Rassegna stampa 3 marzo

 

Tinebra: entro 2 anni 4.105 posti-detenuto con standard europei

 

Il Messaggero, 3 marzo 2005

 

Perché tanti suicidi nel carcere di Sulmona, dottor Tinebra?

Non c’è una risposta immediata a questa domanda. Dobbiamo approfondire la questione, il ministro Castelli ha già detto quanto c’era da dire.

 

E cioè, che ci sarà un’indagine?

I suicidi in carcere sono in calo a livello nazionale. Casi specifici, lo ripeto, vanno approfonditi. È certo che ogni qual volta che un detenuto si toglie la vita, al di là del dolore e dello sgomento, c’è da riflettere su che cosa non si sia capito per tempo.

 

E a Sulmona, che cosa non si è capito finora visto che in due anni si sono suicidate sei persone e un giovane macedone ha tentato ieri di togliersi la vita tagliandosi le vene?

Si vedrà. Non dimentichiamo, però, che stare in un istituto di pena, di per sé, vuol dire combattere una dura battaglia tutti i giorni. Contro lo stress, la fatica per la privazione della libertà, spesso la depressione.

 

Gioca l’emulazione, come dice il medico del carcere di Sulmona?

Solo gli psichiatri possono dirlo con certezza, ma è evidente che c’è un pericolo nell’enfatizzare troppo certi fenomeni.

 

E nel considerare i detenuti gente senza speranza?

Altroché. La speranza va sempre tenuta viva, è lo sprone più forte per la riabilitazione. Ma ci sono carceri in cui si fa solo detenzione, perché mancano adeguate attività di sostegno, iniziative, personale... in una parola, soldi. Le risorse sono scarse, non c’è che dire. Ma si cerca di fare il massimo. L’amministrazione sta dedicando molta attenzione al capitolo lavoro, per esempio: è fondamentale, finché si è in carcere e lo è per dopo, per quando si esce. E tramite il lavoro si può cambiare profondamente. È per questo che ci stiamo impegnando a fondo per realizzare quanto prima il progetto di recupero di Pianosa. Ci saranno giardini, bar, ristoranti, tutto gestito dai detenuti, che avranno il compito di mantenere l’isola.

 

Oggi, con il guardasigilli, ha visitato il carcere di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba. Un esempio positivo?

Certo che sì. I detenuti lavorano e studiano, l’organizzazione è buona, la qualità della vita, compatibilmente con la detenzione, anche. Ma di strutture penitenziarie che funzionano ce ne sono diverse nel Paese. E presto avremo 4.105 posti-detenuti in più con standard europei.

 

Quando?

Tra quest’anno e il 2006.

 

Dove?

A Brindisi, Cosenza, Favignana e anche in un reparto specializzato presso il carcere di Pescara.

 

Crede che se passerà la ex Cirielli, con l’inasprimento delle pene per i recidivi, avremo un ulteriore sovraffollamento delle carceri?

Io faccio l’amministratore, non il politico. E le valutazioni di questo genere spettano ai politici. Una cosa, però, ci tengo a dirla.

 

Quale?

Che il nostro sistema penitenziario è ancora oggi a macchia di leopardo, ma che i punti neri sono molti meno rispetto a qualche anno fa. Anche se talvolta, purtroppo, le brutte notizie sembrano travolgere in un attimo tutto il lavoro che si sta facendo per migliorare sempre più.

Orvieto: disinnescata una bomba davanti al carcere

 

Gazzetta del Sud, 3 marzo 2005

 

C’è l’ombra degli inarco - insurrezionalisti, che due anni fa avevano inviato una busta esplosiva a un giornalista orvietano nella sede di un quotidiano viterbese, dietro l’ordigno rinvenuto ieri in circostanze drammatiche a ridosso del portone di una palazzina orvietana in pieno centro storico, a pochi metri dal carcere, dalla caserma dei carabinieri e dall’abitazione del sindaco.

Il filone "politico" è quello attualmente seguito dagli inquirenti, anche perché la bomba sembra essere stata confezionata da una mano abile. Se fosse esplosa avrebbe fatto crollare l’intero palazzo, ma gli effetti dell’ordigno potevano essere ancor più devastanti. Il chilo di esplosivo dentro una scatola metallica di liquore è rimasto per tutta la mattinata appeso alla maniglia di un portone al numero 5 di via Angelo da Orvieto, in pieno centro storico. La bomba era in una busta di nylon azzurra su cui era stampata la scritta: "Tanti auguri".

Bombe a Milano e Roma, "campagna dedicata a Marcello Lonzi"...

 

Gazzetta del Sud, 3 marzo 2005

 

Le bombe esplose questa notte a Roma e a Milano avevano un "evidente intento di uccidere". Il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, in una informativa alla Camera, ha sottolineato come la tecnica di far scoppiare due ordigni a breve distanza di tempo, "tipica degli anarchici", sia un sistema "per far accorrere le forze dell’ordine" con l’obiettivo di "provocare vittime". Di fronte a questi atti, il titolare del Viminale auspica che il paese e le istituzioni "reagiscano con la massima fermezza".

Entrambi gli attentati sono stati rivendicati dagli anarchici. Con un volantino arrivato in mattinata nelle redazioni del Secolo XIX e del livornese Il Tirreno, la Federazione anarchica informale si è assunta la responsabilità delle bombe di Genova, Milano. Ma anche di una terza azione, molto spettacolare, ma fortunatamente rimasta sulla carta.

Un ordigno, si legge nella rivendicazione firmata Fai/Brigata 20 luglio Cooperativa artigiana fuoco e affini, sarebbe dovuto esplodere a Sanremo, "all’interno del Teatro Ariston durante la diretta Rai del Festival della canzone italiana". Finora, però, all’interno del teatro non sono state trovate tracce di ordigni.

Gli attentati dinamitardi, si legge ancora nel documento inviato per posta celere da Milano, fanno parte di una campagna "dedicata a Marcello Lonzi, ragazzo ucciso durante un selvaggio pestaggio nel carcere di Livorno". Gli investigatori avevano subito seguito la pista inarco - insurrezionalista per entrambi gli attentati, messi immediatamente in relazione viste le modalità e la tempistica.

Nel capoluogo ligure gli attentati sono stati compiuti nel ponente della città, nei quartieri di Voltri e Prà. La prima esplosione s’è verificata a poche decine di metri dalla caserma dell’Arma di Voltri, dove un ordigno era stato collocato sempre all’interno d’un cassonetto dei rifiuti. La seconda si è invece verificata nella parte posteriore della caserma dell’Arma di Prà: un ordigno, collocato ancora all’interno di un cassonetto, è esploso distruggendo il contenitore. Parallelamente un terzo ordigno si è invece solo incendiato, bruciando un cestino di rifiuti. Non ci sono stati feriti.

Dinamica simile a Milano, dove due ordigni di fattura rudimentale sono esplosi in piazza Giovanni XXIII, sempre nei pressi d’un comando dei Carabinieri. Gli ordigni erano stati collocati in alcuni cassonetti dei rifiuti e sono esplosi in rapida successione. In particolare, il secondo è detonato non appena i carabinieri sono giunti sul posto. Stando agli investigatori, immediatamente accorsi sul posto, la tecnica utilizzata è quella detta "libanese": un’esplosione, la prima, per richiamare l’attenzione; un’altra esplosione, la seconda, per colpire e uccidere. Entrambe le deflagrazioni sono simili, nella tecnica, a quelle avvenute sempre a Milano, davanti al carcere di San Vittore, alcuni mesi fa.

La madre di Lonzi: "Non sono mandante, ma non li condanno"

 

Secolo XIX, 3 marzo 2005

 

Le azioni terroristiche rivendicate dalla cosiddetta Federazione anarchica informale sono "dedicate" a Marcello Lonzi, un detenuto di 29 anni morto l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno. La madre del giovane detenuto, Maria Ciuffi, si è battuta con forza per accertare le circostanze della morte del figlio, ritenendo che fosse stato vittima di un pestaggio compiuto dalla polizia penitenziaria, ma la magistratura livornese, il 10 dicembre scorso, ha archiviato il caso come morte naturale. A chiedere l’archiviazione dell’inchiesta fu lo stesso pubblico ministero, Roberto Pennisi: secondo la ricostruzione della procura, infatti, il giovane morì per un infarto e cadendo a terra sbatté la testa sul termosifone.

Ieri la donna ha commentato così la notizia degli attentati di Genova e Milano: "Non sono certo io la mandante di quegli attentati, ma neppure li condanno perché ormai non credo più nella giustizia italiana". "Voglio anche sottolineare una coincidenza - ha aggiunto Maria Ciuffi - proprio martedì mi ero rivolta alla procura genovese per avere informazioni su un esposto che sto per presentare contro i magistrati livornesi, relativamente all’indagine sulla morte di mio figlio".

Grecia: "I condannati a morte", mostra di Oliviero Toscani

 

Ansa, 3 marzo 2005

 

"I condannati a morte" è il titolo della mostra del fotografo Oliviero Toscani che è stata inaugurata il 27 febbraio nei locali del Museo Macedone di Arte Contemporanea di Salonicco.

L’esposizione, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Salonicco nell’ambito del 17esimo Salone Internazionale della Fotografia Photosynkyria 2005, comprende 23 fotografie di detenuti nei bracci della morte degli Stati Uniti, accompagnate da interviste agli stessi condannati che raccontano momenti della loro vita: immagini realizzate dall’artista per la nota campagna pubblicitaria della Benetton contro la pena di morte.

I diritti della mostra sono stati donati da Toscani a Nessuno tocchi Caino. Martedì 8 marzo, nell’Anfiteatro dello stesso Museo, Toscani incontrerà pubblico e giornalisti e illustrerà, con l’ausilio di multimedia, la propria attività artistica e le proprie esperienze umane. La mostra resterà aperta sino al 13 marzo.

Cosenza: Corbelli; grazia per il detenuto che perse la famiglia

 

Quotidiano di Calabria, 3 marzo 2005

 

Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, ha presentato al Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, una domanda di grazia per l’immigrato marocchino Abdelhakim Abdelkrim, detenuto in un carcere calabrese, che ha perso i genitori, un fratello e una sorella nella tragedia ferroviaria di Rometta Marea (Messina) ed ha due nipotini rimasti orfani. Lo si è appreso da una nota dello stesso Franco Corbelli.

L’uomo per protesta ha iniziato lo sciopero della fame ed ha scritto una lettera al Movimento Diritti Civili chiedendo di essere aiutato. "Il marocchino - sostiene Corbelli in una nota - era arrivato in Italia 25 anni fa. Ha sempre lavorato in Italia per mantenere la sua povera famiglia in Marocco. In un periodo di difficoltà e di disperazione ha commesso dei reati contro il patrimonio e per questo è stato condannato. Da Messina si era trasferito a Milano.

Una volta arrestato è stato poi trasferito nel carcere di Palermo. E dalla città siciliana in un carcere della Calabria, dove si trova tuttora. Quando era detenuto a Palermo erano venuti a trovarlo i genitori, due fratelli e due nipotini". "Tutta la famiglia - ha aggiunto Corbelli - rimase coinvolta nella tragedia ferroviaria di Rometta Marea. Persero la vita i genitori e i fratelli di Abdelkrim.

Si salvarono miracolosamente solo i due nipotini. Ho presentato una istanza di grazia al Presidente della Repubblica chiedendo di rivedere questo caso e di valutare il dramma umano e la grande tragedia che hanno colpito la famiglia di quest’uomo, che è stata praticamente distrutta nel disastro ferroviario. Il marocchino non ha commesso fatti di sangue. Occorre valutare questi aspetti e dare quindi a lui la possibilità di poter uscire dal carcere e ritornare in Marocco".

Sulmona: il direttore; un suicidio che ci ha sorpresi tutti

 

Il Messaggero, 3 marzo 2005

 

"È un gesto che lascia un po’sorpresi anche perché era un detenuto seguito da tutti, costantemente e quotidianamente. Ci sono delle indagini in corso e cercheremo di capire bene cosa è successo". A sostenerlo è il direttore del carcere di Sulmona, Giacinto Siciliano, dopo l’ennesimo suicidio nell’istituto penitenziario. "Ritengo che il lavoro che si sta facendo - ha sostenuto Siciliano - al di là dei numeri che parlano di un carcere in controtendenza per quanto riguarda gli episodi autolesionistici, rispetto agli altri istituti di pena italiani, è molto significativo. È in atto - ha proseguito - un progetto che prevede la collaborazione tra il carcere e la città. I detenuti attraverso il loro contributo artigianale e produttivo contribuiranno alla crescita dell’economia e alla valorizzazione delle manifestazioni organizzate dalla città ". Analizzando le motivazioni che avrebbero spinto il detenuto di Torre Annunziata a suicidarsi il direttore ha dichiarato: "L’ho detto nella precedente circostanza, purtroppo il carcere ha questi meccanismi, più se ne parla e più si sviluppa il fenomeno dell’emulazione e questa è una cosa estremamente pericolosa".

"Le cose vanno valutate con serenità - ha aggiunto - se errori ci sono bisogna correggerli. L’augurio naturalmente è che non ce ne siano perché questo è il nostro lavoro e personalmente sono sereno anche se chiaramente questi sono episodi che colpiscono, fanno male e non fanno piacere". Qualcuno avrebbe ipotizzato che Gallo si sarebbe tolto la vita dopo aver ricevuto intimidazioni. "Il mio ruolo è quello di stare in carcere e di gestirlo nel migliore dei modi - ha sottolineato Siciliano - vorrei non fare film e non stare dietro a certe cose perchè il mio ruolo è un altro". Su 400 detenuti la metà dei reclusi nel supercarcere di Sulmona hanno accuse per reati associativi e di questi molti provengono dalla Campania.

Giustizia: Castelli: Cdl compatta su ordinamento giudiziario

 

Ansa, 3 marzo 2005

 

Se venisse ripresentato l’emendamento Salerno (An) alla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario "non potrà avere seguito: la Cdl è compatta sulla volontà di portare a termine questo provvedimento e sappiamo che se ci dovesse essere un’altra modifica il provvedimento sarebbe a rischio". Lo ha detto il ministro alla giustizia Roberto Castelli a margine dell’inaugurazione della nuova ala residenziale nel carcere di Porto Azzurro.

Castelli, che si è detto "soddisfatto del fatto che la commissione giustizia abbia concluso l’iter" della legge sull’ordinamento giudiziario, ha poi affermato di aver "preso atto del passaggio avvenuto ieri sul progetto di legge denominato ex Cirielli" ma di non aver ancora approfondito "i motivi per i quali ciò è accaduto".

Sulmona: Castelli; preoccupante il dato sui suicidi nell'istituto

 

Ansa, 3 marzo 2005

 

"A Sulmona c’è un dato preoccupante perché, in confronto alla media nazionale, c’è un numero di suicidi piuttosto elevato". Lo ha detto il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, oggi in visita ufficiale al carcere di Porto Azzurro (Livorno), commentando il suicidio del detenuto nel carcere di Sulmona.

"I suicidi a livello nazionale stanno diminuendo - ha detto Castelli - e questo è un dato positivo. Per quanto riguarda Sulmona, ho già parlato con il capo dell’Amministrazione penitenziaria: vedremo di approfondire la questione perché questo dato ci preoccupa". Il ministro Castelli ha confermato che verrà avviata una indagine anche dal Ministero.

Sulmona: Rifondazione Comunista; chiudete quella struttura...

 

Ansa, 3 marzo 2005

 

Un carcere al cui interno vi è "follia, con situazioni difficili e detenuti senza speranza": è l’analisi sul supercarcere di Sulmona fatta da di Rifondazione Comunista commentando il suicidio, ieri sera, del pentito di camorra Nunzio Gallo, impiccatosi nella propria cella di sicurezza.

Stamattina la parlamentare Elettra Deiana presenterà interpellanza in cui si sollecita la chiusura dell’istituto di pena sulmonese. In quel carcere - afferma il segretario provinciale di Prc, Giulio Petrilli - i nostri rappresentanti si sono recati più volte constatando e denunciando la ‘follia di quell’istituto dove sono concentrate tante situazioni difficili, dove c’è l’isolamento diurno, cioè un surplus di pena che condanna il detenuto all’isolamento totale.

Non c’è nessun contatto con il mondo esterno. Nessuna speranza in quel carcere. Petrilli ricorda che lo scorso anno vi fu una forma pacifica di protesta, per migliorare le condizioni di vita: "La manifestazione si concluse con il trasferimento di diversi detenuti in lontani supercarceri. C’è un sistema di regolamento interno molto rigido.

Una situazione estrema e terminale dove l’istituzione penitenziaria perde totalmente la funzione che la costituzione e l’ordinamento giudiziario gli attribuiscono cioè la funzione di recupero dei detenuti. Lì vige il solo concetto dell’espiazione non del reinserimento". Sulla situazione di Sulmona vi sono state, anche in occasione del suicidio del sindaco di Roccaraso Gabriele Valenti, diverse interpellanze, una delle quali proprio di Rifondazione Comunista: "Non abbiamo avuto nessuna risposta seria da parte dei Ministro Castelli. Una situazione estrema (conclude Petrilli) quella del carcere di Sulmona che richiede una misura estrema: la necessità di chiudere l’istituto".

Sulmona: 10 suicidi in 12 anni, ecco il carcere della morte…

 

Secolo XIX, 3 marzo 2005

 

Decimo suicidio, un altro detenuto salvato dalle guardie. La paura di vendette di camorra contro i suoi famigliari ha indotto un pentito, Nunzio Gallo, 28 anni, di Torre Annunziata (Napoli), a impiccarsi con la cinghia della tuta alla grata della sua cella singola, nella sezione "alta protezione" del supercarcere di Sulmona. Poche ore dopo un altro tentativo di suicidio: un giovane macedone ha cercato di togliersi la vita tagliandosi le vene ma è stato subito soccorso dagli agenti in servizio.

Quello di Gallo è il decimo suicidio legato a una struttura moderna che ospita solo detenuti particolari e sulla quale sembra esserci un maleficio: tra le morti, infatti, figura anche quella della direttrice Armida Miserere, che nel venerdì santo di due anni fa si sparò un colpo di pistola alla tempia destra nell’alloggio interno all’istituto di pena.

Un supercarcere oggetto di polemiche e interrogazioni, che ha vissuto anche sommosse e sul quale ieri il ministro di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli, ha detto: "A Sulmona c’è un dato preoccupante perché, in confronto alla media nazionale, c’è un numero di suicidi piuttosto elevato". Castelli ha annunciato un’indagine che si aggiunge a quelle della magistratura e dell’autorità penitenziaria. Gallo stava scontando condanne per estorsione e rapina; sarebbe uscito nel 2011. A Sulmona era arrivato quattro mesi fa dal carcere napoletano di Poggioreale, dopo il pentimento. Era un detenuto "tranquillo", che non aveva dato problemi; il suo gesto ha sorpreso il direttore del carcere, Giacinto Siciliano il quale afferma che il giovane "era seguito da tutti quotidianamente e costantemente".

Il penitenziario sulmonese entrò in funzione nel 1992; sorge vicino a quello vecchio adattato in un convento benedettino del XII secolo. È composto da 13 fabbricati; le sezioni di detenzione sono dieci per complessive 250 celle in grado di ospitare 500 detenuti, mentre ve ne sono 400. Una struttura moderna, nella quale direzione e Comune organizzano attività per il recupero dei detenuti. Eppure, detiene il primato delle morti: dieci in 12 anni.

Comodo, moderno, ma Rifondazione Comunista ne ha chiesto la chiusura, denunciando la "follia di quel carcere, con situazioni difficili e detenuti senza speranza".

La lunga serie nera comincia il 16 dicembre 1994, con una rivolta dei detenuti. Dieci agenti vengono indagati per presunte violenze sui rivoltosi. Il primo morto è del 19 gennaio 1994: Luigi D’Aloisio, 37 anni, di Barletta (Bari), malato di Aids, si impicca con il lenzuolo legato alla finestra della camera di sicurezza. Il 18 giugno 1999 Cosimo Tramacere (26) di Mesagne (Brindisi), alla vigilia del ritorno in carcere dopo un permesso di tre giorni, si getta sotto a un treno. Il 12 luglio 1999 si impicca in cella con il lenzuolo Antonio Miccoli (30), di Foggia. Il 23 gennaio 2000 l’ergastolano Luigi Acquaviva si impicca nel carcere "Badu ‘e Carros" di Nuoro dove da poco era arrivato da Sulmona dove aveva tentato di uccidere un compagno di cella. Il 2 luglio 2001 le guardie sventano un tentativo di suicidio.

Poi la serie ravvicinata: 19 aprile 2003, si uccide la direttrice; 14 ottobre successivo si impicca in cella, con i lacci delle scarpe legati a una grata, Diego Aleci (41), mafioso di Marsala (Trapani); 28 giugno 2004, allo stesso modo, si uccide Francesco Di Piazza (58), del clan di Giovanni Brusca. Il 16 agosto 2004 il sindaco di Roccaraso (L’Aquila) Camillo Valentini - arrestato due giorni prima per concussione - si soffoca nella cella di sicurezza mettendo la testa in una busta di plastica. Cinque giorni dopo un pedofilo assassino si taglia le vene, ma viene salvato. Il 3 gennaio 2005, con i lacci delle scarpe si impicca Guido Cercola, braccio destro di Pippo Calò, coinvolto nella strage del "Rapido 904’’. Fino alla morte di Nunzio Gallo.

Sappe: preoccupa l’aumento dei suicidi tra i detenuti

 

Comunicato Stampa, 3 marzo 2005

 

"Il fenomeno dei suicidi in carcere (l’ultimo ieri a Sulmona) ci preoccupa, al di là delle tranquillanti dichiarazioni rilasciate oggi alla stampa dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra. Il personale di Polizia Penitenziaria, infatti, è spesso lasciato solo a gestire all’interno dei nostri carceri moltissime situazioni di disagio sociale. Non si può e non si deve chiedere al Personale del Corpo di "accollarsi" la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti".

Lo dichiara la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Corpo di Polizia Penitenziaria, con oltre 12 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività, all’indomani dell’ennesimo suicidio avvenuto nel penitenziario di Sulmona, il sesto in due anni.

"In tale contesto" aggiunge la Segreteria Generale del Sappe "valutiamo molto negativamente la proposta di legge del senatore di AN Meduri, per altro apertamente appoggiata proprio dal presidente Tinebra e giunta ormai alle battute finali in commissione Affari Costituzionali della Camera - sarà all’esame dell’Aula della Camera dal prossimo 14 marzo – che addirittura sopprime la figura dell’assistente sociale per i carcerati e che pensa esclusivamente ad attribuire ai direttori penitenziari ‘‘un’autonoma collocazione professionale" e a riconoscergli ‘‘un peculiare status giuridico ed economico’’. In altre parole, a meri privilegi economici. Una proposta di legge che contestiamo con fermezza, che creerebbe troppe figure dirigenziali rispetto a quelle necessarie sopprimendo nel contempo gli assistenti sociali, soggetti indispensabili per la gestione psico-sociologica dei detenuti. Per cui confidiamo nel senso di responsabilità dei parlamentari perché questa proposta di legge sia fermata per tempo."

Il Sappe, infine, esprime forti dubbi circa la valutazione di Tinebra che i suicidi in carcere sarebbero in calo a livello nazionale. "Alcuni dati diffusi di recente dicono che nelle carceri italiane ci si uccide quasi 20 volte più di quanto si faccia fuori. Nel 2004 i suicidi sono stati 52, soprattutto over 60 e giovani tra i 18 e i 25 anni. Il 60% dei detenuti si uccide nei primi 12 mesi di detenzione e quasi un terzo nel primo mese. Ma il fatto più preoccupante è che nel solo mese di gennaio 2005 ci sono stati ben 10 suicidi di detenuti. Questi sono i dati che devono far riflettere."

Milano: angoscia e speranza, San Vittore per immagini

 

Corriere della Sera, 3 marzo 2005

 

È entrato per la prima volta a San Vittore nel ‘92 per una premiazione, con la sua macchina fotografica al collo. E con il passare degli anni ne è stato conquistato. Nessuno si scandalizzi. Garantisco che ci si può innamorare anche di un carcere: per due occhi che ti guardano, per una storia di grande dignità, per quell’intreccio di disgrazia e di peccato che ispira solidarietà, oppure per il dubbio che ti assale su un possibile errore di giustizia. Roby Schirer ha aggiunto ai sentimenti l’ispirazione artistica. E ha portato il suo obiettivo a rovistare tra angosce, attese infinite, scene di vita impossibile o fasci di luce che illuminano l’intramontabile speranza.

Da questa esperienza umana e professionale nasce, a San Vittore, una mostra fotografica, firmata da Schirer e consacrata alla religione del bianco e nero. Rimarrà a San Vittore sino al 24 febbraio, poi sarà trasferita alla stazione Centrale. Una mostra perché la gente veda, sappia, si convinca che il carcere non è un luogo di mostri o un immondezzaio. Conosco bene San Vittore e, sfogliando il catalogo, ritrovo luoghi e personaggi amici. Il gatto Matisse, re della sartoria femminile, attraversa liberamente le sbarre in una metafora di libertà sotto occhi che di libertà sono assetati. Ecco una galleria di peluche: soggetti da favola nella cella di una giovane detenuta. Una serie di mani in primo piano: mani di carcerati avvinghiati alle sbarre, mani di guardie, pazienti dietro la schiena. Sembrano vasi comunicanti di vite che scorrono sotto lo stesso tetto. Una bianca colomba vola nella Rotonda dove il cardinale celebra la messa di Pasqua. Poi il panorama si capovolge. Nel raggio dei cosiddetti "protetti" più che di celle si dovrebbe parlare di antri: ecco la struggente immagine di una transessuale con il suo sgarro genetico addosso. La faccia durissima di un ergastolano si staglia sullo sfondo di un prorompente nudo femminile.

Anche questo è carcere. Come lo è il megaschermo installato, in occasione dell’inaugurazione della nuova Scala, nella solita Rotonda trasformata per una notte nella dependance del più famoso teatro del mondo. In alcune foto le sbarre diventano maglie della rete di un campo di pallavolo dove le donne di San Vittore hanno formato un’ottima squadra, capace anche di battere gli arbitri di serie A in occasione della visita annuale. E poi, vista dall’alto, la scena del sogno: due detenuti salutano, fuori dal portone di piazza Filangieri. Il soffio dell’arte e della solidarietà umana sulla bravura professionale e la curiosità del testimone: ecco la lezione di Roby Schirer. Questa mostra è un atto di civiltà di cui bisogna dare atto anche a chi l’ha sostenuta e a chi dirige oggi San Vittore - Gloria Manzelli - sulle orme di quel grande uomo-guida che è stato Luigi Pagano. La mostra potrà essere vista alla Stazione Centrale, al binario 21, dal 3 al 24 marzo. L’inaugurazione sarà il 3 marzo alle ore 18.

Venezia: anche i tatuaggi aiutano contro l’overdose

 

Gente Veneta, 3 marzo 2005

 

Non è più l’Aids il pericolo numero uno. Al suo posto c’è l’epatite C. Ma forse condivide questo poco gradevole primato con l’overdose da stupefacenti. Dai tatuaggi gravi infezioni. Parliamo della situazione di pericolo che grava su molti detenuti, anche di S. Maria Maggiore. E il pericolo si chiama droga, che si sospetta entri nel penitenziario, e che alcuni dati indicano sia assunta dal 30% dei carcerati. Ma c’è anche il tatuaggio che, praticato in condizioni di igiene precaria, può portare infezioni molto gravi. Per far fronte a questi rischi è nato il progetto "Questione di pelle". Un progetto a cura dell’unità operativa Lavoro di strada dell’assessorato comunale alle Politiche sociali. Si tratta di operatori che, introdotti nel ‘97, dal 2002 lavorano anche all’interno dell’Istituto circondariale maschile di S. Maria Maggiore. Nel lavoro di strada, gli operatori entrano spesso in contatto con persone che possono avere esperienze di detenzione. Per questo motivo lavorare nelle carceri può rappresentare un’importante azione da svolgere in parallelo al lavoro di strada.

"Questione di pelle" punta dunque a realizzare una attività di prevenzione, realizzando una serie di laboratori nei quali si trattano i rischi legati all’uso di sostanze stupefacenti, che sono comunque presenti anche nella realtà carceraria, e sulle malattie. "Se fino a qualche anno fa l’Hiv era la malattia più diffusa, ora il problema si è spostato sull’epatite C", spiega Alberto Favaretto, dell’equipe "Riduzione del danno". "L’Hiv rimane un problema, ma è tenuto sotto controllo grazie alla diffusione delle informazioni. L’epatite C, invece, è una malattia sottovalutata ma dalle implicazioni ugualmente molto gravi". Primi incontri: buon successo. I dati relativi all’attività sinora svolta presso il carcere maschile veneziano indicano un riscontro positivo nella partecipazione dei detenuti. Questi sono stimolati anche dall’opportunità di avere uno spazio di incontro con persone esterne. Attraverso il tema del tatuaggio, poi - tema di più facile conversazione rispetto a quello della tossicodipendenza - gli operatori hanno la possibilità di diffondere molti messaggi di prevenzione. I laboratori organizzati hanno la durata di circa un mese e vedono un continuo ricambio dei partecipanti, anche per il turn-over strutturale a S. Maria Maggiore. Essendo l’istituto di tipo circondariale, le detenzioni hanno durata più breve rispetto a un normale carcere. Diverso sarà invece il discorso nel carcere femminile alla Giudecca. A breve il progetto partirà anche lì, ma avrà tempi più diluiti perché le attività sono già numerose e le detenute rimangono di più nella struttura.

Livorno: Tinebra; Pianosa sarà un carcere senza sbarre

 

Ansa, 3 marzo 2005

 

L’isola di Pianosa, che ospitò il supercarcere destinato ai detenuti sottoposti al 41 bis, sarà "un carcere senza sbarre". Lo ha detto oggi il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tinebra, a Porto Azzurro con il ministro Roberto Castelli.

"Stiamo cercando - ha detto Tinebra -, in esecuzione dell’accordo con il ministero dell’ambiente e impostando il lavoro in una conferenza di servizi con le varie realtà locali, di realizzare una sorta di carcere senza sbarre dove i detenuti, che dormiranno in appositi alloggi in a bassissima sorveglianza, potranno provvedere al mantenimento dell’isola quindi alla pulizia, alla manutenzione ambientale ma anche alla gestione del bar e del ristorante.

Così - ha detto ancora il capo del Dap - l’isola tornerà pienamente fruibile da parte di tutti e noi potremo espletare la nostra attività di rieducazione inserendoli nella realtà più formativa nel percorso rieducativo, che è il lavoro". Dunque, non ci saranno più supercarceri? "Assolutamente no - ha detto Tinebra -. Non ne abbiamo bisogno, ce ne sono già in terraferma. Non abbiamo intenzione di realizzare qualcosa che assomigli lontanamente a un supercarcere, né in terraferma né su isole".

Sulmona: Cento (Verdi); è ora di chiudere questo penitenziario

 

Il Tempo, 3 marzo 2005

 

Una situazione estrema richiede una misura estrema: la chiusura dell’istituto. Questa richiesta dà il senso del tenore delle reazioni politiche scatenatesi, soprattutto dall’opposizione, in seguito all’ennesimo suicidio nel carcere di Sulmona. Il bersaglio, pressoché unico, è la maggioranza e la politica giudiziaria portata avanti dal governo in questi anni. "La situazione nelle carceri italiane è esplosiva e fa molto male il ministro Castelli a minimizzare mentre dovrebbe assumersi la responsabilità di fronteggiare il dramma dei detenuti", dice Paolo Cento (Verdi), vicepresidente della commissione Giustizia della Camera.

"L’episodio tragico di Sulmona è solo la punta di un iceberg. Quella struttura - rileva - deve essere chiusa ma da tempo ormai denunciamo il degrado generale delle condizioni carcerarie, peggiorato dalle leggi del centro-destra. Il provvedimento dell’indultino, come sostenevamo, è stato del tutto insufficiente per affrontare il problema e ostinatamente la maggioranza continua a proporre norme che impongono più detenzione per i reati che nascono dal disagio sociale.

La verità - conclude Cento - è che il governo Berlusconi, che tutela i potenti e impone il bastone contro i più deboli, non è in grado di far fronte all’emergenza carceraria le cui dimensioni restano immutate". Perché nel carcere di Sulmona ci sono tanti suicidi? Lo chiedono in un’interrogazione al ministro Castelli i deputati Ds, rilevando che vi sono notizie secondo le quali "le condizioni di detenzione all’interno dell’Istituto abruzzese erano ritenute soddisfacenti se raffrontate alla gran parte degli altri istituti penitenziari poiché vi si svolge una intensa e proficua attività trattamentale con diversi ed importanti progetti". Proprio per questo - si afferma in una nota - "appare ancor più preoccupante questo disperato atto di autolesionismo se rapportato anche al numero elevato di suicidi verificatisi negli ultimi due anni".

Gli interroganti - Francesco Carboni, Giovanni Lolli, Anna Finocchiaro e Francesco Bonito - chiedono al Ministro di Grazia e Giustizia "quali siano le valutazioni del Ministro in ordine al fatto accaduto e quali possono essere le motivazioni che spingono così tanti detenuti ristretti a Sulmona a togliersi la vita". Anche Rifondazione Comunista si getta a capofitto sulla vicenda. Quello di Sulmona è un carcere al cui interno vi è "follia, con situazioni difficili e detenuti senza speranza" è l’analisi della parlamentare Elettra Deiana. Il segretario provinciale di Prc, Giulio Petrilli, rincara la dose: "qui l’istituzione penitenziaria perde totalmente la funzione che la costituzione e l’ordinamento le assegnano, quella del recupero e del reinserimento nella vita sociale.

Latina: la denuncia del garante; otto detenuti in una cella

 

Il Tempo, 3 marzo 2005

 

Celle per due dove vengono invece stipati fino ad otto detenuti. Sovraffollato, con poco personale, zero volontari, numerose carenze e ubicato al centro della città, in un luogo assolutamente non adatto e ad alto rischio. Problemi annosi quelli del carcere del capoluogo pontino, andati sempre peggiorando nel tempo. Sicuramente dunque non una novità quanto emerso ieri mattina dalla visita del garante regionale dei detenuti, ma una novità e positiva appare quella che proprio dopo tale visita sembra l’attenzione verso la casa circondariale, per la quale sono state preannunciate ispezioni a cadenza settimanale. Tra vibrate proteste di chi all’interno del carcere lavora, dei detenuti, e altrettante promesse e progetti da parte del mondo politico sulla struttura detentiva, da anni la situazione in via Aspromonte è insostenibile. Una struttura nata per ospitare settanta detenuti, attualmente ne vede al proprio interno 160-180. Tra di loro anche sette brigatiste irriducibili. L’infermeria è in condizioni penose e lì anche trovare farmaci fondamentali sarebbe impresa ardua. Il rapporto di una guardia carceraria ogni detenuto una chimera: il numero degli agenti oscilla tra i 110 e i 120. Neppure il mondo del volontariato, tranne casi sporadici, varca le porte della casa circondariale. La morte di don Lorenzo, il cappellano, ha lasciato un ulteriore vuoto. In via Aspromonte soltanto un sacerdote, una volta a settimana, celebra la messa.

Una struttura ad alto rischio, invivibile all’interno ma pericolosa anche per la città, immersa com’è nel centro cittadino. Pochi mesi fa, un black-out aveva fatto temere il peggio, con le strade attorno al carcere circondate da polizia e carabinieri. Basta poco per far scattare l’allarme e dei tanti progetti annunciati dal mondo politico per trovare una soluzione, spostare la casa circondariale e migliorarne le condizioni, non sembra essere seguito nulla di concreto.

"Il carcere di Latina soffre per il sovraffollamento, per la carenza di agenti ed educatori e per una città che considera la struttura un corpo estraneo", ha subito affermato ieri il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni, al termine della visita nella struttura carceraria. Marroni è arrivato in via Aspromonte attorno alle dieci del mattino e si è trattenuto lì fino alle dodici e quarantacinque, visitando tutte le sezioni detentive e trattenendosi a lungo con i carcerati, che hanno rappresentato al garante i loro problemi.

La visita aveva come scopo proprio quello di ascoltare le esigenze dei detenuti e degli operatori, agenti della polizia penitenziaria in primis, per stabilire quali siano le priorità ed i problemi più urgenti da affrontare e risolvere. Marroni ha raccontato "di celle fatte per due detenuti con 6-8 persone e quelle da un posto con tre persone, e di una infermeria inadeguata". "In queste condizioni - ha detto - le attività trattamentali finalizzate a preparare l’uscita dal carcere dei detenuti sono inevitabilmente penalizzate anche a causa della carenza di personale, di agenti e di educatori. La direzione è disponibile e molte cose possono essere superate con un aumento del personale. Una cosa che però ho notato è che la città considera questa struttura estranea, non ci sono volontari". Solite considerazioni? L’attenzione sembra diversa. Al termine della visita è stato infatti stabilito che i collaboratori dell’ufficio del garante regionale dei detenuti si recheranno una volta a settimana nella struttura, per ascoltare dai detenuti le priorità da affrontare per rendere vivibile la casa circondariale.

Agrigento: nasce "Spirito libero" mensile redatto dai detenuti

 

La Sicilia, 3 marzo 2005

 

Si chiama "Spirito libero" e verrà presentata questa mattina. È una pubblicazione che dovrebbe avere cadenza mensile e che verrà realizzata dai detenuti della casa circondariale di Sciacca. L’iniziativa è stata organizzata dal Centro territoriale permanente che svolge attività nel campo dell’istruzione per i lavoratori e per gli adulti. La pubblicazione fa parte di un progetto promosso dal centro, che ha sede presso l’istituto tecnico commerciale "Don Michele Arena", presieduto da Margherita Sciortino.

Si tratta di un foglio che è il naturale completamento dei corsi scolastici svolti all’interno della struttura carceraria. Quindici i detenuti che con entusiasmo hanno accolto la possibilità di poter scrivere degli articoli sul foglio che oggi uscirà per la prima volta. I detenuti due volte la settimana hanno la possibilità di poter affrontare temi trattati dai maggiori quotidiani e periodici nazionali - dice la Sciortino - poi possono mettere su carta le loro impressioni, le loro riflessioni".

Nel primo numero gli interventi della Sciortino e del direttore della casa circondariale, Fabio Prestopino, oltre ad alcuni scritti dei detenuti. La presentazione avrà luogo alle ore 10 nei locali della struttura carceraria, alla presenza dei docenti che hanno curato il progetto.

Il giornale avrà cadenza mensile ed è compreso nel corso di giornalismo che il centro territoriale permanente già svolge all’interno della casa circondariale, caratterizzato da una disponibilità di parecchi detenuti.

Trapani: addio al nuovo carcere, sindacati scrivono al ministro

 

La Sicilia, 3 marzo 2005

 

Del nuovo carcere se ne parla dal 2001. Addirittura nel 2003 il ministro della Giustizia Castelli, intervenendo alla festa della polizia penitenziaria sull’isola di Formica, assicurò che il nuovo penitenziario a breve sarebbe stato costruito. "Ci eravamo illusi che finalmente era arrivato il momento buono" dicono i sindacati della polizia penitenziaria che giorni addietro hanno appreso che l’impresa che avrebbe dovuto costruire il nuovo carcere ha dato forfait. Addio sogni di gloria. Al vento ogni promessa.

Sappe, Cisl, Uil e Ugl ieri hanno deciso di scrivere al ministro guardasigilli Roberto Castelli e ad una serie di autorità, anche al presidente dell’Antimafia nazionale, Roberto Centaro, per esprimere la loro protesta. Risentiti che dal ministero nessuno ha deciso di far scendere il silenzio sulla circostanza dell’appalto conclusosi prima ancora di cominciare. L’impresa aggiudicataria era la ditta Tondini, protagonista di un lungo contenzioso con l’amministrazione giudiziaria, e che ha deciso di rinunziare all’esecuzione dell’opera. "Il nuovo penitenziario - ricordano i sindacati degli agenti - risulta essere finanziato dal 1987 ma non si riesce a costruirlo. prendiamo atto che la questione non interessa nessuno nemmeno i parlamentari della nostra provincia. Altro che lotta alla mafia - proseguono - qui si rinunciano ai baluardi da frapporre alla criminalità organizzata e mafiosa". Un documento pesante che pone anche il problema dell’inadeguatezza dell’attuale carcere, invivibile per tutti, agenti e detenuti: "Siamo amareggiati, in preda a sconforto e delusione". I sindacati lanciano un appello ai parlamentari e al ministro perché alla fine si faccia quello che fin’ora non si è fatto.

Latina: organici ridotti e nessun dialogo con l’esterno

 

Il Messaggero, 3 marzo 2005

 

"Si chiudono gli occhi e si fa finta di nulla. La comunità locale sembra aver assunto un atteggiamento di completa indifferenza, di non curanza e di disinteresse di quello che succede dentro il carcere di Latina. Manca quasi completamente un rapporto tra la realtà interna ed esterna.

Un fattore che ostacola, e non di poco, le attività finalizzate a preparare l’uscita dal carcere dei detenuti. Un problema purtroppo che non deriva solamente dall’organizzazione ma anche dalla carenza di personale, di agenti e di educatori". È un monito duro quello di Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti per conto della Regione Lazio. Ieri mattina era in città, insieme ad alcuni suoi collaboratori ha visitato il carcere del capoluogo.

Una sopralluogo ufficiale durato due ore, che rientra in un programma ben definito nato con l’obiettivo di venire a conoscenza delle problematiche esistenti nel carcere e per ascoltare le esigenze dei detenuti e degli operatori. Ieri mattina ad attenderli, oltre il direttore dell’istituto, Claudio Piccardi, che lo ha informato sulle reali condizioni in cui si vive e si lavora nel carcere, c’erano anche molti detenuti che hanno esposto un serie di problemi, soprattutto legati al sovraffollamento delle celle e alla mancanza di attività. "Effettivamente - spiega Marroni - durante la nostra passeggiata abbiamo notato che livello di vivibilità all’interno delle celle è ridottissimo. I detenuti sono ammassati: 3 in stanze da uno, 6 in stanze da 2. Una situazione al limite dell’accettabile".

Un problema atavico, sollevato centinaia di volte dagli operatori, sottolineato anche da alcuni politici locali, ma per il quale finora sembra non esserci alcuna soluzione. Per risolvere la situazione spesso si è discusso in diverse sedi della necessità di trasferire il carcere: la struttura non è ampliabile, ed è in pieno centro, fattori che non permettono quell’opera di riqualificazione di cui, però, il carcere ha bisogno.

Tante le promesse, tutte finite nel dimenticatoio. "Sinceramente, tra le nostre priorità - spiega Marroni - ora non c’è quella di collocare il carcere presso un’altra sede. Anzi, sono convinto che il fatto che la casa circondariale si trovi nel centro cittadino potrebbe aiutare l’integrazione tra i detenuti e l’esterno".

Dalla visita è emerso anche un altro dei problemi che da anni attanaglia la casa circondariale di via Aspromonte e che ostacola il normale svolgimento delle attività: la carenza di personale. "Il personale penitenziario - spiega Marrone - ha una mole di lavoro non indifferente e turni estenuanti. Spesso si è sotto organico, soprattutto durante le ore notturne dove a garantire la sicurezza e un eventuale intervento non ci sono più di tre agenti".

Tra le note negative del carcere c’è anche l’infermeria, piccola e fatiscente, priva di attrezzature idonee a garantire un servizio di prima emergenza ai detenuti. La lista dei difetti è stata redatta, ma Angiolo Marrone comunque è ottimista. "Ho notato con piacere una grande disponibilità da parte della direzione a collaborare con noi e lavorando insieme riusciremo, partendo per esempio da un aumento dell’organici, a far fronte ai problemi. Come primo passo, a breve, verrà attivato un servizio permanente all’interno del carcere, una volta alla settimana: i miei collaboratori avranno il compito di accertarsi delle condizioni dei detenuti ascoltando il disagio che tutti i giorni vivono". Un servizio che potrebbe essere una chiave di volta per tutti, detenuti e operatori.

Sulmona: il sindaco; andare avanti nel difficile lavoro iniziato...

 

Il Tempo, 3 marzo 2005

 

"Bisogna andare avanti nel difficile e faticoso lavoro iniziato, un lavoro tenacemente portato avanti dalla direzione del carcere e che ha visto una progressiva apertura del penitenziario alla città: la mostra di pittura, il cinema, la cura del verde pubblico".

Il sindaco di Sulmona, Franco La Civita (nella foto), è meravigliato dell’ennesimo suicidio consumatosi in via Lamaccio ed esprime la sua piena solidarietà agli operatori, convinto che la gestione della vita carceraria sia un argomento articolato che mette in gioco diversi livelli di rapporti umani ed educativi.

"Per questo - continua il primo cittadino - dobbiamo inventarci, come Amministrazione, sempre nuove forme di collaborazione e di scambio. Al direttore e alla Polizia penitenziaria dico di non demordere, perché il lavoro svolto porterà i suoi frutti". Frutti che per i Ds devono però essere alimentati: "Abbiamo lanciato l’allarme sull’assistenza sanitaria disastrata, ma dal Governo non abbiamo ottenuto risposte. Il carcere di Sulmona soffre di carenze di personale, di educatori, persino del presidio sanitario con l’obbligo all’assistenza psichiatrica.

Lo Stato - continuano i Ds - si impegni, questa volta davvero, a stanziare i fondi necessari affinché si trovi finalmente una soluzione alle numerose carenze che pur ci sono. Senza paventare spettri di chiusura o soluzioni radicali che non risolvono il problema, chiediamo al Governo centrale di impegnarsi anche economicamente affinché gli obblighi dell’assistenza psicologica vengano rispettati". Di parere opposto è invece Rifondazione Comunista che chiede senza mezzi termini la chiusura del penitenziario sulmonese.

"Abbiamo già denunciato - commenta il segretario provinciale di Prc, Giulio Petrilli - la follia di quell’Istituto dove sono concentrate tante situazioni difficili, dove c’è l’isolamento diurno, cioè un surplus di pena che condanna il detenuto all’isolamento totale. Non c’è nessun contatto con il mondo esterno. Nessuna speranza in quel carcere, dove vige solo il concetto dell’espiazione e non del reinserimento".

Pescara: detenuti delle Costarelle a scuola di cinema

 

Il Messaggero, 3 marzo 2005

 

Buona ed interessata la partecipazione alla prima lezione del corso di Cinema, svoltasi ieri all’interno della Casa Circondariale "Le Costarelle". Il corso, all’interno di un programma di recupero e reintegrazione dei detenuti, abbraccia tutta una serie di attività ricreative, scolastiche e sportive, ed è coordinato nel suo complesso dal responsabile dell’Area pedagogica del Penitenziario, Antonio De Rossi, e dalla Lanterna Magica, per conto della quale sta tenendo le lezioni il critico cinematografico Piercesare Stagni, grazie anche all’aiuto degli agenti della Polizia Penitenziaria e dell’insegnante del carcere, Francesca Giuliani.

"I risultati, dopo appena 3 ore di lezione, sono incoraggianti - ha detto il docente, Stagni -. In tre volte cercheremo di approfondire il linguaggio cinematografico. Nove sono invece le proiezioni integrali di film, scelti interamente dai detenuti". Tra le competenze che l’Istituto cinematografico vorrà far loro acquisire, la capacità di andare a fondo nell’argomento "Cinema", utilizzandone il linguaggio come strumento di formazione di una coscienza critica. "La Casa circondariale non è nuova ad attività culturali. Lo sconto della pena - ha aggiunto De Rossi - è uno problema sociale che deve coinvolgere tutte le risorse del territorio, e la Lanterna Magica è una di queste". Iscritta al corso è più della metà della popolazione detenuta a Preturo (esclusi per questioni di sicurezza i 41 bis).

Padova: un diploma da pittore consegnato a 14 detenuti

 

Il Gazzettino, 3 marzo 2005

 

Michele, Domenico, Stefa, Giuseppe, Davide, Giulio, Nicola, Amid, Franco. Sono alcuni dei detenuti che ieri, nell’aula laboratorio dell’istituto di reclusione Due Palazzi, hanno ricevuto l’attestato di partecipazione al corso di decoratore di opere murarie organizzato dall’Enaip e finanziato dalla Regione Veneto.

Il diploma - conferito al termine di trecento ore di lezione su come realizzare un disegno e un rilievo di un manufatto edilizio, le caratteristiche della storia delle tecniche di decorazione murale, le metodologie pittoriche antiche e moderne, la sicurezza sul lavoro - consentirà ai quattordici decoratori-pittori, una volta fuori dal carcere, di entrare con una marcia in più nel mondo del lavoro: il profilo professionale acquisito dietro le sbarre è infatti quello di operatore in cantieri edili e di restauro, con competenze che consentono di comprendere ed eseguire le disposizioni di un geometra o di un architetto.

In risposta alla legge Gozzini, dunque, che prevede un incremento delle possibilità, per coloro che sono reclusi, di accedere a misure alternative alla pena, Enaip Veneto ha voluto offrire un’opportunità di recupero socio-culturale e professionale alla popolazione penitenziaria. "Ci avete dimostrato che non siamo soli. Grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto - ha dichiarato Domenico, 35 anni, a nome di tutti i corsisti - e hanno reso bella un’esperienza che va ad arricchire il bagaglio personale di ognuno di noi".

"I risultati sono davvero incoraggianti - ha commentato Stefano Moro, responsabile formazione settore restauro Enaip e tutor del corso - tanto che le competenze che i detenuti ci hanno dimostrato di aver acquisito ci hanno lasciati particolarmente sorpresi e soddisfatti". I quattordici decoratori, tavolozza alla mano, hanno affrescato la sala mensa delle guardie carcerarie

Sulmona: Codacons; adesso Castelli chiuda questo carcere...

 

Vita, 3 marzo 2005

 

Dopo l’ultimo suicidio avvenuto in cella a Sulmona, il Codacons si rivolge oggi al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, chiedendo la chiusura immediata del carcere abruzzese.

"Il sesto suicidio negli ultimi due anni all’interno del penitenziario - afferma il presidente del Codacons, Carlo Rienzi - fa nascere troppi sospetti e troppe domande". "In attesa che la magistratura compia tutte le indagini e accerti i fatti - aggiunge Rienzi - chiediamo dunque di chiudere cautelarmente il carcere di Sulmona, e avviare delle indagini approfondite per capire come mai tra le mura del penitenziario di via Lamaccio si registri un così alto livello di suicidi".

Roma: apre una casa di residenza per detenuti ed anziani

 

Roma One, 3 marzo 2005

 

Nasce nell’estrema periferia della Capitale la nuova casa di residenza per anziani e reclusi. Immersa nella campagna dell’agro romano, il complesso ospiterà fino a 45 bisognosi ai quali verrà offerto un nuovo lavoro. Si chiama "Isola dell’amore fraterno" ed è la nuova casa d’accoglienza gestita dall’omonima associazione cattolica e rivolta a detenuti ed anziani. Immersa nel verde dell’agro romano, la struttura residenziale troneggia su un piccolo colle in via Ardeatina, a pochi centinaia di metri dal Gra.

Il complesso, una vecchia azienda agricola tipica della zona, ospita attualmente 25 inquilini, numero prossimo ad aumentare per via dei lavori di ristrutturazione realizzati dall’Isma (Istituti di Santa Maria in Aquirio). Saranno 45 infatti i bisognosi che a breve troveranno accoglienza nei locali della residenza; si tratta per lo più di detenuti, in particolare quelli soggetti a pena alternativa o in custodia cautelare, in permesso premio o in semilibertà.

Ma nella casa c’è posto anche per gli ex reclusi. Scontata la loro pena e saldato ogni debito con la giustizia, questi avranno infatti la possibilità di reinserirsi nella società, sfruttando gli spazi di socializzazione offerti dalla struttura. Un letto, un pasto caldo e non solo. Gli ospiti della casa d’accoglienza svolgono a pieno ritmo attività di artigianato e di laboratorio, imparano nuovi mestieri e contribuiscono alla crescita di piccole realtà imprenditoriali.

Ne è un esempio la carrozzeria adiacente alla casa, nella quale alcuni inquilini svolgono quotidianamente i comuni lavori di riparazione alle auto per conto di una cooperativa di solidarietà sociale. Non mancano poi gli impieghi agricoli e di falegnameria.

"Diamo una seconda opportunità a chi ne ha bisogno - afferma soddisfatto Stefano Zoani, presidente dalle Iaf - è importante dare una casa ed un lavoro a queste persone. Assai spesso è chi non ha un lavoro che commette reati e va in carcere".

Nata con lo scopo di assistere i soggetti a rischio emarginazione, la casa ha il delicato ruolo di assistere e lenire i disagi di chi accoglie, svolgendo un’attività pedagogica e ricreativa. Sostituirsi alla famiglia la dove questa è assente, assistere persone abbandonate a se stesse una volta fuori dal carcere. È un progetto in continua espansione.

La onlus cattolica prevede infatti di aumentare sensibilmente il proprio impegno e la ristrutturazione dei locali in atto ne è un esempio. Nascerà una nuova mensa, una cucina, uno studio medico e nuovi spazi dove gli ospiti della casa trascorreranno il loro tempo libero giocando a carte, leggendo libri e giornali, e tanto altro. Insomma, una piccola "isola" di civiltà immersa in tanta indifferenza.

 

 

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