Rassegna stampa 12 ottobre

 

Giustizia: alla Camera esame del ddl sulle detenute madri

 

Vita, 12 ottobre 2005

 

È la proposta di Enrico Buemi (Sdi) per estendere la tutela delle donne in cella con figli piccoli. Ma l’iter si preannuncia lungo. La Commissione Giustizia della Camera ha in programma per oggi l’esame della proposta di legge S.6006, presentata da Enrico Buemi (Misto-SDI), che punta ad estendere la tutela delle detenute madri e del loro rapporto con figli minori. Lo stesso Buemi è relatore per il progetto normativo che ha un iter ancora abbastanza lungo, in quanto dopo la messa a punto ed il sì dei deputati dovrà passare al vaglio del Senato.

Giustizia: Camera; sì al decreto legge sulla violenza negli stadi

 

Il Tempo, 12 ottobre 2005

 

Sì dell’aula della Camera al decreto legge sulla violenza negli stadi di calcio. Il provvedimento, su cui la scorsa settimana il governo aveva incassato la fiducia, è stato approvato con 313 sì, 31 no e 173 astenuti e ora passa al Senato. La Fed si è astenuta; il Prc ed il Pdci hanno votato contro. "I Verdi hanno votato contro questo decreto perché riteniamo questa norma inutile a prevenire gli episodi di violenza e lesiva delle garanzie della persona come la tutela dei dati personali messa a rischio dai dati nominativi". Lo ha affermato il deputato Verde Paolo Cento, vice presidente della commissione Giustizia della Camera. "Con questo decreto - ha aggiunto - l’unico effetto che si ottiene è quello di allontanare le famiglie dagli stadi, come dimostrano i dati sugli spettatori di questo inizio di campionato di serie A e B. Inoltre si piegano le esigenze dello sport più amato e seguito dagli italiani agli interessi televisivi". Applicazione rigida del divieto di accesso agli stadi per i responsabili di incidenti durante manifestazioni sportive o trasferte, ma anche pene più dure per lancio di oggetti e invasione di campo quando l’episodio comprometta il regolare svolgimento della partita. Equiparazione degli "steward" che svolgono compiti di vigilanza sugli spalti agli incaricati di pubblico servizio, con la possibilità di applicare le stesse pene previste per quanti commettono reati nei confronti di un pubblico ufficiale, e divieto di accedere negli impianti stranieri per i tifosi italiani e in quelli del nostro Paese per i tifosi stranieri. Infine, sanzioni nei confronti dei bagarini.

Civitavecchia: psichiatra del carcere indagato per morte detenuto

 

Il Messaggero, 12 ottobre 2005

 

La procura della Repubblica di Civitavecchia ha iscritto nel registro degli indagati lo psichiatra che lavora presso il carcere di borgata Aurelia con l’accusa di omicidio colposo. Il dottore, che in realtà è un consulente esterno del carcere, è accusato di aver provocato la morte del detenuto Antimo Buccino, il ventisettenne trovato cadavere all’interno della propria cella la settimana scorsa, ennesimo decesso di una lunga serie avvenuti tutti nel penitenziario locale.

Alla base dell’accusa mossa dal sostituto procuratore Elena Neri, titolare dell’inchiesta, c’è il fatto che lo psichiatra, due giorni prima del decesso di Buccino, aveva aumentato (ma qualcuno dice raddoppiato) la dose di psicofarmaci che veniva somministrata al detenuto, in quanto soffriva di crisi depressive. A quanto pare, il professionista risulta essere l’unico indagato al momento, ma non è escluso che nei prossimi giorni si possa aggiungere qualche altro nome, anche perché la stessa Neri non sembra voler escludere a priori anche l’ipotesi dell’overdose da droga.

Una risposta a questo la fornirà l’autopsia che è stata svolta ieri pomeriggio dal medico legale Gino Saladini e dal professor Marcello Chiarotti, entrambi nominati dalla procura, ed a cui hanno assistito anche i due periti di parte, il dottor Ulrico Piaggio per la difesa ed il dottor Renato Mattei per la parte civile. Ma un responso ancor più preciso lo daranno le analisi tossicologiche che sono state eseguite sul corpo del detenuto e che diranno quale sia stata la causa che ha portato all’arresto cardiocircolatorio di Buccino. I risultati dei due esami comunque, non si conosceranno prima di una decina di giorni.

Caserta: la "fuga" di Giuseppe, ex detenuto solo e senza casa

 

Il Mattino, 12 ottobre 2005

 

È andato via da Arienzo questa estate, Giuseppe Rallo, ex detenuto, senza fissa dimora che si era inventato il mestiere di parcheggiatore, naturalmente abusivo. E nel parcheggio dormiva anche, su un giaciglio di fortuna, perché non aveva trovato di meglio. È andato via senza clamori, senza che nessuno lo notasse o si chiesse perché, come accade alle persone come lui, che non hanno radici in nessun luogo, nessun affetto a sorreggerli, entrano ed escono dalla vita di una comunità quasi inosservati. Giuseppe Rallo è sparito in un giorno imprecisato di quest’estate, sperando in una sorte migliore. Era arrivato ad Arienzo otto anni fa con una storia tragica alle spalle: sessantadue anni di cui trentotto passati in carcere, per omicidio. Originario di Caltanissetta, ma trasferito giovanissimo a Ottaviano, nel Napoletano, diventa pittore decoratore e insieme al suo maestro di bottega restaura le decorazioni in oro zecchino della chiesa di San Giuseppe Vesuviano. Rallo ama anche la musica, suona l’armonica a bocca e la fisarmonica, dispone di un ricco repertorio di canzoni napoletane. La sua vita subisce però un tragico arresto quando, in seguito a un diverbio, uccide con un’arma da fuoco l’uomo che lo aveva provocato e ferito con un coltello a serramanico. Comincia un lungo periodo di detenzione che si protrae per trentotto anni.

Ritorna libero nel 1993. Durante un soggiorno obbligato a Saviano, sempre in provincia di Napoli, mette su famiglia e genera sette figli, di cui attualmente sa poco e che comunque vivono di espedienti, ai margini della legalità. È anche malato Giuseppe Rallo: soffre di epilessia e ha bisogno quotidianamente di farmaci per tenere la sua malattia sotto controllo. È venuto ad Arienzo perché cerca di ricostruirsi una vita serena ma anche qui non trova pace. Non vuole vivere di carità ma pare che il suo sia un curioso caso anomalo. Percepisce una piccola pensione, che non è però sufficiente per consentirgli di vivere. Ma il fatto di percepirla lo esclude dalla possibilità di entrare nei progetti di assistenza dei senza reddito. "Ad Arienzo ho trovato parecchie persone gentili, ma la mia vita è senza speranza - lamenta Rallo tra le lacrime - e non potevo più continuare a dormire con i cani randagi sui cartoni". E così Giuseppe Rallo è andato via da Arienzo, senza bagaglio e senza lasciare traccia, armato solo della sua solitudine. Ora vive in un casale abbandonato nelle campagne di un piccolo paese del beneventano. Non ha acqua corrente, né luce elettrica, né mobili, né troppe speranze.

Lodi: carovana antimafia, non ci sarà la tappa in carcere

 

Agenda Lodi, 12 ottobre 2005

 

Fa tappa oggi a Lodi la Carovana antimafie promossa da Libera, Arci e Avviso Pubblico, all’interno di una settimana di appuntamenti in Lombardia all’insegna della legalità e della giustizia sociale. Tema di quest’anno: le nuove schiavitù, a partire dai problemi innescati dai fenomeni dell’immigrazione clandestina, della tratta degli esseri umani, del lavoro nero e del caporalato.

Oggi appunto il passaggio della Carovana a Lodi, con un incontro serale con la cittadinanza ma, purtroppo, il mancato incontro in carcere a cui la Carovana ha dovuto rinunciare dopo i contrasti tra gli organizzatori (in prima fila Andrea Ferrari, che è anche assessore comunale alla Pace) e il neo direttore Caterina Ciampoli.

La posizione della Carovana viene riassunta da Alfio Foti, coordinatore nazionale, Luigi Lucenti dell’Arci Lombardia e Lorenzo Frigerio di Libera: "Punto di riferimento per ogni nostro intervento in carcere è sempre stato il disposto dell’art. 27 della nostra Costituzione dove si sottolinea che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Crediamo quindi assolutamente importante riannodare i fili di un dialogo tra la società e i detenuti. Nei diversi incontri che abbiamo avuto in questi anni nel carcere di Lodi, abbiamo sempre privilegiato l’ascolto e la riflessione, grazie anche al clima di serenità che aveva contraddistinto il prima e il dopo l’ingresso della Carovana. Apprendiamo che oggi questo clima di serenità non è più presente a Lodi per una serie di polemiche incresciose nelle quali non crediamo sia utile che la Carovana si inserisca. Per questo motivo abbiamo deciso di rinunciare alla tappa nel carcere di Lodi, con grande rammarico e dispiacere soprattutto per quanti ci aspettavano e cioè i detenuti. Ci auguriamo che questa decisione sia presa per quello che è: una temporanea rinuncia, una sospensione nell’attesa che si creino i presupposti per un superamento delle attuali condizioni. Rigettiamo infine ogni tentativo di strumentalizzare la Carovana con l’accusa di essere "una iniziativa che offende la stessa memoria delle figure di Falcone e Borsellino": una simile affermazione non merita neppure una risposta". Il riferimento sarebbe alla lettera con cui il direttore del carcere aveva respinto la richiesta di ospitare la tappa della Carovana. Al posto dell’incontro in via Cagnola, l’appuntamento sarà oggi alle 15.30 nella Sala della Pace del Comune.

Immigrazione: Prodi; cambiare Bossi-Fini inserendo diritti e doveri

 

Ansa, 12 ottobre 2005

 

"Occorre cambiare la legge Bossi-Fini con l’introduzione di diritti e di doveri. L’immigrazione deve concludersi in un modo solo: con la cittadinanza per coloro che la richiedono". Lo ha detto Romano Prodi durante l’incontro con una delegazione del comitato nazionale migranti. La delegazione, accompagnata dalla parlamentare dei Ds Livia Turco, ha consegnato al Professore un appello per il sostegno alla sua candidatura per le elezioni primarie del prossimo 16 ottobre. "Alle primarie voteremo Romano Prodi", hanno detto i migranti. Il testo dell’appello dei migranti, sottoscritto tra gli altri da Khaled Fouad Allam, editorialista della Repubblica e da Pedrag Matvejevic, scrittore e docente all’Università La Sapienza recita: "Siamo donne e uomini immigrati che da tanti anni lavorano e vivono in questo Paese. Abbiamo accolto come un fatto molto importante che nella primarie per la scelta di un candidato sia prevista anche la partecipazione degli immigrati. Parteciperemo e voteremo per Romano Prodi. Abbiamo fiducia in lui, lo voteremo come candidato premier perché pensiamo che l’Italia abbia bisogno di una svolta di valori oltre che di politica". Nel corso del colloquio sono stati affrontati diversi nodi del problema dell’immigrazione in Italia. Della delegazione facevano parte, tra l’altro, due cavalieri della Repubblica, testimonianza di come il ruolo e la presenza di cittadini immigrati in Italia abbia, a pieno titolo, riconoscimento. Prodi ha insistito sulla necessità che la filosofia della legge Bossi-Fini venga rovesciata: "I nostri obiettivi - ha spiegato - devono essere messi in una legge che, se vinceremo le elezioni, dovrà essere approvata al più presto. Da parte vostra þ ha detto rivolgendosi agli immigrati þ occorre un impegno a fare in modo che si promuova la volontà tra i migranti in Italia di conoscere le nostre istituzioni e di avere una buona conoscenza della nostra lingua. Da parte nostra ci deve essere l’impegno ad assegnare la cittadinanza, magari con una piccola cerimonia ufficiale". La finalità è, insomma, quella di promuovere una integrazione degli immigrati nel nostro paese. "Un modo serio e rispettoso delle persone per accoglierle in Italia come si fa nella società civile", ha aggiunto Prodi.

Giustizia: Vitali (Fi); le carceri... opere di interesse nazionale

 

Adnkronos, 12 ottobre 2005

 

"Ho messo a punto una norma che permette di dichiarare gli istituti penitenziari opere di interesse nazionale e quindi assoggettabili alla "legge obiettivo", tanto più che si tratterebbe di una norma senza copertura e quindi a costo zero per lo Stato". Ad annunciarlo, in un’intervista con ‘Il Sole 24Orè, è il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, che spiega la sua proposta per rimuovere i vincoli e le lungaggini burocratiche nell’edilizia penitenziaria, proposta che potrebbe essere inserita nella Finanziaria. Il piano di dismissioni di cui doveva occuparsi Dike Aedifica Spa "si è interrotto -spiega Vitali- perché non è andato avanti di pari passo quello di costruzione di nuovi istituti.

Come ha ricordato di recente il ministro Castelli, con le procedure attuali per costruire un nuovo carcere occorrono dai 10 ai 20 anni". "Abbiamo circa 800 milioni non spesi. I soldi ci sono, ma se si intoppano le gare...". E per far fronte all’emergenza immigrati, il sottosegretario propone di "far scontare loro la pena nel paese di provenienza, grazie ad accordi bilaterali, sempre che le condizioni delle carceri locali lo permettano. Altrimenti si potrebbero prevedere investimenti direttamente in quei Paesi per costruire strutture adeguate". Per i tossicodipendenti, invece, "si potrebbe pensare a un coinvolgimento dei privati - conclude Vitali - non ci vedo nulla di scandaloso in un sistema in cui lo Stato è presente, ma il privato fa la gran parte".

Informazione: nuovo sito web dedicato a Horst Fantazzini

 

Comunicato stampa, 12 ottobre 2005

 

È on line il sito dedicato alla memoria di Horst Fantazzini (http://www.horstfantazzini.net), a cura di Hulot Firenze, Associazione che dal 2002 si occupa di promozione e distribuzione della Cinematografia Indipendente (http://www.hulot.it). La home page è stata disegnata da Pablo Echaurren. Vi si possono consultare moltissime pagine: l’intera mostra internazionale di arte postale "Bandito in bicicletta", con un centinaio di opere. Due pagine su Alfonso "Libero" Fantazzini e Maria Zazzi (gentilmente concesse da alcuni curatori del Dizionario Biografico degli anarchici italiani, BFS edizioni). Grafica al computer, Racconti e Poesie di Horst Fantazzini. Biografia, bibliografia, interviste, rassegna stampa, un’intera sezione dedicata al libro e al film "Ormai è fatta!", collegamenti, incontri, e tanto altro. Horst soprannominato "il bandito gentile" era un personaggio pubblico dagli anni ‘60, noto per le sue rapine in punta di rosa. Pochi lo conoscono come tipografo impaginatore, straordinario scrittore, esperto di computer, appassionato d’arte grafica. Aveva il dono raro di una umanità, resa straordinaria perché dopo tanti anni di gabbio, di botte, di torture, di vessazioni d’ogni tipo, non aveva perso nulla della sua ruvida tenerezza, del suo amore per la vita, della sua vulcanica, prorompente, sensuale, allegria... per questo era così amato e tenuto in considerazione da moltissime persone. Ma, aldilà dei tratti personali, c’è molto di più. Quello che il sito racconta attraverso l’esperienza di Horst, nato operaio da famiglia operaia, sono frammenti di vita collettiva, della seconda guerra mondiale, della resistenza fatta con il sangue degli uomini e donne liberi, di una città che si alza in piedi dopo i bombardamenti, di necessità materiali che assorbono energie da dedicare alla rivoluzione imminente, del boom economico, fino alla recessione attuale... del sentirsi straniero ovunque, come i migranti che arrivano oggi in Italia e ai quali Horst il "tedesco" dedica uno dei suoi racconti più belli... delle rapine che servono a riprendersi il maltolto generazionale, ciò che spetta di diritto per semplice associazione: tanto mi hanno preso e tanto debbo riavere... del carcere che, come un camaleonte, non cambia mai di sostanza, ma si adatta in superficie alla sua funzione di grande contenitore dei disagi sociali... di amori impediti dalle sbarre o resi ancora più struggenti dalla solitudine della cella, di compagni comunisti e anarchici rimasti "impigliati nel filo spinato dei lager di stato", di siringhe e saldi di fine stagione che più dei manganelli distruggono le forze di una rivoluzione che pareva imminente. Il mito del Bandito "solitario" in realtà è in una storia così grande... una storia che riguarda tutti, un canto collettivo che attraversa decenni, nel quale esistenze, percorsi, ideali, vezzi di costume, tasselli di storia del nostro paese (e non solo) si incontrano e si dividono. Non è la penna di uno scrittore romantico a concepirlo, semmai un canto epico come quelli degli Omero. Horst entra nella leggenda, quella disgraziata che accomuna gente come Sacco e Vanzetti, Giuseppe Pinelli, Francesco Lorusso, Jaio e Fausto, Giorgiana Masi, Peppino Impastato, Carlo Giuliani, Marcello Lonzi e tanti altri... una leggenda alla quale nessuno dei sopra citati avrebbe mai voluto appartenere, ma non ci rimane che difenderla, perché il Potere vorrebbe spazzarla via, così, come, in quattro e quattr’otto, si è sbarazzata della vita di questi uomini e donne. Ma la vita, nonostante un così feroce accanimento a volerla sopprimere, è un bene contagioso che si può e si deve tramandare. Ringraziandovi fin da ora, vi chiediamo non soltanto la pubblicazione di questo comunicato. Ma la collaborazione effettiva inviandoci immagini (foto d’archivio), segnalazioni di collegamenti, materiali, libri e iniziative di vostra conoscenza che ci sono sfuggite. Con tutto il mio amore per la vita, per la libertà, per Horst e per voi. Patrizia "Pralina" Diamante Per l’invio di corrispondenza relativa al sito, si consiglia l’uso di questo indirizzo: redazione@horstfantazzini.net

Livorno: una raccolta di fondi per aiutare la madre di Marcello Lonzi

 

Comunicato stampa, 12 ottobre 2005

 

Venerdì 14 ottobre serata di finanziamento a sostegno spese medico-legali per riaprire il procedimento sulla morte di Marcello Lonzi. Dalle ore 19.00 aperitivo; ore 20.30 cena sociale di finanziamento; a seguire dibattito. L’ultima possibilità di riaprire il caso Lonzi. È partita in questi giorni la raccolta fondi per presentare alla procura di Genova la contro perizia medico-legale per impedire l’archiviazione del caso di Marcello Lonzi, morto nel carcere delle Sughere di Livorno nel luglio 2003. Secondo il Pubblico Ministero di Livorno, Roberto Pennisi si tratta di morte per cause naturali. Aiutiamo la madre di Marcello: servono 2000 euro. c/c postale 66865767, intestato a Maria Ciuffi. A presto gli aggiornamenti sulla cifra raccolta e sulle date di deposito della perizia.

Il conto corrente intestato a Maria è stato aperto appositamente per la raccolta di questi fondi per la perizia medico-legale, quindi la causale non servirebbe, tuttavia chi vuole metterla può scrivere causale: spese medico-legali.

 

Dentro e fuori le mura. Un gruppo di lavoro permanente sul carcere

mail dentroefuorilemura@inventati.org

web http://www.inventati.org/dentroefuori

Avellino: a Sant'Angelo corsi d’inglese riservati ai detenuti

 

Il Mattino, 12 ottobre 2005

 

Al via i corsi di lingua nel carcere di Sant’Angelo dei Lombardi. L’importante iniziativa, rivolta ai detenuti in possesso del diploma di scuola media inferiore e superiore, è stata sostenuta e realizzata da un protocollo d’intesa sottoscritto da Liberato Guerriero, direttore dell’istituto penitenziario santangiolese insieme al dirigente dell’Istituto "Vanvitelli" di Lioni, Dora Garofano. Il tema del corso si intitola: "L’inglese per inserirsi nella società". Lo stage è destinato ad un massimo di venti allievi e si svolgerà all’interno della struttura di Via Selvatico. Il gruppo di lavoro, che dovrà insegnare l’inglese ai detenuti, è formata da docenti e da tutor nominati dal dirigente scolastico dell’Istituto superiore di Lioni. Al termine delle lezioni, che si svolgeranno in due incontri settimanali, per un ciclo di studi complessivo pari a sessanta ore, sarà rilasciato ai corsisti un attestato di partecipazione. "Questa iniziativa - ha dichiarato il direttore del penitenziario altirpino - segue una serie di attività formative che abbiamo programmato e attuato, che possano garantire al meglio la qualità dei servizi interni alla casa di reclusione -. Tenendo conto dell’aspetto formativo e scolastico che può contribuire al reinserimento dei detenuti nel contesto sociale e lavorativo, dopo aver scontato la pena". Soddisfatta anche la dirigente dell’istituto Vanvitelli, Dora Garofalo, che commenta: "La collaborazione tra istituzioni scolastiche e l’amministrazione penitenziaria è importantissima per garantire anche ai detenuti la partecipazione alle attività didattiche e formative che possano avere una utilità sia nel mondo del lavoro, ma anche per migliorare il proprio bagaglio culturale".

Immigrazione: a Cremona  donna denunciata perché portava burqa

 

Corriere della Sera, 12 ottobre 2005

 

Prima denuncia contro una donna di religione islamica perché portava il burqa proibito dalle recenti disposizioni antiterrorismo. Si tratta di Monia Mzoughi, tunisina di 36 anni, moglie di Mourad Trabelsi, l’ex imam della moschea di via Massarotti, sotto processo per terrorismo islamico davanti alla Corte d’assise di Cremona. Il fatto è accaduto il 26 settembre scorso (un lunedì) mentre la signora Mzoughi accompagnava sua figlia di 3 anni all’asilo Zucchi, a pochi metri dal palazzo di giustizia, dove era in corso un’udienza del processo al marito, a cui poi contava di assistere, una volta affidata la bambina alle maestre. Davanti all’asilo, una delle mamme telefonava al "113": "Venite, qui c’è una donna col burqa". Pochi istanti dopo sono arrivati gli agenti. Monia Mzoughi veniva identificata e denunciata. Rischia da 1 a 2 anni di carcere e l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Non è il primo caso di una donna che passeggia per le vie di Cremona con il volto coperto dal velo. Ma finora non si era registrata nessuna denuncia, nonostante le proteste che si erano alzate, soprattutto da parte dei genitori che accompagnano i figli all’asilo. La donna islamica si è trincerata nel più assoluto silenzio, affidando all’avvocato Licia Sardo la giustificazione.

"Francamente mi sembra un episodio di eccessivo allarmismo - ha detto il legale -, anche perché è da molti mesi che questa mamma accompagna la bambina all’asilo. Insomma, è conosciuta sia dai genitori sia dalle maestre. Capisco il periodo che sta vivendo Cremona con il processo in corso, però è un’esagerazione". Dopo la chiusura della moschea di via Massarotti, dopo i sigilli alla scuola coranica, dopo le accuse di terrorismo e la minaccia di far saltare il Duomo, ora il caso della donna con il burqa si presenta di non facile soluzione. Infatti, la legge del 2 maggio 1975 ("Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico"), integrata dal decreto Pisanu, che ne ha inasprito le pene, vieta di coprirsi il volto nei luoghi pubblici o aperti al pubblico "senza giustificato motivo". Il caso è approdato anche in Comune. "La fede religiosa giustifica il burqa", dice il sindaco Gian Carlo Corada, il quale fa appello al buon senso. "È giusto che una madre che va a prendere il proprio figlio a scuola si faccia riconoscere. E così avviene - ha detto Corada -. Ma poiché è un problema di pubblica sicurezza, è il ministro Pisanu che deve intervenire".

Torino: scarcerato l'uomo 82enne arrestato venerdì per errore

 

La Stampa, 12 ottobre 2005

 

È durata appena qualche giorno, la detenzione di Sergio Vizio. L’anziano, 82 anni, cieco da quindici e completamente invalido, è tornato a casa. Era stato arrestato venerdì mattina: portato al carcere delle Vallette in ambulanza. Gli erano rimasti 19 anni di detenzione da scontare, retaggio di una vita trascorsa a fare la spola tra casa e cella. Il suo arresto aveva fatto scalpore: per l’età e le gravissime condizioni di salute, non certamente per i suoi trascorsi, ben noti. Si trattava però di un disguido, prontamente chiarito grazie all’intervento del difensore di Vizio, l’avvocato Davide Diana. L’anziano, infatti, già usufruiva del differimento della pena per ragioni di salute, ma quest’anno la Procura non aveva ricevuto la segnalazione. Di qui il mandato di cattura emesso e il successivo arresto. È bastata una semplice verifica per chiarire l’equivoco e rimandare a casa Sergio Vizio.

Cuneo: appello dei detenuti a presidente provincia; vogliamo lavorare

 

La Stampa, 12 ottobre 2005

 

"Ho tre figli piccoli in Marocco, vorrei lavorare per aiutarli". È uno degli accorati appelli che i detenuti del carcere di Cuneo hanno rivolto al presidente della Provincia, Raffaele Costa. Fra i 60 ospiti incontrati da Costa, qualcuno gli ha mostrato la busta paga, frutto del lavoro svolto per una cooperativa sociale in un altro istituto di pena: 150 euro netti negli ultimi 7 giorni di impiego. L’obiettivo della visita del presidente era valutare la possibilità di introdurre forme di lavoro nel carcere cuneese, dove ci sono 220 persone (90 da escludere dal progetto perché ad alta vigilanza e 20 per isolamento). Costa, con il direttore del carcere Giuseppe Forte e ad agenti di polizia penitenziaria, ha visionato i locali che, nella struttura, potrebbero essere trasformati in laboratori professionali. "Oggi solo una ventina di detenuti fanno lavori interni, come cucina e pulizia, non legati a una vera produzione - spiega Costa -. La maggior parte di loro si è detta non solo disponibile, ma convinta dell’utilità di introdurre attività nel carcere. Non mi nascondo la difficoltà, anche perché oltre l’80 per cento di detenuti è extracomunitario, ma vale la pena di tentare, anche solo per qualcuno. Lavorare significa non oziare, essere preparati a tornare nella società e guadagnare un po’ di denaro. Quali attività? Gli stessi carcerati suggeriscono sartoria, decorazione di ceramica, artigianato, tipografia".

Droghe: Capezzone (Radicali); siamo a "emergenza Giovanardi"

 

Agenzia Radicale, 12 ottobre 2005

 

Dichiarazione di Daniele Capezzone, segretario di Radicali Italiani. "Nella situazione di disperazione politica in cui si trova, la maggioranza di centrodestra si prepara ad un ennesimo colpo di coda. Lo dico con molta chiarezza: nel silenzio e nella disattenzione generale, c’è un’emergenza Giovanardi". Il Ministro, con uno stralcio, vuole portare all’approvazione-lampo delle parti più restrittive del disegno di legge governativo sulle droghe che giace da tempo nei cassetti di Governo e Parlamento. Insomma, con 10 spinelli si andrebbe in galera, con i ringraziamenti delle organizzazioni criminali che continueranno a lucrare sul mercato nero.

Dinanzi a questa ulteriore stretta proibizionista, preannuncio (anche in vista del IV Congresso di Radicali italiani) che proporrò al nostro Movimento una nuova fase di mobilitazione straordinaria per scongiurare quest’altro atto liberticida. Tutti questi anni sono stati segnati (e continuano ad esserlo) da una straordinaria azione che, da Marco Pannella a Rita Bernardini, ha visto la quasi totalità della leadership radicale impegnata in dure azioni di disobbedienza civile. Occorrerà far tesoro di quella campagna, e assicurare nuovi momenti di aggregazione e lotta su un fronte che vede coinvolti (e potenzialmente criminalizzabili) milioni di persone.

Usa: baby ergastolani, sono 2.225 i minori in cella per sempre

 

Ansa, 12 ottobre 2005

 

Troy aveva 15 anni quando uccise il padre che abusava di lui. Adesso è un ventiquattrenne che sconta l’ergastolo in un carcere dell’Arkansas: "Sarei pronto - racconta dalla cella - a offrirmi per le missioni più rischiose, ad andare a combattere in Afghanistan o a essere spedito su Marte, se mi offrissero la possibilità di finire la mia vita facendo qualcosa di buono".

Come Troy, migliaia di detenuti americani che hanno ricevuto una sentenza a vita per crimini commessi da ragazzini sperano in un’altra possibilità. Secondo uno studio congiunto di Amnesty International e Human Rights Watch (Hrw), sono 2.225 i baby ergastolani d’America, condannati quando ancora non avevano raggiunto i 18 anni. Il 16% di loro ha ricevuto un ergastolo quando aveva tra i 13 e i 15 anni e circa il 59% del totale sono stati condannati al carcere a vita, senza possibilità di libertà condizionale, anche se non avevano precedenti penali.

Il fenomeno, secondo le 157 pagine del rapporto "Il resto delle loro vite", è in crescita. I delitti gravi come gli omicidi stanno diminuendo negli Usa, ma gli stati stanno aumentando gli ergastoli. Nel 1990 erano stati 2.234 i minori condannati per omicidio e il 2,9% di loro aveva ricevuto l’ ergastolo. Nel 2000 le condanne sono diminuite del 55%, ma la percentuale di coloro inviati al carcere a vita è aumentata del 216%. Una tendenza in parte anche legata alla diminuzione delle condanne a morte per i minorenni, che peraltro lo scorso anno sono state definitivamente vietate dalla Corte Suprema. Gli Usa sono uno dei pochissimi Paesi a prevedere l’ergastolo per i minorenni. Insieme alla Somalia, gli Stati Uniti sono l’ unico Paese a non aver ratificato la Convenzione per i diritti del bambino, che vieta questa pratica. Ci sono altri 13 Paesi che permettono il carcere a vita, ma quasi mai lo applicano: Secondo Amnesty e Hrw, fuori dagli Usa ci sono in tutto il mondo solo 12 adolescenti che scontano l’ergastolo. "I ragazzi che commettono crimini gravi - ha commentato Alison Parker, l’autore del rapporto - non dovrebbero certo essere immuni da condanne. Ma se per gli Usa sono troppo giovani per votare o per comprare le sigarette, sono troppo giovani anche per trascorrere il resto della loro vita dietro le sbarre".

In 23 dei 42 stati degli Usa che prevedono il carcere a vita per i minorenni, la condanna all’ergastolo è obbligatoria per legge per chiunque abbia commesso un omicidio volontario. Ma secondo la ricerca, circa il 26% dei minori in cella per sempre sono stati ritenuti colpevoli solo di felony murder: erano cioè presenti sul luogo del delitto, ma non hanno materialmente ucciso nessuno. Per Eilliam Schulz, direttore esecutivo di Amnesty negli Usa, occorre "slegare le mani di giudici e procuratore statali e federali", cambiando leggi che hanno trasformato le aule di giustizia in "catene di montaggio per produrre condanne a vita senza condizionale per dei bambini, ignorando il loro enorme potenziale di un cambiamento e privandoli di ogni speranza di una rinascita". Il rapporto è integrato dalle testimonianze di molti baby ergastolani che raccontano di una vita dietro le sbarre fatta di violenze, stupri e abusi da parte di gang e detenuti adulti. Molti sperano di avere in futuro, in qualche modo, una nuova possibilità. Qualcuno, come Richard I., entrato in cella a 16 anni in Arkansas, ha invece raccontato di aver provato più volte a farla finita tagliandosi le vene con un rasoio: "Non posso restare qua dentro a vita, e così ho pensato di uccidermi. Ho così tanti tagli su di me".

Spoleto: in carcere il progetto "Adottiamo una biblioteca"

 

Spoleto on-line, 12 ottobre 2005

 

Dopo la Biblioteca Comunale e quella di terzo San Severo, la Fondazione Nuove Proposte Culturali di Martina Franca ha "adottato" anche la biblioteca del carcere di Maiano di Spoleto. L’iniziativa fa parte del progetto "Adottiamo una biblioteca" a cura della Fondazione Nuove Proposte Culturali di Martina Franca. L’adozione consiste nella consegna di un premio in libri - Premio "Ciaia Schena" sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica - e nell’impegno di continuare ad aggiornare, con nuove donazioni di libri, le biblioteche che avranno meglio recepito le proposte culturali della Fondazione. Una collaborazione fra Fondazione e Amministrazione comunale per promuovere la nozione secondo la quale le biblioteche sono "contenitori di intelligenze a servizio dei cittadini", un progetto che prevede nell’arco dell’anno la donazione, alle varie Istituzioni spoletine adottate, di almeno mille libri. La cerimonia di consegna, presenti il Sindaco di Spoleto Massimo Brunini, il Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Maria Castellana, l’Assessore alla Cultura Giorgio Flamini, il Presidente della Fondazione Avv. Michele Greco e la dott.ssa Gorini responsabile del Progetto per il Centro Italia, il Direttore del Carcere di Maiano Ernesto Padovani, il Comandante della Polizia Penitenziaria Antonio Sebis e agenti della Polizia Penitenziaria, s è svolta all’interno della biblioteca del carcere di Maiano, istituita nel 1985.

Il sindaco Brunini elogiando il valore dell’iniziativa ha tenuto anche "a sottolineare il sostegno da parte dell’Amministrazione nei confronti della casa di reclusione, un legame mai venuto meno e cementato da numerose e costanti iniziative nell’ambito della cultura e della formazione umanistica. L’Amministrazione è sempre stata sensibile e attenta ai processi di diffusone e formazione culturale, proprio perché la cultura soprattutto all’interno del carcere assume un significato e un’importanza particolari, strumento fondamentale com’è per contrastare e battere il disagio". "Ma anche una straordinaria occasione di presa di coscienza, la possibilità ulteriore di un percorso di conoscenza di se e degli altri", ha aggiunto l’Assessore Flamini". "L’interazione fra realtà carceraria e mondo esterno rimane estremamente proficua" ha ricordato il Direttore del Carcere Padovani "lo dimostrano le numerose forme di collaborazione di formazione culturale, penso in particolare alla presenza di classi distaccate dell’Istituto d’Arte che operano all’interno del carcere, ai pregevoli risultati ottenuti da esponenti della popolazione carceraria nei concorsi artistici organizzati sul territorio e al positivo percorso accademico di alcuni detenuti iscritti all’Università". Sono stati consegnati da parte della Fondazione "Nuove Proposte Culturali" volumi di storia e filosofia, letture predilette dei detenuti che frequentano la biblioteca. Anche la biblioteca comunale di Spoleto ha donato classici della narrativa e volumi sulla storia e sulle tradizioni del territorio.

Roma: l'Uisp premia i nuovi allievi arbitri calcio di Rebibbia

 

Comunicato stampa, 12 ottobre 2005

 

Venerdì 14 ottobre, al Carcere di Rebibbia, verranno premiati i nove allievi arbitri che il 21 settembre, al termine delle consuete verifiche tecnico/attitudinali, hanno ottenuto l’abilitazione a dirigere gare di calcio dopo un corso durato circa tre mesi e svoltosi durante il periodo estivo.

Alla premiazione saranno presenti Andrea Novelli, Presidente Uisp Roma, Simone Pacciani, Presidente nazionale della Lega Calcio Uisp, Enzo Foschi Presidente della Commissione regionale Roma Capitale, Gianni Rivera, Consulente del Sindaco per lo Sport e Luigi Agnolin, ex arbitro internazionale ed ora Presidente del settore giovanile scolastico della Figc e Franco Mazzalupi, Presidente del Csi di Roma. Tutto ha avuto inizio l’anno in corso, durante il prestigioso Torneo di calcio a 5 "Palio di Roma", che aveva visto proprio la rappresentativa dell’Istituto di pena di Rebibbia aggiudicarsi lo speciale Premio disciplina: l’Uisp di Roma, convinta che lo sport abbia una potenzialità educativa e formativa, presentò alla Direzione del carcere romano un progetto per la formazione di arbitri di calcio. Il corso arbitri ha avuto inizio nei primi giorni di luglio, coordinato dal Responsabile Area Carcere dell’Uisp di Roma Andrea Ciogli, con l’indispensabile supporto tecnico di Orlando Giovannetti, Giudice Sportivo e dirigente dell’Uisp di Roma e da un formatore tecnico del Csi, Daniele Rosini, a sottolineare una proficua collaborazione fra Unione Italiana Sport Per Tutti e Centro sportivo italiano. "Siamo partiti con 15 detenuti iscritti, poi, durante il corso – ci racconta lo stesso Orlando Giovanetti - purtroppo, per ragioni di trasferimenti, il numero si è assottigliato fino al giorno della verifica finale".

 

Perché proprio a Rebibbia?

 

"All’interno dell’Istituto penale - prosegue Giovannetti - è ubicato un campo di calcio di dimensioni ridotte (adatte per il calcio a 8 giocatori) dove si svolgono, oltre a gare amichevoli, anche veri e propri campionati e tornei. Il problema nasceva, quando, fra i detenuti non si riusciva a reperire arbitri volontari con un minimo di nozioni regolamentari, e i "volontari" direttori di gara erano sempre oggetto di contestazioni e discussioni. Il progetto è servito a far conoscere non solo il regolamento del gioco del calcio, ma anche per riflettere insieme sul valore dell’arbitro come istruttore e come educatore, portatore di una diversa cultura, sportiva, quella vera, quella amatoriale molto diversa dagli stereotipi del calcio professionistico: ricordando loro che il calcio è, e rimane, sempre un gioco, e, se attuato come tale, può essere usato anche come deterrente alla violenza. Anche la Lega nazionale calcio Uisp ha partecipato fattivamente nel garantire la copertura economica dei costi sostenuti per l’acquisto dei kit completi da arbitri, materiali che saranno consegnati ufficialmente insieme agli attestati. Sicuramente questi nostri nuovi arbitri, una volta terminato il loro percorso di recupero, potranno essere inseriti negli organici delle Leghe calcio Uisp territoriali, e potranno scoprire tutte le opportunità sportive, sociali e culturali che l’Uisp offre a tutti i propri soci". L’appuntamento con le premiazioni, quindi, è per venerdì 15 ottobre alle ore 10:00 al carcere di Rebibbia.

Varese: giustizia riparativa, che sia l’inizio di un percorso

 

Varese News, 12 ottobre 2005

 

"Speriamo che questo lavoro di ri-socializzazione sia solo l’inizio di un percorso". L’opinione è comune: istituzioni e detenuti del carcere di Varese sono d’accordo nel sottolineare l’importanza del programma "Giustizia riparativa". Programma applicato per la prima volta a Varese tra il 19 e il 26 settembre e che ha visto protagonisti cinque detenuti del carcere Miogni che, nel sottopasso pedonale di via Trieste, hanno pulito e imbiancato gratuitamente tutte le pareti. Il materiale necessario ai lavori è stato fornito dal Comune di Varese. Questa mattina, invece, si è svolto nella circondariale di Varese, l’incontro di chiusura dell’iniziativa, durante il quale sono stati consegnati ai detenuti gli encomi al valore civile per il lavoro svolto.

"Si è trattato di un esperimento per tentare di trovare una collocazione, anche nella fase dell’esecuzione della pena – ha spiegato il direttore del carcere Gianfranco Mogelli -, dei principi della Giustizia riparativa e mediazione penale, allo scopo di completare la risposta al reato, affiancando allo strumento tradizionale, quello della privazione della libertà, anche strumenti che consentano al detenuto di riallacciare i rapporti con la società".

"L’idea della Giustizia riparativa è stata rilanciata lo scorso anno - ha proseguito la dott.ssa Cassano del Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria -. Personalmente per queste operazioni preferisco usare il termine ri-socializzazione piuttosto che ri-educazione, perché il detenuto può simbolicamente recuperare il rapporto con il mondo esterno". "È sicuramente stata una prima sperimentazione che ha riscosso un ottimo successo – ha continuato la dott.ssa Scarpinato, direttore del centro servizi penitenziari di Como -. È importante sottolineare il percorso di questi detenuti per eseguire questo lavoro hanno anche rinunciato a vedere i famigliari. Infatti per poter fare questo lavoro hanno usufruito di permessi premio che avrebbero potuto utilizzare in altra maniera. Così facendo abbiamo dato loro la possibilità di ricostruire quell’equilibrio con la società, rapporto che si era interrotto con la detenzione. Ricordiamo che il problema della pena è un problema di tutti". A nome dei detenuti ha preso la parola Camillo Castro, uno dei cinque uomini che hanno eseguito i lavori nel sottopasso: "Lo scopo è stato pienamente raggiunto, abbiamo tutti partecipato con spirito collaborativo, essenziale per il nostro percorso di ri-socializzazione. Speriamo che in futuro vi siano altri progetti come questo che ha permesso a noi detenuti di fare un ulteriore passo verso una vita più dignitosa, per una presenza nuova nella società".

Homeless: II puntata del reportage "Una città vista di spalle"

 

Redattore Sociale, 12 ottobre 2005

 

È già mezzanotte quando mi sistemo sotto il portico all’angolo con via Cavour, dove ho già dormito la notte prima. Ho appena rifatto il letto con un grande cartone bianco, pulito e a doppio strato. Mi infilo nel sacco. Intorno a me la numerosa famiglia dell’altra sera, lo stesso vecchietto, il tipo con la febbre e al mio fianco un giovane dell’est, biondo, forse polacco. Dopo pochi minuti sento proprio quest’ultimo che inizia a rivolgersi in un pessimo italiano a qualcuno, invitandolo a venire a dormire vicino a lui, perché fa freddo. Insiste e ripete che è freddo. Curioso mi affaccio dal sacco, come una tartaruga dal guscio, e do un occhio. Incredulo vedo due piedi nudi a pochi metri da me, frusciare su un cartone marrone. Guardo meglio e mi accorgo che quei due piedi rossi dal freddo appartengono ad un giovane uomo, vent’anni compiuti da poco, che la strada sembra averla incontrata stasera la prima volta. Se ne sta sulle sue, distante da tutti. Sembra venuto da lontano, se non altro per l’abbigliamento: indossa un paio di pantaloni di nylon grigi ed una giacca a vento troppo leggera per il freddo che fa. Capelli castani, riccioli lunghi fino alle spalle, occhi verdi, trema dal freddo. Continuo a guardare quei piedi, e a non capire perché si sia tolto scarpe e calzini, che ha appoggiato lì accanto. Lo chiamo. Gli dico di avvicinarsi. Non mi risponde, ma con un timido gesto della mano indica se stesso guardandomi con aria interrogativa. Rinnovo l’invito sventolando le mani nell’aria. Si fida e arriva con il suo cartone, zoppicando vistosamente. Non ha borse con sé, se non un leggero marsupio, strano, penso. Inizio a parlargli, gli dico che è meglio se dorme vicino a me, che stia tranquillo si può fidare, e che… mi fermo… nei suoi occhi un punto di domanda. Non parla italiano. Ok. Can you speak english? No. Français? Nemmeno. Gli chiedo allora da dove viene. Ovviamente non capisce la mia domanda ma inizia a dire qualcosa, prova a ripeterlo in diverse lingue a me sconosciute, finché riconosco la parola ‘Iraq. Tatakallamu ‘l-lugha ‘l-’arabiyah? Nàam? Yalla! É curdo, viene dal nord dell’Iraq, riusciamo a scambiarci due parole con quel poco di arabo che ricordo. Parla anche curdo, farsi e greco, ma di quelle lingue io sono un perfetto analfabeta, come lui delle mie. Comunichiamo su un filo sottile fatto di gesti, sguardi e parole pescate qua e là, tra l’arabo, il greco e l’inglese.

Mi fa capire che ha passato gli ultimi tre anni in Grecia clandestinamente. Lavorando in nero come manovale, ha messo da parte abbastanza denaro per inseguire una speranza: l’Inghilterra. Ha degli amici curdi a Londra e vuole crearsi una vita serena, lontano da casa, Mosul, oggi teatro di guerra. Per far questo ha comprato un pacchetto di viaggio, pagato migliaia di euro, che comprende nel prezzo il viaggio in nave dalla Grecia alla Puglia, nascosto in un container, e un contatto a Parigi, che gli indicherà come e dove montare sul retro dei camion, a insaputa dell’autista, e viaggiare nascosto attraverso il Tunnel fino a Dover. Nel pacchetto sono comprese due corse, chi organizza i viaggi sa che spesso si viene respinti alla frontiera. Lo stesso è successo anche ad Ari, questo il suo nome. Era arrivato in Puglia tre mesi fa, ma poi è stato fermato dalla polizia ed espulso. Questo è il suo secondo tentativo. Lo sbarco è andato bene, ma quando è saltato giù dal container per fuggire è caduto male, il piede gli si è girato e si è procurato una pessima distorsione alla caviglia. In quelle condizioni ha preso un treno a Foggia ed è arrivato a Roma stasera. Domani mattina vuole partire per Parigi. Intanto a malapena cammina. La caviglia è molto gonfia, si è tolto le scarpe perché gli stringevano troppo.

Continuiamo a parlare un po’ a gesti e un poco a parole, in questa situazione surreale che è il bordo di un marciapiede dietro la stazione. Clacson. Gli dico di non preoccuparsi perché domani lo accompagno alla stazione a comprare il biglietto e gli faccio da interprete. La nostra conversazione è interrotta ad un tratto dall’arrivo di una giovane ragazza inglese, esile, bionda, molto alta. Ha ancora il fiato corto, si rivolge direttamente ad Ari. Era passata da lì poco prima ed è ritornata indietro passando per la farmacia. Ha portato ad Ari un sacco lenzuolo, un mazzo di carte, uno yogurt, crema per il viso, burro cacao e due buste auto-riscaldanti per la notte. Continua a spiegargli in inglese come usare il tutto, poi dopo cinque minuti sparisce. Intanto la notte si fa sempre più fredda e il vento non accenna a calare. Poco distante le macchine dell’AMA spazzano le strade, prima che passino le cisterne dell’acqua a lavarle. Rumore. Gli presto due calze di lana che ho con me nello zaino. Si sistema nel sacco e ci mettiamo a dormire. Dopo non più di tre ore, saranno le cinque, ci alziamo. Il freddo è davvero pungente e non si riesce più a dormire. Dopo un pò provi come un sentimento di ansia, inizi a sentire il formicolio salire dai piedi fino alla pancia, senti il bisogno di alzarti, non puoi più stare sdraiato, devi camminare, hai paura. Ci diamo giusto il tempo per stirare la schiena e fare schioccare le ossa e poi di corsa, per modo di dire, ce ne andiamo lungo via Giolitti diretti al bar Moka, che ha appena aperto. Lungo la strada corpi buttati per terra intorno alla stazione e giù fino a Santa Maria Maggiore. Certi bevono così tanto che perdono la percezione del caldo e del freddo, finché crollano per il sonno e si lasciano cadere dove si trovano, magari su una panchina in un parco, in mezzo ad un marciapiede, o sui gradini di una chiesa, senza coperte, a volte senza nemmeno un cartone sotto la pancia, la bocca che bacia il cemento. Non so immaginare i brividi al mattino al loro risveglio, dopo ore passate all’addiaccio vestiti alla meglio.

Non ho soldi con me ma se vuole può ordinare la colazione. Ari vuole offrirla anche a me, insiste che accetti. Due tè alla menta. Parliamo. Appena arriva a Parigi chiamerà il suo contatto che gli indicherà dove partono i camion per Dover, attraverso il tunnel della Manica. Studierà il posto e gli orari e poi si nasconderà in uno dei container, di nascosto, durante le operazioni di carico. Quando alla fine sentirà il camion fermarsi, vorrà dire che avrà passato la Manica, allora scenderà e si consegnerà alla polizia chiedendo asilo politico come profugo di guerra. Certo che con la caviglia messa così tutto è più difficile, starà qualche giorno in più a Parigi, per rimettersi. Passare qualche giorno in più a Parigi significa però passare qualche giorno in più in mezzo alla strada. Non avendo documenti regolari con sé troverà chiuse tutte le porte di alberghi, ostelli e pensioni. E ogni giorno in più passato per strada significa il rischio di essere derubato o fermato dalla gendarmerie ed espulso. Ma non c’è alternativa, dal momento che non ha i requisiti per ottenere un regolare visto d’ingresso in Inghilterra. Ridendo spera che il carico non si sposti durante il viaggio, magari durante una manovra azzardata, schiacciandolo in un angolo, e che l’aria del container basti per farlo respirare la durata della corsa. Tuttavia il primo problema è il suo treno. Se al passaggio della frontiera con la Francia gli chiedono i documenti tutto sarà finito.

Verso le otto andiamo a comprare il biglietto, gli faccio da interprete. Milano Parigi, prima classe perché lì, gli spiego, quasi mai chiedono i documenti d’identità. Il treno parte alle dieci. Così andiamo in sala d’attesa per ripararci dal freddo e magari chiudere gli occhi anche solo per poco. Nelle sale d’attesa nelle grandi stazioni vige la regola che senza biglietto non si può entrare, così devo insistere con la signorina all’ingresso che alla fine concede anche a me alcuni minuti di riparo dal freddo pungente, ma solo perché la sala è semivuota. Giunta l’ora lo accompagno al binario, nel frattempo è uscito il sole a scaldare i vapori della mattina in mezzo al pullulare di gente e ai toni di grigio dei treni. L’eurostar per Milano è arrivato, l’aiuto a salire. Con gli occhi un po' lucidi, preoccupato gli auguro buona fortuna. Senza conoscere quello che dico sembra capire, sorride. Affacciato al finestrino e coperto dalla voce dell’altoparlante che annuncia numeri, orari e binari, mentre i portelloni si chiudono, mi risponde "grazie", una delle poche parole che ci siamo insegnati stanotte.

Homeless: è maschio, tra i 25 e i 44 anni, con problemi di salute

 

Redattore Sociale, 12 ottobre 2005

 

Maschi, soprattutto, di età compresa tra i 25 e i 44 anni, spesso con problemi di salute a livello fisico o con dipendenza da sostanze stupefacenti, alcool o medicinali. È questo l’identikit che si ripresenta con maggiore frequenza tra i 1211 senza fissa dimora del Veneto, "censiti" dal Tavolo tecnico regionale, struttura di cui fanno parte diversi enti e organizzazioni, su iniziativa dell’Ulss 16 e della Regione. Un lavoro di indagine e di mappatura - il primo di questo tipo - che raccoglie le "Presenze nascoste" (espressione che dà il titolo all’iniziativa), ovvero le persone che vivono in una condizione di emarginazione, senza un tetto stabile, nei sette comuni capoluogo (Venezia, Verona, Vicenza, Belluno, Padova, Rovigo e Treviso). La ricerca, condotta dagli operatori delle associazioni che fanno parte del Tavolo, con il coinvolgimento delle Questure, attraverso questionari a cui hanno risposto direttamente le persone senza fissa dimora, interessa una regione dove le famiglie in situazione di povertà "assoluta" (con un reddito insufficiente per l’acquisto dei beni considerati essenziali) sono il 3,9%, a fronte di un dato nazionale dell’11%. Le povertà relative (famiglie in cui la spesa mensile pro capite è inferiore alla media nazionale di 919 euro) sono invece il 4,2% (in Italia il 13%). Le 1211 persone "censite" dalla ricerca sono state individuate sulla base di tre caratteristiche: la mancanza di un alloggio, il trascorrere le notti all’aperto o nei luoghi di ricovero, l’assenza di "legami comunitari". Molte di loro sono state incontrate in stazioni ferroviarie, giardini, piazze e case abbandonate (697); 514 "intercettate" in centri di assistenza pubblica, privata o convenzionata.

La maggioranza dei senza dimora del Veneto si concentra nelle città principali, ovvero Venezia, Padova e Verona, che sono anche quelle in cui più significativa è la presenza di strutture di aiuto. Quasi il 60% è nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 44 anni; il 28% ha tra i 45 e i 65 anni, poco più del 4% è oltre i 65 anni, mentre un 8% dei senza fissa dimora è al di sotto i 25 anni. Si tratta in netta prevalenza di uomini, più dell’88% sul totale delle persone censite. E il profilo del "maschio in età lavorativa" si accentua considerando coloro che vivono per strada o comunque non in strutture di sostegno: il 92% sono dei "lui", di cui quasi il 70% ha tra i 25 e i 44 anni. Dati su cui incide la presenza degli stranieri clandestini, che non hanno accesso a molti dei servizi pubblici: il 75% di chi vive all’aperto è straniero, la percentuale si inverte o quasi per chi è accolto nei dormitori. I luoghi di provenienza? Europa dell’Est e Africa. Infine, le condizioni di salute dei senza dimora: il 18% di coloro che alloggiano di notte nei dormitori ha disturbi di tipo fisico o psichico, anche marginali, ma che rallentano o impediscono l’attivarsi autonomamente per accedere ai servizi. La percentuale sale al 30 e al 20% rispettivamente per i problemi fisici e quelli psichici, per chi è stato censito fuori dalle strutture di appoggio; il 40% delle persone incontrate soffre di dipendenze da sostanze stupefacenti o da medicinali.

Immigrazione: Castelli; su Lampedusa polverone per nulla

 

Agi, 12 ottobre 2005

 

Un polverone per nulla. Così il ministro della giustizia Roberto Castelli commenta l’inchiesta di un settimanale sul trattamento riservato agli immigrati clandestini nel Cpt di Lampedusa. Al tempo stesso, guardando ai gravi incidenti di Melilla, enclave spagnola in Marocco, sottolinea "la necessità di guardare le frontiere con grande severità". Il fatto che a Melilla siano avvenuti incidenti estremamente gravi - dice al suo arrivo al Consiglio dei ministri della giustizia e degli interni dell’UE questa mattina a Lussemburgo - dimostra con quale determinazione gli altri paesi affrontano questo problema. Pensi a cosa sarebbe successo se a Lampedusa ci fossero stati sei morti come in quel caso. Un finimondo. C’è un problema serio - ha proseguito il ministro - Ovviamente nessuno si augura delle vittime o feriti. Questo è ovvio. Ma credo che questo sia la prova della decisione con la quale anche paesi di sinistra affrontano questo problema". "Su Lampedusa, si è fatto un gran polverone per niente. Io dubito dell’attendibilità di questo signore (riferendosi all’autore del servizio giornalistico, ndr.) - sottolinea Castelli -. Lui ha dichiarato che è stato malmenato o maltrattato ma se guardiamo le foto, lui è sempre con abiti pulitissimi, stiratissimi, elegantissimi. Quindi che ci sia qualcosa che non va nelle sue dichiarazioni mi sembra abbastanza evidente".

Iraq: i detenuti voteranno al referendum, anche Saddam Hussein

 

Agi, 12 ottobre 2005

 

Migliaia di detenuti nelle carceri irachene potranno votare al referendum costituzionale che si svolgerà sabato prossimo: potrà farlo anche il deposto presidente Saddam Hussein, come ha assicurato la Commissione Elettorale. Si tratta di una possibilità teorica, ovviamente: ben pochi sono disposti a scommettere che Saddam Hussein ed i suoi seguaci arrestati siano intenzionati a esprimere il loro "sì" o il "no" ad una bozza di costituzione che esplicitamente mette al bando il "Partito Baath Saddamista".

 

 

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