Rassegna stampa 8 giugno

 

Ancona: 32 enne tenta suicidio, ha elettroencefalogramma piatto

 

Il Messaggero, 8 giugno 2005

 

La speranza di salvezza è solo un filo sottile come il tracciato dell’elettroencefalogramma, ormai piatto. Si è impiccato nel carcere di Montacuto Andrea Novelli, il 33enne di Sirolo che tre anni fa uccise a bastonate Franco Barbadoro, l’ex operaio della Fincantieri di Ancona, nei pressi delle Cave. Il detenuto, soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria prima e dalla Croce gialla di Ancona poi, è stato subito trasportato al pronto soccorso di Torrette. Attualmente si trova in rianimazione, in fin di vita. I medici hanno rinviato qualsiasi valutazione del quadro clinico a questa mattina.

Il gesto disperato, frutto di una mente sconvolta e allucinata (i periti avevano ritenuto Novelli semi-infermo di mente), ieri pomeriggio attorno alle 14. L’uomo si è impiccato nella sua cella singola utilizzando le lenzuola del proprio letto. Solo il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria ha scongiurato la morte immediata, ma i legacci intorno al collo hanno bloccato, con il sangue, l’afflusso di ossigeno al cervello, danneggiandolo in maniera forse irreversibile.

Andrea Novelli, muratore, era un ragazzo difficile e disturbato. Vedeva tutti con occhi ostili, riusciva a convivere con se stesso soltanto nella "sua" grotta sul Conero in cui - in preda ad un’ossessione mistica - andava a pregare arrancando con un bastone in compagnia del suo cane lupo. Franco Barbadoro, che allora aveva 52 anni ed era andato in pensione da cinque mesi, ebbe il solo torto di imbattersi con Novelli impegnato nella sua sola escursione mistica. Forse solo uno sguardo mal interpretato, o forse nulla. Il sirolese colpì con il bastone immaginando che l’altro, impegnato nel riparare la sua auto, gli avesse fatto chissà quale affronto. L’omicidio avvenne il 7 settembre 2002 e il giudice di primo grado inflisse 14 anni all’imputato riconoscendo proprio l’attenuante della seminfermità mentale. Pena poi confermata in appello.

Andrea Novelli, subito auto-accusatosi dell’omicidio, in un primo momento disse di aver picchiato a morte Barbadoro per vendicarsi con l’ex operaio del cantiere, che alcuni mesi prima lo avrebbe malmentato ed umiliato davanti ad un gruppo di persone. Accuse risultate completamente inventate durante le indagini e partorite dalla mente di una persona giudicata paranoica, psicotica e tendente al delirio dagli psichiatri che lo hanno analizzato. Il Novelli arrivò anche a dichiarare di aver ucciso dopo aver sentito la voce del diavolo, uno stato mentale talmente sconvolto che richiese una lunga detenzione nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Poi il miglioramento, per cui è stato deciso il trasferimento nel carcere di Montacuto in modo che la famiglia e il suo avvocato Gianni Marasca potessero stargli più vicino. Nel frattempo i due processi hanno delineato uno scenario tragico con due vittime: ovviamente Barbadoro, il "gigante buono" sempre pronto ad aiutare tutti ed incapace di fare del male ad una mosca, e lo stesso Novelli, perseguitato dagli spettri della sua mente malata. Spettri che ieri lo hanno portato ad impiccarsi in cella. I medici del pronto soccorso di Ancona hanno riscontrato al detenuto un prolungato arresto cardiaco (poi il cuore ha ripreso a battere) e un edema celebrale. La prognosi è riservatissima e il ragazzo si trova sospeso tra la vita e la morte nel reparto di rianimazione di Torrette, piantonato dagli stessi agenti della polizia penitenziaria che hanno tentato di salvarlo.

Bollate: 21enne muore impiccato, avvocato non crede a suicidio

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Un giovane detenuto del carcere di Bollate è stato trovato impiccato nel bagno del reparto in cui era stato portato soltanto il giorno prima, trasferito dal carcere milanese di San Vittore. Si tratta di Andrea Regondi di 21 anni, condannato a dieci mesi di reclusione per detenzione di stupefacenti. Regondi era finito in carcere perché aveva già goduto dei benefici della sospensione condizionale poco più di un anno fa quando subì un’altra condanna ad un anno per fatti analoghi.

Il suo legale, l’avvocato Francesco Elia, prenderà ora contatti con la direzione del carcere e chiederà l’autopsia per accertare le circostanze della morte. Secondo una prima valutazione si tratterebbe di suicidio, ma l’avvocato Elia chiede che vengano effettuati tutti gli accertamenti possibili in quanto nelle lettere scritte dal giovane alla convivente non emergeva alcuna volontà autodistruttiva. Ora la parola è al perito autoptico.

Roma: Rebibbia da un’emergenza all’altra; adesso gli orecchioni

di Luigi Manconi, Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Roma

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Finita la varicella, da una settimana è il virus degli orecchioni a tenere alta la tensione a Rebibbia femminile. Lo Sportello del nostro Ufficio - afferma Luigi Manconi, Garante per i Diritti dei Detenuti del Comune di Roma - è ripreso questa mattina, dopo un mese di divieto di accesso, ma la quarantena dentro non è ancora finita: le attività in scuola, in chiesa, in sartoria, i colloqui, la biblioteca, tutto è ancora sospeso e le detenute aspettano, in cella, che l’emergenza passi. Il terzo piano del reparto "camerotti", però, è ancora in totale isolamento per la diffusione del virus degli orecchioni. Isolamento che genera non solo tensione negli altri reparti, ma anche confusione e problemi materiali, coma la notizia, per esempio - che sarebbe stata comunicata alle detenute - che, in caso di nuovi arrivi, questi sarebbero stati collocati nel reparto "cellulare", reparto in cui ogni cella, concepita per uno, contiene due persone e nella stessa cella, affianco ad uno dei due letti, si trova anche il water. In questo stesso reparto, inoltre, da venerdì non c’è acqua calda e al secondo piano su quattro docce, attualmente una sola è funzionante. Nelle ultime due settimane un topo è stato trovato in mensa e un serpente nello spazio dedicato all’aria verde. Questi sono soltanto alcuni dei motivi che alimentano tensione e nervosismo tra le detenute di Rebibbia, preoccupate dell’avvicinarsi dell’estate.

Roma: allarme sanitario a Rebibbia femminile, sospese attività comuni

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

A causa dell’epidemia del virus degli orecchioni, insorta da circa una settimana nel carcere femminile di Rebibbia, sono sospese tutte le attività comuni delle detenute. A dirlo, in una nota, il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma Luigi Manconi. "Lo sportello del nostro ufficio - spiega Manconi - è ripreso questa mattina, dopo un mese di divieto di accesso, ma la quarantena dentro non è ancora finita: le attività in scuola, in chiesa, in sartoria, i colloqui, la biblioteca sono ancora sospese e le detenute aspettano, in cella, che l’emergenza passi". "Il terzo piano del reparto camerotti - prosegue Manconi - è ancora in totale isolamento per la diffusione del virus degli orecchioni".

L’isolamento, aggiunge Manconi "non solo genera tensione negli altri reparti, ma anche confusione e problemi materiali. È il caso della notizia, che sarebbe stata comunicata alle detenute, che in caso di nuovi arrivi, questi sarebbero stati collocati nel reparto cellulare in cui ogni cella, concepita per uno, contiene due persone e nella stessa cella, a fianco ad uno dei due letti, si trova anche il water". "In questo stesso reparto - sottolinea Manconi - da venerdì non c’è acqua calda e al secondo piano su quattro docce, attualmente una sola è funzionante. Inoltre nelle ultime due settimane un topo è stato trovato in mensa e un serpente nello spazio dedicato all’aria verde". "Questi - conclude Manconi - sono soltanto alcuni dei motivi che alimentano tensione e nervosismo tra le detenute di Rebibbia, preoccupate dell’avvicinarsi dell’estate".

Roma: Rebibbia; detenuta rumena incinta perde i due gemelli

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Si chiama Johana, è rumena, ed ha perduto i due gemelli di cui era incinta al quarto mese all’interno del Carcere di Rebibbia, dove è detenuta. La denuncia arriva dall’Ufficio del Garante regionale dei detenuti. Secondo il garante Angiolo Marroni "i malesseri della ragazza sono stati come minimo sottovalutati dal personale del carcere".

Secondo quanto risulta all’Ufficio del Garante, la giovane si è sentita male nei giorni scorsi, ma "i suoi malesseri sono stati presi alla leggera". Pochi giorni dopo aver perso il primo bambino a causa di un aborto, la ragazza è stata di nuovo male. A quel punto i sanitari hanno accertato che anche il secondo nascituro era morto. La giovane è ora ricoverata al Policlinico Umberto I per rimuovere il feto.

"Ritorna in modo drammatico la questione della sanità penitenziaria - ha detto Marroni - E ritorna ancora in questo carcere femminile colpito negli ultimi mesi da troppi episodi relativi alla sanità. Sarebbe bene che l’assessore regionale competente si faccia finalmente carico della tutela della salute di tutti i detenuti ristretti nelle carceri del Lazio perché questa situazione non può continuare all’infinito. Ci sono due strutture per detenuti completate al Pertini e al Belcolle di Viterbo che restano incomprensibilmente chiuse".

Roma: sta bene la detenuta di Rebibbia ricoverata per parotite

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Sta meglio ma per ora resta in ospedale la detenuta del carcere di Rebibbia ricoverata da alcuni giorni all’ospedale Spallanzani di Roma per una parotite. La paziente era stata in un primo momento mandata al Policlinico Umberto I dove, però, i sanitari hanno optato per il trasferimento nella struttura specializzata in malattie infettive. Dopo l’epidemia di varicella scoppiata qualche settimana fa nella sezione femminile di Rebibbia, e che ha causato la morte di una detenuta già debilitata a causa dell’Aids, ora l’emergenza riguarda il rischio di diffusione degli orecchioni. E infatti le attività all’interno del carcere sono organizzate per limitare al minimo il contatto con il mondo esterno e le possibilità di contagio.

Potenza: formazione per gli operatori delle tossicodipendenze

 

Basilicata Web, 8 giugno 2005

 

Al progetto nazionale "Buone prassi" hanno fino ad ora aderito, oltre alla Basilicata, le Regioni Toscana, Veneto, Friuli, Marche ed Emilia Romagna. Inizierà il 20 giugno e durerà 5 giornate il corso di formazione destinato al personale impegnato nel trattamento socio sanitario di detenuti tossicodipendenti. L’inizio delle attività, inserite nell’ambito del progetto nazionale "Buone prassi" a cui la Regione Basilicata ha aderito, è stato oggetto della conferenza di presentazione tenuta questa mattina nella sala Inguscio della Regione, su iniziativa dell’Ufficio Gestione interventi assistenziali, sociosanitari, solidarietà sociale. In seguito al decreto legge 230/99, teso a garantire al tossicodipendente la medesima assistenza sia fuori che dentro il carcere, il progetto si pone come obiettivo quello di uniformare l’attività di operatori delle amministrazioni penitenziarie, dei Sert, delle aziende sanitarie, del privato sociale, delle comunità di recupero e degli Enti ausiliari regionali attraverso procedure, formule e percorsi condivisi e attraverso la creazione della figura dell’auditor, in grado di leggere un determinato sistema, valutarne le carenze e intervenire.

"Non è più rinviabile il problema della tossicodipendenza che investe la popolazione carceraria - ha dichiarato Giuseppe Montavano, dirigente generale del Dipartimento Sicurezza e Solidarietà sociale della Regione Basilicata – è necessario fornire un modello di comunicazione e di assistenza che promuova il collegamento tra i molteplici professionisti che operano nelle carceri".

Immigrazione: tensione a Trento per espulsione clandestini

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Momenti di tensione oggi pomeriggio davanti alla questura di Trento, dove un gruppo di disobbedienti del centro sociale Tana Libera Tutti e esponenti di Rifondazione Comunista hanno manifestato contro lo sgombero, avvenuto oggi all’alba, di 27 immigrati clandestini rumeni che alloggiavano in una ex fabbrica a Trento Nord. Nel gruppo delle persone fatte sgomberare e portate in questura vi sono anche bambini e donne incinte. Una persona, in precarie condizioni di salute, è stata visitata in ospedale. Mentre il questore di Trento incontrava il consigliere provinciale del Prc, Agostino Catalano, quello comunale Tommaso Iori e l’esponente della Cgil, Antonio Rapanà, il gruppo di dimostranti ha cercato di bloccare le auto della polizia che uscivano dalla sede della questura con a bordo quattro rumeni per i quali era stata decretata l’espulsione dal territorio italiano. Nella concitazione una pistola sarebbe caduta di mano ad un poliziotto davanti ai piedi di una delle dimostranti. Un giornalista è stato trattenuto in questura come testimone dei fatti. L’avvocato Giuliano Valer ha spiegato che tutti i clandestini verranno foto segnalati e che verrà valutata la posizione di ciascuno. L’assessore comunale alle politiche sociali, Violetta Plotegher, ha assicurato che il Comune offrirà ospitalità alle donne in stato di gravidanza, a quelle malate e ai minori per i giorni in cui resteranno in città.

Cassazione: turno 17 ore; far lavorare troppo dipendenti non è reato

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Far lavorare troppo i dipendenti non è un reato, piuttosto un fatto punibile con una sanzione amministrativa, lo dichiara la Cassazione. È stata questa la motivazione con cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del tribunale di Catania che nel 2004 aveva condannato un datore di lavoro a una ammenda di 200 euro per la contravvenzione ad alcuni articoli del Testo unico sulla pubblica sicurezza per aver fatto lavorare i suoi dipendenti con turni di 17 ore di fila.

Roma: carceri del futuro, 22 progetti architettonici in mostra

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Come sarà il carcere del futuro? Ventidue, tra architetti e ingegneri, lo hanno immaginato e i loro progetti saranno esposti dal 9 giugno presso l’ex Casa di correzione di Carlo Fontana, nel complesso monumentale del San Michele a Ripa. La mostra, dal titolo "Le Città dell’attesa, progettare il carcere", sarà inaugurata alle 16 alla presenza del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra.

Si tratta dell’esposizione dei progetti ammessi al concorso europeo bandito dalla direzione generale per le Risorse materiali dei beni e dei servizi del Dap, per la elaborazione di un prototipo di istituto penitenziario di media sicurezza a trattamento qualificato. Tra i progetti esaminati due sono risultati i vincitori ex equo: i progetti "La città ristretta" e "Comb 2". La mostra resterà aperta al pubblico dal 10 al 22 giugno, tutti i giorni, esclusa la domenica, dalle 9 alle 19. "Progettare un carcere - ha spiegato Enrico Ragosa, direttore generale delle Risorse materiali, dei beni e dei servizi del Dap - significa creare un’entità urbana, una piccola particolare città".

L’obiettivo del ministero della Giustizia è quello di progettare "un modello moderno lontano dall’immagine del ghetto di rassegnata emarginazione e più vicina all’idea di piccola e sicura città in cui sia possibile vivere dignitosamente nella speranza e nell’attiva attesa di un ritorno, a pieno titolo, nella società da uomini liberi". Attualmente in Italia ci sono oltre 200 complessi carcerari per un valore complessivo di 5 miliardi di euro, e ammontano a circa 250 milioni di euro all’anno gli investimenti necessari per la loro manutenzione.

 

L’architettura carceraria: cenni storici

 

Da luogo di punizione a luogo di rieducazione: il modello architettonico degli istituti penitenziari è legato alla visione penalistica delle varie epoca. Nei primi secoli del medioevo l’attività giudiziaria era svolta in edifici destinati ad altro (portici delle chiese, sale dei castelli). Dal 1100-1200 furono costruite le prime strutture per la giustizia ecclesistica e le giuridizioni signorili. Erano di forma elissoidale a due piani: quello inferiore, con anguste finestre e arredi in pietra, era destinato alle carceri, quello superiore, ben illuminato e arredato con il legno, al tribunale. In quel periodo il carcere era il simbolo del contrasto tra buio e luce, freddo e caldo, pietra e legno, morte e vita. I detenuti erano imputati in attesa di giudizio o dell’esecuzione della condanna. Ai lati delle celle si svolgeva l’attività commerciale e artigianale. Solo nel XVI secolo, con la fine del diritto penale privato e l’assunzione dello ius punendi in capo al sovrano, il modello architettonico subisce una profonda trasformazione, non solo strutturale per la preferenza di un impianto quadrilatero, "perché la giustizia uguale per tutti deve mostrare su ogni lato lo stesso volto", ma anche per la destinazione: inizia a farsi largo in nuce la concezione della funzione pedagogica del carcere. Il palazzo di Giustizia, con il piano inferiore destinato alle carceri e quello superiore, riorganizzato con aule d’udienza e cancellerie, al tribunale, si distanzia e sovrasta la città, circondato da giardini e chiuso tra colonnati. Le attività commerciali si svolgono all’esterno.

Con la struttura templare del Palazzo, simbolo della potenza della giustizia austera e distante dai cittadini, si passa nel 1600 a quello che è il modello del carcere moderno e alla separazione del tribunale dalla prigione. Con la realizzazione, intorno al 1650, delle Carceri Nuove a Roma lo Stato Pontificio crea la prima struttura cellulare e il primo carcere destinato esclusivamente a prigione dove i detenuti espiavano le proprie pene per raggiungere la redenzione. A papa Clemente XI, nel XVI secolo, si deve la realizzazione del primo carcere per minorenni: la casa di correzione di San Michele, progettata da Carlo fontana. Si tratta di un esempio di architettura che prende in considerazione l’umanità dei detenuti: 60 celle singole con finestre collegate da ballatoi, impianti idrici, fognari e di condizionamento. Risale alla fine del 1700 e l’inizio del 1800 la struttura carceraria a bracci, con celle grandi dove si svolgono attività lavorative, ambienti-officina e spazi aperti per la passeggiata collettiva. Dal 1900, infine, nasce l’idea della delocalizzazione dell’istituto penitenziario, situato nelle periferie delle città, in contrasto con la concezione moderna del carcere come luogo di riabilitazione e reintegrazione del detenuto nella società.

Antigone: suicidio a Bollate; fuori i tossicodipendenti dalle galere

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

"Un paese che definisce e tratta come un pericoloso criminale un giovane di ventuno anni, tossicodipendente condannato a dieci mesi per detenzione di sostanze stupefacenti è un paese incapace di distinguere tra questioni di rilevanza sociale e questioni di reale rilevanza criminale". A dichiararlo, commentando il suicidio del giovane trovato impiccato nella sua cella di Bollate, è Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone che chiede: "fuori i tossicodipendenti dalle galere". "Da mesi - sottolinea Gonnella - si discute, filosofeggiando, se un embrione è un essere umano e si è disposti a tutto pur di salvarlo, poi non ci si indigna se un giovane tossicodipendente finisce in galera per scontare pochi mesi e si ammazza.

Quel giovane doveva stare fuori dal carcere". "Ci sono oltre 15 mila tossicodipendenti accertati nelle carceri italiane - aggiunge il presidente di Antigone - molti dei quali condannati a pene brevi e quindi nei termini per accedere a misure alternative. Solo un decimo di essi è in trattamento metadonico. Queste persone non devono stare in carcere, devono essere affidate ai servizi delle tossicodipendenze del servizio sanitario nazionale perché siano sostenute nel percorso di recupero". "Invece - dice ancora - c’e ancora chi sostiene che con i tossicodipendenti ci vuole mano pesante". "L’unica speranza - conclude Gonnella - è che si rifletta e si cestini definitivamente la proposta di legge Fini sulle droghe che, se dovesse passare, aggraverebbe ulteriormente la situazione, riempiendo a dismisura le prigioni di tossicodipendenti".

Minori: il Pm Ugo Pastore; troppa tolleranza con baby-gang

 

Il Messaggero, 8 giugno 2005

 

Adolescenti sempre più bulli, piccole pesti che non è esagerato considerare delinquenti-bonsai. Scuole danneggiate, danni in classe, pestaggi a bambini stranieri, perfino violenze sessuali. Gli under 18 ad "alto rischio" mettono in allarme la Procura del Tribunale dei Minori che considera il fenomeno dilagante, tale da assumere dimensioni preoccupanti se non si cercherà di prevenirlo anziché curarlo. "La tendenza rispetto agli ultimi anni è in ascesa - dice il procuratore Ugo Pastore - e Ancona non si distingue più dal contesto della criminalità minorile nazionale".

Allarme baby-gang sì, ma il procuratore Pastore non parla sull’intenzione dell’Achnur, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, di approfondire il caso delle frequenti separazioni tra genitori e minori (fino all’accertamento dell’effettiva parentela) ad Ancona. Si parla di un’imminente ispezione per controllare la gestione delle famiglie profughe, con documenti non regolari, allontanate dai figli per disposizione del Tribunale dei Minori. "Il nostro lavoro - si limita a spiegare Pastore - è quello di tutelare i diritti dei bambini minorenni in ogni situazione così come è previsto dalla legge. Non abbiamo secondi fini".

Mini-canaglie. Prima il Giamburrasca cicciottello che scriveva sui muri delle ex Scandali messo a dieta dal giudice. "È servita, ora è un ragazzino recuperato" dice Pastore. Poi l’aggressione al venditore di rose bengalese picchiato in via Oberdan da due ragazzini di quindici o sedici anni. Infine la bravata di alcuni adolescenti al centro commerciale di Torrette dove domenica sono stati svuotati gli estintori mettendo in allarme i residenti. Avvenimenti che fanno riflettere. "Purtroppo - insiste il procuratore - nei giovani è in aumento il disagio che a poco a poco sfocia nella devianza e negli episodi di violenza che, è vero, accadono sempre più frequentemente. Le cause? Molteplici, ad iniziare dall’educazione, dalla famiglia, dal tessuto sociale in cui vivono ma soprattutto dall’indifferenza. Più che intervenire a cose accadute - prosegue Pastore - sarebbe meglio limitare i danni ed individuare il problema quando questo è ancora alla fonte. Ciò è possibile solo attraverso le segnalazioni dagli ambienti frequentati dai giovani come le scuole. Segnalazioni che tutt’oggi mancano e ci portano a conoscenza degli episodi solo quando questi sono ormai accaduti". Un invito dunque, quello del procuratore, rivolto all’intera popolazione a parlare e a denunciare ogni tipo di situazione ritenuta a rischio. "Per fare prevenzione - riprende il procuratore - abbiamo bisogno di sapere altrimenti il nostro lavoro è vano". Fonti di notizie potrebbero essere i centri sociali e quelli sportivi passando per quelli parrocchiali e per i luoghi di divertimento. "Il problema - continua Pastore - è che si fa ancora fatica a comprendere tutto questo".

Minori allontanati. Dopo l’appello del Cir, il consiglio italiano dei rifugiati con sede al porto, che invitava la Procura minorile a non separare genitori e figli nel lasso di tempo necessario a comprovarne l’effettiva parentela, Pastore si limita a precisare "che non è il procuratore che dispone i provvedimenti, piuttosto il giudice. "Ciò che viene deciso è per il bene dei bambini e spesso questo non coincide con il bene dei genitori. Se ci fosse comunque una struttura vigilata e sorvegliata in grado di assicurare che le famiglie non si allontanino o non fuggano con i bambini, nessuno impedirebbe loro di stare insieme". Ieri intanto la notifica per il ricongiungimento dei tre bambini afgani allontanati dalla famiglia nel maggio scorso. Oggi i ragazzini, assistiti dall’avvocato Pietro De Gaetani, potranno riabbracciare il padre Abdul R. ma non la madre, Rasia R., in carcere dopo aver colpito un poliziotto con un coltello.

Milano: incontro su figli dei detenuti e disagio minorile

 

Corriere della Sera, 8 giugno 2005

 

Dalle associazioni per i figli dei detenuti al disagio minorile: un incontro tra i milanesi e i protagonisti dell’impegno. Il Consiglio di Zona 1 invita milanesi e non a incontrare i rappresentanti di alcune tra le più insigni istituzioni che sul territorio operano nel sociale. A partire dalla fondamentale attività di recupero svolta dalle carceri di San Vittore, attorno cui gravitano associazioni che aiutano i figli dei detenuti, l’accoglienza del disagio minorile, l’assistenza sanitaria, l’educazione, la cultura saranno il tema della serata che si propone di accendere un dibattito e di essere un momento d’ascolto delle testimonianze di chi, ogni giorno, e con professionalità, porta avanti progetti importanti.

Al tavolo dei relatori siederanno Piera Bassi, presidente della Commissione Servizi Sociali e Sanità Zona 1; Fiorenzo Galli, direttore generale del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci; don Gianbattista Milani, parroco della Chiesa di San Vittore; Teresa Mazzotta, vicedirettrice del carcere di San Vittore; Lia Sacerdote, vicepresidente dell’Associazione Bambini Senza Sbarre. La serata proseguirà con un concerto per chitarra e violino. L'8 giugno 2005, 20.30. Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, sala del Cenacolo. La partecipazione è gratuita. Informazioni e prenotazioni: 02.45487395

Roma: 36 detenuti di Rebibbia in una gara di cucina

 

Redattore Sociale, 8 giugno 2005

 

Trentasei detenuti del carcere romano di Rebibbia, divisi in 19 squadre, hanno partecipato alla V edizione della gara di cucina, iniziativa promossa dal Vic (volontari in carcere) in collaborazione con la direzione dell’Istituto. Seguiti dai giovani ristoratori d’Europa, i detenuti hanno preparato piatti tipici delle regioni e dei paesi di provenienza: coda alla vaccinara, pizza in padella, pasta fatta in casa al sugo di castrato, palla marina del cile (zuppa di pesce e carne), risotto alle fragole. Il tutto utilizzando i pochi strumenti a disposizione: fornelli da campo, posate di plastica e coperchi delle lattine per tagliare. " In carcere non disponiamo di molti ingredienti - ha detto Salvatore Lippi, 47 anni - non possiamo farci portare, per esempio, le uova fresche ma solo sode così ci arrangiamo.

Per fare una grattugia usiamo scatole vuote di latta con dei buchi, per fare la ricotta facciamo bollire il latte intero con limone, aceto e sale. Quello che non manca mai qui è il tempo".

Alla manifestazione hanno partecipato gli assessori capitolini alle

Politiche Sociale, Raffaela Milano, al Lavoro, Paolo Carrazza e il direttore di Rebibbia, Stefano Ricca. "Il carcere è parte della città, in Comune lo consideriamo un Municipio - ha spiegato l’assessore Milano -, e attraverso un’iniziativa leggera come questa è possibili far conoscere la vita dura del carcere". Nel corso della gara di cucina è stato presentato il libro "Ricette d’evasione, l’arte di cucinare dietro le sbarre", scritto dai detenuti che hanno partecipato al corso di cucina nel carcere. "Un modo per imparare professionalità da usare una volta scontata la pena - ha detto l’assessore Carrozza -. Quella di oggi è un’occasione importante per chi vive in carcere". "Ricette d’evasione", non è un libro di cucina ma un viaggio attraverso l’arte di arrangiarsi, tra i ricordi della vita libera. Attraverso la gastronomia e i sapori i detenuti raccontano la vita in carcere, i proventi delle vendite andranno al Vic. Soddisfatto il direttore di Rebibbia, Stefano Ricca: "Quest’anno c’è stata una grande partecipazione, il carcere deve sempre di più ricevere dalla vita sociale stimoli e opportunità per crescere". La giuria formata da giornalisti e gourmet ha premiato, con una batteria di pentole, la coda alla vaccinara di Aldo e Daniele. Tutti d’accordo i detenuti che si sono sfidati ai fornelli sul fatto che: "l’importante è partecipare ad iniziative come queste e non vincere".

Cremona: emergenza-carcere senza fine, gli agenti protestano

 

La Provincia di Cremona, 8 giugno 2005

 

Emergenza senza fine al carcere di Cà del Ferro. Alle croniche carenze di organico della polizia penitenziaria si aggiunge quella del personale civile, denunciata ieri da sindacati confederali e Sialpe nella conferenza stampa tenuta presso la Camera del Lavoro. "La pianta organica, comunque sottodimensionata, prevedrebbe 21 persone; ma in servizio effettivo ce ne sono solamente 10, di cui 2 in distacco temporaneo e una assunta a tempo determinato".

"Degli altri 11 - hanno spiegato i sindacalisti - cinque sono impegnati in un corso di riqualificazione professionale, due trasferiti al Sud e quattro da tempo assenti per malattia e maternità. Il risultato? La coperta è troppo corta, il servizio amministrativo risulta inevitabilmente rallentato. E il periodo delle ferie deve ancora iniziare". A quel punto si rischieranno la paralisi e crescenti tensioni per le conseguenze che il sostanziale blocco dell’attività amministrativa comporta su tutto il lavoro del carcere. Il 19 maggio i sindacati avevano incontrato la direttrice Ornella Bellezza, che condivide pienamente la loro analisi. Così il 1° giugno è partita la lettera per Luigi Pagano, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria.

"Chiediamo con urgenza di incontrarLa per presentare la preoccupante situazione legata alla carenza di organico del personale amministrativo", scrivono i sindacalisti. "Già ora si rasenta la paralisi. Ma in prossimità delle ferie estive la situazione diventerà ingestibile. Serve dunque un intervento immediato, anche alla luce delle prossime riqualificazioni di personale, che svuoteranno alcune aree funzionali a favore di altre". Finalmente si potrà contare su un numero adeguato di educatori professionali, mentre sugli altri fronti si conteranno i posti vuoti. Finora la lettera al Provveditore non ha avuto risposta, e del resto nessuno si fa troppe illusioni sui tempi né - sopratutto - sui contenuti della replica. "A livello centrale, mancano soldi e volontà per occuparsi delle carceri e di chi ci lavora. Mentre qui mancano mezzi e divise, dobbiamo operare in ambienti resi insalubri dal caldo (non possiamo permetterci neppure un condizionatore), gli agenti sono costantemente costretti a subire il fumo passivo dei detenuti, dato che nei raggi è impossibile far rispettare il divieto. Nessuno si occupa di noi, nemmeno i politici locali, che vengono a Cà del Ferro in passerella a ridosso delle elezioni e poi svaniscono nel nulla. Eppure chiediamo solo di essere messi in condizione di lavorare. Qualche miglioramento si potrebbe conseguire anche a costo zero. Ad esempio richiamando il personale inspiegabilmente distaccato in sedi che non ne hanno bisogno. Potrebbe essere un passo avanti. Ma forse è chiedere troppo".

Rovigo: dal carcere e per il carcere video, musica e teatro

 

Il Gazzettino, 8 giugno 2005

 

Un video, musica, teatro, tutto questo dal carcere e per il carcere di Rovigo. Piazza Vittorio Emanuele II di Rovigo sarà teatro venerdì prossimo con inizio alle ore 21 della manifestazione denominata Il carcere tra piazza e Paradiso organizzata dall’associazione Arancio Chimera in collaborazione con lo Sportello giustizia dei Csv del Veneto e il Coordinamento dei volontari della Casa circondariale di Rovigo.

Patrocinato da Regione Veneto, Provincia di Rovigo, Comune di Rovigo, Centro di servizio sociale per adulti di Padova, Casa circondariale di Rovigo e Centro di servizio per il volontariato di Rovigo, l’evento, incentrato sulle problematiche della reclusione, vedrà un susseguirsi di momenti diversi: dalla proiezione in anteprima del video "Il Paradiso in me" prodotto da Simone Brunello, Mara Nardin e Michele Silvestrin con i detenuti della Casa circondariale di Rovigo, agli interventi di Fabrizio Cacciabue, direttore della Casa circondariale di Rovigo, di Livio Ferrari, direttore del Centro francescano di ascolto di Rovigo e di fra Beppe Prioli, coordinatore regionale Seac del Veneto che presenterà anche un video sulla sua trentennale attività di incontro con le persone detenute nelle carceri di tutta Italia. Il tutto sarà condito dall’accompagnamento musicale del Jam Quartet, dalle letture teatrali di Sara Piffer, e condotto dal giornalista Marco Mariotti.

"Si può parlare di paradiso terrestre in un carcere? E come si può parlare di paradiso in un luogo di restrizione e sofferenza?", afferma Simone Brunello. Queste sono alcune domande su cui si sono confrontati i realizzatori del video. "Il lavoro che ne è scaturito verrà condiviso tanto da presentarlo all’aperto, nella "piazza grande", per parlare di un luogo chiuso, del carcere che si trova lì a pochi metri, nel cuore della nostra città...".

Continua Brunello: "Ne parleremo a modo nostro, facendo del carcere uno "spettacolo", ma senza dimenticare alcune domande fondamentali: quali sono le politiche del territorio sui temi del carcere? cosa si sta facendo e cosa si potrebbe fare? quali obiettivi e quali priorità si possono individuare per un programma condiviso da istituzione detentiva, enti locali, volontariato e società civile? I nostri ospiti, che in questi temi "ci sono dentro", ci aiuteranno a dare qualche risposta". Arancio Chimera è un’associazione culturale cittadina che si occupa di comunicazione ed espressività attraverso il linguaggio artistico, soprattutto teatrale.

In particolare sviluppa una ricerca volta a coniugare espressività artistica e impegno sociale: in questa direzione, numerosi sono i progetti realizzati a favore di minori, anziani e persone svantaggiate (disabili, detenuti, etc.), come l’attività nel Carcere di Rovigo che è iniziata nel 1998 ed è continuata senza interruzione portando alla produzione di spettacoli teatrali, opere video ed altri eventi particolari.

Spoleto: protocollo su percorsi formativi per reinserimento

 

Il Messaggero, 8 giugno 2005

 

Reinserire i detenuti nel mondo del lavoro. Un obiettivo che, spesso, non trova risposte da parte delle imprese e che cozza contro pregiudizi duri a morire. Ma dal carcere di Maiano, dove da molti anni gran parte dei reclusi non sottoposti alle misure di sicurezza disposte dall’articolo "41 bis" sono impegnati nelle attività dei laboratori di falegnameria e legatoria, arriva un contributo importante per ridare una dignità lavorativa a chi sta pagando o ha finito di pagare il suo debito con la giustizia. A fornirlo è il gruppo di lavoro che ha redatto insieme agli esperti dell’assessorato alla formazione, lavoro e istruzione della Provincia la bozza del protocollo d’intesa per lo sviluppo dell’integrazione dei servizi finalizzati alla promozione e al coordinamento delle attività di accompagnamento al lavoro e di orientamento professionale dei detenuti.

Il protocollo, che è stato illustrato dall’assessore provinciale, Giuliano Granocchia, mira a promuovere percorsi di orientamento e formazione per incrementare l’occupazione dei detenuti e dei condannati già ammessi o da ammettere alle misure alternative alla detenzione ed al lavoro all’esterno del carcere. Tali percorsi terranno conto delle competenze dei detenuti in campo professionale e sulle reali capacità di adattamento delle persone recluse agli effettivi bisogni delle imprese.

Per l’assessore Granocchia, l’iniziativa va vista anche nell’ottica del reinserimento sociale attraverso il lavoro. "Nel progetto generale per il reinserimento degli ex detenuti – ha sottolineato l’assessore Granocchia - la Provincia farà la sua parte nel coinvolgimento delle aziende dei vari settori: sia sensibilizzandole sul piano sociale, sia su quello dei vantaggi di trasferire attività produttive all’interno delle mura carcerarie o nell’assumere persone sottoposte a misure restrittive della libertà". Ed in questo ambito, la casa di reclusione di Maiano sarà tra quelle che sperimenteranno le nuove forme di "job creation".

Palermo: cinema al carcere minorile, "Miracolo a Palermo"

 

La Sicilia, 8 giugno 2005

 

Erano attenti, interessati e dignitosi, desiderosi di riscatto e di normalità. I giovani detenuti del carcere minorile Malaspina hanno assistito, in assoluto silenzio, alla proiezione del film "Miracolo a Palermo" di Beppe Cino, per poi scatenarsi in un sincero e lungo applauso. L’iniziativa, organizzata dal Comune e fortemente voluta dal regista, si è svolta, ieri mattina, nella sala conferenze del Malaspina e si è conclusa con un dibattito.

Il film "Miracolo a Palermo" narra la storia di un ragazzino vissuto, per diversi anni, con la volontà di vendicare l’omicidio del padre, ma poi spinto ad abbandonare i propositi di violenza grazie all’affetto di una sua amica. Nel cast di attori figurano anche Maria Grazia Cucinotta e Tony Sperandeo. "È un film fondato su una speranza concreta e propositiva! - ha detto il regista - Emerge il ruolo prezioso delle donne, le quali sono meno compromesse da ogni forma di potere, legale o mafioso". Ai giovani detenuti, Beppe Cino ha spiegato la morale del film, ovvero "che si può e si deve uscire dalla logica cieca della vendetta, causa di morte e distruzione. La spirale della violenza, della guerra e della vendetta provoca conseguenze nefaste in tutto il mondo".

Il regista ha raccontato che il fratello maggiore del protagonista ha cambiato vita ed ha aperto una pizzeria, "dopo avere compreso che la strada del crimine lo avrebbe portato soltanto al carcere, alla morte o alla vendetta. Occorre trovare strade alternative alla violenza, per combattere le ingiustizie e per garantire un futuro migliore". Secondo Beppe Cino, "la repressione è scontata per i reati gravi, ma non bisogna mai smettere di dialogare con coloro che delinquono. Bisogna parlare con tutti ed a maggior ragione con i detenuti minorenni. Non esiste alternativa al dialogo ed alla rieducazione. Molte volte, l’umanità presente in carcere è più vittima che carnefice". Il regista proporrà la proiezione di "Miracolo a Palermo" a Pagliarelli e all’Ucciardone.

Usa: ad Huntsville, in Texas, eseguita condanna a morte

 

Ansa, 8 giugno 2005

 

Nel carcere di Huntsville, in Texas, eseguita la condanna a morte di Alexander Martinez che 4 anni fa uccise a coltellate una prostituta. Martinez, che avrebbe compiuto 29 anni la prossima settimana, ha detto poche parole, mentre veniva legato al lettino su cui ha ricevuto l’iniezione letale. L’assassino ha ringraziato la sua famiglia e i suoi amici per il conforto che gli hanno dato e ha espresso loro il suo affetto e si è scusato con la famiglia della sua vittima Helen Oliveros.

Roma: "Er monnezza", lo sbirro che piace ai detenuti

 

Il Messaggero, 8 giugno 2005

 

"In segno di rispetto per voi ho indossato questa maglietta con disegnato Arsenio Lupin, la preferisco ad un vestito di Armani". Claudio Amendola nella sezione maschile del carcere di Rebibbia recita la parte che preferisce. Se stesso. Quella dell’attore che se è stato fortunato lo deve ad una moltitudine di cose e tra questa anche "alle sue cattive compagnie". È talmente a suo agio in questa parte che il direttore del penitenziario romano, Carmelo Cantone, lo invita a restare. "Grazie, ma se lei non ha niente in contrario stasera vorrei proprio magnà a casa mia", rigetta gentilmente l’invito Claudio. A varcare la porta del nuovo complesso di Rebibbia è stato ieri anche Enzo Salvi, più noto come er cipolla o anche er pantera, venuto per "regalare ai detenuti l’unica evasione possibile". La visione di un film.

Il risultato è uno spettacolo al netto da qualsiasi retorica. Uno show molto apprezzato. Si ride a crepapelle quando inizia "Il ritorno del monnezza". Si ride per le battute dei protagonisti e per quelle dei detenuti in sala. Quando er monnezza, l’ispettore coatto inventato negli anni ‘70 da Tomas Milian, e ora reinterpretato da Amendola, finisce in gattabuia gli spettatori più "esperti" tentano di riconoscere il carcere dai piccoli particolari. In sala si leva un brusìo. Finché Amendola pone fine al toto-cella urlando nel buio "È Velletri".

"Mi è sembrato giusto far vedere questo film in questo posto a chi forse lo avrebbe visto anche se stava fuori - spiega Amendola - io mi sento molto legato alla mia città e a tutti quelli che in questi città cercano di sopravvivere e fanno a volte, anzi spesso, molte ca...volate. anch’io, nonostante le attenzione della mia famiglia, sono cresciuto per strada. La strada la conosco. E forse è solo un caso se oggi mi sono trovato a impersonare una "guardia" e faccio l’attore, in fondo poco più di un pupazzo davanti alla macchina da presa". La proiezione del film di Carlo Vanzina è una piccola cosa. Due ore di svago. Ma importante. Rientra nella campagna "Belli come il sole" organizzata dall’Associazione il "Pavone". Gli ideatori sono Gabriele, Adamo, Fabio e Giorgio, 4 ex detenuti che riusciti a rifarsi una vita e a trovare un lavoro. Ora si battono per i figli delle madri detenute nelle carceri italiane costretti a trascorrere i carcere gli anni più importanti della loro formazione.

"Il nostro Parlamento - spiega Gabriele - ha approvato nel 2001 una legge rimasta inapplicata perché mancano le strutture alternative per ospitare questi bambini che hanno da zero a 3 anni. È un caso assurdo". Nel nuovo complesso di Rebibbia femminile il problema riguarda 16 bimbi, alcuni dei quali, sono nati praticamente qui". Bambini tristi, che non fanno oh!

 

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