Rassegna stampa 9 maggio

 

Io, ex giudice, chiedo l’amnistia… di Ferdinando Imposimato

 

Corriere della Sera, 9 maggio 2005

 

L’arresto di Angelo Izzo, il massacratore del Circeo, ha offerto al Ministro della Giustizia l’occasione per ribadire il no all’amnistia creando una ingiustificata confusione tra delinquenti pericolosi condannati per delitti efferati e i responsabili di reati di modesto allarme sociale ai quali dovrebbe applicarsi l’amnistia.

Un provvedimento di clemenza viene considerato dalla maggioranza un cedimento alla illegalità ed alla delinquenza. Ma così non è: sarebbe solo un atto di giustizia. Il carcere non può continuare ad essere il luogo su cui lo Stato scarica il peso della tensione sociale che nasce da gravi disuguaglianze. Con un aggravarsi della situazione a svantaggio dei più deboli.

Appare ormai intollerabile l’inerzia con la quale chi ha la responsabilità di decidere reagisce alla drammatica condizione di vita dei detenuti. Che hanno rappresentato in modo composto e civile i loro problemi reclamando un provvedimento di clemenza. Dietro le sbarre di cinquanta carceri italiane sono state attuate forme di protesta pacifica, dallo sciopero della fame alla rinuncia dell’ora d’aria, dallo sciopero della parola e della televisione all’astensione dei lavori interni.

A fianco dei detenuti che denunciano il sovraffollamento ed il degrado (i dati ufficiali parlano di circa 57.000 detenuti per strutture che ne potrebbero contenere 41.700) si batte anche la Polizia penitenziaria. Quasi 50.000 operatori del settore, Polizia penitenziaria, educatori e assistenti sociali hanno sollecitato un atto che decongestioni le carceri e permetta ai detenuti condizioni di vita più umane.

Il 95 per cento della popolazione carceraria sconta in condizioni disumane anni di carcere per reati spesso legati ai diritti fondamentali non soddisfatti ed agli anni di piombo . E mentre in Francia, in Germania ed in Inghilterra la stagione dell’emergenza è stata risolta con la liberazione per quasi tutti i "politici", in Italia sono troppi i detenuti per reati di terrorismo in espiazione di pene detentive. Un provvedimento di clemenza appare tanto più necessario perché i reati più gravemente puniti con la detenzione sono commessi dai meno abbienti, dai disoccupati, dagli sfrattati, dai senza casa, da quelli che non hanno un reddito minimo per sopravvivere. Mentre sono di fatto cancellati dal codice delitti gravissimi come l’interesse privato in atti di ufficio ed il falso in bilancio. Sicché se un ministro dei lavori pubblici assegna a proprie imprese lavori per centinaia di miliardi, ignorando il dovere di imparzialità imposto dalla Costituzione, non andrà incontro a sanzioni. Mentre chi protesta pubblicamente per veder riconosciuto il diritto al lavoro, alla casa ed ad una vita più dignitosa rischia anni di galera.

Di questi giorni è la drastica riduzione della pena per i bancarottieri, mentre resta eccessiva quella per i reati commessi in occasione di giuste rivendicazioni sociali. La maggioranza ed il Governo, dopo avere premiato gli evasori fiscali, gli inquinatori, i deturpatori del paesaggio, i costruttori abusivi ed innumerevoli corruttori, questa volta cercano di salvare i bancarottieri che manderanno sul lastrico centinaia di lavoratori. Ripugna al comune senso di giustizia constatare che sono in libertà a godersi i frutti dei loro delitti, i responsabili di gravissime bancarotte - le varie Parmalat e Cirio - che hanno defraudato di miliardi di euro piccoli risparmiatori. Mentre centinaia di anni di carcere sono inflitti in modo inesorabile a persone che spesso agiscono in stato di necessità. E tutto questo avviene perché da 75 anni in Italia vige un codice in cui le pene non sono state adeguate ai nuovi valori affermati dalla Costituzione. E ciò in violazione del principio di proporzione tra il fatto e la pena, affermato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nella situazione di dissesto sociale in cui vive una gran parte dei cittadini, impegnati a condurre lotte per far valere i loro diritti, dei provvedimenti di clemenza si porrebbero come fattori di pacificazione sociale. Del resto i gruppi più potenti hanno già ottenuto dei provvedimenti legislativi che equivalgono all’amnistia. Infatti per la bancarotta fraudolenta, la pena di 10 anni di reclusione è ridotta a 4 anni. Con una prescrizione più breve di quella prevista per i reati in difesa della proprietà e dell’ordine pubblico. Sicché i colpevoli dei reati di maggiore allarme sociale la faranno franca, mentre i responsabili di reati meno gravi dovrebbero scontare anni di galera. Gli imprenditori che frodano migliaia di persone saranno premiati da una legge truffa, inserita nel decreto sulla competitività. Un decreto che passerà con il voto di fiducia, per evitare lo scioglimento anticipato del Parlamento. In questa situazione l’amnistia e l’indulto sono doveri ineludibili di cui debbono farsi carico tutte le forze politiche, senza distinzione di parte. Superando l’assurda barriera della maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, decisa il 6 marzo 1992 da un Parlamento con decine di tangentisti responsabili di reati di corruzione, che venne sciolto dopo pochi mesi dal Presidente Scalfaro. Mentre per cambiare la Costituzione in parti essenziali che attengono ai diritti inalienabili dell’uomo basta la maggioranza della metà dei parlamentari.

Firenze: nel carcere di Sollicciano ancora tentati suicidi

 

Nove da Firenze, 9 maggio 2005

 

Venerdì 29 aprile 2005, nella VI sezione del carcere di Sollicciano, un detenuto di nazionalità marocchina di 22 anni ha tentato il suicidio nel gabinetto della sua cella servendosi di un lenzuolo. È stato soccorso dai compagni di cella, poi portato via dagli agenti, infine nuovamente condotto in sezione. I motivi del gesto sono probabilmente legati alla condizione giudiziaria: il detenuto, tuttora in attesa di giudizio, si proclama innocente. Un altro tentativo di suicidio è stato posto in atto un mese e mezzo fa nella II sezione del carcere fiorentino da un detenuto di nazionalità tunisina.

Sabato 30 aprile 2005, agenti di polizia penitenziaria con cani antidroga al seguito hanno effettuato una perquisizione nelle celle del reparto penale maschile del carcere di Sollicciano, con l’obiettivo di rinvenire sostanze illecite. Nelle ore precedenti, sei o sette detenuti erano stati condotti in ospedale per mezzo di ambulanze perché intossicatisi aspirando il gas delle bombolette da campeggio in uso nelle celle per cucinare il cibo acquistato al sopravvitto.

Questi episodi sono stati resi noti dal gruppo "Dentro e Fuori le Mura", secondo cui essi mostrano aspetti di quella quotidianità carceraria della quale non si parla mai nei media. Una quotidianità fatta di sovraffollamento, negazione del diritto alla salute, al lavoro, alla affettività; fatta di continui episodi di autolesionismo. Una situazione denunciata recentemente anche dal Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone.

Teramo: detenuto tunisino tenta il suicidio in ospedale

 

Il Tempo, 9 maggio 2005

 

Ha tentato di uccidersi. Con un lenzuolo attaccato alle sbarre della finestra un detenuto di origini tunisine ha cercato di impiccarsi nel reparto detentivo dell’ospedale Mazzini di Teramo dove era stato ricoverato dopo aver aggredito alcuni poliziotti. Il tunisino è stato salvato dal pronto intervento del personale di polizia penitenziaria in servizio nel reparto. "Ancora una volta - si legge in una nota della Fps-Cisl - si vuole portare alla ribalta la gravissima situazione che vige nel carcere di Teramo, dove per la mancanza di personale non si riesce a garantire neanche il minimo di sicurezza, basti pensare che l’organico è al di sotto ci circa 80 unità. Inoltre l’amministrazione nonostante ciò, riduce di netto il monte ore di straordinario pari a 10 mila ore, ciò comporta che il personale non riesce ad usufruire neanche dei riposi relativi all’anno 2004 che si aggirano intorno a 1500".

Australia: dopo due giorni di violenze rivolta sedata con pizze

 

Tg Com, 9 maggio 2005

 

Sembra una barzelletta e invece la notizia che arriva dall’Australia è drammaticamente reale: dopo due giorni un gruppo di carcerati ha deciso di interrompere la rivolta dopo che la polizia ha consegnato loro 15 pizze. I rivoltosi, che protestavano contro le condizioni di detenzione, avevano preso in ostaggio un agente e altri otto carcerati.

La polizia è penetrata nel carcere Risdon, situato nella capitale dello Stato, Hobart, dopo che l’ultimo detenuto ha lasciato la reception del carcere che gli undici detenuti occupavano da due giorni per protesta. Solo poche ore prima era stato liberato in secondino tenuto in ostaggio. "Abbiamo negoziato la liberazione del membro del nostro personale in cambio della consegna di quindici pizze" ha dichiarato il direttore del carcere, Graeme Barber.

I rivoltosi avevano preso in ostaggio nove persone, un agente di custodia e otto altri detenuti. Nessuno è rimasto ferito, si sono avuti soltanto danneggiamenti materiali, vetri rotti e mobili fracassati, ha detto Barber. Le rivendicazioni dei rivoltosi puntavano a ottenere tre pasti caldi al giorno, merci disponibili allo spaccio interno e lavoro remunerato per i detenuti.

Graeme Barber ha ammesso che il carcere non risponde alle norme di sicurezza più elevate. Le autorità hanno annunciato che un nuovo edificio carcerario sarà costruito. Il carcere di Risdon ospita il più pericoloso criminale australiano, Martin Bryant, che ha ucciso 35 persone in una sparatoria nel 1996 nel piccolo villaggio tasmaniano di Port Arthur.

Usa: pena di morte, sarà riesaminato anche caso Barnabei

 

Gazzetta del Sud, 9 maggio 2005

 

L’attività di un laboratorio della Virginia che ha gestito in questi anni l’esame del Dna per decine di casi criminali, compresi quelli in cui era in ballo la pena di morte, è stata messa seriamente in discussione da un’indagine indipendente ordinata dal governatore dello stato, Mark Warner. I risultati dell’inchiesta porteranno ora al riesame di un gran numero di casi. Tra le vicende giudiziarie destinate ad essere condizionate dall’esito dell’indagine, ci sono quelle di una ventina di detenuti in attesa di esecuzione in Virginia. Ma la rilettura riguarderà anche 40 casi gestiti dal laboratorio negli ultimi anni e un campione tra 110 altre vicende giudiziarie nelle quali è presente la prova del Dna. Uno dei casi che quasi certamente torneranno sotto il microscopio è quello dell’italo-americano Derek Rocco Barnabei, giustiziato nel settembre 2000 nonostante una serie di dubbi legati ai test del Dna su cui si basava la sua condanna. Secondo l’inchiesta, è stato proprio nel 2000 che l’allora governatore Jim Gilmore esercitò quelle che vengono ora descritte come pressioni sugli addetti ai test in laboratorio. Il caso che ha innescato le reazioni a catena e la decisione del governatore Warner di approfondire l’uso del Dna, è quello di Earl Washington, un ritardato mentale che nel 2001 fu scagionato dalle accuse e rimesso in libertà dopo essere arrivato a un passo dall’iniezione letale. "L’assurdità della pena di morte e l’ingiustizia di una decisione affrettata e forse omicida sta venendo in evidenza per merito, purtroppo tardivo, del nuovo governatore della Virginia, a proposito dell’esecuzione di Rocco Derek Barnabei". È quanto afferma l’onorevole Alfredo Biondi che a lungo si battè per evitare l’esecuzione insieme ai colleghi Vigni e Vanoni andando in America e ottenendo la revisione dell’analisi del Dna. "Ma questo - dice l’esponente di Fi - non servì a vincere l’ottusità di un formalismo giudiziario che anche in America rifiuta la revisione delle sentenze ingiuste di condanne sufficientemente provate. Nessuno - aggiunge - restituirà a Barnabei la vita ma almeno l’iniziativa del nuovo governatore servirà a convincere gli Stati democratici, come l’America e totalitari come la Cina, tanto per indicare i più rilevanti, alla moratoria delle condanne capitali per arrivare all’abolizione di una pena che trasforma la giustizia in vendetta".

Siracusa: convegno in carcere, invitati anche Ciampi e Berlusconi

 

La Sicilia, 9 maggio 2005

 

È già in pieno movimento tutto il meccanismo che il prossimo 25 maggio porterà al "convegno per la pace ed i diritti umani" che si svolgerà, anche quest’anno, all’interno della casa circondariale di Cavadonna. La manifestazione, promossa dall’associazione "Giovanni Paolo II e Alessandro" vede il sostegno della Presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero per le Pari Opportunità, della Regione Siciliana, della Provincia Regionale e del Comune di Siracusa. La finalità del convegno è quello di far percepire e condividere "agli uomini liberi" che anche il detenuto ha diritto all’opportunità del reinserimento nella società, "contribuendo a migliorare tutti insieme la qualità della vita". In parallelo il convegno si pone l’obiettivo di rafforzare la sensibilità delle coscienze umane. Un percorso che passa anche attraverso alla diffusione e pubblicizzazione delle attività che i detenuti svolgono all’interno della struttura penitenziaria. I lavori del convegno vedranno importanti relatori: il ministro Prestigiacomo, il presidente della Regione Cuffaro, l’arcivescovo Costanzo, il sindaco Bufardeci, il presidente della Provincia Marziano. Ma è prevista la presenza delle due massime autorità dello Stato: il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il convegno per la pace e per i diritti umani nasce negli anni ‘90 sotto l’egida delle Nazioni Unite, grazie all’impegno di Bruno Ficili, suo ideatore.

Catania: festa della mamma in carcere, animazione e buffet

 

La Sicilia, 9 maggio 2005

 

Stamattina, dalle 9,30 alle 12, nella casa circondariale di piazza Lanza, in occasione della festa della mamma, le detenute incontreranno i loro figli. "L’incontro - scrive il direttore Tortorella - vuole avere una valenza conviviale, ma anche trattamentale, cioè il recupero del ruolo di madre e di donna, occasione di contatto programmato con la prole". Sono previsti giochi, la consegna di piccoli doni fatte dalle stesse detenute nel laboratorio di taglio e cucito e un frugale buffet. La manifestazione, che si effettua da anni, ha lo scopo di creare occasioni d’incontro in un contesto diverso dall’ordinario caratterizzato da grande tristezza. Come denunciano le donne che vanno in visita dai propri cari, le strutture fatiscenti del carcere di piazza Lanza rendono più doloroso l’incontro tra i detenuti e i loro figli costretti ad attese estenuanti all’aperto o in spazi angusti e sporchi, e a colloqui in piedi, insieme ad altri nuclei familiari. All’incontro sono stati invitati il dott. Garofalo, il magistrato di sorveglianza dott. Meli. La manifestazione è realizzata in collaborazione con gli animatori Massimo Corsaro e Marzia Andronico, con suor Chiara Ruffolo, suor Angela Allievi e le tirocinanti di Scienza della Formazione Ida Patanè, Laura Gigante, Sabrina Agricola.

Enna: la "corrida" nel carcere, i detenuti diventano cabarettisti

 

La Sicilia, 9 maggio 2005

 

È stato un successo la "Corrida" organizzata dai detenuti del carcere di Enna che si sono cimentati in una simpatica kermesse con canti, balli e spettacoli di cabaret. La "Corrida", organizzata dall’associazione "San Vincenzo de Paoli" (il cui presidente è Gaetano Lilla) tramite i due assistenti volontari Mario Savoca e Maria Di Marco, è stata sicuramente uno dei migliori spettacoli realizzati negli ultimi anni nella casa circondariale.

A presentare la manifestazione è stato Carmelo Danzè che non si è limitato nella sola conduzione della "Corrida", ma è andato oltre trascinando gli spettatori con pezzi cabaret. Danzè si dichiara "felice di aver vissuto questa esperienza e orgoglioso di aver preparato i partecipanti, che alla fine mi hanno veramente emozionato. Voglio ringraziare chi mi ha aiutato, cioè tutta l’A. D. Orchestra e l’ospite Francesco Debole, quello che mi auguro è di essere chiamato per un’altra Corrida in qualche altra casa circondariale della Sicilia".

I concorrenti che hanno avuto il coraggio di esibirsi malgrado ci fosse un pubblico pronto a scatenarsi con i fischietti sono stati 15 e come ogni competizione ci sono stati dei vincitori (di cui riportiamo solo i nomi), al primo posto si è classificata Gaetana che ha cantato "Si è spento il sole" di Adriano Celentano, al secondo posto con la canzone di Massimo Ranieri "Perdere l’amore" si è piazzato Rosario, a completare il podio è stata Maria con "Acqua e sale" di Celentano e Mina; i concorrenti sono stati premiati con coppe e medaglie. Riconoscimento anche a Maria come valletta della serata e Loredana per il "Premio simpatia".

Una targa è stata data dall’associazione "San Vincenzo" alla direttrice Letizia Bellelli, che si dice "contenta per aver dato piena disponibilità ad organizzare uno spettacolo pienamente riuscito e nulla toglie che ci possa essere una seconda edizione".

Anche la responsabile dell’area trattamentale, la dott. Miccichè, sottolinea "l’importante ruolo del volontariato ennese che opera al carcere aiutando i detenuti". Soddisfatto il comandante del personale Antonino Iraci: "Non è la prima volta che si organizzano spettacoli e penso siano belle iniziative, di cui anche i detenuti ne sono contenti". L’associazione "San Vincenzo" ha quindi ringraziato, tramite i volontari Mario Savoca e Maria Di Marco, la direttrice Bellelli per la continua disponibilità, l’ispettore Antonino Iraci, l’ispettore Vigiano Salvatore, la dott. Alfonsa Miccichè, il prof. Mario Messina, il personale e gli sponsor che hanno collaborato con il loro prezioso lavoro per l’ottima riuscita della Corrida.

Caltanissetta: detenuti vanno in scena e studenti applaudono

 

La Sicilia, 9 maggio 2005

 

Abbattere le barriere sociali, andare oltre i pregiudizi e le diffidenze del mondo esterno: questi i propositi ai quali gli studenti dell’istituto "Maria Ausiliatrice" di San Cataldo hanno voluto tener fede, incontrando i detenuti della locale Casa di Reclusione presso l’auditorium annesso al penitenziario.

Dopo i saluti iniziali rivolti ai ragazzi dall’educatore Michele Lapis, i detenuti si sono esibiti in una divertente e, a più riprese, applaudita performance teatrale dal titolo "A barberia", una commedia fondata sugli equivoci e i fraintendimenti della vita di tutti i giorni. In seguito Suor Maria Carletta, che ha accompagnato gli alunni del triennio superiore in carcere, ha ritirato, a nome di tutto il Liceo, una pergamena di riconoscimento in sapone, realizzata dai ristretti. Elisa Scalzo, alunna della quinta classe del "M. Ausiliatrice", ha intonato la famosa canzone di Lara Fabian "Adagio", con notevole apprezzamento da parte dell’intera platea.

Lo speciale incontro ha raggiunto il suo momento culminante con l’intervento del dott. Giacomo Picone, presidente dell’associazione "Gli Angeli" onlus di Caltanissetta, di ritorno dal suo ultimo viaggio in Madagascar, il quale ha dichiarato: "lavoriamo in condizioni davvero proibitive, quel che consola me e chi mi coadiuva in quest’importantissima missione, è che riusciamo a raccogliere ciò che di buono abbiamo seminato, infatti, oltre ad aver ricostruito un intero villaggio distrutto dalle intemperie climatiche, stiamo soprattutto portando avanti il progetto della realizzazione di una scuola, che in futuro accoglierà tantissimi bambini, ora abbandonati.

Secondo il progettista, Vittorio Randazzo, saranno realizzate cinque aule da sessanta metri quadri ciascuna; per portare a termine tutto ciò occorrono ben quarantamila euro, un’enormità, ma in soli cinque mesi ne abbiamo raccolti diecimila e questo ci fa ben sperare".

Sul finire dell’incontro, ogni studente ha ricevuto un attestato di partecipazione e dopo la recitazione di una lettera aperta dal titolo "Quelli che stanno peggio", scritta da un detenuto, tutti i presenti, in un’atmosfera d’allegra compartecipazione, hanno potuto degustare dei panini, preparati dagli stessi ragazzi.

Brescia: proseguono indagini dopo la morte del detenuto tunisino

 

Giornale di Brescia, 9 maggio 2005

 

Il "giallo" non è ancora risolto. Bisognerà attendere i risultati dell’autopsia eseguita ieri all’Ospedale civile per sapere come è morto il tunisino di 27 anni Faical Mamai, che era detenuto a Canton Mombello per tentato omicidio. L’altro ieri, dopo la morte del giovane nordafricano, si sono intrecciate notizie contraddittorie sulle modalità del decesso: si è parlato dapprima di suicidio, di un’impiccagione in cella; poi di un malore e infine, ipotesi che sembra essere la più accreditata, di una overdose, probabilmente di cocaina. Anche ieri non si sono avute conferme ufficiali di questa ipotesi, né tanto meno indiscrezioni sui risultati dell’autopsia. Ma si sa che il magistrato che coordina le indagini, il sostituto procuratore Claudia Moregola, dopo aver fatto effettuare il riconoscimento della salma alla moglie del giovane tunisino, aveva promesso un’immediata autorizzazione al trasporto del corpo in Tunisia per la sepoltura. Ma al termine dell’autopsia ha cambiato idea, non ha autorizzato la consegna del corpo ai parenti, ed ha anzi disposta una serie di esami tossicologici supplementari. Tuttavia il magistrato ha parlato solo di morte naturale, escludendo le ipotesi di un omicidio o di un suicidio, ma non ha voluto sbilanciarsi sulle cause del malore che si è rivelato fatale. Le indagini vengono condotte dagli agenti della Polizia penitenziaria; ciò ha destato qualche perplessità anche perché proprio dal carcere erano venute le notizie di una morte per impiccagione. Notizie rivelatesi infondate visto che il giovane tunisino è stato portato l’altro ieri mattina al Pronto soccorso dai volontari del 118: era ancora vivo e non aveva alcun segno di violenza, in particolare ecchimosi sul collo. Se, come pare, Faical Mamai è morto per una dose eccessiva di cocaina, bisognerà anche tentare di accertare come la droga sia giunta nella cella dove il tunisino era detenuto dal 5 luglio dell’anno scorso. Qualcuno potrebbe essere sospettato e indagato per aver ceduto lo stupefacente che ha ucciso il tunisino.

Genova: per le detenute un intero giorno con i loro bimbi

 

Secolo XIX, 9 maggio 2005

 

Jane è nigeriana, ha ventott’anni e una storia travagliata alle spalle, i controlli della polizia nelle strade di notte, gli arresti perché clandestina. Jane, ieri, ha trascorso tutta la giornata con il suo bimbo nato quindici mesi fa a Napoli, e come lei hanno fatto dieci detenute del carcere femminile di Pontedecimo dove per la festa della mamma è stata organizzata un’iniziativa speciale: alcune donne hanno incontrato i figli, altre hanno potuto telefonare - spesso lontano dall’Italia - per parlare a loro volta con le madri. E qualcuna, ammette con un mezzo sorriso il direttore del penitenziario Giuseppe Comparone, non ha detto proprio la verità, sorvolando sulle ultime disavventure.

Jane e il suo bambino, in un certo senso, hanno permesso alle altre di rompere il ghiaccio. Il piccolo per un istante ha guardato la folla che si avvicinava all’ingresso del "nido" (il reparto dove vivono i bambini di età inferiore ai tre anni, che possono seguire le mamme in prigione anche se durante il giorno sono seguiti da educatori e accompagnati in un normale asilo), prendendo poi per mano una coetanea, mostrandole i giochi in un’atmosfera strana. Era presenta anche il presidente del consiglio regionale, il diessino Mino Ronzitti, che ha offerto il dolce consumato al termine d’un pranzo a base di pastasciutta, polpette, patatine e Coca Cola. "C’è un’immagine - ammette - che non dimenticherò mai: ho visto una donna incontrare il figlio di sette anni, che non vedeva da due. Lo ha aspettato con ansia, l’ha stretto per cinque minuti e mi ha guardato: "Sa - ha ammesso - ho sempre detto a mio marito di tenerlo lontano da qui, non volevo che vedesse dov’ero finita. Però nei giorni scorsi, quand’ho saputo di questa occasione beh, non ho resistito. È bello, semplicemente bello". Non si era mai vista una cosa del genere a Genova, e Comparone lo sa bene.

"Qui in Valpolcevera abbiamo 95 recluse, praticamente tutte hanno potuto approfittare del servizio: per riabbracciare i propri bimbi, certo, ma anche per farsi vive con le famiglie, a migliaia di chilometri. Non c’erano preclusioni e credo siano partite chiamate per l’intero pianeta: Nigeria, Romania, Senegal, Ecuador, persino l’estremo Oriente". Ronzitti ricorda adesso lo sguardo delle agenti: "Anche loro, probabilmente, sono mamme. Ne ho notate almeno un paio piangere, cercare di confortare una ragazza di 25 anni, finita in cella per furto, terrorizzata dal ritardo dei suoi bambini. "Ma mi sarò spiegata bene - ripeteva - chi li doveva portare avrà capito bene?". La distribuzione di fiori ha chiuso una domenica da ripetere, se possibile migliore, l’anno prossimo: "Ci abbiamo pensato così, all’improvviso - conclude Comparone - ma nessuno poteva immaginare un risultato del genere".

Ivrea: convegno di Antigone in carcere per presentazione attività

 

Social Press, 9 maggio 2005

 

Martedì 3 maggio si è svolto un altro incontro sul carcere presso la Sala cupola. Questa volta è stata presentata l’attività dell’associazione Antigone, con l’intento di costruirne una ramificazione ad Ivrea. Quasi un anno fa si toglieva la vita in carcere ad Ivrea S.T, 28 anni, di nazionalità marocchina. Da allora si sono susseguite diverse iniziative per rendere visibile l’attenzione che alcuni cittadini di Ivrea hanno verso i concittadini di Corso Vercelli, indirizzo della Casa circondariale. Sono state almeno tre quelle fatte dal gruppo di associazioni che ha organizzato quest’ultima, senza contare la precedente messa in piedi dal Comune d’Ivrea con il titolo Città nascoste. In verità, proprio dai limiti di quest’ultima, le associazioni di cui sopra hanno deciso di prendere parola.

Il percorso è stato limpido e accompagnato da persone che sapevano di cosa si stava parlando. Incontri interessanti e partecipati, per quanto, a quest’ultimo appuntamento, la Sala cupola della Serra non sia stata riempita come nelle altre occasioni. La serata di martedì è stata organizzata per raccogliere le adesioni per costruire un gruppo di lavoro locale sul Carcere di Ivrea. Come è stato spiegato nella introduzione alla serata, il rapporto tra città e carcere e sempre più difficile. Nonostante ci sia dal territorio maggiore apertura e disponibilità, la Casa circondariale si sta sempre più arroccando e rifiutando il dialogo. Per tale ragione si sente la necessità di avere una struttura, un referente che dia la possibilità di un maggior controllo e più potenzialità di intervento e denuncia. È stato chiesto al prof. Claudio Sarzotti di spiegare quali sono le attività di questa associazione e quali le iniziative che porta avanti.

Antigone è una associazione che è impegnata su tutto il territorio nazionale. È autorizzata dalla Amministrazione Penitenziaria a svolgere visite negli istituti. Queste visite vengono accompagnate e guidate dalla Direzione del carcere. Non sono ammessi colloqui diretti con i detenuti, perciò vengono ritenuti importanti i rapporti con operatori e volontari interessati a far vedere ciò che in queste brevi visite è difficile notare. Oltre a questo si occupa di fare rilevazioni statistiche e analisi scientifiche sulla condizione carceraria. Compito assai arduo, visto che l’Amministrazione Penitenziaria è incapace di raccogliere e rendere utilizzabili dei dati sugli Istituti di Pena. Infine, quando ne ravvisa gli estremi e l’opportunità, si occupa di denunciare situazioni di abuso o inefficienza. Antigone preferisce non cercare uno scontro diretto con le Istituzioni carcerarie, ritiene più utile avere un atteggiamento interlocutorio. Questa associazione produce annualmente una Relazione sulle condizioni detentive - pubblicata dalle edizioni Carocci - che fa il punto sugli Istituti di Pena italiani. I problemi che si riscontrano ad Ivrea, sono comuni anche agli altri carceri italiani. Come ci ha spiegato l’avv. Davide Mosso, possiamo anche dire che l’iniziativa legislativa si muove verso una radicalizzazione di questi problemi.

La legge Cirielli - la cosiddetta Salva Previti - ha come riferimento le politiche punitive degli Usa, in cui la recidività dei reati viene trattata con durezza tale da impedire qualsiasi percorso di reinserimento. Ovviamente ciò avviene per i comuni cittadini, soprattutto se con problemi di casa o lavoro, ancora meglio se ce li hanno entrambi. Risultato negli Usa va in galera una persona ogni 100. Noi ci manteniamo, al momento, su medie più europee; pur rimanendo agli ultimi posti in quanto a sovraffollamento. Di fronte all’assenza di politiche sociali e alla mancanza di reti che possano sostenere le persone nei momenti di difficoltà, si sta scegliendo la mano pesante. Questa è la causa dell’evidente conflitto che si apre dentro e fuori dagli Istituti di pena. Ci sembra che le condizioni del conflitto stiano alla radice stessa del carcere e che, in questi anni, si stia esprimendo tragicamente attraverso l’autolesionismo dei detenuti. La molla che ha portato le persone a partecipare a questi incontri, però, sembra più essere la pietà, nel senso compiuto e non dispregiativo del termine. Un sentimento di vicinanza a condizioni di sofferenza che, nel corso degli anni, vanno ad aggravarsi. Sovraffollamento, malasanità, burocrazia e violenza sono alcuni degli abusi a cui i detenuti sono quotidianamente sottoposti. Porsi il problema di come aprire una porta perché il conflitto che così si genera possa esprimersi in forme non così autodistruttive come quelle a cui assistiamo e, soprattutto, attraverso quali forme e proposte ci si possa indirizzare per una possibile soluzione, ci pare l’atteggiamento che maggiormente rispetta quel dolore.

Gorgona: per le "giornate ecologiche" i detenuti curano il verde

 

Redattore Sociale, 9 maggio 2005

 

Riprendere i rapporti di collaborazione coltivati nel recente passato che avevano dato ottimi frutti sul piano sociale e culturale; rilanciare le esperienze ed i progetti tesi alla salvaguardia e alla valorizzazione dello straordinario patrimonio ambientale dell’isola. Sono gli obiettivi riconfermati dal comune di Livorno e dalla nuova direzione del carcere attivo a Gorgona, una delle isole dell’arcipelago toscano. Si parte con "Giornate ecologiche all’Isola di Gorgona", la prima iniziativa messa a punto dalla direzione del carcere in collaborazione con il comune di Livorno ed alcune associazioni ambientaliste. Il progetto, partito venerdì, è in programma fino al prossimo venerdì 13 maggio e vede impegnati 18 detenuti della casa di reclusione di Massa Carrara, di cui è direttore lo stesso Salvatore Iodice, da poco alla guida anche del penitenziario di Gorgona. Suddivisi in due gruppi di nove, i detenuti vengono condotti in "permesso-premio" ed a titolo volontario e gratuito nell’isola di Gorgonia per impegnarsi nella raccolta differenziata dei rifiuti, che saranno poi portati ai siti di smaltimento ufficiali.

Insieme ad una parte dei detenuti del carcere di Gorgona, saranno in questi giorni occupati anche nella potatura di alberi e nella piantumazione di nuove piante, oltre che nella sistemazione della viabilità pedonale dell’isola. I detenuti sono affiancati da personale penitenziario (polizia penitenziaria ed educatori), ma anche da operatori di associazioni ambientaliste per concretizzare una sorta di "educazione/formazione" sul campo e "in corso d’opera". Hanno dato la loro disponibilità Legambiente, il Wwf e la Cooperativa Gorgonia. È stata pienamente confermata anche la necessità di mantenere e sviluppare in Gorgona l’attuale Laboratorio di biologia Marina gestito in collaborazione con il Centro Interuniversitario di Biologia Marina. Si tratta di un laboratorio di supporto all’allevamento di pesci, spigole e orate, destinate al consumo del carcere ed anche alla vendita fuori dall’isola. Il lavoro viene svolto in parte da detenuti dell’isola e si colloca all’interno di un percorso complessivo di formazione professionale e di valorizzazione della cultura scientifica , grazie appunto al proficuo rapporto con il Centro Interuniversitario di Biologia Marina, il prestigioso centro di ricerca fondato nel 1967 dal Comune di Livorno insieme a 6 Università italiane. Inoltre comune, provincia di Livorno e Direzione del carcere di Gorgona si sono impegnati a rivedere ed aggiornare la convenzione sottoscritta negli anni ‘90, nella prospettiva di migliorare l’uso turistico consapevole dell’ambiente isolano. Anche su questo terreno si incontrano due volontà, quella dell’amministrazione statale e quella degli enti locali. Ambedue vedono in una maggiore apertura dell’isola un momento importante di recupero sociale della popolazione carceraria, ma anche una occasione per far conoscere soprattutto ai giovani ed agli studiosi un patrimonio ambientale di straordinario interesse. Sull’isola continuerà la positiva esperienza didattica del centro bambini e genitori realizzato dal Comune di Livorno (assessorato alle attività educative). Il centro è a disposizione delle famiglie degli agenti e, comunque, di tutti i bambini che si trovano a soggiornare sull’isola. La Circoscrizione 2, nel cui territorio rientra l’isola di Gorgona, si interesserà invece di una serie di interventi di manutenzione delle strade e di illuminazione.

Catania: per i colloqui ore di attesa all’aperto, al caldo e al gelo

 

La Sicilia, 9 maggio 2005

 

8 maggio. È "festa della mamma" anche nella casa circondariale di piazza Lanza. Le detenute possono trascorre la mattina insieme ai propri figli, se qualcuno è stato disponibile ad accompagnarli. Qualche ora "normale": lo scambio di piccoli doni, giochi in comune, un pasto insieme. Ma la pena, tutti gli altri giorni dell’anno, la scontano anche le donne che stanno fuori, le moglie e le compagne dei detenuti che per incontrare i propri cari, e per garantire il rapporto con i figli più piccoli, si sobbarcano a sacrifici enormi. Ore ed ore d’attesa prima del colloquio di sessanta minuti, separati da un muretto, insieme alle famiglie di altri tre quattro detenuti.

La giornata della donna di un detenuto comincia presto. Spesso è in piazza Lanza già all’alba, per conquistare i primi turni e sperare di potere uscire dal carcere entro ora di pranzo. Alle 8, quando i primi agenti entrano in funzione, i parenti si precipitano alla "buca" lungo il muro di cinta per dare il proprio nome e prenotare il turno. E restano in piazza per ore, per non rischiare che qualcuno li chiami in loro assenza. Per anni hanno atteso all’aperto, poi, sotto la Giunta Bianco, fu realizzato un box in plexigas per ripararli dalle intemperie. La vigilanza l’ha voluto trasparente, per evitare "sorprese". Ma senza chiusure, e senza un condizionatore, è un inferno: gelo d’inverno e cinquanta gradi d’estate. E sempre, in qualunque stagione, sporcizia ovunque perché nessuno pulisce. Infine, quando si varca la fatidica soglia, non è ancora tempo per gli affetti. C’è da attendere in un’altra sala, per nulla confortevole, perché gli agenti devono controllare i pacchi da consegnare ai detenuti. Poi il colloquio tanto atteso. Un incontro che avviene in stanzette minuscole, insieme a tante altre persone, e in piedi, per mancanza di spazio. Nel frattempo i bambini non hanno potuto mangiare, né bere, e, i più piccoli, sono sporchi perché non c’è un fasciatoio dove cambiare il panno. Non uno scivolo, una giostra, un’altalena, un giocattolo con cui svagarsi nell’attesa di un incontro già difficile. Una condizione dolorosa e incivile, nonostante la grande disponibilità degli agenti.

È l’annoso problema di una struttura carceraria vecchia, progettata per 200 persone, e dove, invece, ne vivono più di 400. Non c’è spazio per sale di ricevimento, non c’è spazio per garantire la riservatezza dei colloqui con i familiari, non c’è spazio per i giochi dei bambini. Non c’è e non ci sarà perché, quanto era possibile fare è stato fatto. Il comandante di reparto Giuseppe Romano ricorda che sono stati fatti numerosi lavori di ristrutturazione: nel 2000 l’ala destra, dove saranno effettuati ulteriori lavori per spostare le docce dal corridoio alle stanze, nel 2004 l’ala di sinistra, e ora un intero reparto è chiuso per necessari interventi di recupero. Per abbreviare l’attesa dei parenti le due grandi sale per i colloqui sono state ritagliate per realizzarne quattro, perché in carcere ci sono anche persone condannate per violenza carnale e per pedofilia e bisogna separarle dalle altre. "Ma lo spazio non si può moltiplicare". E anche il trasferimento dei detenuti in altre carceri, spesso, per i familiari non è una soluzione, ma ulteriore motivo di disagio perché devono affrontare viaggi più lunghi e costi maggiori, quando e se possono permetterseli. Così i figli dei detenuti cominciano a sperimentare la durezza delle carceri.

 

 

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