Rassegna stampa 3 gennaio

 

Sulmona: quarto suicidio nel supercarcere, Dap dispone ispezione

 

Repubblica, 3 dicembre 2005

 

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avvierà una ispezione di routine - come sempre avviene in simili circostanze - nel carcere di Sulmona dove stamani si è suicidato Guido Cercola, braccio destro del cassiere di Cosa Nostra, Pippo Calò, condannato all’ergastolo per la strage del Rapido 904 nella quale il 23 dicembre 1984 morirono 16 persone e altre 267 rimasero ferite.

Dal 2003, quello di oggi è il quarto suicidio di detenuti che avviene nel carcere abruzzese, una struttura grande (con 500-600 reclusi) che ospita sia ergastolani che reclusi con pene minori o in attesa di giudizio. Nell’aprile del 2003 si tolse la vita anche Armida Miserere, direttrice del penitenziario. 

Bari: Nichi Vendola, basta con il carcere come discarica

 

Gazzetta del Sud, 3 dicembre 2005

 

Fine anno come da tradizione, o quasi, per Nichi Vendola, il parlamentare pugliese di Rifondazione comunista in corsa per la candidatura alla presidenza della Regione. Nel giorno di San Silvestro, l’ex vicepresidente della commissione parlamentare antimafia è tornato a far visita ai detenuti del carcere di Bari: un appuntamento ormai diventato una consuetudine soprattutto in occasione delle principali festività.

Ma anche quest’anno, quella di Nichi Vendola è stata tutt’altro che una visita rituale. Il carcere di Bari, come quello delle altre principali città italiane - ha detto uscendo dal penitenziario - fa vivere i detenuti "in una situazione di grandissimo disagio". Certo, nulla che già non si sapesse. Anzi, piuttosto, per quel che riguarda Bari, la conferma di quanto era stato ribadito più volte: l’ultima ad ottobre dell’anno scorso, quando, mentre era in corso uno sciopero della fame dei detenuti, a visitare il carcere barese era stata l’on. Alba Sasso dei Ds, accompagnata dagli avvocati Michele Laforgia e Tommaso Barile dell’associazione "Antigone".

Allora, ad esempio, venne messo il risalto il dato più eclatante, quello riferito al sovraffollamento. Allora, a fronte di una capienza ottimale di 190 detenuti e un livello di "sopportabilità" non superiore a 330, la delegazione di "Antigone" constatò che i detenuti ospitati nella struttura di corso Alcide De Gasperi erano più di 500. Una situazione che, peraltro, non riguarda solo Bari e che, a ragione, Vendola definisce di "grandissimo disagio". Una situazione che induce lo stesso Vendola a parlare di autentica "discarica sociale".

"La struttura carceraria - ha infatti spiegato il parlamentare di Rifondazione comunista subito dopo la sua visita - è considerata una vera discarica sociale in cui vi sono violenze intrinseche ai detenuti: dalla difficoltà di reperire acqua calda al sovraffollamento, alla carenza di medicinali anche a causa dei fondi dimezzati dalla Finanziaria". "Il problema - ha aggiunto - si riflette anche sui parenti che vengono a far visita ai detenuti e sugli stessi agenti penitenziari che sono costretti a sopperire con la propria umanità alle carenze della struttura e lavorano in una situazione di grande stress".

Eppure - ha fatto notare Vendola - "qui a Bari c’è una grande umanità tra i detenuti, tanto che in questi giorni hanno raccolto fondi per aiutare il mondo asiatico colpito dall’immane tragedia".

"Alla loro umanità però - ha osservato amaramente il parlamentare - non fa riscontro l’interesse del mondo esterno". Un auspicio che Vendola ha accompagnato ad un vero e proprio appello all’opinione pubblica affinché - ha concluso - si riprenda a ragionare sul carcere come speranza e non come discarica". 

Salva-Previti: forte con i deboli e supina verso i potenti

 

Liberazione, 3 dicembre 2005

 

Se si continua a tacere la drammatica condizione dei reclusi, le prigioni rischiano di diventare una polveriera. Non è un avvertimento, non è una minaccia, ma la naturale evoluzione dello stato delle cose. Il colpo di grazia alla popolazione detenuta, in civile protesta dal 18 ottobre scorso, è stato promesso dal cosiddetto decreto "Salva-Previti": se passerà moltiplicherà la popolazione reclusa nell’arco di un paio d’anni. Espansione che non troverà sfogo nei metri quadrati della gabbia repressiva già tanto stretta.

Un effetto mortale. Lo dicono i freddi numeri: sono 56mila i detenuti nelle carceri, dovrebbero essere al massimo 41mila. Lo dicono i suicidi e le morti per malasanità. Se passa il decreto i ristretti arriveranno a centomila in ventiquattro mesi. Stessi metri quadrati di sopravvivenza. Nessuna possibilità di sopravvivenza futura degna per un essere vivente, la persona-detenuta, appunto.

Il preannunciato colpo di grazia è stato messo in canna alla vigilia di questo Natale. Nel mirino l’80 per cento dei detenuti, quelli recidivi, ma se passa il decreto cosiddetto "Salva-Previti" le carceri si trasformeranno in un contenitore di carne umana.

La prospettiva fa paura, se ne parla in tutti i cortili delle carceri. Così come racconta a Liberazione Vittorio Antonini, Vice Presidente dell’associazione di detenuti Papillon-Rebibbia, promotrice della protesta che da ottobre attraversa tutte le galere d’Italia (www. papillonrebibbia. org).

 

Perché il "Salva-Previti" è un decreto pericoloso?

Aprirebbe il definitivo e tragico passaggio verso una selezione di classe della popolazione detenuta. Da un lato con il regime delle prescrizioni, dall’altro con le norme sulla recidiva. Quest’ultime provocherebbero in breve tempo un sovraffollamento inumano, condizioni mostruose rispetto a quelle che stiamo denunciando oggi.

 

Entriamo nel merito del "Salva-Previti" quali sono gli effetti temuti dentro e fuori il carcere?

Gran parte dell’attenzione pubblica e parlamentare si è concentrata sull’accorciamento dei termini di prescrizione per una serie di reati. E purtroppo è stato questo l’unico terreno di battaglia percorso dall’opposizione parlamentare. Con argomentazioni deboli, sventolando oltre tutto lo spauracchio di una scarcerazione di massa di detenuti pericolosi.

 

Quando invece?

La parte più ignobile di questa proposta di legge è quella che riguarda l’esclusione della recidiva dai benefici della legge Gozzini. In pratica chi è recidivo viene escluso per legge dalle misure previste dalla legge Gozzini: dalla liberazione anticipata con l’accumulo di novanta giorni per ogni anno di buona condotta, fino ai permessi premio e semilibertà.

 

Che significa?

In Italia l’80 per cento delle persone detenute sono recidive, ciò significa che questo ottanta percento non potrà più neanche sognare di poter usufruire dei benefici della legge Gozzini.

Questo significa che il decreto "Salva-Previti" formalizza una serie di esclusioni che di fatto già avvengono nei tribunali di sorveglianza e che noi da anni condanniamo. Tutte le esclusioni dalla Gozzini denunciate per anni da decine e decine di associazioni laiche e cattoliche che chiedevano l’applicazione integrale della legge adesso non potranno più farlo perché quella violazione dei diritti è sancita dal "Salva-Previti".

Nel giro di un pochi anni i detenuti aumenteranno di varie decine di migliaia: non solo perché chi è in carcere non avrà la possibilità di accedere alle misure alternative, ma anche perché tutte quelle persone che sono in una condizione di "aria-penale esterna", cioè scontano la pena fuori dal carcere con gli arresti domiciliari, l’affidamento sociale e altro, tenderanno a diminuire ed entrare via via in istituto. Questa è la tragedia. L’affollamento già oggi è tragico, non soltanto dal punto di vista materiale, ma anche perché rende impossibile qualunque tipo di trattamento rieducativo intramurario.

 

Cosa cambia?

In un periodo in cui si instaura in un paese un clima ed una cultura di guerra, è inevitabile che molti aspetti dello Stato di diritto vengano smembrati, distrutti.

Questo vale per il diritto costituzionale, per il diritto del lavoro, per i diritti civili in genere. Ma vale anche per il diritto penitenziario, per l’esecuzione della pena.

Se passa il decreto "Salva-Previti" con un colpo solo si cancella di fatto il comma tre dell’articolo 27 della Costituzione che stabilisce il carattere "rieducativo" e "non afflittivo" della pena e si formalizza il loro modo di intendere la pena.

Quello di una maggioranza governativa arrogante e vile, accomunata dal classico atteggiamento "forte con i deboli e supino verso i potenti". Per loro la pena non avrà più la funzione di educare o facilitare la risocializzazione dei detenuti, ma avrà la funzione esclusiva di reprimere i comportamenti illegali ed esercitare su chi li commette una sorta di vendetta sociale.

 

Il vostro sciopero continua. Che aria tira?

In questi giorni nei cortili delle carceri italiane si discute di questa nuova situazione che si è determinata e di quella che andrà a determinare. All’ordine delle discussioni il fatto che la protesta da noi iniziata, in continuità con quelle mese in campo nel corso degli ultimi sette anni, non ha avuto un riscontro nel parlamento. In seconda battuta, il fatto che anche questo ha facilitato il determinarsi di questo ulteriore passo in avanti verso lo smantellamento del diritti all’interno delle carceri.

 

Tradotto in umanità?

Significa che la stragrande maggioranza dei detenuti vive in una condizione di angoscia, e come tale può dare vita a comportamenti diversi. Non a caso riaumentano episodi di autolesionismo ed anche i suicidi. Battuta ed umiliata la possibilità di farsi sentire collettivamente con la protesta, l’unica strada percorribile è quella individuale. Solo la lotta collettiva, come sostiene Adriano Sofri, ridetermina la possibilità di difesa della dignità dei detenuti.

Per quanto ci riguarda, non abbiamo alcuna intenzione di cadere nelle provocazioni di chi ha determinato questo stato delle cose o di rinunciare alle nostre rivendicazioni di legalità e riforme.

Continueremo a lavorare dentro e fuori dalle carceri insieme a quanti vogliono realmente resistere al progressivo stravolgimento dei diritti.

Trapani: agenti protestano contro trasferimenti al nord

 

La Sicilia, 3 dicembre 2005

 

"A pane e acqua, lontani ben 2.000 chilometri, con mogli e figli a casa". È la situazione, descritta dalle organizzazioni sindacali di categoria, in cui dal 18 dicembre scorso sono costretti a vivere ventisette agenti della polizia penitenziaria, mandati in missione per tre mesi da Trapani e Favignana nelle carceri del nord Italia.

"Un bellissimo regalo di Natale" dicono i rappresentanti sindacali, che contestano "non solo le modalità coattive che il provvedimento impone, ma anche la data dello stesso, cioè in prossimità delle festività natalizie". A protestare sono tutte le sigle sindacali, Cgil Fp, Cisl Fps, Uilpa Penitenziari, Sappe, Osapp, Sinappe, Siappe ed Ugl, "contro chi pensa di dare vita ad una mobilità imposta, con vitto e alloggio a carico dell’amministrazione, che rappresenta una grave inosservanza del diritto alla sede ed anche, in taluni casi, del diritto alla famiglia".

Venticinque agenti del carcere di Trapani sono stati mandati in missione a Milano Bollate, Brescia, Genova Marassi, due unità del carcere di Favignana sono state invece mandate ad Alessandria. I sindacati contestano il fatto che al personale sono negati "particolari benefici a risarcimento del disagio" ed aggiungono che "avremmo gradito, per dare un segnale di uguale attenzione operativa, che il dipartimento inviasse in missione, in percentuale, anche personale del "proprio ufficio", visto che da sempre si è pensato di rafforzare il Dap ed uffici limitrofi chiamando dagli istituti penitenziari colleghi di tutti i ruoli a svolgere in maggior luogo incombenze d’ufficio".

Dalla protesta, i sindacati passano alle proposte, inviate al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra. Oltre ad "un’attenta analisi delle situazioni conflittuali e di disagio verso il personale create con il provvedimento", i sindacati chiedono "da subito misure incentivanti al fine di favorire l’adesione spontanea del personale" ed ancora "un confronto sindacale che dia ai lavoratori la dignità dovuta tramite un esame congiunto presso gli uffici del Dap per discutere ancora delle piante organiche, ma che siano condivise dalle organizzazioni sindacali".

I sindacati trapanesi chiedono anche "un deciso intervento" agli organismi nazionali, "contro atteggiamenti che contrastano ogni forma di protezione prevista per i lavoratori della casa circondariale di Trapani e della casa di reclusione di Favignana" e preannunciano "azioni di protesta" se non sarà dato seguito alle loro richieste. 

Napoli: cronaca di una morte annunciata a Secondigliano

 

Ansa, 3 dicembre 2005

 

Per settimane ha scritto su un bloc-notes descrivendo la sua vita all’interno del carcere napoletano di Secondigliano. Fino a quando non è morto in carcere dopo che le sue richieste di scarcerazione per una grava malattia erano state respinte.

Adesso, quel diario, si trova nelle mani dei magistrati della Procura della Repubblica di Napoli insieme agli esposti presentati dai familiari di Francesco Racco, di 58 anni, di Siderno, morto alla fine della scorsa estate mentre stava scontando una condanna a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.

Per non insospettire gli agenti e i responsabili del penitenziario, Racco ha utilizzato solo il retro di alcune pagine centrali del bloc-notes, lasciando completamente bianche quelle iniziali. Nessuno, quindi, si è accorto del diario lasciato dall’uomo se non i suoi parenti.

La Procura di Napoli, cui si è rivolto l’avv.Antonio Speziale, del foro di Locri, legale dei familiari di Racco, aveva già avviato un’indagine nella scorsa estate sulle cause del decesso dell’uomo. Un’inchiesta che si arricchisce adesso del diario scritto dal detenuto. I familiari, sin dal momento del decesso, hanno sostenuto che al loro congiunto "pur essendo gravemente ammalato, come più volte documentato, non gli hanno concesso né gli arresti domiciliari né, paradossalmente, gli arresti ospedalieri.

L’hanno fatto morire dentro la sua cella. Ora pretendiamo sia fatta giustizia". Francesco Racco era rimasto coinvolto nell’ambito dell’operazione "Bluff" condotta dalla Polizia di Stato nel febbraio del 2000 contro i presunti affiliati al clan Commisso di Siderno al quale, secondo l’accusa, Racco era legato. L’uomo, però, secondo quanto riferito dall’avv. Speziale, era portatore di una grave patologia renale con implicazioni cardiologiche, per le quali era costretto a sottoporsi a sedute di dialisi trisettimanali. Nonostante non fosse anziano, Racco appariva ormai invecchiato nel fisico e sofferente. Ma, in particolare, a piegarlo del tutto, ha sostenuto l’avv. Speziale, è stata la convinzione che "non sarebbe riuscito a uscire vivo dal carcere".

"Quanto è accaduto - ha sostenuto il legale - è di una gravità inaudita posto che con la definitività della sentenza dell’aprile scorso, Racco dopo una breve permanenza nel carcere di Locri, era stato tradotto nella casa circondariale di Secondigliano che, in quanto Centro clinico, doveva garantire tutte le cure necessarie al condannato, al quale, paradossalmente, era stata riconosciuta la gravità delle patologie, ma, contraddittoriamente, si continuava a sostenere la normale compatibilità tra condizioni di salute e status carcerario da trascorrere in compagnia di detenuti comuni.

Non a caso tutte le istanze volte ad ottenere misure restrittive alternative, viste le gravissime condizioni di salute di Racco, sono state rigettate dall’ Ufficio di sorveglianza di Napoli".

Al momento della morte Racco pesava 39 chili. Anche il trasferimento nell’ospedale Cardarelli di Napoli, deciso dalla Direzione del carcere quando le condizioni dell’uomo precipitarono, risultò vano visto che l’uomo morì durante il trasporto in ospedale. 

Napoli: l’agonia di Francesco Racco scritta su un bloc-notes

 

Il Manifesto, 3 dicembre 2005

 

"Al rientro dall’aria mattutina mi sono sentito male, senza fiato, sono andato all’infermeria e mi hanno dato un po’ d’ossigeno. Mi hanno fatto un tracciato dicendo che era tutto a posto e questo mi succede spesso con forti dolori al cuore e loro tutto quello che fanno è un tracciato e per loro è sempre tutto a posto; se è tutto a posto perché questo dolore? e loro dicono che è la mia patologia; e se gli rispondi ti fanno rapporto e non ti danno i giorni che ti spettano".

Carcere di Secondigliano: sono le 10,40 del 12 luglio 2004 quando Francesco Racco - un cinquattottenne di Siderno condannato dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria a dieci anni di reclusione perché ritenuto colpevole di associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga - annota sulle pagine interne di un anonimo bloc-notes gli ultimi istanti della sua vita. Non vuole che nessuno lo scopra né vuole fare insospettire gli agenti e i responsabile del penitenziario campano, così lascia completamente bianchi i fogli iniziali del suo blocco e scrive sul retro di quelli centrali. Una pracauzione inutile perché la morte giungerà di lì a poche ore.

Ora il diario di Francesco Racco è capitato per caso - insieme agli altri suoi effetti personali - nelle mani dei parenti ed è stato il legale della famiglia, l’avvocato Antonio Speziale, a consegnarlo al pm Francesco Valentini.

"Quel diario - è il commento di Speziale - rappresenta un atto d’accusa che non può essere ignorato; una testimonianza del clima di sopraffazione e di tensione che si vive quotidianamente all’interno delle carceri". Ma quel diario rappresenta soprattutto una nuova pista da seguire per fare chiarezza su un decesso dai lati oscuri e sul quale la Procura della Repubblica di Napoli già l’estate scorsa aveva avviato una indagine.

Alle 7 del mattino del 13 luglio del 2004, infatti, Racco - rimasto coinvolto nell’operazione "Bluff" condotta dalla polizia nel febbraio del 2000 contro i presunti affiliati del clan Commisso al quale, secondo l’accusa, era legato - inizia a sentirsi male. L’ambulanza viene chiamata solo alle 8,46. Quindi la corsa sino all’ospedale Cardarelli di Napoli dove il detenuto arriva alle 9,32 e, un minuto dopo, il decesso. Al momento della morte, Racco pesava 39 chili e, nonostante non fosse anziano, appariva particolarmente provato nel fisico.

Da anni era affetto da una grave patologia renale con implicazioni cardiologiche che lo costringeva a sottoporsi a sedute trisettimanali di dialisi. Proprio per questo dal carcere di Locri dove era rinchiuso era stato trasferito al carcere di Secondigliano che - in quanto Centro clinico - avrebbe dovuto garantirgli tutte le cure necessarie.

Ma Racco delle "attenzioni" del Centro clinico non ha mai goduto: viveva in una normalissima cella nel braccio dei detenuti comuni e tutte le richieste volte a ottenere misure alternative come gli arresti domiciliari o quelli ospedalieri gli erano sempre state negate dall’ufficio di sorveglianza di Napoli. Insomma, da un lato il riconoscimento di una grave patologia e - dall’altro - la dichiarazione di compatibilità con lo status carcerario.

Una storia piena di ombre sulla quale peserebbero anche i risultati di una perizia autoptica che attribuirebbe la morte di Racco a una grave patologia cardiocircolatoria acuta con edema polmonare insorta improvvisamente e che solleverebbe da ogni responsabilità i sanitari del centro clinico di Secondigliano che hanno prestato le prime cure mediche al detenuto.

Dopo il ritrovamento del diario sarà difficile sostenere la tesi dell’insorgere di una patologia "improvvisa". Appunta Racco il 26 giugno scorso: "Dialisi 8,30-12,30; con pressione 200-115. Dopo che sono stato in ambulanza per due ore sotto il sole perché la macchina di scorta non arrivava, la dottoressa di turno vedendo la pressione così elevata ordinava il ricovero al pronto soccorso dove sono stato fino alle 24,30". Dopo meno di un mese la morte. Resta il pesantissimo dubbio che la decisione presa dalla Direzione del carcere di Secondigliano di trasferire il detenuto in ospedale di fronte al sempre più evidente peggioramento delle sue condizioni sia stata tardiva. 

Avellino: una Befana per i bambini delle detenute di Bellizzi

 

Il Mattino, 3 dicembre 2005

 

Un regalo che vale doppio. Un dono per l’Epifania ai bimbi della casa circondariale di Avellino, offerto dall’Amministrazione Provinciale, che rappresenta anche la speranza per le mamme detenute di un futuro più sereno. "É proprio questo - spiega l’assessore ai Servizi Sociali di Palazzo Caracciolo, Marcello Zecchino - l’obiettivo di tale iniziativa che ho promosso e che è stata votata dalla intera giunta poco prima di Capodanno.

Si tratta di un primo passo di un percorso che si vuole intraprendere per favorire il reinserimento nel tessuto sociale di queste donne". Il rappresentante dell’esecutivo dell’ente di Piazza Libertà mette in evidenza la volontà dell’Amministrazione Provinciale e dei dirigenti del carcere di Bellizzi Irpino di avviare una serie di progetti in questo senso. Ad alcuni dei quali già si sta lavorando. "Vorrei sottolineare - aggiunge Zecchino - la sensibilità che hanno dimostrato i vertici della struttura penitenziaria, senza i quali non avremmo potuto fare nulla".

Da segnalare che sempre l’assessorato di Palazzo Caracciolo sta predisponendo un piano per aiutare i bambini delle zone asiatiche colpite dalla violenza del maremoto: "L’aspetto sanitario è quello più urgente, ma ci sono anche le ferite dell’anima che, in qualche caso, sono più difficili da sanare. Mi farò promotore in senso alla giunta, dalla prossima settimana, di un piano di intervento per loro", dichiara Zecchino. Che aggiunge: "Sto lavorando anche per portare un gruppo di bambini di Beslan in Irpinia. Tra le ipotesi quella di un soggiorno a rotazione nella nostra provincia. In questo caso c’è stata la partecipazione dell’intera amministrazione e di tutto il consiglio, dove maggioranza ed opposizione hanno operato di concerto per condurre in porto questa idea che nobiliterebbe ancora di più l’impegno della Provincia in direzione della solidarietà".

Alghero: evadono grazie ai cavi delle telecamere di sorveglianza

 

Repubblica, 3 dicembre 2005

 

Sono riusciti a evadere in due dal carcere di Alghero grazie ai cavi e ai sostegni delle telecamere di sorveglianza, installate proprio per aumentare la sicurezza della casa di pena. La fuga di Giusepe Dettori, di 33 anni, e Mario Porcu, di 24, entrambi di Alghero, è durata però solo 45 minuti e i due sono stati catturati. L’evasione è avvenuta nel tardo pomeriggio. Dettori e Porcu, entrambi tossicodipendenti, hanno raggiunto una terrazza durante l’ora d’aria e si sono lanciati su un tetto sottostante. Da qui si sono poi calati all’esterno del muro di cinta, sfruttando gli appigli offerti dai cavi delle telecamere di sorveglianza.

Durante l’ultima fase della discesa, però, uno dei cavi si è spezzato e Dettori è precipitato da un’altezza di quattro metri fratturandosi una gamba. Porcu si è allontanato, mentre Dettori è stato soccorso da alcuni passanti e accompagnato all’ospedale dove è stato rintracciato tre quarti d’ora più tardi dai poliziotti del locale commissariato. I carabinieri hanno invece catturato Porcu vicino alla stazione ferroviaria mentre contrattava l’acquisto di alcune dosi di eroina. Secondo gli investigatori l’evasione sarebbe stata originata proprio da una crisi di astinenza che avrebbe colto i due detenuti. Tra l’altro Dettori avrebbe finito di scontare la pena fra tre mesi, mentre Porcu avrebbe dovuto trascorrere ancora un anno in cella. 

Milano: una lettera - denuncia dal carcere di Opera

 

Oltre le sbarre, 3 dicembre 2005

 

Riceviamo e pubblichiamo l’ennesima denuncia dal profondo delle carceri italiane. Questa volta arriva dalla Casa di Reclusione di Opera (Milano). Si è cercato di mantenere il più possibile la forma originale dello scritto, intervenendo solo per renderlo scorrevole.

 

Sanità: non esiste, non esistono medicine, i medici sono come le mosche bianche.

Vitto: immangiabile ... ognuno si mantiene di propria tasca e cioè se non ha soldi non mangia. Per i diabetici non esiste vitto, si devono arrangiare di propria tasca e farsi da mangiare a spese proprie nella cella con il fornellino.

Lavoro: non esiste, perché lavorano solo poche persone, e quelle poche che fanno lavori... prendono uno stipendio di circa 100 Euro al mese.

Lo studio, sono pochissimi che vanno fino le medie: saranno una 20 in tutto, gli insegnanti sono volontari.

Igiene: fa piangere, le forniture le passano quando si ricordano, e quando si ricordano una volta ogni due mesi danno 2 coltelli a testa e due rotoli di carta igienica che non si sa che carta (sia): è proprio schifosa, una bottiglia di liquido per lavare il pavimento che puzza pure.

Rapporto con i magistrati di sorveglianza: non esiste. Rapporti con gli educatori non esistono, al punto che non partono le richieste per le liberazioni anticipate. Poi abbiamo il capo educatore che è sempre ubriaco e non chiama nessuno e non segue nessuno, per cui quando fa quel poco di relazione sono false, perché se le fa belle sono false, se le fa brutte sono false, perché non conosce il detenuto! Io sono 11 anni (che sono qui) e l’ho (visto) dopo 10 anni per qualche istante, dopo 10 anni! Psicologi non esistono: (almeno) io non li ho mai visti. Assistenti sociali: non esistono.

Agenti di custodia: sono gli unici che vediamo perché sono obbligati, perché devono fare servizio. Di loro non possiamo lamentarci perché sono gli unici che se qualcuno si sente male si interessano.

Rapporti con la Direzione: per avere un colloquio con il Direttore si deve arrivare al telegramma oppure alle lettere, anche se c’è un buon Direttore.

Colloqui con i familiari: sono abbastanza buoni. Un’ora di colloquio (per volta); 6 ore al mese, 6 colloqui.

Attività culturali e ricreative: non esistono.

Docce: pessime. Farsi la doccia è come vincere un terno al lotto, manca l’acqua calda.

Sopra-vitto: domandine di acquisto sopra-vitto, è come chiedere l’elemosina, passano mesi."

Lettera firmata

Palermo: ottiene arresti domiciliari e uccide la moglie

 

La Nuova Sardegna, 3 dicembre 2005

 

Un uomo di 32 Alfonso Manto, che era uscito ieri sera dal carcere Ucciardone per andare agli arresti domiciliari, ha ucciso la moglie Rosaria Machì con una coltellata al cuore. L’uomo era detenuto per spaccio di sostanze stupefacenti. Ottenuti gli arresti domiciliari, Alfonso Manto e’ uscito dal carcere intorno alle 19.30 di ieri e ha raggiunto la moglie che si trovava nella casa della nonna dove c’era anche una zia. Secondo le prime indagini della polizia di stato la donna non voleva più saperne di stare con il marito per questo sarebbe cominciato un litigio culminato nell’omicidio.

Quindi Manto è fuggito dall’abitazione, ma è stato individuato da due volanti della Squadra mobile che lo hanno fermato. Rosaria Machì nel frattempo è stata trasportata nell’ospedale Civico di Palermo, dove e’ arrivata in condizioni gravi e subito dopo è morta.

Lecce: "Basta una virgola", articolo tratto da "Piano di fuga"

 

Sud News, 3 dicembre 2005

 

Quest’articolo è stato redatto da Luigi Vergine, detenuto nel carcere di Borgo S. Nicola, a Lecce. Luigi è uno dei collaboratori di "Piano di Fuga", periodico curato dai carcerati della struttura penitenziaria salentina. Lo poniamo alla vostra attenzione, nella speranza che la sua pubblicazione e diffusione possa sollecitare e sviluppare l’informazione e il dibattito su problemi e tematiche che ci sembrano di particolare urgenza.

 

Basta una virgola

 

Tante volte basta una virgola o un punto in più o in meno perché un discorso cambi di significato e tonalità… Anche quest’anno il Corpo di polizia penitenziaria ha celebrato la sua festa, con la partecipazione di molti personaggi ‘importanti’: il tutto sotto gli sguardi di molti detenuti che, dalle finestre delle celle, godevano della vista del locale dove si svolgeva il catering.

Serpeggiava un po’ di scetticismo riguardo al comportamento di noi detenuti perché, quest’anno, la festa coincideva con la protesta pacifica indetta da molte carceri italiane e, perciò, molti si aspettavano, da parte della popolazione detenuta, qualche azione di disturbo, come la battitura delle sbarre o altro. Cosa che non c’è stata.

Infatti, a differenza di ciò che si può pensare, il detenuto, per molti aspetti, è fornito di buon senso e sa come comportarsi nelle varie occasioni, facendo, magari, rimanere male chi si aspettava un po’ di disservizio. Perciò, la festa è andata avanti, concludendosi, come ogni anno, con saluti, baci e arrivederci.

Il giorno dopo, sul giornale locale, è apparso un articolo sulla festa, seguito da un intervento dell’on. Mantovano, che accennava allo sciopero dei detenuti, aggiungendo, col suo fare ‘politicante’, che, nel carcere di Lecce, non c’è alcun problema di sovraffollamento; in passato, i detenuti coabitavano in 18 – 20 persone nei cameroni, mentre ora sono al massimo 3 persone per cella: quindi, stiamo meglio. Bontà sua!!!

Pronta è stata la risposta del cappellano del carcere, don Raffaele Bruno, che si diceva incredulo per ciò che aveva letto. Se in un carcere, della portata di 500 persone, sono rinchiusi 1300 detenuti, dove c’è mancanza di personale medico e di medicinali, le docce sono fatiscenti, gli agenti sono pochi e il lavoro è tanto… tutto è a posto, allora nessun istituto di pena ha bisogno d’aiuto.

Ma, allora, questi detenuti per cosa stanno scioperando?

La risposta del giornale a don Raffaele Bruno è stata immediata: le parole dell’on. Mantovano non sono state capite, l’onorevole voleva dire che la situazione nel carcere di Lecce è migliore che in altri carceri d’Italia, che la situazione è problematica, ma non poi così tanto…

Insomma, è basta una virgola, un punto, un accorgimento, che il discorso ha cambiato totalmente facciata. Hanno una bravura questi politici…!!!

Anni fa, in Parlamento, si discuteva sull’area da dare alle galline perché facessero un uovo a regola d’arte. Si parlava di circa 10 metri quadri. Per una gallina!!!

Alcuni detenuti, invece, sono costretti a stare in celle di 2.50 x 3.50, in tre persone, e non parliamo di galline ma di persone; perciò, l’onorevole dovrebbe rivisitare le celle, per vedere dove coabitano tre detenuti e, magari, prima di affermare che oggi le cose sono migliori di quando eravamo in 20 in una cella, riflettere un attimo di più…

Spesso e volentieri ci dimentichiamo che il detenuto, prima di tutto, è una persona: anche se ha sbagliato, è sempre una persona, e va aiutata e non abbandonata nel dimenticatoio di una cella.

Se non fosse per l’intervento di associazioni di volontariato, per alcuni detenuti sarebbe davvero dura sopravvivere in carcere. Con le manifestazioni pacifiche, che sono in atto, ci aspettiamo dei risultati. La cosa che lascia un po’ perplessi è che la notizia della protesta è stata data il giorno che è partita in tutte le carceri d’Italia, poi più niente, il tutto è rimasto tra le mura delle carceri.

Che cosa bisogna fare perché la voce di noi detenuti esca fuori da questo luogo? 

Caltanissetta: progetto per reinserimento ragazzi "a rischio"

 

La Sicilia, 3 dicembre 2005

 

È stato scongiurato il rischio di chiusura per il centro di aggregazione giovanile "Cieli e terra nuovi" della città di Niscemi. Un’esperienza certamente di frontiera ad opera della Caritas diocesana, relativa ad una forma di recupero e reinserimento di adolescenti soggetti a provvedimenti giudiziari, con familiari in carcere o con particolari svantaggi familiari e sociali. Avviare questo progetto è stato possibile per mezzo del sostegno della Caritas italiana e diocesana e con la collaborazione delle responsabili Anna Zinna e Marilena Valenti. Nonostante gli ottimi risultati avuti, l’esperienza rischiava di esaurirsi per la mancanza di fondi pubblici, visto che l’apporto della Caritas si esaurirà nel giugno 2005.

Sia il vescovo di Piazza Armerina, mons. Michele Pennisi, presente in città il mese scorso per la visita pastorale, sia il presidente della Provincia di Caltanissetta prof. Filippo Collura, hanno prestato attenzione ai problemi della città e segnatamente per il progetto "Cieli e terra nuovi" si sono adoperati perché questo grande segno di speranza non tramontasse. La Provincia, ha voluto dare corso alla delibera che consente per sei mesi, a partire da luglio 2005, la sovvenzione per la prosecuzione della attività. Il sostegno consentirà l’attivazione di ulteriori laboratori, l’ampliamento del numero degli adolescenti seguiti, il coinvolgimento di altri operatori che in un mondo giovanile di disoccupazione diventano segno ed espressione delle migliori risorse presenti nel territorio. La delibera è stata emanata il 28 dicembre scorso dalla giunta provinciale e prevede la somma di 66 mila euro per la realizzazione del progetto.

Grande soddisfazione hanno dimostrato il vescovo Michele Pennisi ed il direttore della Caritas diocesana don Giuseppe Giugno per la sensibilità e il riscontro fattivo della Provincia.

Milano: un kit di sopravvivenza per chi entra a San Vittore

 

Redattore Sociale, 3 dicembre 2005

 

Un kit di sopravvivenza per chi entra a San Vittore, la nuova falegnameria del Beccaria, corsi di teatro e formazione professionale, un sito web per i diritti dei detenuti e una audio cassetta di testi per persone non vedenti e in coma, interpretati dai detenuti. Sono alcuni dei 31 progetti per il carcere finanziati dal Comune di Milano con un contributo di 390mila euro (a fronte dei 630mila richiesti, ndr).

"Abbiamo accolto tutti i progetti che, nel corso del 2004, ci hanno presentato le direzioni dei quattro istituti di pena milanesi (San Vittore, Opera, Bollate e il minorile Beccaria, ndr) e le associazioni che operano a favore dei detenuti" ha detto Tiziana Maiolo, assessore ai servizi sociali del Comune di Milano.

"La delibera comunale giunge dopo un anno e mezzo di lavoro, in cui siamo andati a vedere di cosa c’era bisogno in carcere e abbiamo accolto le specifiche richieste dei direttori degli istituti di pena", ha spiegato il presidente della Commissione carceri Stefano Carugo. Ma il carcere di Opera chiede più attenzione.

Vestiti, biancheria, articoli di cancelleria e strumenti per l’igiene personale. È il contenuto del kit di sopravvivenza, voluto dall’ex direttore di San Vittore Luigi Pagano e pensato per chi arriva per la prima volta nel carcere di via Filangieri. Il progetto verrà finanziato con un contributo comunale di 36mila euro. "Sono cose che saranno utili soprattutto agli stranieri - spiega la Maiolo - che spesso non possiedono nulla e vivono lontani dalle loro famiglie".

Uno strumento utile "per alleviare il peso delle prime fasi di ingresso al carcere" ha sottolineato Gloria Manzelli, direttore di San Vittore dal primo dicembre scorso. Grazie ai fondi comunali potrà rinascere anche la falegnameria dell’istituto minorile Cesare Beccaria, cui sono stati destinati 20mila euro. "Le macchine a nostra disposizione erano fuori norma, inutilizzabili - ha raccontato la direttrice Stefania Ciavattini -.

Ora possiamo completare l’area di formazione artigianale del carcere, che comprende anche un laboratorio per elettricisti, in modo da insegnare un mestiere spendibile nella società, una volta scontata la propria pena". Anche il carcere di Bollate avrà la sua parte: 18400 euro che serviranno, tra l’altro, a sostenere il lavoro di un "operatore di connessione", una figura impegnata ad intrattenere i rapporti tra i detenuti e il mondo della scuola e dell’università.

Parzialmente soddisfatto anche il carcere di Opera, dopo una piccola polemica innescata dall’educatrice Maria Francesca Branca: "A settembre una delegazione dell’assessorato alle attività sportive del Comune ha visitato il nostro istituto, promettendoci 5mila euro per l’acquisto di materiale sportivo e per l’iscrizione al campionato della squadra di calcio dei detenuti (il Free Opera, ndr). Non ne abbiamo saputo più niente".

Dopo aver denunciato la noncuranza del Comune verso il carcere di Opera (il carcere più grande di Milano che, con l’apertura di 4 nuove sezioni, nel 2005 ospiterà fino a 1400 detenuti, ndr), l’educatrice ha tuttavia dovuto ricredersi: la delibera comunale aveva previsto 30mila euro (ne erano stati chiesti 50mila, ndr) per la manutenzione degli impianti sportivi del carcere. Una sovvenzione di cui la direzione di Opera non era ancora a conoscenza. "Tuttavia ci aspettiamo di più - ha concluso l’educatrice -: quella di Opera è una realtà molto importante".

Tra le altre iniziative sostenute c’é un sito web realizzato dallo studio commercialistico "Cavazza" di Milano: "uno strumento di diffusione della conoscenza giuridica in materia di esecuzione penale", con particolare riguardo ai diritti dei cittadini sottoposti a misure di giustizia. Finanziato con 13mila euro, sarà disponibile in rete a fine gennaio. Da segnalare anche "Un libro, una voce", raccolta di testi audio registrati con la voce dei detenuti. Il progetto, promosso dalla Dipartimento amministrazione penitenziaria e finanziato con 5mila euro, è destinato a persone non vedenti e in stato comatoso.

Pescara: corso di tecniche investigative per la polizia penitenziaria

 

Il Messaggero, 3 dicembre 2005

 

Gli agenti di polizia penitenziaria a "scuola" dai carabinieri del Reparto operativo. Con lo scopo di favorire le giuste competenze professionali, la capacità di analizzare il contesto operativo di appartenenza e le tecniche operative, una decina tra ispettori e funzionari della polizia penitenziaria hanno svolto stage formativi presso il Comando provinciale carabinieri.

Di particolare interesse il corso sulle intercettazioni telefoniche, sulla crittografia (come ad esempio i messaggi cifrati tra i detenuti ristretti al regime del 41 bis ed i familiari all’esterno del carcere) e sulla ricostruzione della scena di un crimine, quest’ultimo stage svolto con i militari della Scientifica del Reparto operativo. Una "visita" d’obbligo anche negli uffici del Ros, specializzato in indagini sulla criminalità organizzata. I militari dell’Aquila e quelli di Pescara sono gli unici nella regione scelti dal Comando generale per espletare i corsi di aggiornamento ai dipendenti del ministero della Giustizia, Dipartimento amministrazione penitenziaria, molti dei quali provenienti anche da fuori dell’Abruzzo.

 

 

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