Rassegna stampa 11 marzo

 

Padova: dietro le sbarre cresce un Granello di Senape

 

Il Gazzettino, 11 marzo 2005

 

Il fiore all’occhiello rimane la rivista "Ristretti Orizzonti" (che vanta come abbonato e sostenitore più fedele il senatore a vita Giulio Andreotti). Ma l’incontro con le anime del volontariato penitenziario italiano - alla Rotonda 3 del carcere Due Palazzi di Padova - ha permesso di scoprire le varie attività dei laboratori dei detenuti. Vederli impegnati e sentirli raccontare i loro lavori aiuta a capire una realtà che viviamo (e a volte giudichiamo) da perfetti sconosciuti: la realtà del "Due Palazzi", il più grande carcere del Nordest, è fatta di uomini - a tutt’oggi poco più di 700 (250 dei quali stranieri) - che hanno sbagliato e stanno pagando i loro debiti con la giustizia. Invece di vegetare o di auto-distruggersi (i suicidi dietro le sbarre sono 20 volte superiori alla media: 83 nel solo 2003), questi uomini fanno capire di voler essere utili alla società e chiedono di "lavorare, comunicare, esprimerci e imparare un mestiere onesto".

Grazie alla dedizione di una decina di donne instancabili (le volontarie del "Granello di senape" guidate dalle sorelle Favero) ci stanno riuscendo: lo dice la soddisfazione degli enti in cui hanno trovato lavoro. Lo conferma il sindaco di Limena, Gilberto Vettorazzi, che ne ha accolto uno come bibliotecario e un altro come stradino ("A tutti i costi ha voluto quell’incarico - spiega - anche se è un ex colonnello della Guardia di Finanza"). Lo dicono anche altri suoi colleghi sindaci di Galliera Veneta, Curtarolo e San Giorgio in Bosco, oltre ai responsabili del Parco dei Colli Euganei e di altre aziende per cui i detenuti realizzano soprattutto lavori di documentazione o di legatoria. Sono le opere che escono dai quattro laboratori del carcere, il "Centro di documentazione", nato otto anni fa per realizzare le rassegne stampa sotto il coordinamento dei docenti della scuola Parini di Camposampiero.

Da quel primo embrione è nato il periodico bimestrale "Ristretti Orizzonti" (20 redattori-detenuti più 12 colleghe del carcere femminile di Venezia), il Tg2 Palazzi (unico telegiornale d’Europa fatto da detenuti); la biblioteca (poco più di 8.000 volumi e 5.000 prestiti l’anno) e la legatoria con corso annuale gestito dal Ciofs (ha una media di 11 allievi). Il corso più seguito è stato però quello per documentalisti che ha formato operatori esperti anche di informatica ed è stato finanziato da Regione Veneto.

Lo hanno spiegato in un affollato incontro gli esperti della Fondazione italiana volontariato (Fivol), del Centro Maderna di Stresa che si occupa di anziani (ed è convenzionato col ministero del Welfare) oltre ai vari docenti impegnati a titolo gratuito (Capitani, De Robbio, Ellero, Rosa, Tosato e Zanon): "C’è una serie di attività collegate al lavoro di documentazione che va dalle biblioteche, alle banche dati, fino agli istituti di ricerca, tutti potenziali datori di lavoro - hanno ricordato i docenti - Ma al di là dell’impiego futuro è da rimarcare il grande entusiasmo con cui i detenuti hanno aderito all’iniziativa".

"Il vero problema - precisa la volontaria Maria Stella Dal Pos - è che in questi laboratori c’è molto turn over a causa delle uscite per fine pena o permessi premio. Mi capita di dispiacermi per alcune defezioni dopo i risultati ottenuti e dire: "peccato che sia uscito quello!" dimenticando che si tratta di uomini tornati finalmente liberi". Nessuno resta in contatto con il Centro?

"È difficile, anche se c’è stato un caso - spiega l’altoatesino Peter, condannato a 20 anni - Ma una volta finita la pena si vuol chiudere con un periodo che, dentro e fuori, viene visto solo in termini negativi. Il nostro impegno in queste attività cerca invece di creare i presupposti per un nostro reinserimento sociale".

I detenuti del Due Palazzi devono tutti scontare pene per reati gravi con sentenze definitive. Ci sono una decina di "fine pena mai" ovvero di ergastolani (gli autori di omicidi). È proprio uno di loro, Marino, che sintetizza al meglio il lavoro dei laboratori: "Cerchiamo di operare con correttezza e serietà anche se è comprensibile che fuori di qui possa sembrare un paradosso. Ma stare in redazione per noi vuol dire rinunciare all’ora d’aria è quindi un piccolo sacrificio. Il nostro lavoro è valorizzato dalla grande competenza delle sorelle Favero senza le quali per molti di noi il carcere sarebbe davvero la fine della vita: invece riusciamo a renderci utili a quella società di cui abbiamo violato le regole per cui giustamente dobbiamo scontare una condanna".

La serenità di questo "fine pena mai" pare un inno alla vita paradossale fra le mura del Due Palazzi, una casa di reclusione in cui si vive (rigorosamente in coppia) all’interno di celle di 8 metri quadri. Eppure - a differenza di molte altre carceri del Nordest e soprattutto di quelle friulane - c’è un’atmosfera di solidarietà umana confermata dal direttore Salvatore Pirruccio: "Sono responsabile di questa struttura da 4 anni e grazie al lavoro degli agenti e delle volontarie, ho sempre trovato un buon clima fra i detenuti con rarissimi episodi spiacevoli. Facciamo del nostro meglio per lavorare rispettando la dignità di tutti".

"Il resto lo deve fare la società" conclude Ornella Favero. "Noi volontarie cerchiamo di far conoscere all’esterno la realtà carceraria esattamente come è: i 500 contatti giornalieri sul sito www.ristretti.it ci porta a dire che siamo sulla strada giusta". Gigi Bignotti 

Ti voglio tanto bene, ma non tornare in un posto così

 

Il Gazzettino, 11 marzo 2005

 

Pubblichiamo una lettera tratta dal libro "L’amore a tempo di galera", con le testimonianze dei detenuti nel carcere Due Palazzi di Padova.

Ciao papà, come stai? Spero bene. Ti scrivo innanzitutto per scusarmi di non averlo fatto prima, ma... sai come sono fatto, comunque spero che tu mi possa perdonare.

Non so quando uscirai per sempre, spero soltanto che a quel punto tu possa cancellare tutta la brutta avventura che hai trascorso finora, papà non voglio più vederti in galera, per favore so che non lo vuoi neanche tu, però dipende da come ti comporti e ti ripeto, spero che non ci andrai mai più in un posto così brutto, perché adesso ho quindici anni e ho tanta voglia di conoscere mio padre. Con questo non aggiungo altro, ragiona sulle parole che ti ho detto.

Papà ti devo dire una novità: con A. mi sono lasciato perché ero stufo di lei, era troppo appiccicosa e poi le ho detto che a Capodanno mi sono baciato con un’altra e così ci siamo lasciati: meglio così. Adesso per un po’ non voglio altre ragazze... Beh, penso di averti detto tutto, tutto ciò che mi passava per la testa. Oh dimenticavo... il mio cellulare è troppo bello, poi ti farò una foto. Adesso ti saluto perché sono un po’ stanco, sono le due di notte, ti sto scrivendo e domani ho scuola, perciò buonanotte papà. Ti voglio tanto bene.

 

Tuo figlio

Padova: "Ristretti Orizzonti", un fenomeno editoriale

 

Il Gazzettino, 11 marzo 2005

 

"Ristretti Orizzonti" è il periodico della vita carceraria, edito dai detenuti del Due Palazzi esce in 7 numeri l’anno. La sua avventura iniziò nel 1997 da un piccolo gruppo coordinato da Ornella Favero ed ora ha due redazioni: al Due Palazzi di Padova con venti redattori e alla Giudecca di Venezia nel carcere femminile con altre 11 colleghe. Queste ultime curiosamente si firmano soltanto con i nomi di battesimo: 7 sono italiane (Adriana, Francesca, Isabella, Maria, Marta, Paola e Veronica) e 4 straniere (Slavica, Ina, Natasha e Katharina, la decana del gruppo che parla 4 lingue). È diretto da Ivano Spano, ma la "trascinatrice" è sempre l’insegnante padovana Ornella Favero.

La rivista si trova anche sul sito www.ristretti.it che ha finora creato - grazie a un web master interno - ben 6.500 pagine di atti e documenti e ha oltre centomila visitatori l’anno.

Dal periodico, su iniziativa dell’ex deputato Emilio Vesce (scomparso 4 anni fa), è nato il gruppo che dà vita al telegiornale Tg2 Palazzi trasmesso con un circuito tv interno e su Telechiara tutti i sabati alle 13. La redazione, 14 detenuti, realizza anche cortometraggi, documentari e sport sociali insieme al gruppo Rewind. La rivista è un piccolo fenomeno editoriale che ha fra i sostenitori il senatore Giulio Andreotti: "Ogni anno - spiegano i detenuti - paga l’abbonamento con grande anticipo e l’ultimo versamento è stato di tre volte superiore all’importo ordinario (che è di soli 13 euro). È uno dei nostri sostenitori più assidui".

C’è poi Radio Cooperativa che con Ristretti Orizzonti propone una trasmissione settimanale sui temi del disagio sociale e, in particolare, della giustizia e del carcere. Ogni martedì, dalle 14.15 alle 15.45, Francesco Morelli (ex detenuto) conduce RistrettiRadio (Fm 92.700). Da segnalare infine la produzione di Cd rom: i detenuti ne hanno in catalogo dieci su temi sociali e sui lavori del Centro studi del carcere.

Per il lavoro di documentazione i detenuti hanno però il problema del divieto di accedere a Internet: lo possono fare solo quelli in semilibertà e gli assistenti. Proprio dalla giornata di studio di mercoledì è emersa la proposta di autorizzare, grazie alle nuove tecnologie, l’utilizzo di un determinato tipo di pagine (di informazione e di temi sociali). Inoltre il Centro Maderna per anziani ha accolto l’idea di creare pagine Web di consigli contro le truffe agli anziani (fenomeno in continuo aumento) fatte proprio dai detenuti.

Perugia: il legale di Paolo Dorigo; "liberatelo…"

 

Il Gazzettino, 11 marzo 2005

 

Un accorato appello a tutte le forze democratiche e progressiste e alla società civile è partito ieri dall’avvocato Vittorio Trupiano, legale di Paolo Dorigo, perché si possa realizzare la massima solidarietà ed unità di intenti per poter restituire la libertà al suo assistito. Paolo Dorigo si trova rinchiuso nel carcere di Spoleto dal 1993 e è condannato a 13 anni e sei mesi di reclusione per un attentato alla base militare Nato di Aviano, rivendicato dalle Brigate Rosse. "È oramai dal 1998 che lo Stato Italiano - afferma l’avvocato Trupiano - è stato invitato da Corte Europea, Comitato dei Ministri e Consiglio d’Europa a ricelebrare quel processo secondo i canoni del giusto processo. Il risultato è che Paolo Dorigo sta ancora là, nella Casa di Reclusione di Spoleto, sottoposto al regime di elevata vigilanza e relative restrizioni annesse, compresa la censura, proprio come se la Giurisdizione Europea non esistesse.

Paolo Dorigo finora ha scontato 12 anni e 6 mesi della pena iniquamente inflittagli. Fra 1 anno, quindi, deve essere necessariamente liberato. Poteva accadere prima, solo se avesse richiesto la liberazione anticipata per buona condotta o se avesse accettato la proposta di grazia, se ciò non è accaduto è solo perché chiedendo i benefici di legge o, peggio, accettando la grazia, avrebbe implicitamente riconosciuto la propria colpevolezza".

"Il prossimo 23 marzo - prosegue il legale - il Tribunale di Sorveglianza di Perugia deciderà se liberare Paolo Dorigo in sospensione di pena, o se concedergli gli arresti ospedalieri in struttura extra carceraria. Tutto ciò dopo una mobilitazione di deputati della sinistra, tuttora in sciopero della fame a staffetta in segno di solidarietà al prigioniero politico, di buona e qualificata espressione del mondo della cultura e dell’arte, specialmente veneta, e di massa. 

Gran Bretagna: chiude prigione galleggiante aperta nel 1997

 

Tg Com, 11 marzo 2005

 

Era stata progettata per ovviare al problema del sovraffollamento delle carceri inglesi, ma ora si avvia alla chiusura, prevista entro fine anno. La prigione di Weare, l’unico "carcere galleggiante" del Regno Unito, è un’imbarcazione ormeggiata a Portland, nel Dorset e funziona da otto anni. Pare però che l’ambiente sia troppo insalubre e le celle troppo strette, per questo si è deciso di farla chiudere.

Il "varo", è proprio il caso di dirlo, del carcere risale al 1997, anno in cui il governo britannico decise di riadattare a luogo di detenzione un’imbarcazione fluviale vecchia di 25 anni. I detenuti per i quali non si riusciva a trovare una sistemazione nelle prigioni ordinarie venivano dirottati temporaneamente a Portland, nel "carcere galleggiante".

L’ispettrice capo delle carceri, dopo aver visitato Weare, ha però comunicato tramite un rapporto che nella prigione non vengono tenute in considerazione le più elementari norme di pulizia e igiene. I detenuti sono costretti a vivere in celle troppo strette e sporche, inoltre è loro negata la possibilità di godere dell’ora d’aria. Per questi motivi Portland dovrà rinunciare alla sua prigione galleggiante, che chiuderà i battenti entro la fine del 2005.

Agrigento: convegno su volontariato e processi di rieducazione

 

La Sicilia, 11 marzo 2005

 

I rappresentanti provinciali di istituzioni e forze dell’ordine hanno partecipato ieri al convegno su "Volontariato e misure alternative al carcere nei processi di rieducazione" (nella foto un momento della manifestazione) organizzato dall’Osservatorio Sociale e dal centro "3P".

Il prefetto di Agrigento Bruno Pezzuto, il questore Nicola Zito ed il colonnello dei carabinieri Paolo Edera, hanno preso parte all’incontro dibattito insieme a magistrati, rappresentanti del Ministero della Giustizia, del clero, della Caritas, dell’amministrazione comunale e della società civile. "3 P" ed Osservatorio hanno illustrato il progetto che prevede il reinserimento nella società di soggetti a rischio affidatigli dai Servizi Sociali. 

Forum tutela salute: situazione drammatica, salute diritto negato

 

Il Gazzettino, 11 marzo 2005

 

La situazione sanitaria nelle carceri italiane è "drammatica" ed il diritto dei detenuti alla salute "è spesso di fatto negato". È questa la denuncia di varie associazioni ed operatori del settore che ieri hanno annunciato la nascita del "Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e l’applicazione della riforma della medicina penitenziaria". Proprio questo tema sarà l’oggetto di un convegno il 20 maggio prossimo al Due Palazzi.

"Obiettivo - spiega Oriano Giovannelli, presidente di Legautonomie - è di stimolare le regioni sull’emergenza carceri con azioni concrete in programma su tutto il territorio e avviare un monitoraggio". Dal Forum è partito anche un appello preciso indirizzato a tutti i candidati alla presidenza delle Regioni nella consultazione del 3 e 4 aprile: "Assumano un impegno pubblico finalizzato a esercitare la competenza conferita alle Regioni dalla Costituzione e per questo presentino e facciano approvare, entro i primi cento giorni della legislatura, una legge regionale per il riordino della medicina penitenziaria".La situazione attuale, denuncia infatti il Forum, è "insostenibile": "Il vecchio sistema sanitario penitenziario - ha spiegato Giovanelli - gestito direttamente dal ministero della Giustizia, ha dimostrato più volte il suo fallimento, determinato anche dalla drastica riduzione degli stanziamenti in bilancio, tanto che si è passati dai 115 milioni di euro del 1998 agli 81 del 2004, con una riduzione di circa il 30 per cento". Ma il punto, denunciano le organizzazioni, è che il governo non ha dato concreta realizzazione alla legge 230 del 1999 sul riordino della medicina penitenziaria, che prevede il trasferimento dal ministero della Giustizia alle Regioni della competenza ad organizzare nelle carceri le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Ad oltre cinque anni di distanza, ha sottolineato Giovanelli, "solo due funzioni sanitarie, vale a dire la prevenzione e la tossicodipendenza, sono passate dal ministero alle Regioni, e per di più senza sufficienti risorse finanziarie e professionali, mentre solo due regioni, Lombardia e Toscana, hanno legiferato in materia".

Insomma, è il richiamo del Forum, "è tempo che le Regioni si facciano carico di un potere conferito loro anche alla luce della riforma del titolo V della Costituzione, impegnandosi ad attuare il Servizio sanitario nazionale nelle carceri del proprio territorio, perché questo Ssn - aggiungono - non è emendabile e va rifondato".

Cagliari: incontro-dibattito sulla situazione delle carceri

 

Progetto Sardegna, 11 marzo 2005

 

Il carcere è un concentrato di miseria, malattia mentale e fisica, tossicodipendenza, marginalità sociale. Alcune di queste condizioni espongono più facilmente al comportamento delinquenziale, altre, come la sofferenza psichica, accompagnano inevitabilmente la carcerazione. Il suicidio in carcere è una evenienza tristemente abituale: non è facile conciliare l’esigenza di sicurezza sociale con le esigenze di cura della persona. La Sardegna è la regione che in rapporto alla sua popolazione contribuisce più di ogni altra in Italia all’invio di persone negli ospedali psichiatrici giudiziari (ex manicomi criminali). Gli interventi di riabilitazione e reinserimento sociale dei detenuti costituiscono una priorità nella società civile. La promozione e la tutela della salute mentale è parte essenziale del processo di riabilitazione. L’Associazione Progetto Cagliari e il Gruppo Consigliare di Progetto Sardegna hanno invitato per affrontare questi argomenti personalità tra le più competenti in Italia, con lo scopo di comprendere meglio quale sia la realtà attuale e quali siano le prospettive per la Sardegna. L’appuntamento è per il 14 marzo 2005 a Cagliari, al Teatro delle Saline, con inizio alle ore 17.00.

Introdurranno i lavori i Consiglieri Regionali Gian Luigi Gessa e Sandro Frau, modererà Pier Paolo Pani, Medico Psichiatra. Le relazioni tecniche saranno precedute da una breve rappresentazione teatrale curata da Lelio Lecis. Interverranno Leonardo Bonsignore, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, Gemma Brandi, psichiatra e psicoanalista, direttore della rivista "Il reo e il folle", Peppe Dell’Acqua, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, Paolo Pisu, Presidente della Commissione Diritti Civili del Consiglio Regionale. Chiuderà i lavori l’Assessore Regionale alla Sanità Nerina Dirindin.

Firenze: assemblea pubblica sul carcere di Castelfranco

 

Nove da Firenze, 11 marzo 2005

 

Un’assemblea pubblica sul carcere di Castelfranco si terrà il 16 marzo dalle ore 21.00 presso la Casa del Popolo "XXV Aprile" in via Bronzino, 117 (zona Ponte alla Vittoria). Lunedì 21 marzo 2005 Castelli e altri esponenti del governo Berlusconi inaugureranno a Castelfranco Emilia il primo carcere privato italiano, gestito direttamente da San Patrignano per conto dell’Amministrazione Penitenziaria.

Il carcere di Castelfranco è il primo tassello del progetto che vuole riconvertire tutte le ex case di lavoro (una quindicina) in carceri speciali gestite (più o meno direttamente) da privati e che costituiranno l’ossatura su cui poggiare il ddl Fini sulle droghe, che equipara sostanze leggere e pesanti, prevede il carcere per i consumatori, attacca il servizio pubblico (Ser.T.) a vantaggio dei privati. L’impianto ideologico è quello di far passare quella che sarà, di fatto, una carcerizzazione di massa come una operazione per il recupero dei tossicodipendenti attraverso la scelta forzata tra scontare la pena in comunità o in uno di questi carceri speciali.

Perciò il gruppo di lavoro sul carcere "Dentro e Fuori le Mura" organizza a Firenze un incontro-dibattito per informare e discutere sul carcere privato di Castelfranco Emilia e sulle politiche in tema di droghe e carcere. Un momento per far conoscere anche le reali condizioni di vita dei detenuti: sovraffollamento, negazione del diritto alla salute, autolesionismo, suicidi, morti sospette, mancanza di lavoro, restrizioni sulla concessione delle misure alternative. E per denunciare le reali condizioni di vita delle persone che sono ospitate in alcune comunità terapeutiche: negazione dei diritti e della libertà, violenze, sfruttamento di manodopera gratuita e coatta.

Iraq: inferno dei bambini, pure dietro sbarre Abu Ghraib

 

Sda-Ats, 11 marzo 2005

 

Rapiti e sgozzati, dilaniati dalle autobombe dei kamikaze, vittime dei raid americani. L’inferno iracheno non risparmia i bambini e la denuncia della loro presenza anche tra i detenuti del famigerato carcere di Abu Ghraib ripropone il dramma dell’infanzia violata dalla guerra e dal terrore.

Testimoni nelle inchieste sugli abusi commessi dai militari Usa nel carcere vicino a Baghdad hanno rivelato oggi che fra i prigionieri c’erano bambini dall’età apparente di otto anni. Già nel luglio dell’anno scorso media tedeschi avevano denunciato arresti e maltrattamenti di minori iracheni da parte di soldati americani e della coalizione, anche a Abu Ghraib. Il portavoce della Croce Rossa Internazionale, Florian Westphal, intervistato dalla rete Swr, aveva detto che, tra gennaio e maggio, 107 bambini erano stati registrati dall’organizzazione in 19 visite in sei diversi carceri.

Notizie di arresti di donne e bambini, nel corso di rastrellamenti alla ricerca di sospetti coinvolti in attacchi contro le forze Usa, cadono con cadenza regolare in Iraq. In genere tali informazioni rimangono prive di sviluppi e non si conosce la sorte dei piccoli. Ma le cronache quotidiane grondano del loro sangue e della loro sofferenza.

Secondo il sito non ufficiale Iraqbodycount.net, dall’inizio della guerra, nel marzo 2003, tra 16.231 e 18.509 civili hanno perso la vita in episodi di violenza - operazioni militari della coalizione, attentati o scontri tra iracheni - o per mancanza di cure mediche adeguate. Non si hanno tuttavia cifre precise sul numero dei bambini morti. Fonti mediche irachene hanno riferito che il livello di mortalità infantile tocca il 125 per mille.

Una delle peggiori stragi di innocenti è avvenuta il 30 settembre scorso nel centro di Baghdad, quando 37 bambini, accorsi a prendere le caramelle distribuite dai militari americani, sono rimasti uccisi nell’esplosione di tre auto bombe. L’obiettivo dei kamikaze erano le forze Usa, ma le loro 44 vittime sono tutti civili iracheni.

Molti bambini hanno perso la vita a causa del ‘fuoco amicò americano. Nel maggio 2004, alle raccapriccianti immagini delle torture contro i detenuti di Abu Ghraib, si aggiunsero quelle di un video che mostrava gli effetti di un bombardamento di elicotteri americani su una festa nuziale a Mogr el Dib, vicino al confine siriano. Nel raid morirono almeno 41 persone, in gran parte donne e bambini.

Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio scorso, un F-16 Usa ha sganciato una bomba da 250 kg su una casa in un villaggio di Aaytha, vicino alla città settentrionale di Mossul, uccidendo un’intera famiglia di 14 persone, tra cui sette bambini. Risale a quei giorni la tragedia - documentata da fotografie - di una coppia di iracheni crivellati di colpi a un posto di blocco, sempre vicino a Mossul, sotto gli occhi dei loro quattro figli, che viaggiavano in auto con loro. Alcuni mesi fa un ex marine, Jimmy Massey, testimone nella procedura di richiesta di asilo in Canada di un suo commilitone disertore, ha detto che nel 2003 la loro unità ha ucciso almeno 30 civili ai posti di blocco, tra cui anche donne e bimbi. I bambini iracheni subiscono la logica della guerra e della violenza sin dagli anni Ottanta, quando Saddam Hussein scatenò un conflitto - durato otto anni - contro l’Iran. Poi ci furono l’invasione del Kuwait, con i bombardamenti della coalizione guidata dagli americani e l’embargo imposto all’Iraq. Ora, alle violenze legate all’invasione delle forze anglo-americane e all’occupazione, si è aggiunto l’orrore dei sequestri, che spesso prendono di mira i più piccoli.

Quasi ogni giorno si ha notizia del rapimento di un bambino in Iraq, generalmente a scopo di estorsione. Alcuni presunti terroristi e criminali, i cui interrogatori sono stati trasmessi dalla televisione pubblica irachena, hanno confessato di aver sgozzato i loro piccoli ostaggi. Due giorni fa, uno di loro ha detto di aver decapitato un bambino solo perché esasperato dal suo pianto, anche se aveva già ricevuto dai genitori il riscatto pattuito di 50.000 dollari. La tv ha mostrato immagini dell’imputato, accanto a poliziotti che tiravano fuori la vittima da un pozzo, in mezzo alle grida della folla.

Droghe: Barra (Villa Maraini); uccide di più l’emarginazione

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

Un appello alla comunità internazionale a non attaccare "cartellini morali" agli sforzi sanitari pubblici a favore delle vittime degli stupefacenti è stato espresso oggi a Vienna da Massimo Barra, il vice presidente della Federazione internazionale della Croce Rossa e delle società della Mezzaluna rossa. Barra, che è fondatore a Roma della comunità Villa Maraini, ha ricordato che la Croce Rossa, nata nel 1864 all’insegna della più rigorosa neutralità, ha come sua missione anche la rappresentanza degli interessi delle persone più vulnerabili.

Per questo le forze di questo movimento internazionale - ha detto Barra - vengono ora impegnate anche per aiutare i tossicodipendenti, che sono una sfida umana enorme e spesso fastidiosa per le società moderne. Allo scopo occorre sostenere anche quelle pratiche come lo scambio di siringhe usate con siringhe nuove, l’apertura di spazi protetti per iniettarsi stupefacenti e altri trattamenti alternativi che le convenzioni internazionali dell’Onu per ora non prevedono.

"Non possiamo rinunciare a misure in grado di salvare vite umane, in grado di aiutare a contenere le conseguenze mortali del fenomeno degli stupefacenti - ha detto Barra a Vienna - Un fallimento in questo sforzo vorrebbe dire abbandonare le vittime degli stupefacenti alla loro malattia". L’attuale Federazione tra Croce Rossa e società della Mezzaluna rossa è stata fondata nel 1919 a Parigi, ha ricordato Barra, sotto il motto "Portare la luce della scienza e il calore della simpatia umana in ogni angolo del mondo" ed in questo senso gli sforzi sono ora rivolti ad aiutare i tossicodipendenti in tutto il mondo.

Quello delle tossicodipendenze, per il medico romano, è anche un problema di conoscenza. "Spesso i politici non vogliono avere nulla a che fare con il mondo dei drogati - ha detto Barra ai giornalisti oggi a Vienna - mentre è molto più facile essere contro. Ma se un drogato viene escluso, emarginato dalla società civile, il pericolo aumenta". "Stigmatisation kill’s, l’emarginazione uccide più delle sostanze stupefacenti" ha detto Barra, che in 30 anni di professione ha avuto tra i suoi pazienti oltre 30 mila tossicodipendenti.

Giustizia: Camera, sì a dl sulle sentenze in contumacia

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

Sì unanime dell’Aula della Camera al decreto che cambia la normativa in materia di impugnazione di sentenze in contumacia e dei decreti di impugnazione. Il testo ora passa al Senato. Il decreto modifica il codice di procedura penale così da adeguarlo a recenti sentenze delle Corte europea di Strasburgo e, soprattutto, per giocare d’anticipo rispetto agli ostacoli che l’Italia rischia di trovare di fronte a sè nell’ottenere, tramite estradizione, i latitanti italiani che si sono rifugiati all’estero. In particolare, il provvedimento modifica più punti dell’art. 175 del codice di procedura penale. Innanzitutto vengono previste maggiori garanzie nell’impugnazione di provvedimenti pronunciati quando gli imputati sono assenti non per loro responsabilità. In questo modo il latitante condannato in contumacia potrà presentare ricorso, anche in caso di sentenze definitive. Ma questo sarà possibile solo se - come prevede il secondo comma dell’art. 175 riscritto dal decreto - "risulta dagli atti che non ha avuto effettiva conoscenza del procedimento e non abbia volontariamente rinunciato a comparire e sempre che l’impugnazione o l’opposizione non siano state già proposte dal difensore". Vengono, inoltre, allungati i termini per impugnare una sentenza in contumacia: da dieci giorni si passa a trenta. Il decreto introduce infatti, sempre all’art. 175, il comma 2bis per cui l’impugnazione è consentita "nel termine di trenta giorni da quello in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall’estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato". Con due aggiunte al Codice (in particolare agli articoli 157 e 161 del Cpp) si rendono infine più celeri le notificazioni all’imputato non detenuto che abbia nominato un difensore di fiducia, senza provvedere a dichiarare o eleggere un domicilio. In questi casi, infatti, è previsto che le notificazioni siano eseguite presso i difensori.

Brasile: agenti carcerari fomentano rivolte carceri minorili

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

La rivolta conclusasi ieri in un carcere minorile di San Paolo, la quindicesima in due mesi, è stata provocata, come quelle che l’hanno preceduta, dagli agenti carcerari, che non accettano le nuove regole antiviolenza e l’ingerenza di educatori e psicologi nel trattamento dei detenuti minorenni. La rivolta di ieri, nel Complexo Raposo Tavares, si è conclusa con un bilancio di tre funzionari e quattro detenuti feriti, la distruzione parziale del carcere, e l’evasione di 36 ragazzi.

Dall’inizio dell’anno, le ribellioni nei quattro penitenziari giovanili di San Paolo, dove sono rinchiusi oltre seimila adolescenti delinquenti, si succedono al ritmo di una ogni tre giorni, e ogni giorno evadono in media sette ragazzi. In gennaio, 330 detenuti sono fuggiti dalla porta principale di una delle carceri minorili con il beneplacito delle guardie. I segnali di malessere nei penitenziari della Febem (Fondazione statale per il benessere del minorenne) si moltiplicano e hanno raggiunto ormai il livello d’allarme. Il governo di San Paolo ha lanciato alla fine dell’anno scorso un ampio programma di riforma per migliorare le condizioni nelle carceri.

Al posto delle punizioni brutali, della repressione violenta e delle celle di isolamento, il nuovo regime carcerario ha introdotto l’intervento di educatori, psicologi e membri delle ong di aiuto ai minorenni, per contribuire al reinserimento dei giovani delinquenti nella società. "Le riforme della Febem sono sulla strada giusta, - ha commentato padre Giulio Lancellotti, sacerdote italiano fondatore del Centro di difesa del bambino e dell’adolescente - ma il fatto di cambiare tutto in una volta dopo anni di abbandono complica la ristrutturazione".

E proprio da quelli che il governo di San Paolo ha definito "i feudi interni" è partito un movimento di ribellione alle nuove misure. La Febem ha fatto arrestare un centinaio degli agenti carcerari più violenti, e ne ha licenziato altri 1.750. Ma i circa duemila rimasti dal corso precedente rifiutano le riforme e fomentano i giovani detenuti alla rivolta.

Giustizia: Camera, pene più dure per autori incidenti stradali

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

Giro di vite per chi causa lesioni personali colpose gravi o gravissime in incidenti stradali, pene più pesanti se l’incidente è causa di un omicidio colposo e processi più veloci, per venire incontro ai bisogni delle vittime: lo prevedono una serie di nuove disposizioni approvate oggi dall’Aula della Camera, che modificano il testo vigente del Codice della strada.

Il testo, approvato quasi all’unanimità e l’astensione dei Verdi e del Prc, passa ora al Senato. Innanzitutto, esso prevede che quando dall’incidente derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, il responsabile può vedersi sospesa la patente fino a due anni. Nel caso di omicidio colposo al colpevole la patente viene sospesa fino a quattro anni; fino ad ora, invece, era da sei mesi ad un anno. Le pene per lesioni colpose gravi, gravissime e mortali causate da violazioni del codice della strada vengono aumentate da due a cinque anni.

Accelerati i tempi, con delle riduzioni nei termini, dei processi civili in materia di risarcimento di danni derivanti da incidenti stradali gravi; abbreviati anche i termini per le indagini preliminari e per la fissazione della data del giudizio. Un’altra innovazione è, poi, rappresentata dalla liquidazione anticipata alla vittima dell’incidente di una somma tra il 30 ed il 50% della presumibile entità del risarcimento che sarà in seguito determinato con sentenza.

Infine, per chi sarà condannato con la reclusione per aver commesso un delitto colposo violando il codice della strada, il giudice potrà disporre la sanzione amministrativa accessoria del lavoro di pubblica utilità da svolgere presso lo Stato, gli enti locali e le associazioni di volontariato o di assistenza. Questa attività viene svolta nell’ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale, da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.

Roma: nasce Forum per la tutela della salute dei detenuti

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

La situazione sanitaria nelle carceri italiane è "drammatica" ed il diritto dei detenuti alla salute "è spesso di fatto negato". È questa la denuncia di varie associazioni ed operatori del settore che oggi, dando vita ad un’ampia coalizione, hanno annunciato la nascita del "Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e l’applicazione della riforma della medicina penitenziaria".

Un Forum che si propone di raccogliere rappresentanti della cultura, della magistratura, delle istituzioni, del sistema penitenziario, degli operatori, del sindacato e della società civile. Obiettivo - ha sottolineato Oriano Giovannelli, presidente di Legautonomie-associazione autonomie locali e tra i promotori dell’iniziativa - "stimolare le regioni sull’emergenza carceri con azioni concrete in programma su tutto il territorio e avviare un monitoraggio costante".

Dal Forum parte oggi anche un appello preciso indirizzato a tutti i candidati alla presidenza delle Regioni nella consultazione del 3 e 4 aprile: "Assumano un impegno pubblico finalizzato a esercitare la competenza conferita alle Regioni dalla Costituzione e per questo presentino e facciano approvare, entro i primi cento giorni della legislatura, una legge regionale per il riordino della medicina penitenziaria".

La situazione attuale, denuncia infatti il Forum, è "insostenibile": "Il vecchio sistema sanitario penitenziario - ha spiegato Giovanelli - gestito direttamente dal ministero della Giustizia, ha dimostrato più volte il suo fallimento, determinato anche dalla drastica riduzione degli stanziamenti in bilancio, tanto che si è passati dai 115 milioni di euro del 1998 agli 81 del 2004, con una riduzione di circa il 30 per cento".

Ma il punto, denunciano le organizzazioni, è che il governo non ha dato concreta realizzazione alla legge 230 del 1999 sul riordino della medicina penitenziaria, che prevede il trasferimento dal ministero della Giustizia alle Regioni della competenza ad organizzare nelle carceri le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Ad oltre cinque anni di distanza, ha sottolineato Giovanelli, "solo due funzioni sanitarie, vale a dire la prevenzione e la tossicodipendenza, sono passate dal ministero alle Regioni, e per di più senza sufficienti risorse finanziarie e professionali, mentre solo due regioni, Lombardia e Toscana, hanno legiferato in materia".

Insomma, è il richiamo del Forum, "è tempo che le regioni si facciano carico di un potere conferito loro anche alla luce della riforma del titolo V della Costituzione, impegnandosi ad attuare il Servizio sanitario nazionale nelle carceri del proprio territorio, perché questo Ssn - aggiungono - non è emendabile e va rifondato". Casi di malasanità "sempre più frequenti che scuotono il sistema penitenziario - ha detto Giovanelli - e che hanno alla radice, oltre ad una inadeguata gestione centralistica, anche il problema dell’enorme sovraffollamento delle strutture; sarebbe ora di riprendere in considerazione provvedimenti mirati di indulto o amnistia".

Le carceri oggi sono, quindi, più che mai in emergenza, ma le istituzioni preposte sembrano non accorgersene: "Ciò che è intollerabile - ha commentato il presidente della Consulta penitenziaria di Roma Lillo Di Mauro - è l’assoluto silenzio istituzionale a fronte di una situazione sanitaria nei penitenziari ormai fuori controllo: mancano personale e medicinali, per una visita o delle analisi i detenuti attendono anche fino a sei mesi e malattie ormai sconfitte nella società fuori rappresentano ancora dei gravi pericoli dentro.

Duro anche il giudizio di Fabrizio Rossetti della Cgil Funzione pubblica: "È inaccettabile che il ministro della Giustizia Castelli non applichi una legge del Parlamento, quella appunto della riforma della medicina penitenziaria, ed inaccettabile è anche l’atteggiamento complice delle Regioni che si prestano a questo gioco. Proviamo una grande rabbia - ha aggiunto - perché è in atto un forte attacco a tutti i diritti di cittadinanza all’interno delle carceri, dalla riduzione delle risorse da destinare all’attività sanitaria, al lavoro e la formazione".

Una situazione di grave e allarmante malessere, ha affermato il rappresentante sindacale, dimostrata anche da un altro dato: "Sono pure in aumento i suicidi tra gli operatori della polizia penitenziaria, passati dai 2 del 2000 agli 8 del 2004. È un grido d’allarme che arriva dal sistema - ha concluso Rossetti - e che ci dice come la qualità della sopravvivenza all’interno delle carceri italiane si stia pericolosamente abbassando".

Droghe: Carlesi; aumenta uso spinello e ricorso ai Ser.T.

 

Ansa, 11 marzo 2005

 

L’uso dello spinello è in forte aumento in Italia, dove circa il 27% dei giovani al di sotto dei 20 anni fa uso dei derivati della cannabis, e cresce anche la domanda di trattamento nei confronti dei Servizi. Lo ha detto Nicola Carlesi, capo del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, intervenendo a un convegno sull’uso dei cannabinoidi organizzato a Lerici dal Nucleo Operativo Tossicodipendenze della Prefettura e dal Cnr.

Carlesi ha reso noto che dal 1996 al 2002 la domanda di trattamento nei confronti dei Servizi per il consumo dei derivati della cannabis come sostanza primaria è aumentata del 20%. "Gravi - ha detto - sono i disturbi psicopatologici che si associano all’uso problematico della cannabis, che, soprattutto con percentuali elevate di principio attivo, determina stati di panico, stati di agitazione psicomotoria, stati paranoici e gravi disturbi della memoria e dell’attenzione".

Secondo il capo del Dipartimento antidroga, quindi, "appare necessario un efficace intervento di prevenzione, informando soprattutto gli adolescenti sugli effetti di questa sostanza intervenendo nell’ambito della scuola, della famiglia e nei luoghi di aggregazione giovanile". 

Forum tutela salute: casi sempre più frequenti di malasanità

 

Redattore Sociale, 11 marzo 2005

 

Nasce il Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti/e adulti e minori e l’applicazione della riforma della medicina penitenziaria. "Casi sempre più frequenti di malasanità scuotono il sistema penitenziario italiano. Questo servizio sanitario non è emendabile: va rifondato", auspicano i promotori del Forum, al momento costituito da Legautonomie, Consulta Permanente Cittadina per i Problemi Penitenziari Comune di Roma, Assessorato al Diritto alla Salute Regione Toscana, Assessorato alle Politiche Sociali e Promozione alla Salute Comune di Roma, Garante Diritti Detenuti Regione Lazio - Comune di Roma - Comune Di Firenze, Centro Franco Basaglia, Fondazione Giovanni Michelucci, Cgil, Cgil-Fp, Uil-Spl, Uil-Spl Medici, Anci-Federsanità, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Cnca, Nessuno Tocchi Caino, Sindacato Autonomo Infermieri Penitenziari, Ristretti Orizzonti, Forum 32.

Il Forum si è presentato questa mattina nella Sala delle Colonne di Palazzo Marini (Camera dei Deputati), dinanzi a una platea di amministratori locali, di rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di volontariato, di operatori penitenziari e di parlamentari. "La cronaca riporta decessi e suicidi dovuti alla carenza di un sistema sanitario non in grado di garantire prevenzione e cure adeguate.Detenuti sieropositivi, tossici e alcoldipendenti, malati di aids, di tbc, di epatite o portatori di handicap, madri con figli da 0 a 3 anni non riescono a usufruire delle prestazioni necessarie per cause strutturali – fa notare il Forum -. La causa prima è la stessa organizzazione del sistema sanitario penitenziario, anacronistica, sfilacciata, frantumata in una miriade di rapporti che si sovrappongono e si elidono a vicenda".

Quindi si tratta di un "servizio sanitario nato come pratica aggiuntiva al sistema di controllo dei detenuti, solo in modo residuale per la loro salute rimasto intatto per 40 anni nelle sue caratteristiche costitutive". Pertanto il Forum nazionale chiede con forza l’applicazione della riforma della medicina penitenziaria - Legge 230/99. Infatti, a oltre 5 anni di distanza, "solo 2 funzioni sanitarie, la prevenzione e le tossicodipendenze, sono passate dal Ministero della Giustizia alla competenza regionale, per di più con un trasferimento limitato di risorse finanziarie e professionali". (lab)

Verona: il Vangelo visto da chi vive dietro le sbarre

 

L’Arena di Verona, 11 marzo 2005

 

Sotto la guida del loro cappellano, don Luciano Ferrari. Il libro, poco più di un opuscolo pieno di testimonianze intense e di emozioni, verrà presentato sabato ai detenuti di Montorio, di entrambe le sezioni, nel corso di un incontro organizzato dall’associazione La Fraternità, volontariato per il carcere, con la partecipazione di Fra Beppe Prioli, dello stesso don Luciano, delle giornaliste Emanuela Zuccalà (che presenterà il suo libro "Risvegliato dai lupi" sull’esperienza di Fra Beppe tra i detenuti), e Elena Cardinali de L’Arena, dell’avvocato Guariente Guarienti, che farà da moderatore dell’incontro, e di rappresentanti del Comune, della Provincia e di associazioni di volontariato, oltre che alla presenza del coro Le Falìe.

"È cominciato quasi come una battuta, poi è diventata realtà", spiega don Luciano Ferrari nella presentazione del testo. "Ad alcuni amici ed amiche detenuti, che vivono una ricerca spirituale, ho proposto di leggere testi del Vangelo, riportando il commento su un piano di attualità rispetto all’esperienza carceraria e al conseguente reinserimento sociale".

Il titolo completo dell’opera è "Il vangelo secondo noi: i detenuti di Montorio e don Luciano Ferrari dialogano sulla buona notizia". Perché di un dialogo, che inizia dall’interiorità con se stessi e si apre ad un ideale pubblico, si tratta in queste pagine, scritte con semplicità e profondità tali da suscitare emozione, quell’emozione che non può essere scritta, come sottolinea nella prefazione don Angelo Casati, parroco di San Giovanni in Laterano a Milano, "che solo sfioro, rimasta negli occhi alla lettura di queste pagine che vengono dal carcere, pagine per noi che siamo "fuori", fuori e dentro, dentro prigioni non meno limitanti e sequestranti della prigionia del carcere, dentro la prigionia dell’anima". Le riflessioni dei detenuti sono intercalate da poesie di Tagore e salmi di David Maria Turoldo, e da citazioni di brani del Vangelo, come quello della parabola del Figliol prodigo. Spunti per parlare di un cammino interiore che vuol essere speranza per una reale svolta dell’esistenza.

 

 

Precedente Home Su Successiva