforma ordinamentale e, al tempo stesso, di cogliere i nessi di tale riforma con taluni altri ambiti dell’ordinamento che - riguardo al trattamento dei soggetti minorenni - oggi esigono del pari interventi non più rinviabili.

L’obbiettivo primario della Commissione deve essere la predisposizione di un’ipotesi di riforma della giustizia minorile, incentrata sulla istituzione di un tribunale della persona, dei minori e della famiglia. Occorrerà pertanto innanzitutto intervenire sulla legge istitutiva dei tribunali per i minorenni (Rdl 20/07/1934 n. 1404 convertito in legge 26/05/1935 n. 835), prevedendone l’abrogazione per effetto dell’entrata in vigore del nuovo organo di giustizia.

Oltre agli ambiti dell’ordinamento minorile già menzionati e da riconnettere alla riforma ordinamentale, vi è quello dell’ordinamento penitenziario minorile, che attende una sua adeguata disciplina legislativa da oltre trent’anni, malgrado il "rinvio", finora clamorosamente disatteso, contenuto nell’art. 79 della legge 1975/354 e i ripetuti richiami della Corte costituzionale. Il processo penale minorile, introdotto nel 1988/89, e le caratteristiche che lo connotano in coerenza con i principi costituzionali e con quelli sanciti dalle fonti sovrannazionali, dalle Regole di Pechino alla Convenzione di New York, non può non trovare un riscontro e una qualche "continuità" in uno specifico ordinamento penitenziario, pensato e modulato sulla specificità del minorenne.

 

 

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