Rassegna stampa 12 maggio

 

Amnistia: Castelli; provvedimento nobile, quando non è una resa

 

Agi, 12 maggio 2005

 

L’amnistia "è un provvedimento nobile in alcuni casi. Sono pienamente d’accordo, per esempio, con l’amnistia che concesse Togliatti perché rappresentava un modo per tirare una riga sul passato e iniziare una nuova era. In quel caso non fu solo giusta ma, direi doverosa. Se invece l’amnistia è l’affermazione per cui lo Stato non è in grado di gestire la situazione dei detenuti diventa una resa". Lo ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli ospite nella trasmissione il "Diario" di Maurizio Costanzo. "Ora come ora - ha proseguito - non è vero che la giustizia va malissimo: ogni anno abbiamo 5 milioni di nuovi processi e il numero dei processi che riusciamo a definire è superiore al numero di quelli che sopravvengono. Purtroppo c’è un pregresso enorme di arretrato sia nei procedimenti civili che in quelli penali. In questo momento - ha precisato il ministro - le situazioni più preoccupanti riguardano la Corte d’Appello e la parte penale del Giudice di Pace. Comunque dobbiamo segnalare positivamente un’inversione di tendenza e il merito va sia al personale, sia ai magistrati, e un po’ anche al governo".

Rispondendo ad una domanda di Costanzo sulla situazione del supercarcere di Sulmona, dove si sono verificati 6 suicidi in 18 mesi, Castelli ha replicato: "Sono andato personalmente a Sulmona per verificare cosa stesse accadendo e ho trovato un penitenziario in condizioni nettamente migliori della media delle carceri italiane; i detenuti alloggiano in celle singole o al massimo doppie, il personale mi è sembrato motivato, appassionato e competente e la città collabora molto col penitenziario. Questo stato patologico del carcere di Sulmona è da attribuire principalmente a due cause: innanzitutto dobbiamo considerare che è un penitenziario di alta sicurezza, ed essendovi detenuti criminali pericolosi, sono previste condizioni più dure rispetto alla media degli altri penitenziari italiani. In secondo luogo ci sono anche numerosi detenuti con problemi psicologici.

Per risolvere quest’ultimo problema - ha concluso - abbiamo immediatamente variato la composizione della popolazione del carcere, ma per vedere risultati completi dovremo aspettare almeno un anno". Poi in generale sulla popolazione carceraria il Guardasigilli ha precisato che "il numero di detenuti adesso è di 58 mila, record nella storia dello Stato italiano, molti di loro sono extracomunitari e condannati per droga". Per quel che riguarda le condizioni di vita dei detenuti, Castelli ha affermato: "Si può privare un condannato della libertà.

Ma non della dignità". Il ministro della Giustizia ha infine commentato gli attacchi rivolti dalla magistratura riguardo ai presunti illeciti nella gestione degli appalti per la costruzione di nuovi penitenziari: "Sin dal primo giorno del mio mandato da Ministro sto combattendo contro il sovraffollamento delle carceri. Ho dato vita ad un programma di costruzione di nuovi penitenziari vastissimo, ma vedo che la magistratura sotto questo punto di vista mi attacca molto. Vedremo - ha concluso Castelli - se è un attacco politico o se i fatti ci daranno ragione. Per diminuire la pressione ci muoveremo su due fronti: con la legge Bossi-Fini almeno 3000 di loro potrebbero tornare nei loro paesi, ed entro i primi mesi del 2006 saranno disponibili 3000 nuovi posti".

Medici penitenziari: quel bollettino di guerra chiamato carcere

 

Vita, 12 maggio 2005

 

Si apre oggi a Ischia il convegno dei medici dell’Amapi. Contro la riforma che intende riorganizzare il loro lavoro, i medici penitenziari protesteranno incatenandosi ed imbavagliandosi. La protesta, che li farà in qualche modo assomigliare ai loro assistiti reclusi, scatterà proprio oggi primo giorno del loro congresso nazionale a Ischia, dove 300 medici dell’Amapi, l’Associazione medici amministrazione penitenziaria, si riuniranno per tre giorni. Quella che si profila, secondo l’Amapi, è infatti una "controriforma imposta dall’alto dal ministro Roberto Castelli e dal capo del Dap Giovanni Tinebra che devasterà sia la dignità professionale che l’opera a tutela della salute della popolazione detenuta".

Della riforma i medici penitenziari contestano la "retrocessione dei medici incaricati a medici a convenzione", ma anche "l’imposizione delle incompatibilità che provocherà di fatto l’abbandono del nostro lavoro in carcere" ed il passaggio della medicina specialistica alle Asl, smantellando cosi l’unitarietà della medicina penitenziaria.

All’ordine del giorno la situazione dei 57.000 detenuti rinchiusi nelle carceri italiane: "Le preoccupanti condizioni di sovraffollamento creano un clima di difficile convivenza. e si registrano limiti di violazione dei diritti umani", afferma Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi e del coordinamento internazionale dei medici penitenziari che riassume in questi dati il quadro della medicina penitenziaria: 20.000 tossicodipendenti, 21.500 extracomunitari, 8.600 affetti da epatite virale cronica, 4.000 sieropositivi per Hiv, 6.500 disturbati mentali.

E quello che Ceraudo definisce "un vero e proprio bollettino di guerra" prosegue conteggiando nel 2004 "52 suicidi, 1.110 tentativi di suicidio, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo". Una situazione, spiega Ceraudo, "che medici ed infermieri si trovano a gestire tra mille difficoltà e con scarsissimi mezzi a disposizione. Così adesso, dopo aver perso la libertà, rischiano di perdere la salute".

O talvolta la vita, prosegue riferendosi ai suicidi: Nei primi 4 mesi del 2005 sono avvenuti già 21 suicidi e molti sono i tentativi di suicidio a livello dimostrativo che non sfociano nella morte solo per il pronto intervento dei medici, degli infermieri e della polizia penitenziaria. Anche per questo dal congresso di Ischia i medici penitenziari "rivolgeranno un accorato appello al Parlamento, perché venga approvato al più presto il Ddl 4127 (primo firmatario l’on. Mario Pepe) che recuperando gravissimi ritardi, conferisce ai medici e agli infermieri che lavorano nelle strutture penitenziarie dignità professionale e tutela dei rischi". Stefano Arduini

Castelli: entro il 2006 nelle carceri avremo 3.000 nuovi posti

 

Adnkronos, 12 maggio 2005

 

Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ospite oggi del "Diario" di Maurizio Costanzo ha così commentato gli attacchi rivolti dalla magistratura riguardo ai presunti illeciti nella gestione degli appalti per la costruzione di nuovi penitenziari: "Sin dal primo giorno del mio mandato da Ministro sto combattendo contro il sovraffollamento delle carceri.

Ho dato vita ad un programma di costruzione di nuovi penitenziari vastissimo, ma vedo che la magistratura sotto questo punto di vista mi attacca molto.Vedremo - ha proseguito Castelli - se è un attacco politico o se i fatti ci daranno ragione. Per diminuire la pressione ci muoveremo su due fronti: con la legge Bossi-Fini almeno 3.000 di loro potrebbero tornare nei loro paesi, ed entro i primi mesi del 2006 saranno disponibili 3.000 nuovi posti".

Iglesias: una fabbrica di infissi tra le mura del carcere

 

L’Unione Sarda, 12 maggio 2005

 

Dietro le sbarre del carcere di Iglesias, i detenuti potranno lavorare tra breve in una fabbrica di infissi in alluminio. Per il momento si tratta di un piccolo impianto, ma la sua importanza è notevole in quanto assicurerà occupazione e stipendio a chi è condannato a restare in cella. L’iniziativa partirà entro breve tempo nella casa circondariale che sorge ai bordi della strada provinciale che collega Iglesias a Carbonia. Nei prossimi giorni sarà firmata la convenzione tra i responsabili della struttura detentiva e la cooperativa sociale San Lorenzo, una piccola azienda nata da una costola della casa di accoglienza Emmaus per dare una possibilità di reinserimento nella società agli ex tossicodipendenti che oggi opera in diversi settori, compreso quello artigiano della produzione di infissi. "Abbiamo finalmente trovato una società pronta a intervenire nella struttura e ad avviare le opere - afferma Elisa Milanesi, direttrice del carcere - ed entro breve tempo si procederà con la sistemazione dei macchinari per far partire la produzione". A lanciare la proposta agli imprenditori di impiantare attività produttive nel capannone realizzato all’interno della struttura, beneficiando le agevolazioni fiscali della legge Smuraglia, era stata la stessa direttrice subito dopo la consegna dei diplomi ai detenuti che avevano seguito il corso per operatori pc portato avanti dall’Enaip. "La legge prevede numerose agevolazioni e incentivi per le aziende che decidono di impiantare la propria azienda in carcere - spiega la responsabile - e noi abbiamo dato la nostra disponibilità". Da tempo, all’interno del carcere sono stati ultimati i lavori per la realizzazione e il collaudo delle strutture destinate ad ospitare i laboratori. Aree attrezzate dagli imprenditori che manderanno avanti le opere. "Subito dopo la stipula dell’accordo - aggiunge - saranno trasportati i macchinari e si potrà seguire il cammino per la produzione vera e propria. Nel laboratorio - aggiunge la responsabile della casa circondariale - saranno assunti tre detenuti scelti dalla cooperativa assieme allo psicologo che opera in carcere". Uno strumento in più per dare ai detenuti la possibilità di apprendere un nuovo mestiere e lavorare. E magari crearsi le basi per un nuovo futuro una volta espiata la pena. Soluzione auspicata da tempo anche da Pietro Maurandi e Francesco Carboni, i due componenti sardi del Comitato Carceri, l’organismo che fa parte della Commissione Giustizia alla Camera, al termine di un sopralluogo proprio all’interno del carcere di Iglesias. I due parlamentare avevano lanciato un appello anche all’amministrazione regionale per "incentivare la formazione professionale e le attività lavorative" proprio dietro le sbarre. E in modo particolare nel carcere di Iglesias. Adesso qualcosa, sembra iniziare a muoversi. Davide Madeddu

Antigone: emergenza carceri, domani sotto esame 35 istituti

 

Gazzetta del Sud, 12 maggio 2005

 

Suicidi, epidemie che provocano vittime, detenuti in semilibertà che tornano a uccidere, condizioni igienico-sanitarie disastrose: torna, per motivi diversi, l’emergenza nelle carceri e l’ associazione "Antigone", che si batte per i diritti in carcere, vuole passare al microscopio le strutture, soprattutto quelle più a rischio. Per questo la giornata di domani sarà dedicata alla visita straordinaria in 35 istituti di pena in tutta Italia. Tra gli altri, i componenti dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di "Antigone" saranno nel carcere di Sulmona, noto per i numerosi suicidi; in quello di Campobasso, dove sono rinchiusi i protagonisti della vicenda legata a Angelo Izzo; a Rebibbia femminile, proprio in questi giorni al centro delle polemiche per l’epidemia di varicella che ha fatto una vittima e colpito altre detenute; poi il carcere di Milano, quello di Genova, il carcere di Regina Coeli, e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Sant’Eframo.

"C’è sempre più una emergenza carceri - spiega Patrizio Gonnella, coordinatore nazionale di Antigone - che richiede un monitoraggio utile a informare correttamente sulle condizioni di detenzione. I fatti recenti di Sulmona, Rebibbia femminile, Padova richiedono una risposta politica. Va applicata la riforma sulla sanità che prevede il passaggio al servizio sanitario nazionale della medicina penitenziaria". Lo screening di Antigone servirà a produrre un rapporto che sarà presentato in apertura dell’Assemblea Nazionale di Antigone, in programma venerdì 20 maggio a Roma, nella Sala del Refettorio, in via del Seminario, 76. Uno degli aspetti più evidenti e pesanti delle disfunzioni nelle carceri è quello dell’ assistenza sanitaria. Un argomento sul quale i medici penitenziari promettono battaglia con proteste e catene ai polsi nel loro congresso che si apre proprio domani a Ischia. Per Vincenzo Siniscalchi, (Ds-Ulivo), componente della commissione giustizia, il congresso cade in un momento di "comprensibile agitazione" dei medici penitenziari a causa della "controriforma" del settore voluta dal ministro Castelli e dell’"incomprensibile atteggiamento di chiusura dell’esecutivo nei confronti delle richieste dei sanitari".

Lecco: morti in corsia; per perito procura Sonya è sana di mente

 

Agi, 12 maggio 2005

 

Sonya Caleffi è in grado di intendere e volere anche se soffre di un disturbo complesso della personalità. A questa conclusione è giunto il professor Ugo Fornari nominato dalle Procure di Lecco e Como nell’ambito dell’inchiesta sull’infermiera 34enne in carcere con l’accusa di aver ucciso alcuni anziani pazienti ricoverati in ospedale. La perizia è stata depositata in queste ore e sembra non trovare completamente d’accordo il criminologo Massimo Picozzi, nominato dagli avvocati della difesa (Claudio Rea per l’inchiesta lecchese e Renato Papa per quella comasca). "Nei prossimi giorni - spiega Rea - chiederemo al giudice preliminare, Davide De Giorgio, di convocare i periti per un confronto fra di loro. La nostra strategia difensiva è quella di far riconoscere la nostra assistita almeno parzialmente incapace di intendere e volere". "Siamo convinti - aggiunge l’avvocato Papa - che quel disturbo complesso della personalità di cui soffre la ragazza incida, magari solo parzialmente, sulle effettive capacità di intendere e volere. Siamo convinti che, alla luce delle sue pregresse problematiche, proprio quel disturbo di personalità abbia influito sul suo modo di agire". Le due inchieste procedono parallelamente: a Lecco è affidata al Pm Luca Masini, a Como al collega Vittorio Nessi. Non è da escludere che i difensori avanzino una nuova richiesta per unificare i due fascicoli trasferendo tutto a Como.

Milano: Cpt di Via Corelli, salva per ora donna malata di Aids

 

Liberazione, 12 maggio 2005

 

È stata liberata la donna malata di Aids rinchiusa nel Cpt milanese di Corelli. L’altro ieri scadeva il 60° giorno di detenzione. "La liberazione è una bella notizia e rappresenta una vittoria di civiltà ottenuta anche grazie al supporto dei media milanesi e nazionali che hanno sostenuto e amplificato l’appello a mettere il diritto alla salute al primo posto - ha commentato l’europarlamentare Vittorio Agnoletto, che nei giorni scorsi aveva chiesto, insieme al "Comitato di sostegno ai detenuti di via Corelli", che la donna non fosse rimpatriata perché la sua espulsione verso il Paese d’origine avrebbe comportato una sicura condanna a morte. In Perù, infatti, non vi è alcuna possibilità di accedere ai farmaci anti-Hiv che invece qui stava assumendo regolarmente.

"Purtroppo - ha aggiunto Agnoletto - la scarcerazione non risolve definitivamente la vicenda. Infatti all’uscita dal centro la donna ha ricevuto un foglio di via e quindi l’espulsione, per ora evitata, resta un rischio nel prossimo futuro. Per questo motivo, mentre continueremo la mobilitazione contro la legge Bossi-Fini, faremo tutto il possibile affinché nessuno neghi a questa donna la possibilità di rimanere in Italia per curare la sua malattia".

Nel Cpt più tristemente noto in Italia, non si ferma la protesta dei detenuti e delle detenute che hanno occupato per diverse ore, l’altra sera, i tetti delle camerate dopo alcuni giorni di relativa calma. Oltre a ribadire la richiesta di libertà per tutti, hanno chiesto di poter parlare con la stampa, permesso negato dalla Prefettura (in particolare, alla giornalista di Radio Popolare). Fermato sulla porta anche il Consigliere provinciale di Milano, Piero Maestri, mentre è riuscito ad entrare il Consigliere Regionale di Rifondazione, Luciano Muhlbauer, così come previsto dalla legge.

"Attorno a mezzanotte, dopo il mio ingresso - racconta Muhlbauer - i detenuti hanno deciso di scendere dai tetti e con loro ho parlato per quasi tre ore. Le denunce che hanno avanzato dipingono l’ormai consueto quadro disumano di Via Corelli. Strutture fatiscenti, assistenza medica approssimativa con largo uso di farmaci sedativi e, soprattutto, l’assurdità e l’insopportabilità di una legge che priva della libertà personale, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato".

Le storie del "non diritto" sono tante. Come quella di A.S., padre di un bimbo di 5 anni nato in Italia - che ora sta con la madre a Brescia - e che ciononostante è rinchiuso nel Cpt in attesa di espulsione forzata. Oppure quella di A.E.M., cittadino egiziano, che è in Italia da molti anni e che possiede regolarmente una piccola attività economica, sottratto alla sua vita di tutti giorni nonostante fosse in possesso della famosa "ricevuta" che rilascia la questura in attesa del rinnovo del permesso. O ancora, un cittadino albanese, con l’udienza di appello per la concessione dell’asilo politico già fissata per il 7 luglio a Roma e, tuttavia, rinchiuso nel Cpt, mentre moglie e figlio di 13 mesi sono ora abbandonati a loro stessi, senza più fonte di reddito".

"Il teatro dell’assurdo, anzi dell’indecenza - conclude Muhlbauer - potrebbe continuare a lungo e forse sarebbe un bene che la stampa tutta iniziasse ad occuparsene con più insistenza, semplicemente raccogliendo le storie di uomini e donne vittime di una vera e propria apartheid giuridica che li considera esseri umani di serie B". Luoghi come il Cpt di Via Corelli non dovrebbero esistere in una società democratica.

Don Ciotti: è dimostrata la positività dei percorsi alternativi

 

Ansa, 12 maggio 2005

 

Per il presidente dell’associazione "Libera", don Luigi Ciotti, "la stragrande maggioranza delle persone ha dimostrato la positività dei percorsi alternativi" alla detenzione in carcere. Lo ha detto a proposito del caso di Guido Izzo, intervenendo oggi a Foggia ad una tavola rotonda sul tema "Cultura della legalità e ruolo delle istituzioni" promossa dalla facoltà di giurisprudenza dell’ateneo foggiano e dalla Scuola allievi agenti della polizia. "Provo tanto dolore - ha detto - rispetto alla violenza e alla morte. Però episodi di una certa gravità che coinvolgono singole persone e chiedono conto della responsabilità di tanti non possono cancellare i percorsi per dare dignità, speranza e futuro alla gente. La stragrande maggioranza delle persone ha dimostrato la positività dei percorsi alternativi".

Rossano: proiettato per i detenuti documentario "Quintosole"

 

Quotidiano di Calabria, 12 maggio 2005

 

"Quando scendiamo in campo abbiamo una maglia come tante altre e non siamo più considerati come il detenuto della cella numero...". "La concentrazione durante la partita è tanta per cui evadi e non pensi più al carcere". Queste sono due affermazioni, fra le più significative, di un documentario del regista indipendente Marcellino De Baggis che riguarda la squadra del Freeopera, composta dai detenuti del carcere Opera di Milano, che milita ormai in seconda categoria. Il documentario intitolato "Quinto sole" è stato proiettato ieri nel teatro della Casa di Reclusione di Rossano alla presenza dei detenuti, di alcuni ospiti della società civile e dei giornalisti. Alla proiezione è seguita una tavola rotonda alla quale hanno partecipato il presidente dell’ente Provincia Mario Oliverio, Paolo Quattrone responsabile dell’amministrazione penitenziaria regionale, il professore di sociologia Giap Parini dell’Unical, il presidente del comitato provinciale del Coni Pino Abate ed il regista del documentario De Baggis. Ha moderato l’incontro l’antropologa Genevievè Makaping, che ha stimolato gli ospiti ed ha definito il documentario un "real life". Durante il dibattito il tema più sentito è stata la necessità di rendere il carcere trasparente, come una scatola di vetro, per rompere i pregiudizi esterni e per permettere ai detenuti di reinserirsi nella società. Anche attraverso lo sport. E senza essere bollati per tutta la vita.

La direttrice dell’istituto penitenziario Angela Paravati ha parlato di una detenzione che non deve essere vista come un momento di attesa e ha elogiato i detenuti che hanno preparato la scenografia del teatro che simulava un campo di calcio e conteneva delle scritte di auspicio. Il regista de Baggis, ha raccontato la sua scelta di farne un documentario indipendente, proiettato nelle carceri e nei festival del cinema. "Un argomento difficile e complicato come la detenzione - ha spiegato il regista - raccontato attraverso uno sport di massa". Quattrone si è soffermato sull’esigenza che i protocolli d’intesa con l’amministrazione penitenziaria vengano rispettati ed ha auspicato un rapporto sinergico con le istituzioni. Auspicio che Oliverio aveva già accolto una anno fa quando firmò il protocollo d’intesa secondo il quale le commesse per le suppellettili delle scuole provinciali saranno evase grazie ai lavori dei detenuti. Nel dibattito si sono toccati poi tanti altri argomenti, come il rapporto fra carcere e mass media, oppure quello fra detenuti e Polizia penitenziaria e solo per citarne alcuni.

Rovigo: detenuti e pazienti, tutti insieme all’ospedale...

 

Il Gazzettino, 12 maggio 2005

 

Il caso si era già presentato qualche mese fa. Quando un tossicodipendente detenuto in carcere era stato trasportato al Pronto soccorso del Santa Maria della Misericordia per un’improvvisa crisi. Sottoposto a terapia con il Narcan, il carcerato si era improvvisamente "risvegliato" dal torpore, iniziando a fare un autentico "quarantotto" tra gli ambulatori, il personale e soprattutto i pazienti del Pronto soccorso. A fatica gli agenti di polizia penitenziaria della scorta erano riusciti a placarne i bollori. E il problema dell’obbligata "promiscuità" tra detenuti bisognosi di cure ospedaliere e pazienti "ordinari" è riemerso l’altra sera. Quando intorno alle 22.30 un detenuto tossicodipendente, oltretutto sieropositivo, colto da improvviso malore, è stato costretto ad attendere il proprio turno di visita nell’astanteria del Pronto soccorso, dove già si aggiravano pazienti reduci da traumi, feriti da incidenti stradali e persone bisognose di cure urgenti. Il detenuto è rimasto sulla lettiga per circa tre ore, sorvegliato a vista da tre guardie armate.

"È una situazione che non lascia tranquilli, in quanto le reazioni di un detenuto, oltretutto in preda a crisi di nervi a causa di condizioni fisiche particolari, possono essere le più varie - sottolinea Giampiero Pegoraro, rappresentante Cgil degli agenti di Polizia penitenziaria - Sono stati spesi molti soldi per il nuovo Pronto soccorso, penso si potesse ricavare almeno una stanzetta nella quale sistemare i detenuti in attesa di essere sottoposti alle cure mediche. In fondo si tratterebbe di un motivo di tranquillità in più per tutti, sia per il personale della polizia penitenziaria che per gli operatori sanitari. E soprattutto per i pazienti".

Malaysia: i detenuti costano troppo, frustate come "alternativa"

 

Tg Com, 12 maggio 2005

 

Meglio frustare coloro che sono condannati per i più disparati reati, che riempire le patrie galere e spendere soldi pubblici. Questa la posizione delle autorità della Malaysia che ipotizzano l’aumento delle punizioni per flagellazione così da far diminuire il numero dei carcerati. Lo riferisce oggi una fonte ufficiale. Il ministro degli interni Noh Omar ha approvato questa davvero discutibile soluzione. Immediate le proteste di Amnesty International, che sottolinea come nel Paese sia ancora molto, troppo diffusa la pratica della punizione fisica. Oltre a questo provvedimento, il governo della Malaysia sta studiando anche l’internamento in istituti psichiatrici delle persone con problemi mentali che si sono macchiate di reati.

Cina: detenuto ingiustamente per 11 anni chiede maxirisarcimento

 

Reuters, 12 maggio 2005

 

Un cittadino cinese imprigionato per 11 anni per l’omicidio della moglie sparita, che poi è ricomparsa viva e vegeta, chiederà oltre 500.000 dollari di risarcimento. È quanto hanno detto oggi i media di Stato. She Xianglin, ex guardia di sicurezza della provincia centrale di Hubei, ha chiesto 4,3 milioni di yuan (519.000 dollari) di risarcimento per essere stato sottoposto a torture, confino e danni economici, ha scritto l’agenzia Xinhua. She, che ha detto di essere stato torturato perché confessasse l’omicidio, è stato incarcerato nel 1994 e liberato solo dopo che sua moglie è "ricomparsa" nel marzo di quest’anno. Il caso ha guadagnato i titoli dei giornali in tutto il Paese e ha provocato un’ondata di sdegno per gli arbitrii del sistema legale cinese e la brutalità della polizia. La condanna di She, inizialmente condannato alla pena capitale, era stata poi ridotta a 15 anni di carcere per l’emergere di nuove prove che mettevano in dubbio la sua colpevolezza, fino al ritorno improvviso della moglie che lo ha definitivamente scagionato. Nel giorno della liberazione di She, la corte superiore del Sichuan occidentale è stato il primo tribunale in Cina a dichiarare che in futuro non riconoscerà prove ottenute sotto tortura.

Napoli: l'ufficio di servizio sociale per i minori compie 50 anni

 

Comunicato Stampa, 12 maggio 2005

 

Nel prossimo mese di maggio 2005 l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Napoli compirà cinquanta anni dalla sua apertura. Ciò è parsa occasione propizia per un momento di riflessione critica sulla storia e sul futuro operativo di questo Servizio, in particolare nell’articolarsi del suo rapporto con l’ampio territorio cui fa riferimento. A ciò si aggiunge anche la recente iniziativa di realizzare il sito Internet ufficiale dell’U.S.S.M. che opportunamente sarà presentato in quella sede. Il titolo della manifestazione "Cinquanta ma non li dimostra - I cinquanta anni del Servizio Sociale Minori a Napoli: un confronto col territorio" sottolinea precisamente il carattere interlocutorio del tema che collega le varie parti della giornata, che impegnerà i partecipanti in data 12 maggio 2005 dalle 9.30 alle 13.30.

Una prima parte rappresenta il momento più propriamente autoriflessivo del Servizio, tra memoria e progetto, andando da un lato a recuperare i riferimenti operativi essenziali dei cinquanta anni trascorsi e, dall’altro, presentando la proiezione dell’Ufficio verso i nuovi strumenti della tecnologia dell’informazione ai quali la Pubblica Amministrazione tutta non può sottrarsi. Dopo una breve pausa è prevista una tavola rotonda che vedrà coinvolti rappresentanti di vari servizi del territorio, pubblici e privati, in un confronto sulla collaborazione con l’U.S.S.M. così come si è andata progressivamente sviluppando negli anni ma, soprattutto, andandone a ricercare nuovi possibili percorsi.

Potenza: oltre le sbarre, ma si resta "rinchiusi" nei pregiudizi

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 12 maggio 2005

 

"Alle parole bisogna far seguire i fatti". Sono queste le dure parole con cui un ex-detenuto del carcere di Matera è intervenuto nel dibattito tenutosi nel corso del convegno sulle "Misure alternative al carcere" organizzato dal Cssa (Centro servizi sociali per adulti) di Potenza e dall’Associazione di volontariato "Cittadini Solidali" della città dei Sassi.

In particolare, l’attenzione è stata posta sulla problema dell’affidamento ai servizi sociali di coloro che pur avendo commesso un reato, possono evitare i danni provenienti dalla privazione della libertà, mediante la carcerazione. Questa misura, al fine di garantire anche il reinserimento del condannato nella società. Dovrebbe, è d’obbligo il condizionale, perché, come hanno evidenziato alcuni detenuti, la realtà è ben diversa. "È meglio stare in carcere, almeno lì un tetto c’è - ha aggiunto l’ex detenuto -. La libertà non serve a nulla se dopo aver scontato la tua pena continui ad essere rinchiuso e isolato dai pregiudizi della gente".

In queste frasi, estremamente amare, è sintetizzata la sua storia. Nonostante sia uscito dal carcere da più di dieci anni, non ha ancora un lavoro che gli permetta di possedere una casa e di rifarsi una vita. Ed ancora un’altra storia, un’altra realtà. Anche questa raccontata a viva voce, da chi continua ad essere fiducioso nelle Istituzioni nonostante la delusione. Dopo una pena di quattro anni scontati nella casa circondariale di Matera, un altro protagonista ha raccontato che è stato affidato ai servizi sociali nel 2002. Durante il periodo trascorso della struttura penitenziaria, ha fatto i lavori più disparati. Ora invece non riesce più.

Ha fatto mille colloqui di lavoro, mille volte si è sentito rifiutato, anche se in modo garbato. Ha sentito nell’animo il peso del suo passato, dei suoi sbagli, dei pregiudizi di questa società. Nonostante tutto continua a cercare, a chiedere quel lavoro che le misure alternative dovrebbero garantirgli. Quel lavoro, insomma, che gli permetterebbe di riunire la sua famiglia, di stare sempre con suo figlio e non solo per poche ore una volta ogni quindici giorni. Vuole vivere con lui per dargli quell’affetto e quell’educazione che a lui non sono mai stati dati, essendo vissuto in una famiglia dove il reato era considerato come qualcosa di legale.

Queste premesse sono state la causa di quei comportamenti che lo hanno portato a sbagliare. Due testimonianze, insomma, che rappresentano la realtà dei fatti e non i lunghi discorsi fatti e i tanti progetti presentati durante il convegno. "Sono in atto nuovi progetti di reinserimento al lavoro in tutto il territorio lucano", è stata la risposta di un alto funzionario del Provveditorato regionale delle carceri alle accuse degli ex-detenuti. Parole che i protagonisti di queste storie, e insieme a loro tutti coloro che vivono la stessa situazione, sperano si concretizzino al più presto. Vita Bongermino

Turchia: condanna Corte europea per processo iniquo a Ocalan

 

Tg Com, 12 maggio 2005

 

Abdullah Ocalan non ha ricevuto un giusto processo ed è stato trattato in modo disumano dalle autorità turche che l’hanno giudicato. Lo ha affermato la Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo, stabilendo che sono stati infranti gli accordi internazionali con il trasferimento del leader del Pkk nell’isola-carcere Imrali del mare di Marmara, dove è stato rinchiuso in isolamento dal 1999.

La Corte di Strasburgo ha così confermato un primo giudizio, pronunciato nel marzo 2003, di condanna della Turchia per violazione di tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: tra le altre cose si è impedito agli avvocati di Ocalan di contattarlo durante il periodo di detenzione e gli è stato negato il diritto a un processo giusto e indipendente. Secondo i giudici Ue, la Corte di sicurezza dello stato della Turchia non ha giudicato Ocalan con "imparzialità e indipendenza" per la presenza di un magistrato militare. Inoltre, la condanna a morte del capo curdo è stata pronunciata alla fine di un processo che ha violato l’articolo della Convenzione che proibisce la tortura.

La sentenza emessa a Strasburgo non è vincolante, ma potrebbe causare problemi politici al governo turco, che sta tentando di aderire ai criteri stabiliti dall’Unione Europea per consentire il suo ingresso nell’Ue.

Non si è fatta attendere la risposta della Turchia all’intervento dell’Unione europea. Le autorità di Ankara hanno fatto sapere che la Turchia "rispetta i principi dello stato di diritto" e "farà ciò che deve fare" per rispettare la sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo che chiede di fatto un nuovo processo per il leader del Pkk, ora all’ergastolo nel carcere turco di Imrali. Lo ha dichiarato alla Tv di stato "Trt" il portavoce del governo, il ministro della Giustizia Cemil Cicek.

Una risposta di prammatica, anche se traspare un certo fastidio a quanto successo. "La decisione di Strasburgo apre un affare di stato e non di partito che non può essere usato come un caso di politica interna e dà inizio ad una lunga procedura", ha affermato il vicepresidente del partito del premier Tayyip Erdogan, Mehmet Firat. "Evidentemente quella della corte di Strasburgo non è la decisione che noi auspicavamo", ha invece dichiarato alla rete televisiva Ntv il vicepresidente del gruppo parlamentare dello stesso Akp, Sadullah Ergindans.

 

 

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