Rassegna stampa 21 maggio

 

Roma: detenuto malato di hiv muore a Regina Coeli

 

Roma One, 21 maggio 2005

 

Un detenuto di 27 anni è spirato la notte tra mercoledì e giovedì all’interno del centro clinico del carcere di Regina Coeli. M.C., romano, affetto da hiv, era da tempo ricoverato nella struttura sanitaria della casa circondariale. Ad avvedersi della sua morte, ieri mattina, gli altri cinque detenuti con cui divideva la stanza che non, vedendolo alzarsi, hanno in un primo momento pensato che dormisse. La morte, a quanto si è appreso, sarebbe dovuta ad arresto cardiocircolatorio che l’avrebbe colpito dopo l’ultimo giro di controllo effettuato dagli agenti di polizia penitenziaria, intorno alle 3 del mattino. Del decesso è stato avvisato il pubblico ministero di turno che deciderà sullo svolgimento dell’autopsia dopo l’arrivo del primo referto sulla morte dei medici dell’istituto di pena. L’uomo, sempre a quanto si è appreso, era arrivato a Regina Coeli nel 2003 per scontare una pena definitiva fino al 2010 per un cumulo di pene legate a reati come rapine, furti ed evasioni dagli arresti domiciliari.

"Questa ennesima morte ripropone la questione della incompatibilità con il carcere di persone tossicodipendenti e malate di aids che da anni come Consulta denunciamo con forza". E questo il commento - affidato ad una nota - del presidente della Consulta penitenziaria Lillo Di Mauro. Secondo Di Mauro "i fatti accertati dicono che il giovane tossicodipendente malato di Hiv era stato a chiacchierare fino alle 6.30 di questa mattina con altri 4 compagni di sventura, poi lo hanno trovato morto all’ora della sveglia". "Questo è solo uno degli ultimi casi. Persone malate come questo giovane dovrebbero essere curate fuori dalla struttura carceraria. Gli sforzi del personale sanitario degli istituti di pena non riescono a venire incontro a quelle che sono le esigenze di questi detenuti. Il risultato è questo triste bollettino".

Roma: detenuto morto; interrogazione di Paolo Cento a Castelli

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

Una interpellanza al ministro Castelli sul detenuto morto di Aids nel reparto clinico del carcere di Regina Coeli a Roma, è stata annunciata dal deputato Paolo Cento. "Dopo la donna morta a Rebibbia - ha detto Cento - questa volta la notizia di un detenuto morto in carcere, nonostante la gravissima malattia lo rendesse incompatibile con il sistema penitenziario, viene da Regina Coeli. Un fatto grave che richiama alla responsabilità politica del ministro di grazia e giustizia che continua a sottovalutare le drammatiche condizioni sanitarie in cui si trovano le carceri italiane e, in particolare, quelle di Roma". Secondo Cento "c’è una emergenza che richiede l’applicazione della legge sull’incompatibilità dei malati gravi con il carcere, il potenziamento delle strutture sanitarie, dei tribunali di sorveglianza".

Cremona: detenuto tenta di uccidere il compagno di cella

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

Un tentato omicidio si è verificato ieri nel carcere di Cremona. Un detenuto ha scagliato ripetutamente uno sgabello sulla testa del compagno di cella, poi ha coperto il corpo esanime, disteso sulla branda, con un lenzuolo. Quindi ha simulato un dialogo per far sembrare che tutto fosse a posto. Ma un secondino ha visto il sangue e ha intuito cosa era successo. La vittima ha subito un intervento chirurgico al cranio.

Giustizia: in Italia nove carceri su 10 sono sovraffollate

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

Un solo carcere su dieci in Italia ospita un numero di detenuti che non supera quello dei posti disponibili. Il resto è sovraffollamento. Quattro istituti su dieci hanno un tasso di presenza che si aggira attorno al 150%, in 3 su dieci il tasso oscilla addirittura tra il 160 e il 180%, 2 su dieci sono sovraffollati fino al 130% della loro capienza regolamentare. La fotografia dell’universo carcere è dell’associazione Antigone, che ha visitato oltre 30 prigioni italiane.

Giustizia: Castelli; chi non vuole la riforma lo dica

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

Per il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sarebbe opportuno che chi ha dei dubbi sulla riforma dell’ordinamento giudiziario esca allo scoperto, dal momento che l’iter è cominciato tre anni fa, ma la conferenza dei capigruppo "non la calendarizza mai". "C’è qualcuno che non vuole questa legge? C’è qualcuno che ha dei dubbi? - ha chiesto il ministro intervenendo a Radiopadania. Lo dica chiaramente di fronte all’opinione pubblica. Io mi rifiuto di accettare questa atmosfera paludosa, questa atmosfera grigia in cui tutto si insabbia. Queste sabbie mobili da cui non si riesce mai a uscire. La Lega è fatta di altra pasta. Noi vogliamo le riforme se le riforme si possono fare le facciamo; se non si possono fare, chi non le vuole fare lo dica chiaramente all’opinione pubblica affinché sia chiaro a tutti chi vuole questa riforma e chi non la vuole". "Quindi ben venga l’azione dei senatori che in maniera trasversale, senatori di tutti i gruppi che appoggiano la maggioranza - ha spiegato Castelli - che hanno detto basta: vogliamo che la legge comunque venga discussa in aula, di fronte all’opinione pubblica in modo che si faccia finalmente chiarezza".

Palermo: governatore Cuffaro riceve Commissione Giustizia Senato

 

Adnkronos, 21 maggio 2005

 

Il governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, ha ricevuto, a Palazzo D’Orleans, sede della presidenza della Regione, una delegazione della Commissione Giustizia del Senato, attualmente in Sicilia per effettuare un monitoraggio sulle condizioni degli istituti di pena nell’isola. Presente all’incontro anche l’assessore alla presidenza, Michele Cimino.

Il presidente della Regione Siciliana si è soffermato a parlare con i senatori del progetto di un nuovo carcere che sostituisca la struttura borbonica dell’Ucciardone. Illustrate anche le iniziative della Regione relative all’amministrazione penitenziaria, e in particolare il protocollo siglato dalla Regione con i tribunali relativo alle strutture dove i detenuti possano svolgere le misure alternative alla pena da scontare in carcere.

Vicenza: progetto Caritas a favore di detenuti ed ex detenuti

 

Redattore Sociale, 21 maggio 2005

 

Si chiama "Il Lembo del Mantello" ed è il nuovo progetto che la Caritas diocesana vicentina, attraverso il suo braccio operativo, l’associazione Diakonia Onlus, sta per avviare in favore delle persone detenute ed ex detenute: una scommessa che ha come obiettivo il loro reinserimento sociale e lavorativo.

Sempre meno infatti l’istituzione carceraria riesce ad assolvere al suo compito costituzionale di rieducare la persona. "Di fatto - riflette il direttore della Caritas diocesana, don Giovanni Sandonà - se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce le si chiudono le porte in faccia. Il carcere, così com’è, più che un’istituzione riabilitante è un cronicario dell’esclusione sociale. In attesa di interventi amministrativi più appropriati, si tenta irrobustire in questa istituzione il ruolo riabilitante attraverso l’applicazione convinta e non timorosa dell’ampio spettro di misure alternative al carcere già presenti nel nostro sistema penitenziario".

Il progetto si rivolge anzitutto ai vicentini reclusi sia nella Casa Circondariale di Vicenza che nei due istituti penitenziari padovani (Casa circondariale e Istituto Penale), che non si trovano in uno stato di tossicodipendenza conclamata e che non sono affetti da patologie psichiatriche debilitanti. Per entrambe queste categorie infatti intervengono già i servizi sociali preposti ed è possibile l’accoglienza in strutture idonee. L’attenzione si focalizza quindi in particolare sui detenuti e gli ex detenuti che posso contare poco o per nulla su sostegni familiari; soggetti che, da un punto di vista dei costi, sarebbero esclusivamente a carico dei servizi sociali dei Comuni, che attualmente non hanno a disposizione percorsi socio-lavorativi idonei e verificati, per intervenire a doveroso sostegno della loro inclusione sociale.

Il progetto prevede l’avvio di percorsi di reinserimento sociale attraverso il lavoro, con l’appoggio di strutture residenziali. Date le tappe riabilitative previste dal progetto, esso andrà a operare soprattutto in favore di chi deve ancora scontare circa due anni di pena. Lo scopo ultimo è evitare che queste persone, una volta uscite dal carcere e prive di adeguati riferimenti familiari ed abitativi, possano ricadere nel circuito della delinquenza.

"Si tratta di un progetto complesso – spiega Maria Giacobbo, presidente dell’associazione Diakonia Onlus -, una sfida che tenterà di mettere in rete le équipe educative dei due carceri, l’Istituto di Sorveglianza, il volontariato, la cooperazione sociale e le associazioni di categoria. È un tentativo di prendere sul serio il dettato costituzionale che assegna al periodo detentivo un compito rieducativo. Noi vorremmo farlo attraverso il lavoro, vera occasione di promozione sociale ed umana".

La "cordata" attivata dalla Caritas diocesana comprende, per quel che riguarda l’istituzione penitenziaria, il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria; i Direttori delle Case Circondariali di Vicenza e di Padova, e della Casa di Reclusione di Padova; i Magistrati di Sorveglianza di Padova e Verona; i Centri di Servizi Sociali per Adulti di Padova e di Verona.

Questo servizio-segno, che partirà con una fase sperimentale della durata di tre anni, prevede all’inizio una serie di colloqui individuali in carcere, tenuti dagli operatori del progetto anche su segnalazione dell’équipe trattamentale (che, come stabilito dall’Ordinamento Penitenziario, ha il compito di individualizzare il trattamento e che è formata dal direttore dell’istituto, dall’educatore, dall’assistente sociale, e da tutti gli altri professionisti deputati a questo compito). La seconda fase prevede, dopo un primo periodo di "osservazione", un momento di formazione professionale e di valutazione dell’attitudine al lavoro, primariamente presso la cooperativa "Saldo & Mecc" che si trova all’interno della Casa Circondariale di Vicenza, e, in alternativa, attraverso uno stage o un normale rapporto di lavoro in aziende esterne individuate con il contributo dell’Associazione Artigiani e l’Associazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di Vicenza. Dopo la conclusione positiva di questo periodo, che può durare fino ad un anno, è previsto l’inserimento lavorativo vero e proprio ed una eventuale residenzialità esterna, per garantire un primo punto di riferimento abitativo, presso il quale sarà garantita la presenza diurna e serale di un operatore (a questa struttura accederanno quindi le persone che possono usufruire delle misure alternative al carcere e gli ex detenuti). Gli ospiti di questa struttura verranno accompagnati anche da volontari (coppie o famiglie) che li aiuteranno a ricostruire un tessuto relazionale sano. Infine è previsto il passaggio ad appartamenti di "sgancio" e il recupero di una piena autonomia.

Il costo complessivo dell’iniziativa, per i prossimi tre anni, è di 695 mila euro, dei quali il 30 per cento (pari a 208.563 euro) è a carico della Caritas. La Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona ha finanziato finora il primo biennio con un contributo di 450 mila euro.

Ancona: commissione Giustizia Senato visita casa circondariale

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

La vasta ricognizione dello Stato sul sistema carcerario italiano che la Commissione Giustizia del Senato sta svolgendo, sta toccando in questi giorni le Marche. Oggi in particolare l’attenzione sarà focalizzata sul carcere di Marino del Tronto ad Ascoli. La delegazione del Senato è composta dai senatori Calvi, Magistrelli, Cavallaro e Ciccanti (tutti marchigiani), guidati dal presidente della Commissione Antonino Caruso. Ieri sono stati visitati gli istituti di pena di Fossombrone, Macerata e Pesaro. Oggi, oltre ad Ascoli la delegazione visiterà anche la casa circondariale di camerino che ospita anche una sezione femminile. A Marino del Tronto Ciccanti e i suoi colleghi visiteranno non solo la sezione comune, ma anche quella che ospita detenuti sottoposti al regime del 41/bis. Previsto anche un incontro con i rappresentanti dell’ente locale, con il personale, le associazioni che a diverso titolo risultano coinvolte nelle tematiche carcerarie: volontariato, associazioni imprenditoriali, gruppi locali.

Una visita dunque importante in una struttura penitenziaria che registra da molto tempo problemi di sovraffollamento con episodi di intolleranza sfociati in atti di violenza di cui si sta occupando ance il tribunale di Ascoli dove sono diversi i processi aperti. Nel carcere ascolano sono stati detenuti personaggi di spicco della criminalità come Totò Riina, Cutolo, Vallanzasca, Alì Agca, Pippo Calò.

Enna: cultura in carcere, petizione per donare libri ai detenuti

 

La Sicilia, 21 maggio 2005

 

Piazza Armerina. Nella settimana dedicata alla cultura la biblioteca entra in carcere. Si tratta di una iniziativa dell’assessorato comunale alla pubblica istruzione che propone alla cittadinanza di adottare la biblioteca del carcere di Piazza Armerina con donazioni di libri di testo o narrativa e quant’altro la disponibilità potrà offrire. Dopo un incontro informale svoltosi nella casa circondariale nell’ufficio della responsabile dell’area educativa Concetta Rampello alla presenza dell’assessore Roberto Rossitto e del direttore della biblioteca comunale Angelo Mela, sarà firmato un protocollo d’intesa tra le due amministrazioni per instaurare rapporti di collaborazione e integrazione. "Lo scopo dell’iniziativa è quello di liberare chi libero non è - dichiara Roberto Rossetto - oltre che dal bisogno, anche dall’ignoranza".

"Attualmente - dice Concetta Rampello - la biblioteca dell’istituto ricavata con numerosi sforzi nello spazio disponibile, consta di un piccolo numero di libri, ed è frutto di donazioni della Soprintendenza, della Provincia e di privati, quindi accogliamo di buon grado anche libri provenienti da sfoltimento e razionalizzazione di risorse che altrove abbondano".

Angelo Mela si è detto disponibile a fornire consulenza ai detenuti interessati e anche disponibile al prestito come già avviene con il resto della cittadinanza. "Il sindaco - continua ancora Rossitto - di fronte alla problematica del carcere, si è mostrato aperto propositivo e interessato ad intraprendere iniziative di concerto con l’amministrazione carceraria, per l’integrazione della struttura e delle sue problematiche nel tessuto cittadino. In futuro contiamo di poter fornire una consulenza ed un orientamento al lavoro anche ai detenuti".

L’educazione alla cultura ed ai valori fa parte di quel concetto di giustizia riparativa che il direttore generale dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tenebra sta portando avanti allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte al senso del riscatto sociale in riparazione del patto sociale violato con la commissione dei reati. Esmeralda Rizzo

Frosinone: tentano sesso in carcere, coniugi sotto processo

 

Agi, 21 maggio 2005

 

Stavano facendo il solito colloquio settimanale nell’apposita sala del carcere di Frosinone, quando, in preda a un raptus sessuale, hanno iniziato i preliminari. La scena è stata immediatamente bloccata dagli agenti della polizia penitenziaria che hanno ricomposto il detenuto e lo hanno rispedito in cella. La sua compagna, invece, è stata denunciata per atti osceni in luogo pubblico. La donna ha spiegato che erano mesi che non riusciva a parlare con il marito e che provava nei confronti di questi una fortissima attrazione fisica. La singolare vicenda è ora finita davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Frosinone che ha rinviato a giudizio entrambi i coniugi focosi e, inoltre, ha disposto l’immediato trasferimento dell’uomo in un carcere siciliano. -

Emanuela muore d’aids; per chi "conta" c’è la salva-Previti...

 

Il Campanile, 21 maggio 2005

 

La settimana scorsa un triste fatto di cronaca, per la verità riportato soltanto marginalmente sulle colonne dei maggiori quotidiani nazionali, fotografava alla perfezione lo stato di emergenza in cui versa da anni il nostro sistema giudiziario. Il 16 Aprile, ma la notizia veniva divulgata solo tre settimane dopo, una detenuta di Rebibbia, ammalata di Aids, è morta di varicella all’ospedale Spallanzani di Roma. Per Emanuela, questo il nome della sfortunata ragazza, la diagnosi contenuta nella cartella clinica dell’ambulatorio del carcere parlava chiaro: Hiv conclamato, fase terminale. Eppure, come spesso accade in casi analoghi, ciò non le è bastato per ottenere gli arresti domiciliari o quantomeno un regime compatibile con il proprio stato di salute. Così, quando un mese fa tra le celle di Rebibbia si è diffusa un’epidemia di varicella, il suo fisico debilitato ha subìto il contagio. Il 13 Aprile la ragazza veniva finalmente portata in Ospedale ma era già troppo tardi. Emanuela moriva tre giorni dopo il ricovero. Aveva appena 26 anni. Anche altre due detenute, entrambe siero-positive, venivano trasferite in due nosocomi della capitale. Può sembrare incredibile, ma in un carcere sovraffollato come quello di Rebibbia qualunque virus può diventare letale. Soprattutto per le tante persone sieropositive che scontano la pena dietro le sbarre. Poche ore dopo la morte di Emanuela, è finalmente scattata la quarantena: niente visite, niente laboratori di lavoro, niente lezioni, niente contatti con l’esterno; agli agenti penitenziari venivano sospesi permessi e ferie, mentre la Asl finalmente provvedeva alle vaccinazioni per fermare l’epidemia. "Perché, se la ragazza era stata dichiarata incompatibile col regime carcerario già il 7 marzo, è stata tenuta dentro così a lungo?" - si è chiesto Luigi Manconi, garante dei detenuti per il comune di Roma - "purtroppo, dopo la dichiarazione di incompatibilità, l’iter che prevede la liberazione viene spesso bloccato per l’assenza di una casa o di una struttura esterna alla quale appoggiarsi. Ma questo rientra ormai in una situazione generale sempre più degradata che registriamo nelle carceri, dove manca di tutto, a partire dai farmaci di fascia A, e dove ci sono ritardi gravissimi per i ricoveri ospedalieri". Non usa invece mezzi termini Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi, associazione che rappresenta i 350 medici che lavorano nelle strutture penitenziarie: "qualunque cosa avesse fatto, la ragazza non doveva stare in carcere in quelle condizioni" e nel ricordare che l’Italia ha adottato il principio secondo cui quando un detenuto sieropositivo diventa malato di Aids conclamato deve essere scarcerato, continuava amareggiato "troppo spesso i magistrati di sorveglianza non applicano queste norme e, a volte, neppure le conoscono". Da giorni, le organizzazione che tutelano i diritti dei detenuti, i medici e i sindacati della polizia penitenziaria, avevano lanciato un chiaro allarme sulle disastrose condizioni sanitarie delle carceri italiane. E alcuni dati contribuivano a dare più forza alla protesta: 22000 tossicodipendenti tra i reclusi, 8600 affetti da epatite virale, 6500 malati mentali. Solo nel 2004 ci sono stati 1100 tentativi di suicidio. Per non parlare poi delle carenze di personale. A Rebibbia femminile gli agenti sono sotto organico del 25%, come denuncia l’Osapp. Dunque, se il livello di civiltà di un Paese è dato anche dallo stato delle sue carceri, per l’Italia resta ancora da fare parecchia strada. Ma nonostante la gravità della situazione, sui provvedimenti da prendere, l’accordo politico rimane lontano. Allo stato dei fatti non si riesce a trovare un compromesso nemmeno su un possibile atto di clemenza, sempre più necessario in attesa di una riforma complessiva del sistema carcerario. Ad attrarre tutti gli sforzi dell’attuale maggioranza sono norme di tutt’altro genere, sulle quali spesso non c’è neanche bisogno di discutere. Si pensi al caso della bancarotta fraudolenta. Nemmeno una settimana fa l’Esecutivo, con il maxi-emendamento al Dl sulla competitività, tentava di abbassare la pena del reato di bancarotta fraudolenta da 10 a 6 anni. Per effetto di questa riduzione la prescrizione sarebbe passata da 22 e mezzo a soli 15 anni. Dopo aspre polemiche e il consueto balletto delle responsabilità, tutto è tornato come prima. All’inizio della settimana, però, era stata scongiurata una proposta ancora più dirompente. In commissione Bilancio al Senato veniva approvato un abbassamento della pena a soli 4 anni per la bancarotta impropria, realizzata da amministratori, sindaci e liquidatori su un patrimonio non loro. La prescrizione sarebbe passata a sette anni e mezzo, compromettendo in maniera definitiva una larga parte dei processi in corso e rendendo improbabile la conclusione delle indagini nei tempi previsti. La levata di scudi di una folla di giuristi ed operatori del diritto è riuscita ad evitare il nuovo colpo di mano. Ma su tanti altri provvedimenti ad personam come la legge salva-Previti, il falso in bilancio, il Lodo Schifani non c’è stato nulla da fare: la maggioranza è riuscita ad andare avanti alla velocità della luce, travolgendo tutto e tutti. E allora: forse la dea della giustizia ha deciso di togliersi la benda e di far pendere la bilancia più da una parte che dall’altra? Per il nostro ordinamento vale la regola dei due pesi e delle due misure? Intransigenza per alcuni, tolleranza per altri? Come ha riaffermato recentemente la Corte di Giustizia europea, guarda caso proprio nell’esaminare la compatibilità della nostra disciplina sul falso in bilancio con quella comunitaria, la sanzione penale deve assumere un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo. Un ordinamento che lascia morire in carcere una ragazza gravemente malata e contemporaneamente non punisce con la dovuta severità persone che, con la loro condotta criminale, mettono in pericolo i soldi di migliaia di risparmiatori, finisce per diventare il contrario di se stesso, un sistema ingiusto, quasi irrazionale. Di fronte ad una situazione tanto confusa è giunto il momento di ristabilire la corretta scala di valori e di priorità, tornando ad affrontare con decisione i veri problemi della Giustizia, senza inutili e pericolose divagazioni; per restituire un minimo di equità ed efficienza al sistema, per porre fine all’emergenza e, soprattutto, per fare in modo che casi come quelli di Emanuela non si ripetano mai più.

Tolmezzo: in scena la voce libera di "Radio dog dog"

 

Il Gazzettino, 21 maggio 2005

 

Fare teatro in carcere: oggi, nella sala teatrale del carcere di Tolmezzo, alle 13, gli attori della Compagnia stabile della Casa circondariale di Tolmezzo metteranno in scena per la prima volta "Radio Dog Dog, una voce libera", lo spettacolo da loro stessi ideato, scritto e interpretato e creato sotto la guida di Sandro Carpini, attore e regista che da alcuni anni ha prestato la sua opera appassionata all’interno del carcere.

Carpini guida un laboratorio teatrale al quale partecipano ormai in forma continuativa alcuni detenuti della sezione ad alta sorveglianza e che può oggi considerarsi una vera e propria compagnia amatoriale. Il regista ha iniziato il suo particolare lavoro inizialmente come volontario, ma negli ultimi tre anni è uno dei collaboratori del Progetto pilota in tema di disadattamento, devianza e criminalità che il Css Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia sta coordinando all’interno di quattro case circondariali della regione. "Radio Dog Dog una voce libera" è nato come spettacolo in oltre 4 mesi di incontri settimanali della Compagnia della casa circondariale ed è stato interamente scritto dai suoi attori. È la storia di una radio di fantasia. Una radio diretta dai detenuti di un carcere che la fanno diventare la loro voce libera. Allo spettacolo faranno da spettatori, assieme agli altri detenuti, il gruppo di attori della compagnia teatrale dell’Università della Terza età di Tolmezzo, il sindaco, i magistrati Mariangela Cunial e Lionella Manazzone, il procuratore Enrico Cavalieri, i presidi della scuola media di Tolmezzo. Al termine dello spettacolo i detenuti partecipanti al corso di cucina offriranno ai presenti una degustazione.

Cassazione: carcere per baby i teppisti, la comunità non basta

 

Secolo XIX, 21 maggio 2005

 

Il "collocamento in comunità" - in attesa del processo - à una misura troppo blanda per gli studenti-bulli indiziati di gravi violenze nei confronti dei loro compagni di classe più deboli. Specie se i baby-teppisti continuano a comportarsi male anche dopo l’inizio delle indagini. Per questo la Cassazione invita i giudici dei tribunali dei minori a non escludere la custodia cautelare in carcere per gli adolescenti con una forte propensione a delinquere. Proprio la Suprema Corte afferma che i magistrati di merito, che si occupano dei crimini dei minorenni, non possono escludere l’applicazione del carcere preventivo sostenendo che à un rimedio estremo al quale ricorrere quando tutte le altre misure appaiono inidonee.

Questo severo orientamento di Piazza Cavour nasce da un ricorso del pm per i minori di Sassari contro la decisione del Tribunale del riesame sassarese che, il 10 maggio 2004, aveva detto no all’ingresso in carcere per Alessandro U., 17 anni, accusato di sevizie verso uno studente della sua classe. I giudici del tribunale di sorveglianza ritenevano che affidare il ragazzo a una comunità, mentre il processo faceva il suo corso, fosse una misura restrittiva più che sufficiente. Ma il pm non ha condiviso questa decisione e ha fatto ricorso in Cassazione facendo presente che Alessandro - indagato per aver costretto a compiere e subire violenza sessuale un compagno con handicap che veniva anche costretto a assumere stupefacenti e a mangiare un panino imbottito di escrementi animali - aveva minacciato un testimone a causa della sua deposizione, nel periodo in cui si trovava ospite della comunità.

Per il pm, il ragazzo dall’indole spavalda e arrogante non meritava l’attenuazione delle misure cautelari e doveva tornare in carcere, dove inizialmente era stato rinchiuso. La Cassazione ha pienamente condiviso questo punto di vista e ha affermato che, anche alla luce del nuovo fatto intimidatorio non à sufficiente affermare - come hanno fatto i giudici di merito - che la custodia cautelare in carcere debba essere applicata, soprattutto nei confronti dei minori, quando tutte le altre appaiono inidonee.

In sostanza, ad avviso degli "ermellini", la pericolosità sociale e il rischio di reiterazione del reato sono elementi che vanno ben ponderati anche quando ci si trova davanti un ragazzino minorenne. Per questo la Quarta sezione penale - con la sentenza 19331 - ha annullato, con rinvio al Tribunale per i minorenni di Sassari, l’ordinanza che convalidava il collocamento di Alessandro in una struttura di accoglienza.

È già la seconda volta che Piazza Cavour si occupa di questo caso di criminalità minorile: lo scorso luglio, la Cassazione aveva giudicato che la comunità era troppo poco per Alessandro, ma nonostante ciò il Tribunale del riesame aveva riconfermato il provvedimento. Adesso però - specie dopo le minacce al teste - difficilmente il giovane indagato eviterà la cella minorile.

Mafia: Napoli (An); carcere duro forse solo abolendo i colloqui

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

"Chi, soltanto oggi, si meraviglia dei "colloqui facili" da parte dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis, con molta probabilità non conosce, o quantomeno ha sempre sottovalutato, le capacità attraverso le quali i boss mafiosi riescono non solo a mantenere i colloqui con l’esterno, ma addirittura a trasmettere ordini". A sostenerlo è stata la vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, Angela Napoli. "Va ricordato - ha aggiunto la parlamentare di An - che la legge, in merito alla determinazione dei colloqui con familiari e conviventi, interviene solo per garantire locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, ma non può, in alcun modo, vietare nè il saluto con il congiunto, che comunque non dovrebbe avvenire con l’abbraccio, né tanto meno segnali o movimenti che potrebbero essere significativi e recepiti solo da coloro che appartengono alle singole cosche mafiose. Peraltro, nelle passate legislature e comunque prima della stabilizzazione nell’ ordinamento giuridico dell’istituto del 41 bis, allorquando erano state allentate le relative applicazioni, ben più pesanti erano i messaggi inviati all’esterno, ad esempio, addirittura attraverso bigliettini depositati dietro i radiatori dei riscaldamenti. Non dimentichiamo, poi, il tam-tam che i detenuti, allora sottoposti al regime del 41 bis, sono riusciti a trasmettere tra le carceri nel momento in cui il Parlamento si accingeva a stabilizzare la norma giuridica in questione". "Con tutta sincerità - ha concluso Angela Napoli - non mi sento di addebitare responsabilità per quanto accaduto all’Amministrazione giudiziaria, nelle sue varie articolazioni. Semmai, Corte dei Diritti Umani permettendo, andrebbe revisionata la normativa vigente, escludendo qualsiasi genere di colloquio: forse, solo così, si potrebbe davvero parlare di ‘carcere durò".

Torino: nominato il garante dei diritti dei detenuti

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

I detenuti del carcere Lo Russo - Cutugno di Torino hanno una carta in più da giocare per ottenere il rispetto dei loro diritti e un aiuto per il reinserimento sociale a fine pena. È il "garante dei diritti delle persone private della libertà", istituito dal Comune di Torino, quarto in Italia a nominare questa figura, dopo Roma, Firenze e Bologna. Promuovere i diritti dei detenuti e offrire opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali sono i compiti del garante, che rimarrà in carica per cinque anni, con nomina rinnovabile una sola volta. La persona designata è Maria Pia Brunato, 50 anni, assessore alla Solidarietà sociale e alle Pari opportunità alla Provincia di Torino dal 1996 al 2004, eletta tra le fila dei Ds, laureata in giurisprudenza e attiva in politica dagli anni Ottanta.

"L’ iniziativa - ha spiegato oggi il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, durante la presentazione in carcere - rientra nella strategia di attenzione, che da tempo il Comune di Torino presta al carcere". Il sindaco non ha escluso la possibilità di estendere la figura del garante ad altre strutture dove le persone vivono nella privazione della libertà. "Vedremo come funziona qui - ha spiegato - poi penseremo ad altro, ad esempio al Cpt, il Centro di permanenza temporanea per immigrati". Per la presentazione sono intervenuti il vice provveditore alle carceri, Vincenzo Castoria, insieme a rappresentanti del personale della casa circondariale e delle associazioni di volontariato che operano all’interno. C’ era inoltre una rappresentanza dei gruppi consiliari comunali. Hanno espresso tutti soddisfazione per l’istituzione della figura del garante, ma hanno sottolineato anche la necessità di non abbassare la guardia, in particolare rispetto alle questioni sanitarie e al problema dei suicidi di detenuti all’interno della struttura, che si sono riproposti in due casi, di recente.

I detenuti attualmente presenti nel carcere di Torino sono 1.441, di cui 1.310 uomini e 131 donne, con sei bambini. La capienza del carcere sarebbe invece di circa 900 posti. Dei 1.441 presenti, gli italiani sono 779, gli stranieri comunitari 37 e gli extracomunitari 625. L’età media è di 30 anni e la condanna media di tre anni. Le persone in semilibertà sono 58 e quelle che usufruiscono di pene alternative 197. Gli agenti di polizia penitenziaria che si occupano del carcere sono 854 uomini e 88 donne.

Milano: l’evasione del mensile "L’Oblò", di Stefano Arduini

 

Vita, 21 maggio 2005

 

Redatto e distribuito da due anni all’interno del reparto "La Nave", struttura adibita al recupero dei tossicodipendenti del carcere di San Vittore, il mensile d’attualità L’Oblò trova in Kowalski il suo editore e nelle librerie La Feltrinelli di Milano la sua rete di distribuzione (2000 copie divise in sei punti vendita). "Un passo decisamente importante nella storia del giornale - afferma Renato Pezzini direttore responsabile de L’Oblò - Da sempre infatti tentiamo attraverso il lavoro di redazione di motivare e responsabilizzare i detenuti, collaborando per certi versi ad una loro formazione professionale. Sapere che quanto scrivono avrà lettori anche fuori da il carcere rappresenta un forte stimolo ad aumentare il loro impegno e naturalmente accresce la loro gratificazione". Due impaginatori, dieci aspiranti giornalisti, due operatori Asl, due collaboratori esterni, un direttore responsabile (Renato Pezzini) e un vicedirettore (Paolo Foschini): questa la redazione al completo che ogni mercoledì si confronta, cerca spunti e, soprattutto, dà a coloro che non l’hanno, la possibilità di esprimere la propria opinione sugli argomenti più vari. L’Oblò, infatti, è un’ idea che nasce dagli stessi "abitanti" del reparto "La Nave", dal desiderio di mettersi in gioco, dalla voglia di comunicare: uno sguardo verso l’esterno da chi all’esterno non può andare. Non solo il desiderio di spiegare come si vive dentro: L’Oblò parla anche di tutto ciò che è attualità, politica e tanto altro. Proprio per questo motivo, i detenuti hanno cercato l’appoggio di giornalisti professionisti in grado di farli crescere e di insegnare loro le dinamiche di un giornale. Oroscopi, interviste, notizie in pillole, calcio, musica e tutto ciò che può suscitare l’interesse di questi redattori in erba racchiuse in otto pagine formato A4.

Criminalità: Mantovano; il calo d’attenzione è tangibile

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

C’è "un calo di attenzione" nei confronti del fenomeno della criminalità sulle imprese. "Oggi rispetto ai primi anni Novanta questo calo di attenzione è tangibile, è un dato oggettivo". Ad ammetterlo oggi, nel corso della presentazione del Rapporto 2005 di Sos Impresa, è stato il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano che si è detto "disponibile a lavorare a correzioni di carattere normativo" per combattere meglio il fenomeno.

"L’attenzione già c’è - ha chiarito il sottosegretario - ma questa è una battaglia che non si affronta solo con le norme o i risarcimenti. Deve vedere un esercito schierato al cui interno ci sono vari reggimenti con le varie specificità. Mi sembra che non siamo al punto zero: c’è un quadro normativo ormai consolidato ed esiste una azione di contrasto come un associazionismo che viene sollecitato da iniziative di giovani stanchi di sottostare a determinate imposizioni, come è avvenuto in Sicilia e a Napoli. Per rompere questo circolo vizioso serve il concorso di tutti e degli stessi operatori economici". Mantovano ha fatto riferimento al fatto che in tante zone del sud "l’economia è drogata anche per la non occasionalità di truffe ai danni dell’Ue: ormai sono decine nel sud i processi a imprenditori per la strumentalizzazione della legge 488, il che fa sorgere perplessità sul fatto che siano non eccezioni.

Penso anche ai cartelli con cui si alternano le gare, inquinando il mercato". Ai giornalisti che gli facevano notare che l’opposizione muove l’accusa al governo di non fornire dati chiari sulla criminalità, Mantovano ha risposto che "il ministero dell’Interno ogni anno consegna agli italiani un rapporto sulla sicurezza pieno di grafici, dati, percentuali e valutazioni che consentono di avere il quadro aggiornato della criminalità e della lotta ad essa. Credo - ha aggiunto - che su questi argomenti non debbano esservi contrapposizioni tra schieramenti.

Piuttosto, vi sono occasioni immediate di confronto: la prima è il riordino normativo delle disposizioni sul sequestro e sulla confisca dei beni. Esiste un disegno di legge del Governo all’esame della commissione Giustizia della Camera. Mi auguro che questo esame sia il più approfondito dialettico e approfondito perché sono questioni delicate". Infine, sulla proposta di legge Cirielli, oggi criticata dallo stesso presidente di Confesercenti, Marco Venturi, il sottosegretario ha detto: "al momento questa legge non c’è. È giusto preoccuparsi di misure normative che però vanno esaminate nel loro insieme. Io - ha concluso - sono abituato a ragionare a legislazione vigente e ad operare nella misura massima gli strumenti a disposizione".

Mafia: familiari vittime Georgofili; rendere più operativo 41 bis

 

Adnkronos, 21 maggio 2005

 

"Occorre prendere provvedimenti per rendere più operativo il regime carcerario del 41 bis". Lo scrive, in una nota, l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili di Firenze, intervenendo in merito al caso dei cosiddetti "colloqui facili" al carcere Pagliarelli di Palermo. "È un dato di fatto del processo di Firenze per le stragi del ‘93 - spiega l’Associazione - che anche gli ordini più spietati uscirono allora dal carcere. L’ammorbidimento di questo tipo di detenzione più severa, per chi si è macchiato di crimini orribili e ha comunque esigenze di comunicare con l’esterno, è stato sicuramente il motivo per cui i corleonesi hanno eseguito massacri come la strage di Firenze del 27 maggio 1993".

Minori: il Cgm è senza fondi, rischio chiusura per le comunità

 

Redattore Sociale, 21 maggio 2005

 

Il Centro per la giustizia minorile non ha più fondi per pagare le rette dei minori con provvedimenti di misura cautelare, di messa alla prova o di misura alternativa al carcere inseriti in comunità. Una notizia che ha allertato le strutture della capitale che paventano per questo la chiusura. I responsabili della comunità Felix, Monello mare, Fiore del deserto, Epoche fanno sapere che le rette sono indispensabili alla sopravvivenza delle loro strutture e che c’è ora il serio rischio di dover "chiudere i battenti". Gia nell’anno 2004 il finanziamento ministeriale non è stato sufficiente a coprire il pagamento di tali rette (un debito di circa 470mila euro nei confronti delle comunità).

"Se si considera che il finanziamento stanziato per il pagamento delle rette relativo a tutto l’anno 2005 - circa 400mila euro - non sarà sufficiente neanche a sanare il debito pregresso, - sottolineano i responsabili - ne consegue un alto rischio di chiusura delle strutture di accoglienza per minori, determinando il disconoscimento dei diritti del minore con gravi ripercussioni per quanto riguarda la tutela della collettività. Le comunità di accoglienza per minori hanno sollecitato l’intervento del Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, del Garante regionale dei Diritti delle Persone private della libertà personale e del Presidente della Consulta Penale del Comune di Roma".

Torino: nel Cpt la protesta contro espulsione gruppo immigrati

 

Il Manifesto, 21 maggio 2005

 

È stata una rivolta annunciata quella di mercoledì notte al centro di detenzione di corso Brunelleschi. Annunciata prima di tutto perché non è pensabile che persone rinchiuse in galera (i cpt questo sono) senza aver commesso alcun crimine accettino remissive e in silenzio una detenzione che si concluderà molto probabilmente con un’espulsione in un paese dove magari rischiano altra galera se non la morte. E poi annunciata perché a Torino in queste ultime settimane la tensione è alle stelle. Così mercoledì notte, secondo le poche informazioni (nei cpt entrano solo i parlamentari, ma spesso neanche loro ci riescono), di fronte all’imminente espulsione di un gruppo di cittadini (forse rumeni), c’è stato il tentativo di fermare quel viaggio forzato. Materassi che bruciano, vetri che vanno in frantumi. Qualcuno si è fatto male, qualche altro ha ingoiato dei vetri, pile. Certamente più di una persona è finita all’ospedale. La polizia è arrivata nell’ex caserma militare commutata in "lager" in tenuta anti-sommossa. Agli avvocati qualche ispettore dice che non è stata usata la forza per reprimere la rivolta. La notizia della protesta fa il giro delle comunità e dei gruppi che in città lavorano per la chiusura dei cpt. Alle sei decine di persone si ritrovano davanti al centro. I migranti sono in sciopero della fame e rispondono con urla e battendo sulle inferriate agli slogan di fuori.

Ma la scorsa settimana è stata segnata da una serie di pesanti tragedie che hanno colpito le comunità straniere. Una giovane donna di origine slava si è suicidata nel carcere delle Vallette. Quindi ci sono state le retate della polizia contro presunti spacciatori: due i morti. Entrambi senegalesi. Il primo, giovanissimo (aveva 23 anni) è morto annegato nel Po, ai Murazzi. Un tragico déjà vu, che riporta alla mente Khalid e Abdellah: il giovane impaurito cerca di sfuggire alla retata organizzata dai poliziotti al Valentino. Dicono che abbia urlato prima di gettarsi in acqua. Il fiume, unica via di scampo per sfuggire a quei controlli che, se non hai i documenti in regola, significano espulsione, centro di detenzione, arresto. Comunque repressione. Mamadou Diagne non sapeva nuotare. "È scomparso sott’acqua" dicono i testimoni. Nessuno si è gettato ad aiutare quel giovane. Mamadou era a Torino da tre giorni. Si glissa sul fatto che il giovane "spacciatore" non aveva nulla con sé. In una seconda retata una pattuglia della polizia ferma una macchina "sospetta". All’interno quattro cittadini africani. Spacciatori, per la polizia. Nel controllo che segue, parte un colpo di pistola. Cheik Ibra Fall, senegalese di Mbout, viene colpito e muore pochi minuti dopo. L’autopsia rivela che nello stomaco l’uomo aveva degli ovuli di droga. Tanto basta per giustificare l’omicidio. Che infatti viene archiviato come tragico incidente. Il cugino sta facendo una colletta per rimpatriare la salma del giovane che si faceva chiamare Ibrahim Ba, come il giocatore del Milan, per dargli degna sepoltura.

Sabato scorso, organizzata dal collettivo Porfido, c’è stata una grande manifestazione di italiani e migranti. La rabbia e il dolore della comunità senegalese, si mescolano alla consapevolezza del clima pesante che sta montando in una città le cui politiche sembrano offuscate dall’avvicinarsi delle Olimpiadi. I giochi sono considerati dagli amministratori l’ultima spiaggia per Torino. Che si prepara all’evento da una parte ignorando gli schiavi costretti a lavorare nei cantieri olimpici (ieri la "scoperta" di altri lavoratori irregolari), dall’altra mettendo sotto il tappeto la crisi economica che sta strangolando la città (Fiat in testa) e infine puntando sulla "pulizia" (che significa eliminare ciò e chi "stona" con la patina olimpica) per presentare al mondo (che Torino spera si sintonizzerà sui giochi) un volto pulito e sorridente.

Volontariato: la Fivol muore, rischia di chiudere anche la "Rivista"

 

Liberazione, 21 maggio 2005

 

Tanti cartelli affissi sul portone centrale della sede, in via Nazionale 39, a Roma. Uno per tutti "10 anni di lavoro continuativo: arrivederci e grazie". Un presidio di lavoratrici e lavoratori. L’ennesima storia di licenziamenti, contratti a termine che si protraggono sul ricatto. O si accettano le condizioni o si resta senza lavoro. Questa volta a comportarsi come uno dei tanti padroncini che scorazzano nel libero mercato del lavoro, è la Fondazione Italiana del Volontariato (Fivol) uno dei pilastri nel non profit nazionale, il cui principale sostenitore è la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma. Il meccanismo è il solito: si denunciano difficoltà di bilancio e dei 22 dipendenti a tempo indeterminato se ne tagliano 16. Per gli altri 11 collaboratori, in gran parte impiegati in attività strutturali per la Fivol, con orari e mansioni da lavoratore dipendente, spesso con alta qualifica professionale, il destino è segnato.

L’agonia è cominciata alcuni mesi fa: prima un rinnovo del contratto, per i collaboratori, bimestrale, poi mensile e ora tutti a casa. Eppure la Fivol aveva in 14 anni di vita acquisito competenza e autorevolezza in campo internazionale. Sotto la guida di Luciano Tavazza, precocemente scomparso cinque anni fa, si era realizzato un progetto enorme che comprendeva una banca dati delle attività di volontariato sociale in Italia e corsi di formazione per chi voleva rendere le proprie esperienze locali o settoriali di intervento più capaci. Ma il fiore all’occhiello della Fivol è sempre stata la Rivista del Volontariato: periodicità mensile, capacità di avvalersi di collaborazioni eterogenee, sensibili ad ogni oscillazione, movimento, ridefinizione dei tessuti della società civile. Per molti è stata una vera e propria palestra, un luogo di formazione e di riflessione attorno ad un mondo, quello del "sociale" che può essere il tutto e il contrario di tutto.

E quindi, negli anni la problematizzazione di domande come il rapporto fra pubblico e il privato, l’idea stessa di volontariato declinata in forme e modalità diverse. Riflessioni teoriche che si accompagnavano a resoconti di esperienze concrete, nei tanti sud del mondo come nelle realtà opulente, esperienze che a loro volta erano spunto per dibattito anche fra realtà di solito non comunicanti. La Rivista era distribuita in abbonamento, per alcuni anni ha avuto una tiratura di 50 mila copie, ridotte negli ultimi tempi ad un terzo. Ma i costi erano considerati elevati e si è cominciato a ridurre il budget. Viene da domandarsi se abbia o meno influito il taglio stesso del periodico: critico e ricettivo verso forme di partecipazione sociale.

La Cassa di Risparmio di Roma, uno dei colossi del mondo bancario, era infatti passata in mano a Emanuele Emmanuele, fautore di un "liberismo sociale" e considerato vicino ad Alleanza Nazionale. Alla gestione della Fivol era subentrato il Marchese Giulio Theodoli, con il preciso compito di rendere meno onerosa la gestione di un ente che dovrebbe per sua natura essere votato al non profit. Secondo i lavoratori, la Fondazione Cassa di Risparmio ha dato prova di volersi "sbarazzare" della Fivol, decidendo di tenerla in vita come istituto di ricerca. La proprietà si è rifiutata di aprire un tavolo negoziale con i collaboratori.

Il Marchese Theodoli, si è dichiarato disponibile ad una intervista previo appuntamento e comunque, data la delicatezza del tema, non certo tramite colloquio telefonico. Possibile che Cassa di Risparmio o gruppo Capitalia, altro socio, non possano ricollocare 27 lavoratori? Dura la presa di posizione del Vice Presidente del Consiglio della Provincia di Roma, Nando Simeone, che ha portato la propria solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici in lotta: "Troppo spesso giro per la città e incontro piccoli gruppi di lavoratori precari lasciati in mezzo a una strada che dimostrano nell’incuranza di tutti. Questo non può continuare". Nel frattempo è uscito quello che potrebbe essere l’ultimo numero della Rivista. Uno spazio di libertà e di informazione in meno.

Roma: la Procura; dormire sotto i ponti non è un reato

 

Liberazione, 21 maggio 2005

 

Dormire sotto i ponti non è reato. Sono le conclusioni cui è giunto il pm della procura di Roma, Giuseppe Saieva, che ha chiesto al gip di archiviare l’indagine aperta contro quattro rumeni, tre iracheni e un iraniano accusati di "invasione di terreni" per aver occupato "gli spazi sottostanti il ponte della metropolitana linea B.

Aosta: al carcere di Brissogne il gruppo "Naif" in concerto

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

Il carcere di Brissogne ieri per qualche ora si è trasformato in una sala da concerto, ospitando l’esibizione del gruppo musicale valdostano dei "Naif". L’iniziativa è stata organizzata in collaborazione dall’assessorato regionale alla Cultura e dalla Direzione della Casa Circondariale.

Reduci dal successo di pubblico e di critica ottenuto al termine del recente concerto per la "Saison Culturelle", i Naif sono riusciti a coinvolgere il pubblico grazie alla ricchezza del repertorio presentato, alla varietà degli strumenti utilizzati, alle capacità musicali e soprattutto alla sensibilità dimostrata. "L’iniziativa - hanno spiegato l’assessore alla Cultura, Teresa Charles, e il direttore della Casa Circondariale, Angelo Gabriele Manes - rientra in un complesso di iniziative volte al recupero e alla socializzazione dei detenuti secondo la visione del carcere non tanto come luogo di punizione, ma di rieducazione, soprattutto per i giovani reclusi".

Usa: tasso incarcerazione più alto del mondo... e continua a crescere

 

Peace Reporter, 21 maggio 2005

 

Dei molti dati statistici riguardanti il sistema carcerario americano, di certo colpisce il fatto che il tasso di incarcerazione è il più alto al mondo: ci sono circa due milioni di detenuti. E continua ad aumentare. Ciò ha un impatto sulla macroeconomia, ha delle profonde radici politiche e ideologiche, ha delle conseguenze notevoli sulla qualità della cittadinanza. Se si unisce l’apparato poliziesco-carcerario all’apparato militare-industriale si ottiene un senso delle peculiari dimensioni della spesa per la coercizione negli Usa.

L’incidenza dell’incarcerazione colpisce sproporzionatamente i poveri, le minoranze etniche e i criminali non violenti, ma quello che più colpisce è che il tasso di incarcerazione americano è in impennata dalla fine degli anni Sessanta. Ovvero dalla fine dell’apartheid legalizzato. La fine legale della segregazione (in forza sia al Nord che al Sud, anche se con riflessi diversi) si è risolta in tre dinamiche reazionarie: l’abbandono delle città da parte della classe media bianca; lo spostamento progressivo della maggioranza del voto bianco dai Democratici ai Repubblicani – specie nei vecchi Stati sudisti, uno spostamento che è ormai in fase di completamento con Bush – e la trasformazione della repressione contro le minoranze etniche, riconcepita sotto i nuovi codici della lotta alla droga e della compressione della già minima assistenza economica.

Le maggioranze politiche, costruite in parte sul rancore bianco per i presunti benefici ricevuti dalle minoranze etniche, non sono disposte ad istruire i figli scuri e/o poveri dell’America, ma sono disposte a pagare fior di quattrini per metterli in carcere. A ugual spesa, perché non finanziare in maniera più equa le scuole, offrire programmi di trattamento per i tossicodipendenti, creare posti di lavoro nei ghetti? Non ne risulterebbe una società più produttiva, meno diseguale e povera, e dunque meno pericolosa?

Purtroppo bisogna imparare che la cattiveria è una categoria politica attiva; che l’essere umano, oltre a grandi capacità di empatia e creatività, ha anche grandi dosi di cattiveria, e che spesso fa fatica a comprendere l’interdipendenza tra il benessere di un gruppo e quello di un altro. La cattiveria rancorosa degli "angry white man" come vengono definiti in America, è una risorsa inestimabile per il politico di professione e le corporation. La classe lavoratrice e medio-bassa bianca è schiacciata anch’essa nella difficile competizione per le risorse nel sistema, ma il suo rancore si riversa spesso nella vecchia direzione: contro chi è al di sotto, contro le minoranze e i più poveri. E del resto, questa è una delle direttrici portanti di due secoli di storia americana. Le molteplici eredità dello schiavismo e dell’estromissione degli Indiani e dei Messicani, lo sfogo della lotta di classe verso la Frontiera, lo scontro sull’immigrazione – che comprime i salari e aumenta le tensioni interetniche – la tensione tra campagna e città, sono fratture ancora risonanti. Le lotte di classe sono furiosamente vive in America, ma ricevono oggi un solo sbocco organizzato, egemonizzato da destra, e sono condotte tra gruppi subalterni a favore delle elite.

Il partito Democratico, abbandonando il segregazionismo sudista e sposando i diritti civili, ha visto la sua coalizione sociale sfaldarsi nel tempo: oggi, rifiutando una strategia populista di sinistra, arranca. Del resto, è stato diretto fautore delle stesse politiche carcerarie, vivendo nel pieno la contraddizione tra espansione dei diritti civili e lo scontro su questi e sui mai stabiliti diritti sociali. Nelle città americane la polizia fa le sue ronde, cerca di riempire la quota prigionieri. E l’enorme sistema d’incarcerazione è in sé un sistema for-profit: alcune galere sono gestite da privati, molte appaltano il lavoro dei prigionieri, tutte vanno rifornite. Spesso troverete le galere in zone rurali: l’imprigionamento dei poveri delle città dà luogo a occasioni di impiego per i poveri di campagna. Incatenare gli afroamericani è dunque ancora un’industria profittevole, duecento anni dopo.

In molti stati, una volta rientrati in libertà, i pregiudicati non possono riaccedere al diritto di voto. Ecco che si è trovato il modo di tenere i neri lontani dalle liste elettorali, come ai vecchi tempi. I tassi di incarcerazione raggiungono nuovi record, ma molti politici americani non si stancano mai di indire nuove campagne "legge-e-ordine". I mancati investimenti nell’istruzione, la stagnazione dei salari, la semi occupazione continuano a trasmettere povertà di generazione in generazione. E se il nero, l’immigrato, il povero sono un pericolo esistenziale, di galere non ce ne sono mai abbastanza.

Congo: nelle carceri i detenuti muoiono di fame

 

Misna, 21 maggio 2005

 

Tra aprile e maggio, 14 detenuti sono morti "di fame" nel solo carcere di Mbuji Mayi, capoluogo del distretto diamantifero del Kasai Orientale nel sud est della Repubblica democratica del Congo. La denuncia arriva dalla Missione delle Nazioni Unite in Congo (Monuc) che ha svolto un’indagine sulle condizioni in cui versano gli "ospiti" delle principali carceri congolesi. "I prigionieri sembrano scheletri o cadaveri. Viste le condizioni in cui versano gli istituti di pena è come se i prigionieri di fatto fossero già stati condannati a morte" ha detto in una conferenza stampa il direttore della divisione Diritti Umani della Monuc. "Come per la prigione centrale della capitale Kinshasa - ha aggiunto - non esiste un finanziamento pubblico per l’alimentazione dei prigionieri nelle altre carceri del Paese". Nel caso di Mbuji Mayi, ad esempio, la Monuc sottolinea che oltre alle morti registrate spicca il sovraffollamento della struttura: 350 detenuti, invece dei 50 per cui era stata pensata. Nel carcere di Goma, la Monuc ha trovato 219 prigionieri (su una capacità di 150) che "non ricevevano cibo da almeno 3 giorni". Il sostentamento dei carcerati viene garantito quasi sempre dalle organizzazioni non governative o internazionali che operano nelle zone circostanti. Il capo della Monuc, William Swing, ha inviato il 5 maggio scorso al presidente congolese Joseph Kabila il resoconto dell’indagine invitandolo a "prendere misure urgenti" per garantire l’alimentazione dei prigionieri. Nelle carceri oltre ai detenuti regolarmente condannati da un tribunale, si trovano spesso anche persone in attesa di giudizio.

Mafia: Centaro (Fi), nessun allentamento del 41 bis

 

Ansa, 21 maggio 2005

 

"È evidente che bisogna approfondire la problematica dei colloqui in carcere tra i detenuti e i propri familiari, ma le fotografie pubblicate da un quotidiano romano non possono essere definite come un allentamento del 41 bis, poiché si riferiscono a detenuti in regime di alta sicurezza e non di 41 bis". Lo afferma il senatore Roberto Centaro, presidente della commissione antimafia.

"Possibile che l’on. Violante, ex presidente dell’Antimafia, non ricordi la differenza? Comunque - prosegue Centaro - la commissione ha approvato recentemente, dopo una lunga istruttoria, un documento che porta al monitoraggio costante del 41 bis. Le strutture dell’amministrazione penitenziaria hanno dato prova di saper rispondere alle esigenze e di saper far fronte a discrasie e al costante tentativo dei delinquenti di comunicare tra loro. Anzi, molte indagini di notevole spessore - conclude - sono nate proprio da questi costanti monitoraggi".

 

 

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