Rassegna stampa 4 marzo

 

Bisogna fermare i suicidi in cella, di Luigi Manconi

 

Il Mattino, 4 marzo 2005

 

Che direste di un padre di famiglia che ha visto crollare la propria casa per una scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli, la moglie scappare con uno stilista giapponese, i figli diventare tutti - ma proprio tutti! - concorrenti del programma di Maria De Filippi: che direste, appunto, se dopo tutto questo ambaradan dichiarasse: "Sono sereno"?

Pensereste che è un uomo equilibrato e lucido, capace di grande autocontrollo, oppure che è un irresponsabile, che non vuole dirsi e dirci la verità? Personalmente, propendo per la seconda ipotesi.

Ed è questa, anche, la sensazione che ho provato nel leggere le dichiarazioni di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Sulmona, a commento dell’ennesimo suicidio avvenuto in quell’istituto di pena. Certo, non si vuole dire, qui, che la responsabilità di quegli eventi tragici sia solo o soprattutto sua, ma - dopo quanto accaduto - "sdrammatizzare" è altrettanto sciocco. E colpevole.

Non c’è il minimo dubbio, infatti, che - come insegnano tutte le discipline della psiche - ogni suicidio fa storia a sé e risponde a motivazioni talmente personali e profonde da risultare insondabili, ma resta un dato statistico ineludibile. E le cifre, impietosamente, dicono che nel corso di 17 mesi, nel carcere di Sulmona si sono tolti la vita quattro detenuti; e - per ampliare il discorso - nelle carceri sarde la frequenza dei suicidi è stata, nel corso del 2002 e del 2003, ancora maggiore.

Complessivamente, negli ultimi cinque anni, i suicidi in carcere sono stati tra le 17 e le 19 volte più frequenti di quanto siano i suicidi fuori dal carcere. E mentre all’interno della popolazione nazionale i suicidi si addensano nelle fasce d’età oltre i 60 anni, tra quella reclusa sono i giovani 18-25enni che ricorrono più frequentemente alla scelta autosoppressiva.

E, tuttavia, il dato più drammatico è ancora un altro: circa il 60% dei detenuti si uccide nei primi 12 mesi di detenzione e quasi un terzo nel primo mese. A uccidersi sono, con maggiore frequenza, detenuti in attesa di giudizio, imputati di reati minori, con una esigua (o nulla) carriera criminale. Infine, una ulteriore analisi ci dice che i "nuovi giunti", i detenuti di carceri affollate, coloro che hanno già tentato il suicidio, lo hanno minacciato o versano in gravi condizioni di depressione: tutti questi sono - come prevedibile - i soggetti a maggior rischio.

E tuttavia, nella gran parte delle carceri italiane, non si riesce a garantire controllo e sostegno adeguati neppure nei casi più gravi: persino chi ha già tentato di darsi la morte trova modo, infine, di portare a compimento il suo proposito. Dunque, contrariamente a quanto affermano il ministro della Giustizia e l’amministrazione penitenziaria, i suicidi di detenuti non "calano" affatto. È un dato oscillante, piuttosto, quello che emerge, che conserva una sua tragica e lugubre continuità nel tempo: e che può "rassicurare" solo quel padre di famiglia ilare e sconsiderato di cui si diceva all’inizio. Dal 1998 al 2004 i suicidi sono stati - anno dopo anno - 51, 53, 65, 72, 57, 65, 52.

E il 2005 si è aperto sotto pessimi auspici. Che fare, dunque? Intanto, va completamente rovesciata l’attuale politica penitenziaria. Proprio così: rovesciata da capo a piedi. I dati analizzati confermano che le politiche di sostegno ai "nuovi giunti" e i "presidi" a questo destinati (istituiti già nel 1987) - quando pure ci sono - risultano deboli e inefficaci; e provano che l’amministrazione penitenziaria non sembra in grado di gestire adeguatamente il trauma psicologico dovuto all’ingresso in un mondo chiuso e, per molti, sconosciuto.

Tanto più quando, com’è successo con l’ultima legge finanziaria, la spesa destinata al carcere e alla sanità carceraria è stata drasticamente ridotta: dunque mancano agenti, educatori, medici, psicologi, volontari. Restano soltanto - come nella cella di "massimo isolamento" dell’ultimo suicida, a Sulmona - una t-shirt o i lacci delle scarpe, colpevolmente lasciati a disposizione di chi voglia impiccarsi.

Sulmona: mi capita sempre così…, di Maurizio Costanzo

 

Il Messaggero, 4 marzo 2005

 

Mi capita sempre così: quando vengo aggredito da troppe malinconie le notizie che più mi colpiscono sono drammatiche. Se ne parla, poi non se ne parla più e poi l’argomento torna d’improvviso attuale. Mi riferisco ai suicidi nel carcere di Sulmona. Troppi e apparentemente inspiegabili.

Tempo fa persino la Direttrice del carcere si tolse la vita e poi il Sindaco di una cittadina abruzzese appena arrestato. Il disagio dei detenuti è cosa nota ma non possiamo pensare che sempre i disagi si tramutino in suicidi. Ecco perché credo che ci sia qualcosa in più, qualcosa di diverso, forse qualcosa di più grave che va capito e scoperto. Presumo che non avrò risposte, del caso non si parlerà per un periodo e poi d’improvviso se ne ritornerà a parlare, ma ci sarà purtroppo un altro lutto.

Milano: parlatorio addio, a Bollate un locale per famiglie

 

Ansa, 4 marzo 2005

 

Parlatorio addio: a Bollate i detenuti riceveranno i figli in un minilocale colorato e fantasioso come una stanza di casa propria. Gli stessi detenuti hanno contribuito a dipingere e arredare la "casa per famiglia" con tv, videoregistratore, giochi, libri e stoviglie. "Abbiamo fatto il possibile - spiega il direttore del carcere, Lucia Castellano - perché il clima sia casalingo, i detenuti non provino imbarazzo nei confronti dei figli e i bambini si sentano maggiormente a loro agio".

Sulmona: continuano a infuriare polemiche sul supercarcere

 

Gazzetta del Sud, 4 marzo 2005

 

Tra indagini ministeriali e della magistratura ordinaria, tra richieste di chiusura e allarmi sulla condizione dei detenuti, continuano a infuriare le polemiche abbattutesi sul supercarcere di Sulmona dopo l’ennesimo suicidio dietro le sbarre, messo in atto nella serata di martedì dal pentito Nunzio Gallo, 28 anni, di Torre Annunziata (Napoli). Sull’episodio, che ha visto il giovane recluso impiccarsi con la cinghia della tuta alla grata della cella, ieri il ministro di Giustizia Roberto Castelli aveva annunciato l’avvio di un’ indagine ministeriale, mentre quella penale – coordinata dal sostituto procuratore di Sulmona, Aura Scarsella – sta cercando di far luce sulle modalità con cui Gallo possa aver eluso la sorveglianza, specialmente dopo che la settimana scorsa, non riuscendovi, aveva cercato di uccidersi in circostanze analoghe.

Il giovane aveva poi riferito alle autorità carcerarie che il suo era stato solo un atto dimostrativo, rivolto a farsi trasferire in un’altra struttura, ma i fatti hanno poi rivelato che non era così. Con tutta probabilità questa mattina verrà affidata l’autopsia, slittata già ieri per la difficoltà da parte del magistrato di contattare i familiari di Gallo: il padre e i sei fratelli sono tutti collaboratori di giustizia e sottoposti a regime di protezione. Sul fronte delle polemiche che hanno investito il supercarcere di Via Lamaccio, ieri il Codacons si è rivolto al ministro Castelli chiedendo la chiusura immediata dell’istituto di pena.

"Il sesto suicidio negli ultimi due anni all’interno del penitenziario – afferma il presidente Carlo Rienzi – fa nascere troppi sospetti e troppe domande". Secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), invece, "il personale è spesso lasciato solo a gestire all’interno dei nostri carceri moltissime situazioni di disagio sociale. Non si deve chiedere al personale – dice la segreteria generale del sindacato – di "accollarsi" la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti". Su una linea analoga anche la Fp-Cgil del settore penitenziario, che lamenta i tagli dei bilanci in sede di Finanziarie e secondo cui "la crisi del sistema è macroscopica: in questo scorcio del 2005 – commenta il responsabile nazionale, Fabrizio Rossetti – sono già otto i suicidi consumati in carcere, segno di un crescente disagio".

Dall’interno del carcere di Sulmona, comunque, vengono respinte le accuse che parlano di una struttura isolata rispetto alla città, dove i detenuti vengono vessati o privati dei loro diritti. "Lo dimostrano le tante iniziative – sostiene il direttore Giacinto Siciliano. Insieme al Comune stiamo cercando di valorizzare il lavoro e le alte capacità manuali e artistiche dei detenuti. Inoltre, sono in atto contatti con gli imprenditori della zona affinché il carcere possa diventare una piccola fabbrica". È invece il medico del penitenziario, Fabio Federico, a collegare indirettamente l’alta incidenza di suicidi – quello di Gallo è il decimo in 12 anni, considerando anche quello della direttrice Armida Miserere – evidenziando che "nel carcere di Sulmona c’è l’osservazione psichiatrica: circa un centinaio su 400 detenuti sono affetti da problemi psichici".

Un ragazzo s’è ucciso in carcere: vi importa?, di Massimo Carlotto

 

Liberazione, 4 marzo 2005

 

Hotel a 4 stelle. Così definisce il padano ministro Castelli le carceri italiane. "Dove perfino ci sono i televisori a colori". Oggi si è detto preoccupato per la situazione del carcere di Sulmona dove si è impiccato, con i lacci delle scarpe, un detenuto, Nunzio Gallo. Numero 6 nel giro di 3 anni. 5 detenuti e una direttrice. Il ministro è sorpreso e preoccupato. Invece per tutti coloro che seguono, con viva preoccupazione, le condizioni di vita dei detenuti del supercarcere di Sulmona è solo la conferma che quella struttura va chiusa. Da anni si susseguono le denunce interne ed esterne. Privazione del sonno, vitto immangiabile, servizio sanitario carente, assenza di spazi di ricreazione, uso sistematico dell’isolamento come forma di punizione, difficoltà di rapporti tra detenuti e familiari, clima di sfiducia nei confronti degli operatori penitenziari.

La lista potrebbe continuare ma è chiaro che, se una galera ha queste caratteristiche, non c’è da meravigliarsi che qualcuno dei suoi "ospiti" decida di farla finita. Sarebbe sbagliato però pensare che Sulmona è un carcere che funziona male. Una macchia nel firmamento alberghiero - penitenziario di Castelli. In realtà quella struttura di massima sicurezza è un modello di riferimento, il tipo di carcere che si sta affermando anche a livello europeo. Certo c’è ancora qualcosa da aggiustare come la faccenda dei suicidi, che attirano l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica, ma la direzione tracciata è quella. Se si rilegge con attenzione la storia penitenziaria italiana ci si rende conto che dal 1977, con la nascita dei carceri speciali, è stato preso un preciso indirizzo che, pur tra mille contraddizioni, si sta consolidando con il governo Berlusconi.

Gli speciali sono stati creati per "pacificare" definitivamente la stagione delle rivolte, per rinchiudervi i detenuti pericolosi (terroristi e mafiosi) e per creare una situazione particolarmente favorevole al pentitismo delle categorie citate. Una scelta che si è rivelata vincente soprattutto con i militanti della lotta armata. Da allora la violazione dei diritti dei detenuti è stata costante ma gli speciali sono diventati una specie di mondo a parte dove tutto è permesso.

La pacificazione delle carceri ha permesso alle strutture del circuito normale di vivere la breve e speranzosa stagione della riforma. La cosiddetta legge Gozzini, fino a quando non venne massacrata, rappresentò la possibilità di rendere finalmente civili le patrie galere. Sappiamo poi come è andata a finire. Sappiamo anche quanto poco rimane nella attuale politica penitenziaria del dettato costituzionale che indica nella pena una precisa finalità rieducativa. Ci sono alcune isole felici gestite da personale illuminato e progressista che difende coi denti le proprie scelte in un ambiente che, diciamolo francamente, progressista non è mai stato e ha dimostrato di credere fermamente nel modello Sulmona, boicottando sistematicamente ogni "apertura".

La normalità del carcere è come minimo sovraffollamento, assenza di lavoro, impossibilità di istruirsi, negazione degli affetti, paura di finire nel circuito speciale alla minima infrazione di regolamenti sempre più restrittivi. Ai tempi della Gozzini la società esterna era invitata a riappropriarsi dei carceri dal punto di vista educativo e culturale, oggi la tendenza è quella opposta. Insomma circuito normale e speciale tendono sempre più a ridurre le differenze.

Se poi si va a esaminare la possibilità di accedere, da parte dei detenuti, alle cosiddette misure alternative alla pena la situazione non è migliore. Sempre più frequenti i casi di detenuti che potrebbero uscire di galera ma non ci riescono a causa delle deficienze degli operatori penitenziari e dei tribunali di sorveglianza. Questa è la situazione delle galere italiane. Un motivo in più per cacciare questo governo.

Forlì: mozione della Provincia sulla situazione del carcere

 

Sesto Potere, 4 marzo 2005

 

I consiglieri Provinciali Elide Urbini e Giovanni Lucchi hanno presentato una proposta di mozione sul carcere di Forlì. In aula Giovanni Lucchi (capogruppo del Pri) ricorda che: "Una delegazione provinciale ha visitato recentemente il carcere di Forlì. Cito lo psicologo Andreoli: se al delitto non segue il castigo vengono meno dei freni inibitori della nostra società. Ma il castigo deve essere umano. Questo progetto finanziato dalla Provincia è volto a reinserire il detenuto nella società, a rendere più idoneo il carcere alla vita che vi gira attorno. La direttrice della Polizia Penitenziaria richiedeva un parcheggio, segnalazioni stradali per arrivare ad esso, valutazione periodica delle iniziative di cooperazione carcere-territorio".

Stefano Gagliardi (Fi): "Perplessità su questo: il Comune di Forlì chiede alla Provincia di mettere la segnaletica del carcere. Deve farlo il Comune, altrimenti il giro è lungo. Poi esiste un Comitato locale carcere, dovrebbe attivarsi questo sulle iniziative". Elide Urbini (Ds): "È vero, la casa circondariale deve essere raggiungibile. Vogliamo sottolineare l’importanza di un ambiente umano per la pena. Ed evitare il rientro in carcere delle persone".

Luca Bartolini (capogruppo di An): "Il Consiglio provinciale può sollecitare la sensibilizzazione dei Comuni su aspetti come questo. Sono sensibile al tema in questione, e io avrei aggiunto anche qualcosa su chi lavora in carcere, in condizioni non ottimali per le carenze strutturali".

Fabio Dellamotta (Fi): "Sembra che il Comune di Forlì sia sempre stato sordo alle richieste del carcere". Alberto Manni (assessore al Welfare): "La visita al carcere ha dato risultati. E noi dobbiamo pensare anche ai carcerati che sono agli arresti domiciliari… e il progetto Pegaso, in collaborazione con l’assessorato alla formazione, guarda proprio al reinserimento dei carcerati dopo la pena". Alla fine del dibattito la proposta di mozione sul carcere di Forlì viene approvata all’unanimità.

Milano: per l’8 marzo sfilata di moda a San Vittore

 

Redattore Sociale, 4 marzo 2005

 

Una passerella tra le sbarre. Per il secondo anno consecutivo l’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Milano ha organizzato una sfilata di moda all’interno del carcere di San Vittore. Il prossimo 8 marzo alle 15, una pattuglia di 17 modelle mostrerà ai detenuti della casa circondariale milanese le creazioni di alcune firme della moda e i vestiti creati dalla cooperativa di sartoria "Alice", in cui lavorano 8 donne detenute a San Vittore.

"Lavoriamo in questo carcere dal 1992 - dice la responsabile Luisa Della Morte -. Siamo nati creando costumi teatrali, alcuni dei quali abbiamo presentato alla sfilata dell’anno scorso, indossati da alcune delle donne che vivono in carcere. In seguito alla prima sfilata abbiamo avuto dei contatti con alcuni stilisti: il risultato è che durante l’anno abbiamo concluso tre commesse di lavoro e ne abbiamo messe in cantiere altre due".

Quest’anno la cooperativa Alice ha inoltre chiesto la possibilità di attivare degli stage in azienda per donne detenute che lavorano in carcere. "Ogni iniziativa a favore del carcere va bene, soprattutto se porta posti di lavoro - dice Emilia Patruno, direttrice de "Il due", magazine dei detenuti di San Vittore -. Ma non si devono dimenticare i problemi delle detenute, come la condizione delle donne che vivono in carcere con i loro bambini"

Cina: i famigerati campi di lavoro diventano riformatori

 

Ansa, 4 marzo 2005

 

La Cina, che attualmente ha il maggior numero di detenuti al mondo, sta per riformare la legge sui "campi di rieducazione", introdotta nel lontano 1957, rendendoli più umani, riducendo la durata delle pene e consentendo ai detenuti, in gran parte giovani, di avere dei permessi per tornare a casa nel fine settimana. La Cina è stata spesso criticata dalle Nazioni Unite per il mancato rispetto dei diritti umani e, soprattutto, per il fatto di rinchiudere dissidenti politici e religiosi in questi campi di rieducazione. Una statistica del 1999 ne cita ben 370 con 310mila detenuti.

Certi analisti prevedono, comunque, una distensione sulla questione dei diritti umani in occasione della sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo (il Parlamento), che si aprirà sabato prossimo. La proposta di legge sui campi di rieducazione è già stata inserita nel progetto che sarà sottoposto all’esame del comitato permanente dell’ Assemblea nell’aprile di quest’anno. L’anno scorso, sempre in occasione della riunione dell’Assemblea, circa il 10 per cento dei delegati aveva appoggiato la proposta di riforma senza, però, alcun seguito.

Tuttavia, Wang Gongyi, vice direttore del centro di ricerca del ministero di giustizia, ha rivelato al corrispondente del periodico cinese "Notizia di Pechino" che questa volta il vecchio sistema di rieducazione subirà un profondo cambiamento. "Prima di tutto, non si parlerà più di campi di rieducazione bensì di "istituti di correzione delle azioni illegali". "La nuova legge sarà indirizzata solo a coloro che hanno commesso delle azioni illegali ma non di grave entità", spiega Wang Gongyi. "Innanzitutto, il procedimento decisionale sarà molto più severo. Attualmente, il diritto all’applicazione della pena al "campo di rieducazione" è totalmente nelle mani degli organi della sicurezza pubblica e manca, quindi, di qualsiasi forma di investigazione e controllo di natura legale. Inoltre, la durata di detenzione va da 1 a 3 anni con la possibilità di estensione fino a 4 anni.

Il suo grado di severità è, quindi, eccessivo trattandosi fondamentalmente di reati minori e, soprattutto, non prevede processi né ricorsi ad appello". La nuova proposta di legge permetterebbe, invece, il diritto ad un processo e alla difesa tramite un avvocato, lasciando alla corte la decisione finale del ricorso o meno al campo di rieducazione. In più, è prevista una abbreviazione della durata della pena, che andrà da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 1 anno e mezzo.

"Tra le novità", ha aggiunto Wang Gongyi, "anche l’aspetto delle strutture detentive sarà modificato. Non ci saranno più porte e finestre con sbarre. I detenuti avranno la possibilità di chiedere dei permessi per tornare a casa il fine settimana. Essendo la maggior parte dei detenuti dei ragazzi, avranno, così, la sensazione di stare in un riformatorio più che in un campo di rieducazione". Wang Gongyi afferma che il progetto, in realtà, è già partito in alcune città. "Spero che questa volta la riforma vada in porto", ha detto Duan Weiyi, rappresentante della provincia del Sichuan presso l’Assemblea a "Notizie di Pechino".

"L’avevo appoggiata alla sessione parlamentare del 2003 e continuo a farlo tuttora. In passato, questo sistema ha svolto un ruolo importante nella difesa del benessere pubblico, ma il progresso della società ha portato alla luce delle contraddizioni, quali la mancanza di leggi chiare e di processi regolari, il che ha fatto sì che i campi di rieducazione divenissero strumenti nelle mani di gente corrotta per liberarsi di contadini fastidiosi e per fermare altre forme di protesta".

Bergamo: secondo suicidio in 7 giorni, muore detenuta di 22 anni

 

L’Eco di Bergamo, 4 marzo 2005

 

Ancora un gesto tragico tra le mura della casa circondariale di via Gleno. Un’altra giovane vita che si spezza all’improvviso, senza spiegazione, senza un motivo apparente. Dopo il suicidio del nomade di 23 anni, che giovedì scorso si era impiccato con un lenzuolo nelle docce, l’altra sera un’altra giovanissima detenuta si è tolta la vita con modalità analoghe. Si tratta di una ragazza di 22 anni, S.D., nomade di origini francesi e di etnia Rom, detenuta dallo scorso agosto per reati contro il patrimonio.

È accaduto verso le 23 nella sezione femminile: secondo le prime ricostruzioni, la giovane a quell’ora era in cella con le sue tre compagne, quando è andata in bagno. Con sé aveva un lenzuolo preso tra i panni da lavare, che ha legato alle sbarre di una finestra e annodato attorno al collo. A dare l’allarme le stesse compagne di cella che, non vedendola rientrare, sono andate a cercarla. Dell’accaduto sono stati informati il direttore del carcere Antonino Porcino e il pubblico ministero Enrico Pavone. Non è stata disposta l’autopsia: non sono stati trovati elementi che mettano in dubbio le circostanze del decesso e i familiari della vittima, di religione ortodossa, hanno espresso la volontà di non eseguire l’esame autoptico. Non si conoscono le motivazioni del gesto: la ragazza ha lasciato solo una lettera, consegnata ieri al padre arrivato dalla Francia.

La giovane aveva già incontrato un sacerdote e le suore del carcere, ai quali non aveva dato segnali di disagio, e avrebbe lasciato via Gleno il prossimo giugno (doveva scontare 10 mesi per alcuni furti). "Sono sorpreso - spiega don Fausto Resmini - la sezione femminile è caratterizzata da un ambiente collaborativo, e le donne hanno tante possibilità di svolgere attività di lavoro, culturali o educative. Purtroppo, anche quando si cerca di stare vicini e creare relazioni con queste persone, rimane una parte di mistero dentro di loro dove non si riesce mai ad arrivare davvero. Se in questa parte così profonda e irraggiungibile lo sconforto prende il sopravvento sulla speranza, a volte purtroppo può succedere il peggio".

Una settimana fa si era tolto la vita un altro giovane, K.C., di 23 anni, nomade di etnia Sinti, originario di Vittorio Veneto. I due suicidi ravvicinati non sarebbero collegabili da alcun filo conduttore. Le vittime, inoltre, non si conoscevano. Dalla Fps-Cisl di Bergamo, sigla sindacale dei lavoratori del pubblico servizio che assiste anche la polizia penitenziaria, si esclude che in via Gleno possa esserci un clima diverso rispetto al passato.

Nemmeno dopo l’evasione, lo scorso ottobre, dei due superdetenuti Max Leitner ed Emanuele Radosta: "La casa circondariale di Bergamo - spiega il segretario della Fps-Cisl Luis Lageder - è uno degli istituti in Italia dove è meglio applicato il sistema trattamentale, che promuove il recupero dei detenuti. L’evasione è avvenuta solo per la collaborazione di un agente infedele e per questo non ha provocato giri di vite: non ci sono state restrizioni sulle attività dei detenuti. Si tratta perciò di episodi che sono più legati alle singole persone che, davanti all’esperienza del carcere, così come in altre situazioni difficili della vita di tutti i giorni, possono avere reazioni imprevedibili". Anche un agente di polizia penitenziaria conferma: "Questi suicidi ravvicinati non si possono imputare a cambiamenti all’interno del carcere, ma ai drammi delle singole persone".

Rimini: la Sezione "Andromeda 2", oltre il carcere…

 

Corriere della Romagna, 4 marzo 2005

 

Il carcere come luogo di recupero in cui saldare i debiti con la giustizia e in cui liberarsi dalla tossicodipendenza e dall’alcolismo. Un obiettivo difficile che inseguono decine di guardie penitenziarie, educatori, volontari, psicologici e operatori sociali. Un obiettivo che ha preso corpo a Rimini in Andromeda, sezione a custodia attenuata inaugurata il 18 febbraio 2003.

Da allora sono transitati cento detenuti, hanno occupato i sedici posti disponibili per concludere la propria pena o con altre forme di detenzione o in una comunità di recupero. Qualcuno, invece, non c’è riuscito e dopo un periodo passato in Andromeda ha chiesto di ritornare nel carcere tradizionale. Il perché è presto detto: anche se si tratta di custodia attenuata, la vita è molto dura, forse ancora più dura di quella che trascorre nelle celle tradizionali.

In Andromeda si studia, s’imparano nuovi mestieri, ci si mette in discussione parlando con psicologi e altri operatori del Sert, si rispettano regole che, per chi ha sempre vissuto sulla strada, sono dure, anzi durissime. Ad esempio, fumare una sigaretta è concesso nella sola ora d’aria, bere un bicchiere di vino è tassativamente vietato, ripulire la propria stanza è un ordine che non si può ignorare. Eppure la richiesta è alta e per essere accettati è necessario superare una serie di colloqui con la direzione carceraria e anche con il Sert, poi si deve attendere che ci sia un posto disponibile e che il proprio inserimento sia compatibile con il gruppo di detenuti già inserito nella sezione "protetta".Per soddisfare la richiesta e alla luce dei risultati positivi (per ora nessuno dei detenuti usciti da Andromeda è ritornato nel carcere di Rimini, ndr), la direttrice Maria Benassi ha deciso di giocare al raddoppio.

"Abbiamo pensato di ristrutturare l’ex caserma penitenziaria per fare nascere Andromeda 2, una sezione riservata a tossicodipendenti e alcolisti". In progetto 40 nuovi posti senza alcuna barriera architettonica, il che nel panorama delle carceri italiane è sicuramente una rarità. In attesa dell’autorizzazione dell’amministrazione carceraria centrale, i Casetti attendono una delegazione di trenta giudici popolari svedesi che il 6 aprile verranno a visitare e studiare Andromeda. La direttrice e i suoi più stretti collaboratori (tra gli altri la vicedirettrice Maria Grazia Marini, il comandante di reparto Nicola Natale, il vice comandante Gioacchino Pedalino e l’ispettore Ruggero Pastore) sono decisi a proseguire sulla strada di Andromeda indipendentemente dall’eventualità che la vicina San Patrignano gestisca, a partire dal 21 marzo a Castelfranco di Modena, un carcere esclusivamente per tossicodipendenti.

Lo fanno convinti che le due realtà non siano una escludente l’altra e che la loro sezione a detenzione attenuata sia una possibilità concreta di recupero: "Abbiamo visto persone apparentemente senza speranze riprendere in mano la propria vita. C’è stato un quarantenne con alle spalle solo droga e miseria che grazie ad Andromeda ha lavorato per la prima volta nella sua vita e quando è uscito ha voluto ringraziarmi personalmente.

C’è stato chi, come un giovane analfabeta autolesionista, tossico e senza alcun rapporto affettivo, ha imparato a rispettare se stesso e gli altri". "Il carcere può essere non solo un luogo di detenzione - conclude la direttrice -, ma anche l’inizio di un percorso di recupero. Andromeda ne è la piena dimostrazione ed è per questo che vogliamo aumentare i posti per tossicodipendenti e alcolisti".

 

Prigionieri "liberi" di fumare

 

"La prossima apertura della custodia attenuata di Castelfranco Emilia prevede il coinvolgimento della Comunità di San Patrignano e anche di altre realtà attive nel mondo della cooperazione e del volontariato. Fermo restando che l’attività futura a Castelfranco Emilia sarà svolta di concerto con il sistema degli enti locali in primo luogo e con i servizi territoriali". Disponibile alle domande dei giornalisti, sì, ma parco di parole Nello Cesari, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia - Romagna. Il carcere di Rimini, per la conformazione sociologica della condizione della criminalità estiva presenta caratteristiche particolari. Come pensa di affrontarle l’amministrazione penitenziaria regionale?".

Il carcere di Rimini, in particolare nei mesi estivi rimane oggettivamente sovraffollato. L’amministrazione penitenziaria affronta questo tipo di emergenza con trasferimenti temporanei dei detenuti in altri istituti e sul versante del personale con invio in missione". Un problema marginale, ma che viene esibito da una parte degli agenti di custodia è relativo alla presenza endemica del fumo, e del fumo passivo in modo particolare, nelle aree di detenzione?". I locali di detenzione quali posti di lavoro, aule scolastiche, laboratori... sono interdetti al fumo, ma da tale divieto rimangono escluse le celle dove sono ubicati i singoli detenuti. A tutt’oggi al provveditorato regionale non sono emerse problematiche in questo settore".

Firenze: a Sollicciano un concerto dietro le sbarre

 

Corriere Adriatico, 4 marzo 2005

 

Se era un esperimento, quello di portare per la prima volta in Italia un recital di lirica all’interno di un carcere, l’esperimento è davvero riuscito all’istituto di pena di Sollicciano dove quattro artisti si sono esibiti davanti ad un pubblico di detenuti. Erano molti i rischi di un’operazione come questa. E invece, vuoi per l’abilità dei quattro artisti - tutti giovani e molto, molto bravi -, vuoi per il programma difficile ma accattivante, tutto è riuscito per il meglio.

Emozionati erano tutti: il direttore di Sollicciano Oreste Cacurri, ma anche Anna Stracquadaini, soprano siciliano, Giuseppe Varano, tenore calabrese, Nadia Pirazzini, mezzosoprano emiliano e Donato Asquino, baritono fiorentino che sono saliti sul palco senza poter scaldare la voce a intonare un "Va pensiero" facile e difficile insieme. Alla fine, dopo un "O sole mio" cantato a quattro voci, dopo un "Nessun dorma" che potrebbe entrare in qualsiasi titolatissimo tempio della lirica, standing ovation per i quattro esausti artisti.

Livorno: Maria Ciuffi; ha visto le foto di mio figlio morto?

 

Il Tirreno, 4 marzo 2005

 

"Ma lui le ha visto le foto di mio figlio morto?". Così Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, replica al segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo della Polizia penitenziaria, Roberto Martinelli che mercoledì aveva sottolineato come il tribunale avesse già escluso che la morte di Marcello fosse riconducibile ad un pestaggio in carcere.

Le azioni terroristiche rivendicate dalla cosiddetta Federazione anarchica informale sono state "dedicate" a Marcello Lonzi, detenuto 29enne morto l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno. La madre del giovane detenuto si è battuta con forza per accertare le circostanze della morte del figlio, ritenendo che fosse stato vittima di un pestaggio della polizia penitenziaria, ma la magistratura livornese, il 10 dicembre, ha archiviato il caso come morte naturale.

"Non sono certo io - ha detto Maria Ciuffi dopo le bombe anarchiche di martedì notte - la mandante di quegli attentati, ma neppure li condanno perché ormai non credo più nella giustizia italiana".

Sulmona: l’On. Legnini; detenuti "a basso indice di speranza"

 

Il Messaggero, 4 marzo 2005

 

Un carcere di massima sicurezza e un ex-mandamentale messo in vendita prima ancora di essere aperto. Le travagliate storie del "carcere dei suicidi" di Sulmona e dell’eterna incompiuta di San Valentino potrebbero incontrarsi in un progetto del senatore Giovanni Legnini.

"Uno dei problemi del carcere di Sulmona - spiega il senatore - è il rapporto con il territorio. In questo carcere ci sono detenuti a basso indice di speranza e questo è un elemento scatenante. È necessario avviare il dialogo con gli enti locali per quanto riguarda le attività dei detenuti. Ad esempio si potrebbe impegnarli nei lavori di riconversione dell’ex carcere di San Valentino.

Quella dei detenuti che lavorano alla ristrutturazione di una struttura carceraria è un’idea suggestiva ma praticabile. Insieme al sindaco di San Valentino abbiamo chiesto alla direzione degli istituti penitenziari di rivedere la decisione di mettere in vendita il carcere e di affidarlo al Comune per scopi sociali. Siamo a buon punto e contiamo di definire la pratica entro breve tempo".

L’ex carcere mandamentale di contrada Trovigliano, costato tre miliardi di vecchie lire, ultimato da quindici anni, ma mai aperto, è tra le opere demaniali messe in vendita dal Governo. "È piccolo e antieconomico", avevano risposto pochi mesi fa dal Ministero della Giustizia al sindaco Giannino Ammirati che da anni chiedeva che ne volessero fare.Quello di San Valentino, anche se piccolo e destinato a detenuti per reati minori, è un carcere a tutti gli effetti. Con le sbarre e tutto il resto. Un carcere "chiavi in mano", pronto per l’uso già dagli inizi degli anni novanta quando, a lavori ultimati, superò l’esame della speciale commissione inviata dal Ministero. Sembrava cosa fatta e, invece, non successe niente per anni.

Di recente si era parlato di farne un centro per il recupero dei detenuti tossicodipendenti. Il progetto aveva fatto molto discutere e diviso l’opinione pubblica cittadina. Poi sulla vicenda era calato il silenzio. La decisione del Governo di inserirlo tra le opere demaniali da mettere in vendita è dell’autunno scorso. Da allora il senatore Legnini ha incontrato più volte i dirigenti del servizio penitenziario per chiedere di rivedere la decisione e affidare l’ex carcere al Comune.

Che, intanto sta guadagnando tempo. "Nei prossimi giorni - annuncia Ammirati - incontreremo i presidenti di Provincia, Parco della Majella e Comunità Montana Majella-Morrone. C’è la possibilità che il Ministero curi gratuitamente la ristrutturazione dell’edificio, ma i costi dei lavori saranno elevati. Il tavolo a quattro servirà proprio a decidere la destinazione della struttura e il reperimento dei fondi necessari".

La riconversione del carcere di contrada Trovigliano, insomma, ormai sembra quasi certa. A questo punto il sogno di Legnini è di "far incontrare i due progetti": aumentare l’indice di speranza dei detenuti del carcere di Sulmona e rimediare allo scandalo dell’incompiuta di San Valentino.

Gran Bretagna: detenuto ucciso per gioco degli agenti

 

Tg Com, 4 marzo 2005

 

È morto per gioco. Un tragico e perverso passatempo, fatto dalle guardie di un carcere britannico e chiamato "gladiatore", sarebbe infatti all’origine della morte di un giovane di origine asiatica che fu ucciso nel 2000 dal suo compagno di cella. Il gioco consisteva per l’appunto nel "vedere che succedeva" se si metteva un asiatico in cella con un esaltato che andava dicendo di voler uccidere tutti gli immigrati.

Secondo un’ex guardia della prigione di Feltham, Duncan Keys, che ha deposto davanti agli inquirenti sul caso, la pratica del "gladiatore" era assai diffusa e ben conosciuta dai dirigenti del carcere. Di fronte ai suoi dubbi su quanto era avvenuto, gli fu intimato di tacere, ma lui fece una telefonata alla Commissione per l’eguaglianza razziale (Cre) per denunciare quanto aveva visto. Nella trascrizione della telefonata Keys ha detto: "Non sono uno che si commuove facilmente, ma questo ragazzino è stato ucciso per il piacere perverso di altre persone".

Il giovane Zahid Mubarek non aveva precedenti, ed era stato arrestato per aver rubato dei rasoi usa e getta da un supermercato, per un valore di 10 euro. Il giorno in cui doveva essere scarcerato fu ucciso dallo psicopatico razzista Robert Stewart che lo colpì selvaggiamente con la gamba di un tavolo. Stewart è stato condannato all’ergastolo per quell’assassinio.

Civitavecchia: i centri dell’impiego arrivano in carcere

 

Civionline, 4 marzo 2005

 

Sarà operativo entro due settimane il progetto "Ermes", il piano predisposto da Comune e Provincia di Roma per portare direttamente nelle carceri i centri per l’impiego provinciali, gli ex uffici di collocamento, coordinandoli con i centri per l’orientamento al lavoro comunali, già presenti negli istituti di pena da tre anni.

Finalità di Ermes infatti, è proprio quella di mettere i detenuti nelle migliori condizioni per inserirsi nel mondo del lavoro una volta liberi, facendo da tramite tra detenuti e imprese e organizzando percorsi formativi. Hanno presentato il progetto stamattina nella sede dell’assessorato alle Periferie del Comune di Roma, gli assessori al Lavoro del Comune e Provincia di Roma, Luigi Nieri e Gloria Malaspina, e il garante per il diritti dei detenuti del Comune di Roma, Luigi Manconi.

"Un piano innovativo, unico nel suo genere in Italia - ha detto l’assessore Nieri - che oltre a dare più possibilità di inserimento lavorativo ai detenuti, mira a ricreare in loro una certa fiducia nelle istituzioni, che questa volta entrano negli istituti per occuparsi di loro". "Questo progetto - ha aggiunto l’assessore Malaspina - coinvolge sia il carcere di Velletri che quelli di Civitavecchia, così come quelli di tutta la provincia.

Sarà differenziato a seconda delle tipologie di detenuti coinvolti. Provando a fare qualcosa per cambiare la loro esistenza, per persone che nella maggior parte dei casi non riescono neanche ad immaginare una vita dopo il carcere. Ad ogni modo non ci limiteremo a registrare domande e offerte di lavoro, ma gireremo il territorio andando ad intercettare le imprese". "Essendo insignificante il numero di detenuti che oggi svolge un lavoro che da loro prospettive una volta in libertà - ha aggiunto Manconi - questo progetto segna una possibile inversione di tendenza soprattutto per il lavoro di formazione che verrà fatto negli istituti".

 

 

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