Rassegna stampa 4 luglio

 

Carceri, l’universo che esplode; mai così tanti detenuti: 60mila

 

Repubblica, 4 luglio 2005

 

Si è cucito le labbra con ago e filo e poi non ha pianto più. È tornato nella sua fossa Eduard, in quel buco che per pudore le circolari ministeriali non chiamano mai cella ma sempre camera. Un antro, una tana fradicia dove il ragazzo forse uscirà vivo nel 2008 o nel 2010. Ha vent’anni, è rumeno, soffre di violenti mal di testa. È dentro per furto e nessuno lo cura e nessuno gli parla. Dentro c’è anche Antonio che ha spacciato, c’è Abdul che è appena sbarcato, c’è Michele che è anche lui malato. Sono loro gli avanzi d’Italia. Rinchiusi in quei recinti, nascosti alla vista. Oltre le mura. Sono loro, soprattutto loro, i nostri 60 mila prigionieri.

Tanti così non ce n’erano dai tempi di Togliatti e della sua amnistia del ‘46, più di mezzo secolo fa. E vanno sempre ad aumentare quelli che le statistiche impazzite registrano come i "nuovi giunti", gli sciagurati che lasciano un’umanità per finire nei gironi dei vinti, degli ultimi. E anche se non ce ne entrano più a San Vittore e a Rebibbia, all’Ucciardone e a Sollicciano, a Poggioreale, a Pagliarelli e a Secondigliano ce li ficcano lo stesso a forza nelle sezioni, nei bunker, in quei reparti speciali dove il sole non si vede mai. Li mettono uno accanto all’altro, uno sopra l’altro. E li contano di giorno e di notte, li piantonano fino a quando sconteranno tutte le pene del loro inferno.

Scoppiano le carceri italiane in questo inizio d’estate che trasporta fuori le paure e le sofferenze di un mondo che è cambiato, che non è più quello di prima. Perché sono cambiati i suoi abitanti, le loro aspettative, il modo di stare in quella cella che per tre anni o per una vita sarà la loro casa. In nome della legge il carcere italiano ha subito una metamorfosi. E adesso non ha più il suo ordine.

Scoppiano di dolore e di rabbia le prigioni. E sempre più dannato è il popolo che si aggira in quei cerchi di malattia, di droga, di sesso brutale, di pestaggi, di ricatti, di suicidi annunciati e consumati. E poi, di notte, il silenzio assordante di quelle "camere", celle che sono diventate come un caravanserraglio, tutti ammassati, tutti pigiati. Ce ne sono quasi 17 mila in più di quanti dovrebbero essere, nelle 205 case circondariali e di reclusione sparse dal Trentino alla Sicilia.

Quest’inchiesta è stata pensata qualche settimana fa, quando in redazione è arrivata una lettera da Favignana. Due paginette scritte a mano, firmate da Sergio: "Vorrei ricordare al signor ministro Castelli che in questo carcere da lui visitato ci sono persone e non bestie... Come si fa a parlare di reinserimento del detenuto dove le celle si trovano 11 metri sotto il livello del mare, senza finestre con umidità e muffa?" E aggiungeva Sergio: "Il signor ministro Castelli si è permesso di dire che le carceri sono alberghi, lo invitiamo a farsi una settimana qui". Poi confessa il tormento di vivere dietro quelle sbarre: "In questo carcere non funziona nulla, gli educatori sono solo due, il direttore è inesistente, il comportamento del comandante porta solo all’esasperazione, gli agenti di custodia non li controlla nessuno".

Sergio è un detenuto disperato ma sa scrivere. Cosa che non sanno fare Omar e Rashid e Khalid, tre fratelli marocchini arrestati un anno fa per reati di droga e rinchiusi in tre carceri diversi. Per incontrarli la madre ogni settimana prima va a Roma, poi a Frosinone e poi ancora a Santa Maria Capua Vetere. Anche il nigeriano S. non sa scrivere e non sa parlare in italiano. L’avvocato di ufficio ha patteggiato per lui una pena di 3 anni per un furto. S. non ne sapeva nulla, marcirà a Rebibbia fino al 2008. Come Mario, che si faceva di eroina prima di entrare in carcere e ha continuato anche in semi libertà. Un giorno ha chiesto aiuto agli operatori penitenziari e l’hanno rimesso dentro. Come Stella, tossica che riempiono di psicofarmaci, capsule di Rivotril dalla mattina alla sera per farla stare buona. Le sue compagne raccontano che nelle ore d’aria cammina barcollando aggrappandosi ai muri. È cambiato il carcere. Il 30 per cento dei detenuti sono tossicodipendenti o lo sono stati. E un altro 30 per cento sono extracomunitari. Tantissimi i marocchini e i tunisini, tanti gli algerini. E molti neri, molti albanesi, sempre di più i rumeni. Sono quasi tutti superstiti dell’eroina e di quelle attraversate con i barconi nell’Adriatico o nel Canale di Sicilia. Sono loro che affollano le prigioni.

È proprio cambiato il carcere. "E quella degli immigrati non è una delle questioni, è la questione", spiega Marta Costantino, direttrice della casa di reclusione di Saluzzo. È il "sistema carcere" che è saltato, il carcere che non funziona più come istituzione. Ricorda la direttrice Costantino: "Dopo le rivolte degli anni ‘60, dopo le catene di omicidi, con la legge Gozzini si era arrivati a una pacificazione, a un patto fondato su uno scambio, sul rispetto delle regole: tu detenuto ti comporti bene, io carcere ti offro la possibilità di accedere a tutti i benefici. Ma adesso chi lo deve fare questo patto? Lo straniero che non ha una casa per usufruire degli arresti domiciliari, uno che non ha famiglia, uno che non ha nemmeno un nome ma ne ha sei o sette di nomi e tutti falsi?".

È il carcere che ha modificato se stesso. E che è diventato territorio sconosciuto. Perfino i servizi segreti sono disorientati, oggi non hanno più un "controllo", sono disperatamente a caccia di informazioni sui detenuti del Magreb, i medio orientali, i "nuovi giunti" di fede islamica.

E sono tornate di moda le evasioni. C’è chi scava con il cucchiaio la terra sotto i suoi piedi. E chi con la lima, come nei fumetti di Topolino, prova a segare le sbarre. Ogni tanto ce la fanno. E scappano. Sette i detenuti che se ne sono già andati in questo 2005.

E sono riprese le incursioni delle famigerate "squadrette". I pestaggi, quelli che nella campionatura carceraria sono inseriti tra gli "eventi critici". Qualche settimana fa un ragazzo tossicodipendente e malato di Aids, è stato massacrato in un carcere del Lazio perché era agitato. "Era reattivo", c’era scritto nella relazione di servizio presentata al direttore del penitenziario. Gli agenti si sono infilati i guanti e poi giù legnate. L’hanno trascinato per il corridoio e via via che lo trasportavano verso l’infermeria, si aggiungevano altri agenti a bastonare. L’hanno sedato con i farmaci e denudato, polsi e caviglie legate e poi l’hanno tenuto 48 ore nel letto di contenzione. Le "squadrette" girano sempre. "E purtroppo quando le denunciamo ci guardano tutti male, a cominciare dai nostri colleghi", risponde Fabrizio Rossetti, ispettore e responsabile nazionale della polizia penitenziaria per la Cgil.

Sono 46 mila gli agenti di polizia delle carceri. La rappresentanza sindacale è una selva di sigle, un’altra bolgia. E la "smilitarizzazione" qui è arrivata senza un "percorso", senza quella battaglia civile e culturale che ha segnato la svolta per esempio nella polizia di Stato. Tra gli agenti penitenziari ci sono ancora ex marescialli e "superiori" che hanno un’idea antica del carcere, che continuano a gestirlo con i vecchi metodi. Nonostante le direttive del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Così diventa tutto più pericoloso, tutto più letale nel chiuso di una prigione. E non basta mai l’impegno e la sensibilità dei direttori più illuminati o degli educatori, non basta mai la straordinaria generosità che portano i volontari, le associazioni cattoliche, quella "comunità esterna" che non volta le spalle alle prigioni. Dice Sebastiano Ardita, il magistrato che è a capo della direzione dei detenuti e del trattamento del Dap: "Emergenza nelle carceri è l’impossibilità di adeguarsi a tutte le disposizioni che le leggi e le norme prevedono. Ed è quello che ogni giorno un direttore di carcere deve affrontare". Immagina il carcere che vorrebbe: "Da costruire intorno al detenuto e non viceversa".

Ma il carcere è altro. Cos’è? Per l’ex sottosegretario alla giustizia Franco Corleone, che è garante dei diritti dei detenuti di Firenze "è un contenitore di corpi a perdere". Corleone fa risalire la crisi del "sistema" a prima delle ondate migratorie: "Tutto si è stravolto nel 1990 con la legge Craxi sulla droga. Dopo 2 anni i detenuti erano già un terzo in più. Ho fatto il conto che, da quella legge, i tossicodipendenti hanno scontato in Italia qualcosa come 225 mila anni". Il nostro viaggio nelle carceri è appena iniziato. E ci stiamo avvicinando ad altri suoi orrori. Là dentro si muore.

Immigrazione: Vendola; Cpt non sono lager, ma vanno chiusi

 

Corriere della Sera, 4 luglio 2005

 

"Non dirò più la parola lager. Ma nei Cpt ho visto bambini con il numero impresso a pennarello sul braccio". Nichi Vendola, il governatore della Puglia di Rifondazione comunista, respinge con durezza le critiche dell’ex ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano. E insiste: "Bisogna chiuderli. Tutti".

 

Napolitano al Corriere ieri ha dichiarato che non c’è alternativa a questo strumento. È così?

"Mi piacerebbe discuterne. Ma troppi troncano il dibattito, pontificando su cose che non conoscono".

 

Tra i "troppi" mette anche il ministro che li ha istituiti?

"Parla di cose che conosce dalle carte, ma non nella realtà. Si capisce che non è mai entrato in un Cpt".

 

Lei invece?

"Almeno una decina di volte. Senza preannunciare le ispezioni, come fanno i miei colleghi. E ho visto cose che mi hanno fatto vergognare".

 

Lager?

"Beh, chiamiamoli carceri degradate, circondate da filo spinato, con un’umanità all’ammasso, che vive tra il fetore. Menomata anche dei diritti concessi a un detenuto. E occhi disperati e fiammeggianti. E grida. Tante. Accorate. Perché non c’è niente che fa più male dell’essere imprigionato senza sapere perché. Soprattutto se scappi dalla guerra, dalle persecuzioni, dall’orrore".

 

Per Napolitano proporre di chiuderli senza alternative è irresponsabile.

"Mi indispettisce questo asse politico e culturale Pisanu - Napolitano, che non vuole fare i conti con il fallimento dell’idea di una Europa fortezza, Europa blindata, Europa di Schengen, che farebbe arrossire Altiero Spinelli ed è stata bocciata dai cittadini europei".

 

La accusano di demagogia.

"La demagogia è la loro che, con un pessimo pragmatismo, hanno ceduto alla xenofobia. I Cpt sono figli di questo".

 

Per Napolitano è la gestione errata.

"Mi ricorda quelli che volevano "umanizzare" i manicomi".

 

Limitarsi a chiuderli qualche problema non l’ha creato?

"Ma oggi nessuno li rimpiange. Comunque dico a Livia Turco che gli immigrati non si sono resi conto di una differenza tra i Cpt di centrosinistra e i Cpt della Cdl. Il garantismo, lo dico con rispetto per Napolitano, non può valere solo per i colleghi del nostro partito o di Forza Italia".

 

Individua qualche soluzione?

"Troppo facile chiedere ricette. Ma la clandestinità è uno tsunami? O non è un prodotto sociale delle politiche di rapina attuate nei confronti di una parte del pianeta? Allora perché si guarda solo all’ordine pubblico? Ne discutono solo i ministri di polizia che poi vanno per le spicce sui diritti".

 

Esiste un problema di criminalità?

"L’Europa invoca leggi di emergenza e combatte i clandestini invece della clandestinità, fingendo di non sapere che sulle rotte dei migranti non ci sono i mafiosi, che non viaggiano in zattera e hanno documenti in regola. Smettiamola a sinistra di rincorrere l’isteria intra-comunitaria che ha interpreti grotteschi nel nostro governo, come Calderoli. E abbia pazienza Napolitano, abbiamo trasformato il Mediterraneo in un cimitero a cielo aperto".

 

Dopo gli stupri la richiesta di sicurezza aumenta.

"Perché l’Italia non è diventata quel paradiso che Pisanu ci aveva promesso? Il problema è il risanamento delle periferie, l’accoglienza dei minori a rischio, non chi è lo sceriffo più credibile del reame".

 

L’11 a Bari si incontrerà con altri governatori. Cosa direte?

"Siamo già 13, dalla Liguria alla Calabria, dall’Emilia Romagna alle Marche. Discuteremo. Perché, se ne faccia una ragione Napolitano, o gli diamo una latitudine e una longitudine programmatica o il centrosinistra non esiste".

 

È un ultimatum all’Unione sui Cpt?

"È il minimo comun denominatore per stare insieme. Apprezzo Prodi quando manda a dire che i Cpt non ci saranno. E sono persino d’accordo con Cofferati, dobbiamo recuperare la cultura della legalità: chiudiamo i Cpt e diamo il voto agli immigrati".

 

Una proposta, anche piccola?

"Affidiamo queste strutture al volontariato: magari quei "sovversivi" della Caritas. Apriamo un tavolo di concertazione europeo e diamo voce anche agli immigrati".

 

Ma se chiudesse San Foca cosa direbbero i suoi elettori?

"San Foca prima era una struttura di accoglienza. Potrebbe tornare ad esserlo. Invece se San Nicola, santo con la pelle nera, capitasse ora a Bari verrebbe rinchiuso in un Cpt".

 

Cosa sono i Cpt

 

La legge Turco-Napolitano del ‘98 istituì i Centri di permanenza temporanea. Oggi in Italia esistono 12 Cpt e 2 Cpta (Centri di permanenza temporanea e accoglienza). Ospitano immigrati in attesa di espulsione oppure senza documenti e in attesa di identificazione. Lo straniero che finisce in un Centro temporaneo deve essere trattenuto "con modalità tali da assicurare assistenza e pieno rispetto alla sua dignità" e per un periodo non superiore a 30 giorni

 

I governatori contro

 

Nichi Vendola, governatore della Regione Puglia, una ventina di giorni fa ha proposto ufficialmente la chiusura dei Centri di permanenza temporanea

 

Il forum

 

Dall’appello di Nichi Vendola è nata l’idea di un Forum interregionale anti Cpt che si terrà a Bari l’11 luglio prossimo. La proposta è stata accolta finora da dodici regioni: Calabria, Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Umbria, Lazio, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia

 

I commenti

 

"Prima di parlare di Cpt sarebbe bene toccare con mano la drammaticità di queste realtà - sostiene Dorina Bianchi, parlamentare della Margherita -. Sono una realtà drammatica del nostro Paese per le persone che sono ospitate, ma sono soprattutto il monumento al fallimento della Bossi-Fini". Paolo Cento, coordinatore politico dei Verdi, definisce i Cpt "lager moderni per vergogna del nostro tempo"

Verziano: quando il diploma va oltre le sbarre…

 

Giornale di Brescia, 4 luglio 2005

 

Un diploma che vale doppio. Attesta da un lato la conclusione di un importante percorso di vita e dall’altro, visto il luogo dov’è stato conquistato, afferma una volta tanto che il carcere non è solo luogo di pena, per scontare gli errori commessi nella vita, ma anche un’opportunità offerta agli ospiti per riscattarsi, riabilitarsi e ripresentarsi con tutte le carte in regola al momento di reinserirsi, a pieno titolo, in società. Con la prova orale dell’esame di Maturità, si è concluso l’altro ieri all’ Itc Abba-Ballini di via Tirandi il percorso scolastico iniziato più di tre anni fa da una detenuta del carcere di Verziano. L.B., milanese di 41 anni, una detenuta che aveva manifestato il pressa nte desiderio di poter riprendere gli studi di ragioneria, interrotti nel lontano 1979 dopo la frequenza della classe seconda. La richiesta di un aiuto scolastico della donna è stata raccolta dai volontari del "VolCa" (Volontariato carceri), espressione della Chiesa bresciana.

Dapprima sono stati reperiti gli insegnanti volontari che, in questi tre anni, si sono recati con regolarità in carcere per dare il loro sostegno professionale nelle varie discipline scolastiche. Contemporaneamente si è provveduto all’iscrizione al corso B serale, progetto Sirio, dell’Abba-Ballini che prevede, senza obbligo di frequenza, la possibilità di superare esami periodici nelle singole discipline, ottenendo alla fine il passaggio alla classe successiva. Dopo aver brillantemente superato le classi terza e quarta, si è arrivati quest’anno all’ammissione agli Esami di Stato, affrontati positivamente grazie alla volontà, al sacrificio e alla determinazione di L.B., che, contemporaneamente, ha continuato a svolgere la sua attività mattutina di lavoro all’interno del carcere. Questo suo impegno si è rivelato il migliore collante per la tenuta del progetto e la migliore ricompensa per chi ha partecipato alla sua concreta realizzazione. Molte sono le persone, che, con entusiasmo, sono state coinvolte nell’ iniziativa.

Oltre all’impegno degli insegnanti volontari e dei docenti dell’ Abba-Ballini, che si sono recati periodicamente in carcere per le valutazioni, si è rivelata indispensabile la collaborazione della direzione del carcere, iniziata con la dott. Manzelli e continuata con la dott. Bregoli, nonché con l’ispettore superiore di Verziano, Giuseppe Di Blasi, con la segretaria Santoro e l’educatrice Tamaro, con agenti e personale del carcere. Loro ma soprattutto L. B. attendono con impazienza l’esito. Dovranno aspettare ancora una una decina di giorni, attendere il momento in cui all’albo dell’Abba-Ballini, verranno esposti i tabelloni con i risultati finali della Maturità e saranno consegnati i diplomi.

Una cerimonia alla quale si spera possa essere presente anche la 41enne milanese, per una sua soddisfazione personale, ma anche un’occasione perchè possa ringraziare in diretta tutte le persone che l’hanno aiutata a raggiungere un traguardo insperato. Chissà se il famoso "pezzo di carta" lo userà solo per il lavoro o, non si sa mai, anche per proseguire gli studi all’Università. In attesa di questa decisione il suo diploma sia da esempio a molti giovani che in condizioni decisamente più agevoli faticano a scuola e sottovalutano troppo semplicisticamente quanta libertà c’è nel conoscere.

Firenze: Sollicciano va verso il collasso estivo…

 

Nove da Firenze, 4 luglio 2005

 

Il carcere fiorentino, costruito per 450 persone, può fregiarsi di un nuovo record di presenze: 1.039 tra detenuti e detenute. Più 7 bambini al reparto femminile rinchiusi dietro sbarre e mura di cemento armato su cui picchia questo caldo torrido.

Mentre i media si affannano a montare per l’ennesima volta il "caso Sofri", a Sollicciano si sta 21 ore al giorno in quattro in una cella di nove metri quadrati e il resto del tempo "all’aria" in cubi di cemento. Una situazione invivibile che venerdì 20 maggio 2005 ha determinato nel cortile del "passeggio" della III sezione una grave rissa tra detenuti, a seguito della quale una persona è stata portata al centro clinico. "Il detenuto Adriano Sofri ha ottenuto di poter lavorare fuori dal carcere (art. 21 legge 354/75) e due giorni di permesso al mese. I media ne hanno parlato a lungo, in modo largamente strumentale. Si tratta in realtà di provvedimenti previsti dall’Ordinamento Penitenziario - afferma in un documento l’associazione Dentro e Fuori le mura -. La Commissione Detenuti del carcere di Sollicciano ha ripetutamente sollevato questi problemi nelle riunioni avute con volontari e responsabili penitenziari. Le sue richieste, relative anche all’indulto e all’amnistia, non hanno ricevuto alcuna risposta".

Cirielli-Vitali e ordinamento giudiziario, riforme contro la giustizia

 

www.centomovimenti.com, 4 luglio 2005

 

C’è una stretta relazione tra la riforma dell’ordinamento giudiziario e quella sulla prescrizione (cosiddetta Cirielli-Vitali) che con tanta determinazione il governo Berlusconi tenta di incassare. Entrambe presuppongono il ridimensionamento dello stato di diritto e del principio di divisione dei poteri. Una linea politica coerente con il progetto di modifica della Costituzione (approvato dalle camere in prima lettura) basato sul rafforzamento dei poteri dell’esecutivo a detrimento di quelli dei poteri parlamentare e giudiziario.

Quest’ultimo vedrà stravolto il meccanismo della formazione dei profili professionali senza un progetto rivolto al miglioramento della funzionalità. Una ulteriore sovrastruttura elaborata da avvocati e avvocaticchi della maggioranza per rendere più complesso e macchinoso il lavoro giudiziario, che sarà poi destinato a dissolversi per effetto di un regime di prescrizione più breve per i reati gravi e più lungo di quello attuale per i reati meno gravi. Il Consiglio Superiore della Magistratura è stato in grado di quantificare, allo stato della attuale durata media dei processi, nel 47% il numero dei reati destinati a prescriversi per effetto di questa riforma, con un incremento di quattro volte l’incidenza attuale. Il Ministro della Giustizia non è stato neanche in grado di contestare questo dato: gli mancano le risorse.

Non si coglie in queste riforme una impostazione di grande respiro, casomai mutuata da modelli organizzativi di ordinamenti diversi. Niente di moderno o di geniale, tutto sa di vecchio, decrepito e di ritorno al passato. Anche il disegno di legge Cirielli-Vitali che in occasione del primo impatto realizzerà gli effetti della più grande amnistia mai concessa in Italia, coinvolgendo in tale effetto reati gravissimi mai inclusi prima d’ora nelle leggi di amnistia, che sino al marzo 1992 erano state emanate al ritmo di ogni 4 anni solo per estinguere reati di scarso rilievo (in prevalenza contravvenzioni, furti e ricettazioni). E poiché la apposita commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale non ha indicato soluzioni procedurali in grado di realizzare una più rapida definizione dei processi penali (la eliminazione del grado di appello per la pubblica accusa e le altre soluzioni proposte non sono in grado di incidere sui grandi flussi di processi che determinano gli intasamenti degli uffici giudiziari), la maggior parte dei processi penali continueranno a durare più del tempo necessario al maturarsi della prescrizione.

Di conseguenza la legge Cirielli-Vitali realizzerà gli effetti di una amnistia permanente applicabile non solo per il passato ma anche per il futuro. Senza neanche la maggiore severità dichiarata nei confronti dei recidivi, che non potranno essere dichiarati tali in relazione a reati prescritti. E, poiché dovranno essere celebrati con speditezza solo i processi a carico di detenuti, saranno alla fine destinati a sfuggire alla prescrizione, in prevalenza, i processi a carico degli arrestati a seguito di una operazione di polizia e delle sue scelte di politica criminale. Ed in questo modo si aprirà la voragine della discrezionalità dell’azione penale che verrà attribuita di fatto all’Esecutivo eludendo i principi costituzionali di giurisdizionalità e di obbligatorietà previsti dalla Costituzione.

Elusioni e violazioni della Costituzione si rincorrono. Le amnistie a seguito della legge costituzionale numero 1 del 1992 possono essere concesse solo con la maggioranza parlamentare di due terzi. La mancata previsione di disposizioni transitorie darà invece alla legge sulle prescrizione, approvata a maggioranza semplice, la possibilità di aggirare (o violare?) la norma costituzionale. Ma anche la riforma dell’ordinamento giudiziario contiene una serie di norme destinate a violare i principi costituzionali sulla giurisdizione. È un lento allenamento cui ci sottopone questa maggioranza alla violazione delle norme previste dalla prima parte della Costituzione e di tutte quelle altre neanche comprese nel progetto di riforma costituzionale.

Quando al Premier sarà attribuito anche il potere di scioglimento della Camera, la cui attività sarà completamente subordinata alla attuazione della politica governativa, quando per suo impulso potrà essere annullata anche qualsiasi legge approvata dal Senato o dalle Regioni, tutte le garanzie ed i diritti costituzionali, apparentemente salvaguardati dalla riforma, potranno essere limitati, ridimensionati, diversamente regolati dalle leggi che il Premier deciderà di presentare in Parlamento. Allora un sistema di democrazia autoritario sarà cosa fatta (se la riforma con il referendum otterrà il consenso popolare). Ma adesso, prima del completamento dell’iter di riforma della seconda parte della Costituzione, questa insofferenza della maggioranza verso di essa non ha titolo né giustificazione.

Pordenone: spazi esigui ostacolano umanizzazione della pena

 

Il Gazzettino, 4 luglio 2005

 

Spazi troppo esigui che frustrano qualsiasi tentativo di umanizzare la vita dietro le sbarre. Questo, in sintesi, il giudizio finale della delegazione di consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione che visitato il carcere di Pordenone. Che il "Castello" di piazza della Motta scoppi e che l’esigenza di realizzare al più presto la nuova struttura il cui sito è stato individuato in Comina sia improrogabile non è una novità. Quella di ieri è stata dunque una semplice visita richiesta da tempo a scopi conoscitivi, con l’obiettivo soprattutto - spiega la presidente del Consiglio comunale Flora Bomben, che ha guidato la delegazione - di far conoscere ai cittadini la situazione del carcere". In attesa che partano i lavori per la realizzazione del nuovo carcere in Comina, per il quale però la posa della prima pietra sembra ancora un sogno lontano.

La visita è durata circa un’ora e mezza. A varcare la soglia del Castello sono stati in tutto 16 consiglieri, di maggioranza e di opposizione. Il carcere di piazza della Motta ospita attualmente 81 detenuti, dei quali 16 usufruiscono di un regime di semilibertà, 16 sono detenuti comuni e 49 si trovano nella sezione protetta perché colpevoli di reati che rendono difficile la convivenza con gli altri detenuti. Gli stranieri sono 26, pari al 32 per cento del totale. L’età media si aggira intorno ai 40-45 anni e si innalza decisamente fra gli ospiti della sezione protetta.

A fornire il quadro della situazione è la stessa Flora Bomben: "I detenuti sono suddivisi per nazionalità, e anche nella preparazione dei cibi c’è il rispetto delle diverse culture e tradizioni, oltre che naturalmente delle esigenze dietetiche di ciascuno". Un quadro insomma, commenta Flora Bomben, nel quale la volontà di rispettare la dignità dei detenuti e di favorire il successivo reinserimento nel contesto sociale si scontra con l’assoluta mancanza di spazi: "L’unico spazio disponibile è una saletta di circa 4 metri per 5, che ospita anche la lavanderia e nella quale è possibile, a turni, praticare attività come il mosaico.

Per legge ciascun detenuto dovrebbe disporre di uno spazio di 3 metri per 3, ma al Castello i detenuti vivono in celle da 8 persone ciascuna, 4 nella sezione speciale, in letti a castello a tre piani. L’immagine che più colpisce i visitatori è quella di uomini quasi accatastati nelle stanze, che trascorrono le giornate distesi sulle brande perché il carcere non ha gli spazi per praticare alcuna attività. Anche se i muri spessi evitano eccessivi innalzamenti di temperature, i soffitti bassi, le lastre di plastica a pochi centimetri dalle finestre e soprattutto il sovraffollamento rendono l’aria irrespirabile". Di qui l’auspicio, espresso dai consiglieri, che i lavori per la realizzazione del nuovo carcere possano partire al più presto. Del carcere si è iniziato infatti a parlare nel lontano 1984. Da allora, sul territorio comunale sono stati individuati sette diversi siti. L’ultimo è appunto quello della Comina, approvato all’unanimità in consiglio. Ma nel frattempo, nell’aprile scorso, la procura della Repubblica di Roma aveva messo gli occhi sulle procedure d’appalto espletate per la realizzazione delle case circondariali di Pordenone e Varese e uno dei consulenti del ministro Roberto Castelli, Giuseppe Magni, era finito nel registro degli indagati. Lara Zani

Sassari: per il nuovo carcere c’è la copertura finanziaria

 

Agi, 4 luglio 2005

 

"Il progetto preliminare per la costruzione del nuovo carcere di Sassari è già stato approvato dal Sit del ministero delle Infrastrutture, mentre quello definitivo, in fase di ultimazione, verrà portato entro luglio all’approvazione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici". Lo ha assicurato in una nota il ministero dell’Interno, in riferimento alle dichiarazioni del sindaco di Sassari Gianfranco Ganau sulle insufficienti risorse per il nuovo carcere, rese ieri durante la visita della commissione diritti civili del Consiglio regionale nel penitenziario. "Subito dopo, ha precisato il ministero, chiamato in causa ieri dal sindaco, "saranno avviate le procedure d’appalto sulla base della copertura finanziaria già predisposta".

Roma: ai "domiciliari", malato di tumore non può curarsi

 

Redattore Sociale, 4 luglio 2005

 

Un detenuto, agli arresti domiciliari per un tumore, da un mese non può assumere un farmaco né essere visitato perché manca l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio. La denuncia viene dal garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, che osserva: "Ancora una volta leso il diritto di un recluso alle cure di cui ha bisogno".

Trasferito, per le sue cattive condizioni di salute, da una cella di Regina Coeli agli arresti domiciliari in una Casa - famiglia di Roma, da un mese non può assumere un farmaco né essere visitato dall’oncologo perché ancora non ottiene l’autorizzazione a poter uscire per brevi periodi dalla struttura.

Protagonista della vicenda, un romano di 48 anni, Massimo B. L’uomo, malato di tumore al fegato, aveva ottenuto il 2 giugno gli arresti domiciliari anche con l’aiuto dell’Ufficio del Garante, perché le sue condizioni di salute erano state giudicate incompatibili con il regime carcerario. Per questo era stato trasferito, grazie ad un progetto in sinergia fra Provincia di Roma e Garante Regionale dei Detenuti, nella casa famiglia "I Delfini".

"Massimo dovrebbe assumere ogni giorno del metadone ad uso antalgico, per lenire il dolore causato dal tumore. A tal proposito è in possesso della documentazione preparata dal Sert del carcere di Regina Coeli - informa Marroni -. Ma nonostante questo, da oltre un mese non assume metadone perché senza autorizzazione non può allontanarsi dal domicilio. In sostanza, se ora Massimo si allontanasse dalla casa famiglia per recarsi nel Sert a prendere il metadone, potrebbe essere accusato di evasione".

Il 13 giugno Massimo ha scritto al Tribunale di Sorveglianza e alla Corte d’Appello chiedendo un permesso giornaliero di una o due ore, ma ancora nessuna risposta è arrivata. La situazione, fanno sapere dall’Ufficio del Garante Regionale, è ancora più grave "perché l’uomo, non potendo allontanarsi dalla casa famiglia, non può neanche essere curato e controllato dal suo oncologo nel reparto di oncoematologia dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma". "Ancora una volta dobbiamo constatare che quello alla salute è uno dei diritti più violati nelle carcere non solo del Lazio ma di tutta Italia - ha dichiarato il Garante -. Le difficili condizioni di salute di quest’uomo sono un dato oggettivo e per questo ci siamo già adoperati per trovare una condizione detentiva più umana. Ma questo non basta e Massimo ha diritto ad essere curato. Per questo faremo di tutto per far sì che presto possa riprendere le cure oncologiche di cui ha assoluto bisogno".

Giustizia: Corte dei Conti; inutile costruire nuovi istituti

 

Vita, 4 luglio 2005

 

Per il 40% dei detenuti la custodia cautelare dura troppo. La costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Lo sottolinea la Corte dei Conti nella relazione all’indagine su "edilizia penitenziaria: programmi di investimento, di ristrutturazione e di dismissione".

Il sovraffollamento degli istituti di pena ha risentito, negli ultimi anni, rileva ancora la Corte, del tumultuoso aumento dei flussi migratori verso il nostro Paese, provenienti dapprima dall’altra sponda dell’Adriatico (Bosnia, Kosovo, Albania) e poi dal Nord Africa, che hanno contribuito ad aumentare le attività illegali, sia in termini di microcriminalità sia sotto forma di nuove occasioni di profitto per la malavita organizzata.

Tale fenomeno si somma a quello preesistente dell’eccessiva durata della custodia cautelare, causata dalle perduranti lungaggini dei processi, che interessa ben il 40% della popolazione carceraria: ne deriva - tra l’altro - anche il precoce deterioramento delle strutture esistenti, che necessitano di continui interventi manutentori. In tale contesto la Corte dei conti si è soffermata particolarmente sui Programmi di costruzione dei nuovi istituti e su quelli di ristrutturazione e dismissione del patrimonio edilizio esistente. Sul primo versante l’Organo di controllo ha espresso giudizi fortemente critici in ordine alla programmazione degli interventi, spettante al Ministero della giustizia e definita in seno ad un Comitato paritetico con il concertante Ministero delle infrastrutture, che gestisce i fondi per la realizzazione dei lavori attraverso i Provveditorati regionali alle OO.PP..

Richiamando precedenti pronunce, rese sia in sede di referto che di controllo, i Magistrati contabili hanno compiuto un lungo excursus fino ai primi anni ‘70 - epoca di avvio del piano pluriennale di edilizia penitenziaria, tuttora in corso -, rilevando "l’eccessiva mutevolezza delle scelte programmatiche e la conseguente precarietà delle relative assegnazioni di fondi". Gli stanziamenti recati dalle leggi n.41 e n.910 del 1986, per complessivi 2600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto. Decisamente sconcertanti appaiono le vicende - riportate a titolo esemplificativo - concernenti la costruzione in Sicilia delle nuove carceri di Patti e Mistretta che, programmate da oltre 20 anni, entrano ed escono alternativamente dal programma ogni due anni, con storno dei relativi finanziamenti a beneficio dell’una e dell’altra.

Droghe: consumatori sotto i 15 anni, dilagano le "sintetiche"

 

Giornale di Vicenza, 4 luglio 2005

 

Iniziano sempre più presto: prima dei 15 anni. Usano droghe sempre più sintetiche e particolari. E il fenomeno è in crescita. Questi sono i tre aspetti principali che emergono dall’analisi compiuta dal Sert dell’ospedale S. Bortolo e che delineano un quadro preoccupante sull’uso degli stupefacenti tra i giovani e gli adolescenti. Secondo la ricerca su dieci ragazzi vicentini, dai 13 ai 15 anni, sei hanno accesso all’uso di hashish e marijuana e si sono fumati almeno uno spinello.

Un dato preoccupante se si conta che, dall’assunzione sporadica, si passa al consumo frequente (che, secondo i medici, significa aver fumato più di cinque volte in un anno), con l’aumentare dell’età. Percentuali. Se le ragazze che "fumano hashish/marijuana raramente" sono il 6,4% tra le quindicenni ed 15,5% tra le diciannovenni, quelle che lo fanno più di frequente sono, rispettivamente, il 3,2% ed il 16,2%. Nei ragazzi che fanno uso sporadico di tali sostanze si registra invece il 7,3% tra i quindicenni ed il 16,3% tra i diciannovenni; i fumatori più assidui tra i primi risultano essere il 5,9%, contro il 29,8% dei secondi.

Sostanze. Non solo hashish e marijuana tra le mani dei giovani berici, ma anche eroina e cocaina che trascinano i ragazzi dall’uso all’abuso ancora in età scolare. Si sono riscontrati casi di tossicodipendenza in età adolescenziale, e dipendenza da cannabis dovuta ad un’assunzione non più saltuaria ma costante. Un panorama, quello vicentino, che non si discosta di molto da quello del "bel Paese".

Secondo un’indagine sull’uso di sostanze lecite ed illecite, condotta dall’Espad Italia 2003 (realizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche) e ricavata da un campione di 27.392 soggetti nella popolazione scolarizzata (dai 15 ai 19 anni), risulta che la sostanza più utilizzata dai giovani con meno di 20 anni è l’hashish/marijuana. Quest’ultima, è stata assunta dal 27,4% del campione intervistato, più tra i maschi che tra le femmine (32,7% dei primi contro il 22,9% delle seconde). Seconda della lista risulta essere la cocaina, utilizzata del 4,5% degli studenti comunque, anche in questo caso, meno diffusa tra le ragazze (3%), e più tra i coetanei dell’altro sesso (6,3%). Un ulteriore dato di rilievo è rappresentato dalla diffusione dell’eroina "fumata" dal 2,6% dei giovani tra i 15 ed i 19 anni (dal 3,5% dei ragazzi e dal 2% delle ragazze); si tratta di una modalità più "soft" di consumo, meno invasiva rispetto all’uso di ago e siringa, ma anche meno riconducibile ai luoghi comuni del "tossico di strada". Collegato a questo, il numero di nuovi casi di positività per Hiv tra i tossicodipendenti è di solo l’1%: a testimonianza che sta completamente scomparendo l’abitudine di scambiarsi siringhe infette.

Fasce d’età. Balza agli occhi come la fascia d’età di coloro che si rivolgono alle case di cura o alle comunità terapeutiche si sia notevolmente abbassata. C’è un incremento rilevante per quanto riguarda i giovani dai 15 ai 30 anni; la droga più usata risulta essere l’eroina seguita da cocaina e cannabis. Alcuni giovani vicentini si sono inoltre rivolti al Sert (a volte ancora sotto effetto allucinogeno) per i disturbi psichiatrici da cui erano colpiti a causa dell’uso frequente di ecstasy o di altre sostanze psicoattive.

Numeri dell’Ulss 6 di Vicenza. Nella sede cittadina, lo scorso anno, sono stati accolti 868 tossicodipendenti (di cui 736 uomini e132 donne); altri 110 (tutti maschi) hanno usufruito della struttura di Noventa per un totale di 978 ospiti. Queste, naturalmente, sono solo le persone che hanno un problema di dipendenza nei confronti delle sostanze stupefacenti, il numero lieviterebbe se si dovessero sommare tutti coloro che rientrano nella categoria "consumatori". Dei 978 pazienti, 130 stanno seguendo un trattamento di cura con metadone (di quest’ultimi la metà ha un’occupazione lavorativa).

I dati dell’Ulss 6 sottolineano come, dal 1990 in poi, il numero dei tossicodipendenti sia sempre stato in aumento. C’è da considerare il fattore informazione: probabilmente il numero delle persone che ha problemi con la droga è circa uguale negli anni, solo che ora la quasi totalità di loro si rivolge alle strutture. Chi si rivolge al Sert. Generalmente si tratta di tossicodipendenti da eroina e, solo più raramente, da cocaina e cannabinoidi. Quest’ultimi giungono quasi esclusivamente su segnalazione della Prefettura. L’età media dei pazienti è tra i 23 e i 28 anni, ma molti utenti sono ancora minorenni. La tossicodipendenza è diffusa in tutte le classi sociali; si può comunque affermare che l’uso di eroina è maggiormente riscontrabile tra le classi sociali medio-basse, di cocaina tra quelle medio-alte, mentre i cannabinoidi sono utilizzati senza alcuna distinzione tra le due. In questi ultimi anni si è assistito ad una significativa impennata nel consumo di cocaina e di psicostimolanti mentre sembra essersi stabilizzato quello di eroina.

La figura del tossicodipendente. Oggi il tossicodipendente è sempre più simile alle persone cosiddette "normali". A differenza di quanto accadeva negli anni ‘70 e ‘80, molti di coloro che fanno uso di droghe, lavorano, mantengono discrete relazioni sociali e non sono identificabili da particolari stili di vita o modi di vestirsi e comportarsi. Carcere. Una realtà spesso dimenticata, quella del carcere. Dietro le sbarre, invece, più della metà dei detenuti ha problemi di dipendenza legati all’alcol o a sostanze stupefacenti. Purtroppo l’ambiente in cui vivono non permette loro di ricevere cure adeguate soprattutto dal punto di vista psicologico e psicosociale.

Caratteristiche socio-ambientali in cui si sviluppa il fenomeno e fattori causali. La diffusione del consumo di droghe, soprattutto tra i giovani, è un fenomeno tipico delle culture occidentali industriali e post-industriali (telematiche) con economie basate sul benessere diffuso, consumismo, e conseguenti processi di esasperata competitività, corsa al successo e attenzione all’immagine. I fattori causali più importanti sono: la crisi dei valori, della famiglia e la diffusione dell’individualismo a scapito della solidarietà. In questo clima sociale aumentano i vissuti di noia, insoddisfazione e solitudine, nonostante l’enorme massa di stimoli e d’informazioni. Fa così la sua comparsa il vuoto affettivo che, soprattutto nei giovani, è favorito da un ambiente familiare caotico con una mancanza di comunicazione tra genitori e figli. A differenza di quanto accadeva negli anni ‘70 e ‘80, è completamente scomparsa la "cultura hippie" che promuoveva l’uso delle droghe come metodo di ricerca interiore e protesta civile ed è scomparsa anche la solidarietà tra i tossicodipendenti. Oggi la droga si consuma per "sballare" e "fregarsene" di tutto e di tutti; il passaggio dall’uso di droghe "leggere" a quelle "pesanti", dunque, nella maggioranza dei casi è legato ed influenzato da problematiche individuali e/o sociali. I giovani vicentini pare si "limitino" al consumo di cannabinoidi e psicostimolanti, utili per aumentare il divertimento; solo a seguito di traumi o gravi problemi passano ad eroina e cocaina. Polifarmacodipendenza. O polifarmacofilia, è l’uso di più sostanze contemporaneamente alternativamente a seconda della disponibilità del mercato. Questa pratica è sempre più diffusa tra i giovani come, sempre più radicato, è l’uso di sostanze psicostimolanti, come le anfetamine (spesso utilizzate anche nelle diete dimagranti e nello sport) e psichedeliche. Tra quest’ultime vi è un lento ritorno degli allucinogeni, quali Lds, mescalina e psilocibina. A "spopolare" per un puro scopo ludico-ricreativo, durante i fine settimana (soprattutto nelle discoteche) è però l’Mdma: metilen-desossi-metamfetamina, meglio conosciuta con il nome di ecstasy.

Usa: scandalo malasanità nelle carceri della California

 

Ansa, 4 luglio 2005

 

Almeno 64 morti in un anno, cioè oltre uno a settimana. Succede nelle carceri della California, considerata la quinta economia mondiale, e uno degli Stati più di punta nella ricerca medica, con ospedali di altissimo livello. Con un sonoro schiaffo al governatore Arnold Schwarzenegger, sempre più in difficoltà e che aveva fatto della riforma sanitaria e della riduzione delle spese pubbliche due tra le sue priorità, un giudice federale, Thelton Henderson di San Francisco, ha messo le 33 carceri statali - con i loro circa 164.000 detenuti - sotto amministrazione controllata. Un amministratore designato dal giudice ha ora tutti i poteri per decidere come migliorare la situazione nelle carcere statali e nei riformatori della California, e può farlo senza badare a spese, visto che secondo la legge i soldi verranno direttamente dalle casse pubbliche dello Stato, senza potere di veto per il governatore.

Secondo le organizzazioni di difesa dei detenuti, la situazione nelle carceri californiane ha poco da invidiare a quella delle carceri irachene. E c’è anche chi è convinto che la situazione sia decisamente peggiore, almeno dal punto di vista sanitario, rispetto a quella della contestatissima prigione di Guantanamo Bay, dove sono incarcerati, senza godere di tutti i diritti costituzionali, oltre 500 cosiddetti combattenti nemici degli Usa, essenzialmente talebani afghani. Nell’annunciare la sua decisione, Henderson ha parlato di "dettagli terrificanti", scaturiti dalle numerose udienze organizzate dalla Corte: regole sanitarie non rispettate, igiene più che approssimativa, medici incompetenti o poco interessati dalle condizioni dei pazienti, interventi tardivi. E non si può neppure dire che lo Stato spenda poco: ogni anno il budget sanitario delle carceri della California supera il miliardo di dollari.

Lo stesso giudice Henderson ha visitato personalmente il carcere di San Quentin, nei pressi di San Francisco, dove si trova l’unico "braccio della morte" della California, lo Stato che possiede il più elevato numero di condannati a morte, 639 in tutto, degli Stati Uniti. Tra le cose che lo hanno colpito, il fatto che una serie di esami medici siano stati realizzati con il malato steso sul suolo (e non su un lettino), o attraverso la feritoia del portone delle celle. Altri documenti consegnati al giudice raccontano che il dentista di San Quentin non si lava le mani tra le visite di un paziente e l’altro e non cambia neppure gli obbligatori guanti in lattice tra una cura e l’altra.

Della vicenda degli scandali sanitari nelle carceri della California si occupa il Prison Law Office (ufficio legale delle prigioni), una organizzazione per la difesa dei diritti dei detenuti, che nel 2001 inoltrò un ricorso contro il governo locale e contro l’amministrazione carceraria, sostenendo che il trattamento medico dei detenuti era talmente scadente da non rispettare i diritti garantiti dalla Costituzione. Quattro anni dopo, un giudice ha dato loro ragione.

Sempre nelle carceri californiane, è scattato oggi il divieto di fumo, analogamente a quello che succede in tutte le strutture pubbliche dello Stato. La misura è stata pesantemente criticata, perché rischia di accrescere le tensioni già esistenti nelle prigioni - soprattutto d’estate, quando fa caldo - e soprattutto di rilanciare il mercato nero del tabacco, portando i pacchetti di sigarette, ormai illegali in carcere, a prezzi stellari.

Algeria: per festa indipendenza amnistia per 3.300 detenuti

 

Ansa, 4 luglio 2005

 

Tremila trecento detenuti in carcere per reati minori saranno rimessi in libertà per decisione del presidente Abdelaziz Bouteflika, in occasione del 43esimo anniversario dell’Indipendenza algerina, che si celebra domani in pompa magna. Dall’amnistia sono esclusi i detenuti per terrorismo, minacce alla sicurezza dello stato, omicidio e corruzione, precisa la radio di stato. Il paese nordafricano concede tradizionalmente il perdono a migliaia di detenuti in occasione della festa dell’indipendenza e delle principali festività religiose musulmane.

Droghe: positivi al consumo 1.032 ragazzi transitati dai Cgm

 

Redattore Sociale, 4 luglio 2005

 

Positivi al consumo di droghe 1.032 ragazzi transitati per i Servizi della giustizia minorile nel 2004. Al primo posto la cannabis (80%), seguita da cocaina (9%) ed eroina (8%), policonsumo nel 21% dei casi. Il 27% di questi sono stranieri, poco meno dell’82% hanno un’età compresa tra i 14 e i 17 anni e il 96% sono di sesso maschile. Tra gli stranieri, il 96% provenienti da paesi non comunitari, dal Maghreb il 65%.

Questi i dati per il 2004 presentati al Parlamento dal Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga. Confrontando i dati con quelli degli anni precedenti (2001-04) si evidenzia una diminuzione del 4% del consumo di eroina e un aumento dei cannabinoidi (+8%). L’eroina è assunta nella maggior parte dei casi con frequenza quotidiana (62%), mentre la cocaina e i cannabinoidi sono omogeneamente assunti con cadenza "occasionale", "più volte a settimana", o "tutti i giorni". Solitari i consumatori di eroina (il 66% la assume da solo, il 31% in gruppo), in misura minore di quanto avviene per la cocaina (55% da solo, 45% in gruppo). Per i cannabinoidi prevale invece un uso nel gruppo (57%). I ragazzi monitorati stanno scontando pene per lo più per reati in violazione del DPR 309/90 ("produzione, traffico e vendita e di sostanze stupefacenti") e contro il patrimonio (furto, rapina...).

L’indagine condotta dal Ministero della Giustizia rende solo un’immagine sfocata del fenomeno. Identificare in modo chiaro le forme di uso, abuso e dipendenza risulta infatti particolarmente difficile e richiederebbe un assessment diagnostico più approfondito. Difficile anche diagnosticare il consumo di sostanze diverse dall’eroina e tenere conto delle possibili negazioni riguardo all’uso di droghe da parte dei minori e delle loro famiglie.

Secondo la letteratura scientifica, nella fascia di età che va dall’infanzia all’adolescenza, la dipendenza da alcol e droghe è legato ai disturbi della personalità e del comportamento. La maggior parte dei minori che commettono reati sono passati attraverso il consumo di sostanze stupefacenti.

Tra gli adulti i tossicodipendenti entrati in carcere nel 2004 rappresentano il 29% dei detenuti e di questi il 26% è si nazionalità estera. Sono maschi nel 96% dei casi e di età media 33 anni. Il 77% condannato per reati commessi contro la legge sugli stupefacenti (art. 73 e 74). 11.433 persone hanno usufruito di un provvedimento alternativo alla pena (italiani il 52%), tra questi il 44% condannati per crimini contro il patrimonio (furto, rapina...). (Gabriele Del Grande)

Catania: progetto di attività sportive a favore dei reclusi

 

La Sicilia, 4 luglio 2005

 

Ha avuto inizio nei giorni scorsi a Catania, il progetto di attività sportive a favore dei reclusi dell’Istituto penitenziario minorile di "Bicocca". Si tratta di un’iniziativa portata avanti dalla cooperativa sociale Futur@, realtà salesiana nata due anni e mezzo fa nell’oratorio "San Filippo Neri" di via Vincenzo Giuffrida ed ora operante in corso delle Province n° 263 e realizzata grazie al sostegno dell’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Catania. Per un anno i giovani in regime di restrizione nella struttura penitenziaria etnea, avranno l’opportunità di svolgere, quattro volte la settimana, regolare attività fisica. Fortemente voluto dagli operatori della casa circondariale e da Maria Randazzo, vice direttore pro tempore dell’Ipm, il progetto ha come obiettivo quello di coinvolgere i minori, in un particolare periodo della loro vita, in iniziative sportivo-ricreative dalla forte valenza educativa e relazionale. Seguiti da Enzo Treccarichi ed Enzo Buttò, esperti istruttori di attività fisiche e coordinati da Mario Sanginisi, responsabile tecnico del progetto, i ragazzi potranno cimentarsi in diverse discipline sportive.

 

 

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