Rassegna stampa 1 luglio

 

Giustizia: riforma ordinamento, le polemiche del giorno dopo

 

Il Campanile, 1 luglio 2005

 

All’indomani dell’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, continuano ad imperversare le polemiche tra maggioranza e opposizione. "Abbiamo il dovere di fare i conti con due insidie - dice il segretario dei Ds Piero Fassino - una strategia di delegittimazione del centrodestra contro la magistratura e la sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia".

Gli fa eco il diessino Vincenzo Siniscalchi: "Questa nuova legge ad personam, ignora la grave situazione della giustizia nel nostro Paese e a propone come priorità solo questioni che riguardano gli imputati dei processi di Milano. Come legislatori abbiamo il dovere di fermare quest’ultima stagione di leggi-vergogna". E intanto, la risposta dei magistrati non si è fatta attendere, con le toghe che hanno già fissato una giornata di sciopero per il 14 luglio.

Solidarietà ai giudici anche dalla Cisl, che ha dato pieno sostegno alle ragioni dello sciopero: "Occorre diffondere una "cultura integrata" della giustizia che interpreti i bisogni di cittadini, famiglie, comunità e territori - fa sapere Nino Sorgi - di concerto con le prerogative istituzionali dei magistrati e le esigenze dei lavoratori del settore". Mentre i Verdi, con Paolo Cento, ricordano i rilievi di incostituzionalità mossi a suo tempo contro il provvedimento dal Presidente Ciampi: "Contro questo pacchetto di controriforme, che da una parte toglie autonomia e indipendenza alla magistratura e dall’altra colpisce i recidivi, in Parlamento faremo un’opposizione durissima per impedirne l’approvazione".

Giustizia: Pecoraro (Verdi), una riforma che scassa gli equilibri

 

Ansa, 1 luglio 2005

 

"Con la riforma della giustizia la Cdl dimostra di trascurare la sicurezza dei cittadini per dedicarsi, invece, alla vendetta nei confronti della magistratura, rea di aver osato indagare personaggi potenti". Lo ha dichiarato il Presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio che aggiunge: "l’Unione deve fare di tutto per bloccare questa controriforma che scassa gli equilibri istituzionali e pone la magistratura sotto il controllo del potere politico. Di fronte al diffondersi di episodi violenti che allarmano l’opinione pubblica, la Cdl preferisce non affrontare le vere emergenze per colpire i giudici, ritenuti una categoria ostile".

Caso Lonzi: procura Genova apre fascicolo "contro ignoti"

 

Ansa, 1 luglio 2005

 

Pur contenendo ipotesi di accusa contro persone specifiche, i fascicoli relativi alle querele-denunce presentate contro un pm e un medico legale livornese dalla madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto a 29 anni, l’11 luglio 2003, nel carcere delle Sughere a Livorno dove era recluso, sono stati formalizzati dalla procura genovese "contro ignoti". L’avvocato Vittorio Trupiano ha spiegato di aver appreso la cosa "con sconcerto e grande perplessità", aggiungendo, in una nota di protesta, che procedere contro "ignoti" è "un’offesa alla memoria di Marcello Lonzi".

Nelle due denunce presentate nel maggio scorso Maria Ciuffi - convinta che il figlio sia morto in carcere dopo un pestaggio - ipotizzava contro il pm livornese Roberto Pennisi (da qui il trasferimento degli atti a Genova) i reati di diffamazione a mezzo stampa e, in concorso col medico legale Alessandro Bassi Luciani, i reati di falso, omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento di ignoti in relazione all’inchiesta sulla morte del figlio. Nonostante che le denunce si riferissero, fra gli altri, a uno specifico magistrato e che proprio questo aveva comportato il trasferimento degli atti a Genova, l’avvocato Trupiano ha spiegato oggi di aver appreso che il pm genovese Calleri le ha formalizzate "contro ignoti".

"Genova - protesta il legale - potrà richiedere una nuova archiviazione se ritiene che i fatti esposti non costituiscano reato, ma procedere contro "ignoti" è una offesa alle memoria di Marcello Lonzi e alle legittime aspettative di giustizia di sua madre". In particolare la madre del detenuto ritiene che il pm Pennisi abbia "di fatto ostruito ogni reale indagine circa la morte di mio figlio, cercando in ogni modo, pur a dispetto dell’evidenza, di ostacolare il corso della giustizia". Oltre a una serie di altri atti istruttori, la signora Ciuffi chiede anche la riesumazione della salma del figlio per effettuare un esame tossicologico sui suoi organi. Già in precedenza la donna aveva chiesto la riesumazione del cadavere in quanto certa che il giovane sarebbe morto in seguito alle percosse subite in prigione, mentre l’inchiesta della procura di Livorno si era conclusa con l’archiviazione dell’indagine per omicidio in quanto Lonzi - secondo gli accertamenti del pm - sarebbe morto per cause naturali, stroncato da un infarto.

Livorno: massacrò compagno detenzione, condannato a 19 anni

 

Age, 1 luglio 2005

 

Massacrò un suo compagno di detenzione con un attrezzo che si usa per lavorare nei campi, ora è stato condannato a quasi 19 anni. Il Tribunale di Livorno ha emesso la sentenza a carico di Gianni Cabitta, il detenuto che il 9 gennaio 2004 uccise Vincenzo Martino Zoroddu un altro detenuto dell’isola-carcere di Gorgona, a poche miglia da Livorno.

Il giudice Grazia D’Onofrio ha inflitto a Cabitta una condanna di 16 anni per l’omicidio e altri 2 anni e 8 mesi per calunnia: l’uomo, infatti, in un primo tempo aveva riferito di aver agito insieme ad altri complici, che poi, con il passare del tempo, ha scagionato. Il delitto, il primo dei due maturati nel giro di pochi mesi sull’isola di Gorgona, avrebbe avuto come movente un senso di protezione di Cabitta nei confronti di una assistente carceraria che sarebbe stata molestata da Zoroddu. Implacabile la furia dell’omicida, che il 9 gennaio 2004 ammazzò Zoroddu colpendolo ripetutamente con una roncola, attrezzo solitamente utilizzato dai detenuti di Gorgona durante i loro lavori agricoli.

Brescia: lettera di un detenuto; "così si vive in carcere"

 

Giornale di Brescia, 1 luglio 2005

 

Caro direttore, approfitto dello spazio che lei mette a disposizione dei lettori per "rispondere" o chiarire riguardo la lettera pubblicata dal dott. Scarcella in riferimento agli appunti mossi circa le dichiarazioni del consigliere Squassina rese durante la conferenza stampa a seguito della visita della delegazione parlamentare presso il nostro "Hotel a 5 stelle". Sono ospite di tale struttura da più di quattro anni e in tale periodo ho visto una e, preciso, una sola volta due persone dell’Asl visitare fugacemente le docce comuni del piano in cui sono recluso.

Lei parla di una visita ogni 6 mesi di un medico incaricato: e dove va questo medico? L’agibilità delle celle e la loro condizione igienica non è mai stata verificata da chicchessia in più di quattro anni e a quanto mi risulta neanche antecedentemente. I rapporti redatti da questo ispettore sanitario che mi appare quantomeno fantomatico sono letti dall’autorità competente (dato che lei afferma che non è di sua competenza) che so, tipo i Nas o qualche reparto dell’esercito attrezzato a fronteggiare emergenze batteriologiche? O sono documenti riservati?

Se non lo sono dove possiamo reperirli e consultarli, per pura curiosità, tanto per cercare di riuscire ad auto convincerci che stiamo pagando i nostri errori ma che continuiamo ad essere cittadini. O forse la privazione della libertà non è di per sé sufficiente, quindi inaspriamo con la privazione anche dell’igiene e della sicurezza. Quest’anno la disinfestazione è stata fatta solo nei locali riservati agli agenti di sorveglianza ed all’infermeria. Di notte quando ci si alza per un bisogno fisiologico, è come camminare su un sacchetto di patatine versato a terra, solo che sono dei gradevoli insetti neri, meglio conosciuti come scarafaggi. Quindi i toni ed i termini usati da Squassina non sono né fuori luogo e tantomeno aberranti della situazione. Ha solo riportato pari pari la condizione in cui sono costrette a vivere quotidianamente più di 500 persone. Ed utilizzo questa mia anche per ringraziare Squassina e quanti si sono prodigati per effettuare questa visita fatta con serio interesse riguardo i nostri problemi chiedendo inoltre (sono stati gli unici!) di visitare una normale cella di circa 15 mq in cui siamo stipati in 5 (vi sono anche celle con 14 detenuti ed un solo "servizio igienico").

 

Un detenuto di Canton Mombello

 

P.S. Guardacaso, proprio prima di imbucare la presente, abbiamo avuto una fugace visita dell’Asl, sempre e comunque limitata alle solite docce! Questo non fa altro che alimentare i nostri dubbi.

Fermo: laboratorio teatrale in carcere, in scena testo di Benni

 

Corriere Adriatico, 1 luglio 2005

 

Ieri pomeriggio si è tenuta all’interno della Casa di Reclusione di Fermo, una rappresentazione teatrale, dal titolo "Astaroth", atto unico di Stefano Benni a conclusione del laboratorio teatrale, che da alcuni mesi ha preso avvio, all’interno dell’istituto, con la collaborazione del Centro Territoriale di Educazione degli Adulti. Lo spettacolo ha visto coinvolti vari detenuti che con passione e dedizione hanno partecipato al laboratorio insieme ai docenti Maria Nazzarena Agostini e Marcello Fedozzi, che sono anche i registi della rappresentazione, alla quale hanno assistito molti detenuti, che hanno sottolineato il gradimento dell’iniziativa, con ripetuti applausi. Lo spettacolo è stato realizzato con la collaborazione del Comune di Fermo, l’assessorato ai servizi sociali e la Polizia Penitenziaria. Tra le personalità presenti l’assessore ai servizi sociali del Comune di Fermo Maria Antonietta Di Felice, Daniela Grilli direttore dell’ufficio osservazione e trattamento del Provveditorato Regionale, oltre che tutti gli insegnanti ed il preside della scuola Da Vinci - Ungaretti. La direzione del carcere "esprime un ringraziamento a tutti coloro i quali si sono adoperati per l’iniziativa".

Benevento: detenute si autofinanziano e danno vita a cooperativa

 

Il Denaro, 1 luglio 2005

 

Un gruppo di detenute, autofinanziandosi, darà vita all’interno del carcere di Benevento ad una cooperativa sociale in "rosa" per la produzione di oggetti d’artigianato in un laboratorio d’arte orafa realizzato proprio all’interno dell’Istituto penitenziario di Capodimonte. L’iniziativa - che sarà presentata stamane alle ore 10 nella sala consiliare della Rocca dei Rettori - si pone come obiettivo prioritario il reinserimento nella società civile delle detenute. Si tratta, quindi, di un progetto con un forte valore solidaristico e di grande impegno sociale e civile.

L’iniziativa è parte di un più ampio progetto, cui è stato dato il nome "Il volo della Fenice: momentum creandi", che si avvale anche della collaborazione di Armanda Rossi, responsabile della sezione femminile del carcere sannita. La cooperativa si impegnerà nella commercializzazione dei prodotti artigianali da vendere sul mercato di riferimento. La cooperativa sarà costituita da detenute cui è quasi preclusa la possibilità di misure alternative alla detenzione, con la conseguenza di scontare tutta la pena in carcere.

Tuttavia, sono socie della cooperativa anche ex detenute e persone che non hanno mai avuto problemi con la giustizia; a queste ultime, saranno affidati compiti dirigenziali nell’ambito della società cooperativa. Alla presentazione dell’iniziativa interverranno il direttore della casa circondariale, Liberato Guerriero; il prefetto di Benevento Mario D’Ambrosi; la vicedirettrice, Armanda Rossi; il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria di Napoli, Tommaso Contestabile ed il presidente della Provincia di Benevento, Carmine Nardone.

Libri: "Miccia corta", la lotta armata tra errori e riflessioni

 

Il Mattino, 1 luglio 2005

 

Non è un libro semplice Miccia corta (pagg. 224, euro 13, Derive e approdi). La sua introduzione rappresenta uno dei documenti più impietosi sulla "guerra di bassa intensità" combattuta in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta. Secondo il suo autore, Sergio Segio, è un tentativo di "memoria non viziata, parziale e distorcente qual è quella cristallizzata nelle carte giudiziarie e non superficiale o inevitabilmente lacunosa, densa di stereotipi e inesattezze, quale quella che deriva da molte delle cronache e da parecchi dei libri pubblicati sulla lotta armata". Poi, c’è il suo corpo centrale, rappresentato dal drammatico racconto della liberazione manu militari, realizzata nel gennaio 1982 da un commando diretto dallo stesso Segio, di quattro donne, militanti di "Prima Linea" (tra le quali la sua compagna, Susanna Ronconi) dal carcere di Rovigo.

E, infine, una post-fazione che rappresenta una ricerca di superare in positivo quegli anni in un Paese, che Leonardo Sciascia ha definito "senza memoria e verità". Quindi, Miccia corta è insieme saggio, romanzo-verità e autobiografia. Anche in Sergio Segio convivono sia il politico, che dopo essersi riscattato dalla follia della lotta armata, è impegnato sulla questione-carcere (insieme a Sergio Cussani), ma anche lo scrittore cresciuto al fianco di Luigi Ciotti, che gli permise di trascorrere in semi-libertà gli ultimi dei suoi ventidue anni di pena nel Gruppo Abele di Torino. Il titolo un po’ da western all’italiana ricorda la miccia troppo corta che fece esplodere il muro di cinta del carcere di Rovigo, uccidendo Angelo Furlan, un pensionato a passeggio col cane.

Ma anche la tragica scorciatoia presa da Segio e tanti altri giovani intorno al ‘77. Un libro utile a fare verità sull’origine e le ragioni dei "vinti e sopravvissuti" dei cosiddetti "anni di piombo", di coloro che, come Segio, hanno commesso il doppio errore "di stare dalla parte del torto e di sopravvivere". Ricordando il loro folle protagonismo che li portò a perdere ogni innocenza adolescenziale, arrivando ad ammazzare selettivamente servitori, veri o presunti dello Stato da abbattere. Ma non dimenticando il contesto, e cioè un’Italia afflitta dalla strategia della tensione.

Sofri: distinguere tra la curiosità su di me… e quella sul mio caso

 

Ansa, 1 luglio 2005

 

"Chissà perché mai in carcere i detenuti imparano a guardare in terra, a contare i passi. Chissà perché i prigionieri camminano a occhi bassi, forse perché cercano la strada". Così Adriano Sofri, detenuto in regime di lavoro esterno, parla a lungo di sé con l’Ansa, dicendo che "è bellissimo guardare in su, verso il cielo" e che "ormai sono diventato ignorante, ho dimenticato le cose che sapevo". Adriano Sofri è sommerso da testi vecchi e nuovi, un computer, un telefono in quello che è lo splendido palazzo della Carovana, in piazza dei Cavalieri. Scuola Normale superiore di Pisa: Sofri è nel suo ufficio pieno di libri e carta, fuori dalla finestra, appena aperta per difendersi dal caldo, restauratrici arrampicate su impalcature lavorano alla chiesa dei Cavalieri di santo Stefano. Dalle 9 Sofri ha lasciato il carcere don Bosco, dove tornerà stasera. Formalmente detenuto in regime di lavoro esterno, Sofri qui ha una dimensione altra.

Ci sono libri. Una costante per Sofri, in carcere come qui: "ho una specie di feticismo per i libri, era bibliofilia una volta, era una passione forte. Siccome ero molto povero dovevo cercare espedienti per trovare i libri che erano necessari. I libri di cui mi sono riempito in carcere dipendevano dal fatto che un po’ per gentilezza un po’ perché pensavano che avessi molto tempo a disposizione, case editrici, autori, tutti mi mandavano libri con una certa pretesa di prefazione. Ma con Mark Block posso dire adesso che non solo non ho letto il libro, ma non ho nemmeno scritto la prefazione". Questo, dice Sofri, vuol dire che "ho letto molto poco e ho dimenticato molte delle cose che sapevo diventando vecchio".

Dice, Sofri, che i libri "hanno tutte le dimensioni: da quelle materiali al resto, contengono tutte le cose, tutte le persone, ma anche le cose mancate e le promesse a venire". E il pensiero va all’ incredibile biblioteca della Normale, "biblioteca a cielo aperto. Se penso a quello che era 42 anni fa - ricorda Sofri - adesso la definisco libreriola. Ora è una cosa magnifica, tentacolare, la immagini risalire dal sottosuolo fino al quarto piano della cosiddetta torre di Ugolino, da dove si vedono i tetti di tegole, la casa dove Leopardi ha scritto A Silvia e, dietro, la torre di Pisa, il duomo e il battistero. Questo è fantastico per una biblioteca a scaffali aperti che è anche a cielo aperto". Tornare alla Normale. ‘Le persone che immaginano le cose, con una certa simpatia, pensano immagini appassionate, più travolgenti di come siano in realtà, ma la vita vissuta è altra.

Queste sensazioni sono deboli, costruite a posteriori" smorza subito Sofri. Che poi parla delle impressioni che ha quando compie il tragitto dal carcere alla Normale: ‘Ho scritto oggi della simpatia che mi fanno i campanili di Pisa. Ci sono campanili bellissimi. Sulle guglie crescono piante di capperi, incredibili alberi di fico che cercano la strada verso il cielo. Il detenuto che esce di galera è abituato a tenere la faccia verso il basso. Uscire di galera e ricordarsi che si possono alzare gli occhi è bellissimo. Chissà perché ma in carcere i detenuti imparano a guardare in terra, a contare i passi. Chissà perché i prigionieri camminano a occhi bassi, forse perché cercano la strada", ripete.

Si sostanzia così il detto "differenza tra il giorno e la notte"; "il giorno trascorso qui e la notte trascorsa al don Bosco, nella sezione più infelice del carcere, in locali abbandonati, di infima qualità. C’è una differenza tra il giorno e la notte: sta nei due palazzi che rappresentano l’antitesi di Pisa, simbolici alla rovescia. Questo dà la stura a una possibilità di comparazioni anche umane, non tutte prevedibili. Qui ho ritrovato molti coetanei e amici, ho molto da imparare, da farmi raccontare la loro vita. Tutti pensano di sapere come è andata la mia, io sono curioso della vita degli altri".

È arrivato il momento di distinguere "tra la curiosità che riguarda me e questa specie di escrescenza che è il caso Sofri. Dubito fortemente che un popolo di leghisti che scandisce migliaia di slogan contro di me abbia curiosità su me. Come sono io come persona. Ho l’impressione che sia cancellata ogni curiosità su me, o persino la voglia di immaginare che io esista sul serio. Ma si pronuncia un nome per pronunciare uno slogan, sentirsi uniti, trovare un nemico".

Ma questa specie di "proiezione del mio caso tramutandolo come un qualcosa di simbolico, a volte con solidarietà, spesso con inimicizia - dice Sofri - ormai mi pare un fatto del tutto irreparabile". Non sempre è così: Sofri riceve lettere di persone che hanno voglia di "raccontarmi le cose loro, di considerarmi una specie di orecchio".

Sofri non sorride quasi mai. Ma una domanda consente al suo sguardo di aprirsi un attimo solo: è quando ricorda Sarajevo, le circostanze estreme nelle quali è maturato il legame con la gente di Sarajevo. "Persone che mi hanno dimostrato una fedeltà commovente. Le signore dell’ ufficio postale di Sarajevo non hanno mai smesso di mandarmi le emissioni filateliche della Bosnia".

Sofri in semilibertà, "una cosa che non esiste, la libertà non è divisibile" che pensa ai merli che hanno nidificato sugli alberi di cemento di Michelucci, ai voli delle rondini quando torna in carcere, ai campanili, alla gente di Sarajevo. Sofri che legge Prosperi (Dare l’anima) e pensa alle tematiche referendarie, l’ultimo testo sulla Cina di Rampini. Che pensa ai fichi che nascono sui campanili: "E se ce l’ hanno fatta i fichi e i merli - conclude Sofri - forse ce la caviamo anche noi".

Caserta: donne si incatenano per protesta davanti al carcere

 

Caserta Sette, 1 luglio 2005

 

Alcune donne, tra cui la nuora e le figlie di una detenuta di 70 anni, si sono incatenate questa mattina all’esterno del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere per protestare contro le gravi condizioni di salute della loro familiare, Anna Buonocchio, settantenne di San Giorgio a Cremano (Napoli) detenuta da due mesi nel reparto femminile del carcere sammaritano per un residuo di pena di quattro mesi. Le donne, che hanno lasciato l’esterno del penitenziario poche ore fa, hanno inscenato una protesta pacifica con alcuni cartelli e catene, chiedono un ricovero urgente dell’anziana in quanto sofferente, tra l’altro, di cardiopatia intensiva e brancopatia cronica.

"L’altro giorno – spiega la nuora Palma – durante un colloquio in carcere mia suocera è diventata ha avuto una crisi davanti ai nostri occhi ma il medico del carcere continua a dire che sta bene. A tutt’oggi, però, nessuno di noi familiari è riuscito a visionare la perizia medica". Anna Buonocchio, coinvolta nel 1987 in una vicenda giudiziaria insieme ai figli accusati di associazione camorristica, ha già scontato oltre cinque anni di pena nel carcere di Latina. Lo scorso aprile era entrata nel carcere di Pozzuoli per un residuo di pena di quattro mesi. Dopo pochi giorni, per motivi di salute, era stata subito trasferita nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dotato di specifiche attrezzature mediche ma secondo i familiari le sue condizioni peggiorano di giorni in giorno. Una nuova istanza di scarcerazione sarà valutata il 5 luglio prossimo davanti al giudice della Sorveglianza di Napoli.

Palermo: nomade partorisce in carcere, ma la figlia muore

 

La Sicilia, 1 luglio 2005

 

È morta in ospedale poche ore dopo la nascita e adesso il legale della madre, Diana Duric nomade di 18 anni detenuta nel carcere Pagliarelli, dice che domani presenterà un esposto alla Procura di Palermo contro il medico della casa circondariale e il giudice che aveva respinto l’istanza di arresti domiciliari presentata nei giorni scorsi. La bimba, nata prematura di 22 settimane e del peso di 500 grammi, è morta intorno all’una di ieri notte subito dopo il trasferimento dall’ospedale Civico, dove è avvenuto il parto, all’ospedale dei Bambini, dove la neonata era stata messi in incubatrice.

La madre era stata ricoverata d’urgenza dopo che si erano rotte le acque mentre si trovava nella sua cella dei Pagliarelli, dove era stata rinchiusa lo scorso 7 giugno per scontare una condanna a due anni, pena patteggiata, per un furto in un appartamento, commesso insieme a una cugina, che aveva ottenuto il beneficio dei domiciliari per assistere la figlia di 8 mesi. "Dopo la condanna - dice il legale Pietro Incandela - ho presentato al giudice istanza di scarcerazione per via delle condizioni della donna che era incinta di cinque mesi.

Ma il giudice, che non ha voluto acquisire nemmeno la cartella clinica, l’ha respinta e in attesa del pronunciamento del Tribunale del Riesame, la mia assistita ha partorito ma la bimba è morta". Il legale accusa il medico del carcere "di negligenza e di avere sottovalutato lo stato di salute della ragazza". "In carcere aveva perdite di sangue e continue minacce di aborto - aggiunge Incandela - e quando si sono rotte le acque il medico non le ha creduto, accusandola di avere urinato sul letto e di esagerare. Quando hanno capito che la situazione era seria, con la testa della bimba che era già fuori dall’utero, è stata trasferita in ospedale ma dopo il parto la bimba è morta.

Se non alzavo la voce avrebbero trasferito la madre in carcere già stamattina senza pensare alle sue condizioni: piange per la morte di sua figlia ed è sotto choc". La ragazza, che ha altri due figli, vive in un camper insieme al marito. "Tutto ciò è successo - dice il padre della giovane donna, Mijo Duric - perché siamo nomadi e per noi la legge si applica in modo diverso rispetto agli italiani. Quando ho saputo che mia figlia era stata arrestata sono partito dalla Croazia per seguirla da vicino. Adesso vogliamo giustizia".

"Abbiamo seguito questa ragazza in modo costante e quando abbiamo saputo che la bimba era nata viva abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Poi però la neonata, dopo poche ore è morta, ma è ingiusto addebitare la responsabilità del decesso al medico del carcere, lui ha fatto tutto quanto poteva per seguire la donna". Così Laura Brancato, direttore del carcere Pagliarelli di Palermo dove è detenuta la madre della bimba morta in ospedale dopo il parto, replica alle accuse del legale della nomade di 18 anni, incinta di 5 mesi al momento del parto.

"Quando in carcere c’è una donna incinta - dice il direttore del Pagliarelli - tutti gli operatori si sentono coinvolti. Così è stato anche in questo caso. La ragazza è stata assistita dal ginecologo e dal nostro medico. Per tre volte era stata visitata in ospedale e non erano emerse complicazioni". "Quando si sono rotte le acque il medico ha avvertito il ginecologo - aggiunge il direttore del carcere - D’urgenza ho disposto, comunicandolo poi al Tribunale, il trasferimento della donna in ospedale. Siamo intervenuti immediatamente, ciò è dimostrato dal fatto che la bimba è nata viva, ma essendo prematura e pesando appena 500 grammi, non ce l’ha fatta. Ci dispiace molto, ma mi sembra che qualcuno voglia speculare su questa storia".

Secondo il direttore del Pagliarelli, inoltre, la decisione dei medici dell’ospedale di dimettere la donna dopo il parto "non è così scandalosa". "Non è stato un parto cesareo, ma indotto - conclude - In questi casi è normale che dopo uno o due giorni la paziente venga dimessa. Dopo la notizia il carcere si sentiva a lutto, mi dispiace che adesso si parli di denunce".

Immigrazione: Bari, assemblea nazionale della "Rete No Cpt"

 

Redattore Sociale, 1 luglio 2005

 

L’abrogazione delle leggi sull’immigrazione; la chiusura incondizionata dei Cpt; una politica sociale che metta la parola fine alla divisione della società in migranti e non migranti, illegali e legali, produttivi e improduttivi; la depenalizzazione dei reati sociali. Sono i temi centrali che verranno affrontati il 10 luglio, a Bari, in occasione dell’assemblea nazionale organizzata dalla "Rete No Cpt". "Chiediamo a tutti di prendere posizione su questi temi - sottolinea la Rete - e di partecipare all’incontro. Il Governo ci chiede un patto di sicurezza? Noi rispondiamo che l’unica sicurezza è data dal concreto accesso al reddito e alla cittadinanza per tutti e tutte".

Secondo la Rete No Cpt, la società di oggi è martellata quotidianamente da retoriche securitarie che ripetono incessantemente: "potete vedere voi stessi che cosa sono gli immigrati, esseri incorreggibili e pericolosi; l’immigrato è stupratore, drogato, oppure prostituta, ma è anche terrorista e criminale. L’unica cosa da fare è lasciarlo fuori dai confini dello Stato nazionale, oppure se tenta di attraversare illegalmente i nostri confini, va rinchiuso in un Cpt e poi espulso".

Non solo: la Rete No Cpt prende posizione, in particolare dopo i fatti di cronaca degli ultimi mesi, contro l’associazione che viene spesso fatta tra clandestino e criminale. "Le leggi in vigore oggi - aggiunge - hanno reso ancora più precaria e ricattabile la condizione giuridica dei migranti, favorendone il loro sfruttamento e creando una società di irregolari da trattenere, espellere e incarcerare. Il trattamento del migrante è diventato il prototipo del controllo della marginalità sociale".

Un passo indietro: dal 1998 - anno in cui la legge Turco - Napolitano ha istituito i centri di permanenza temporanea - un’ampia rete di gruppi, associazioni, partiti e sindacati ha dato vita ad azioni con l’obiettivo di una loro definitiva chiusura. "In questi anni - precisa la Rete - si è creato un fronte ampio e trasversale che ha coinvolto numerosi amministratori locali e, più di recente, ha visto associarsi la chiara presa di parola da parte di alcuni Presidenti di Regione. Le dichiarazioni di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, in particolare, e la convocazione per l’11 luglio di un Forum dei Presidenti delle Regioni proprio contro i Cpt, hanno aperto uno scontro istituzionale tuttora in atto. Crediamo che questo scontro riguardi, innanzitutto, la natura della decisione politica e rispetto a questo crediamo che sia necessario sperimentare inedite forme di democrazia". Per questo, l’invito a partecipare all’assemblea è rivolto a tutta la cittadinanza. L’appuntamento è in via Giulio Petroni 101, alle 10, (dalla Stazione Centrale autobus 11 o 11). Per maggiori informazioni: nocpt@libero.it.

Senza dimora: crescono richieste residenza a Comune Firenze

 

Redattore Sociale, 1 luglio 2005

 

Dopo aver registrato un aumento "enorme" delle persone senza dimora che richiedono la residenza presso il Comune di Firenze, l’amministrazione ha deciso una revisione della disciplina in vigore (l’ordinanza n. 4018/00 del 5 giugno 2000) mirata a trasformare la procedura d’iscrizione all’anagrafe fiorentina in una vera e propria "chiave d’accesso ai percorsi di inclusione sociale". La nuova ordinanza 474/2005 lascia inalterata la possibilità già esistente di acquisire la residenza presso via L. Lastrucci (ex Casa Comunale), ma affianca a questa opportunità un canale di accesso connesso alle "esigenze di sostegno sociale" per rispondere alle necessità più urgenti dei soggetti "socialmente più fragili".

Si tratta di un percorso di vero e proprio "recupero della persona", portato avanti grazie alla collaborazione dell’Amministrazione Pubblica con le associazioni di volontariato e le reti di solidarietà sparse sul territorio. In sintesi essa prevede una fase di "selezione", in cui le associazioni incontrano il singolo soggetto, indirizzandolo alle risorse del percorso progettuale; una fase di "accoglienza", che può protrarsi per un massimo di sei mesi; una fase "progettuale", in cui uno staff di operatori sociali, educatori e volontari delle associazioni, valuta le potenzialità della persona e decide un percorso individualizzato d’inserimento, mobilitando tutte le risorse necessarie; e infine, nei casi in cui il percorso conduce ad esiti positivi, una fase di "acquisizione della residenza anagrafica", accompagnata dalla possibilità di accedere al servizio di assistenza sociale per l’eventuale presa a carico. Per la realizzazione degli interventi, il Comune mette a disposizione 24 posti letto ogni 6 mesi (48 in un anno) per l’accoglienza notturna, e il complesso dell’Albergo Popolare "Fioretta Mazzei", per quella diurna. Quest’ultimo rappresenta la possibilità di usufruire durante il giorno di un’alternativa alla strada ed è anche il punto d’incontro con gli operatori volontari e i professionisti qualificati.

 

 

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