Rassegna stampa 31 gennaio

 

Padova: il carcere "entra" a scuola, le scuole "entrano" in carcere

 

Ristretti Orizzonti, 31 gennaio 2005

 

Sono arrivati in novanta il 24 gennaio, in settanta il 31, tutti giovani studenti delle scuole superiori di Padova, accompagnati dai loro insegnanti, per entrare in un carcere. Qualcuno col documento sbagliato, qualcuno con sciarpe e berretti che coprivano la faccia, tutti col telefonino, perché questa è una generazione che senza telefonino non può vivere. "Ripuliti" dai cellulari e "messi in riga", con le facce in bella vista, perché entrare in un carcere non è uno scherzo, nemmeno se si è solo visitatori, hanno affrontato una "mattinata in galera", che è parte di un progetto importante, sostenuto dal Comune di Padova, Assessorato alle Politiche sociali, e realizzato da due associazioni, Il Granello di Senape e Tangram, in collaborazione con la Casa di reclusione Due Palazzi, che si è sobbarcata il peso organizzativo di un’esperienza non facile, ma certo coraggiosamente innovativa.

E’ un’occasione davvero straordinaria, un percorso costruito perché i ragazzi capiscano che il carcere non è una realtà così lontana, così fuori dal mondo. Il progetto ha portato e sta ancora portando nelle scuole alcuni detenuti, a rispondere alle domande dei ragazzi, e alcuni operatori penitenziari a parlare della realtà istituzionale degli Istituti di pena, e poi, prima di questi incontri finali in carcere (tre, che stanno coinvolgendo molte scuole superiori di Padova, più una partita di pallavolo) c’è stata una grande produzione scritta di testi per la rivista del Due Palazzi, "Ristretti Orizzonti". Ne uscirà infatti un numero speciale, fatto interamente con articoli degli studenti, alcuni scritti prima di iniziare il percorso, con dentro tutto quello che un ragazzo può immaginare sul carcere guardando soprattutto i film americani, altri scritti dopo, già con un’idea diversa, con alcune curiosità soddisfatte, con la voglia di capire, di ascoltare, di confrontarsi con chi in carcere ci vive e chi ci lavora. E poi ci sarà un video, realizzato dal TG 2Palazzi, con interviste incrociate tra detenuti e studenti, e molto materiale documentario, fornito ai ragazzi, per le loro ricerche, dal Gruppo Rassegna Stampa che opera in carcere.

Per gli studenti, un doppio risultato: essere un po’ più informati, e anche più attenti ai percorsi che possono portare a violare le regole, e imparare concretamente a scrivere un articolo di giornale, che è poi la prova scritta dell’Esame di Stato.

Il programma strettamente "carcerario" è stato un mix di musica, con il gruppo musicale dei detenuti, la Extra & Communitarian Orchestra, e alcuni studenti che hanno provato e poi suonato con loro, e di parole, con i ragazzi impegnati a fare domande, lasciando da parte l’emozione del luogo in cui si trovavano, e gli adulti a rispondere: i detenuti, raccontando che cosa vuol dire finire in carcere, perdere gli affetti, non sapere come sarà il loro futuro; il direttore e gli operatori della Casa di reclusione, spiegando come l’istituzione affronta le difficoltà di gestire una realtà così complessa; i volontari, illustrando il progetto che ha portato gli studenti "dentro"; i funzionari del Comune, dando un quadro chiaro di come il territorio risponde alle esigenze di offrire alle persone che escono dal carcere delle prospettive di reinserimento concrete e di sensibilizzare la società, anche attraverso un progetto come questo. Che ha coinvolto alcune scuole, e si propone di coinvolgerne molte altre.

Caltanissetta: piano di interventi socio-assistenziali del Comune

 

La Sicilia, 31 gennaio 2005

 

C’è la replica del sindaco Lorenzo Tricoli relativamente alle affermazioni di Angelo Grasso che, nei giorni scorsi, aveva sostenuto che deve incatenarsi per ottenere un lavoro dal Comune di Sommatino nell’ambito dei progetti di reinserimento per ex detenuti.

"L’Amministrazione da me presieduta ha sempre dato risposte al concittadino Grasso e non perché l’estate scorsa si incatenò al Comune e in quella sede la sua sembrò piuttosto una sceneggiata che una vera e propria protesta. Ricordo a Grasso che il sottoscritto, in quell’occasione, si assunse la responsabilità, nonostante il bilancio di previsione non era stato ancora approvato e nonostante l’assenza della Giunta, di sottoscrivere una determina sindacale con la quale per ben 4 mesi ha potuto lavorare nei cosiddetti progetti di assistenza economica finalizzata per come previsto dal nostro regolamento comunale".

Tricoli quindi spiega: "Il Comune di Sommatino è attento alla tematica volta al reinserimento nella società di particolari soggetti e attualmente sta garantendo lavoro a 19 disoccupati del reddito minimo di inserimento. Grasso deve avere pazienza perché la prossima settimana la Giunta approverà un programma provvisorio, anno 2005, delle attività socio-assistenziali redatto dalla dott. Rita Sanfilippo, responsabile del settore e dall’assistente sociale Giusy Licata. Si tratta di progetti individuale dalla durata di 6 mesi e rinnovabili per altri 6 che sono rivolti a tre soggetti che si trovano nella medesima situazione di Grasso. Quest’ultimo deve rendersi conto che operiamo all’interno di un ente che deve affrontare pure altri problemi socio-assistenziali. Aspettiamo di avere approvato dalla Regione, nell’ambito dei Piani di zona un progetto di assistenza economica finalizzata, da noi presentato lo scorso giugno per 3 anni. A Grasso non gli ho mai detto che sarebbe stato abbandonato al suo destino; dunque, stia tranquillo, ma soprattutto di non mancare di rispetto a questa Amministrazione che opera e lavora per il bene della collettività".

Frosinone: vecchio carcere sarà abbattuto per fare appartamenti

 

Il Messaggero, 31 gennaio 2005

 

Addio vecchio carcere. Nel luglio scorso avevamo annunciato che la struttura storica nella zona alta di Frosinone era stata messa all’asta dalla Patrimonio Spa, la società del Tesoro incaricata di vendere immobili demaniali. Adesso in Comune è arrivata la notizia della cessione: il vecchio carcere è stato acquistato (insieme al carcere di Ferrara, uno dei tredici penitenziari storici messi in vendita) da una società romana.

Base d’asta 1 milione e 700 mila euro, non si sa ancora il prezzo di aggiudicazione. Cosa accadrà adesso? Il destino della struttura appare segnato. A quanto risulta ai tecnici del Comune la società immobiliare si accinge a chiedere un cambio di destinazione d’uso per trasformare la struttura carceraria in un complesso residenziale. Via le celle, ecco gli appartamenti.

Il vecchio carcere, dunque scomparirà. A decretarne la fine proprio quei lavori che negli Anni Ottanta avevano consentito di prolungare di qualche anno la sua esistenza: dopo l’esplosione del muro di cinta che consentì la fuga del terrorista Cesare Battisti, il carcere fu blindato con la realizzazione di rinforzi di cemento armato di spessore notevole.

Adesso, proprio quella blindatura impedisce qualsiasi ipotesi di riconversione, stando a quanto i nuovi acquirenti hanno spiegato ai tecnici del Comune. "Siamo disponibili a valutare il progetto di riconversione - spiega il sindaco Domenico Marzi - Ci piacerebbe che in quell’area potesse sorgere anche uno spazio per realizzare l’aula magna della sede frusinate dell’Università di Cassino".

Novità anche sui progetti di Finanza. Il sindaco ha incontrato infatti gli imprenditori che avevano presentato il progetto per l’area della Stazione. "Ho fatto presente ai privati le perplessità sollevate dagli abitanti in ordine alle dimensioni dell’opera, alla viabilità del quartiere e alla localizzazione del teatro troppo vicino alla chiesa", spiega Marzi.

"Ed ho prospettato l’ipotesi di rivedere il progetto e, ovviamente il piano economico dell’opera". L’ipotesi è quella della rinuncia da parte del Comune a rientrare in possesso dell’albergo dopo 30 anni, in cambio i privati si impegnerebbero ad abbassare la struttura di due o tre piani e ad accorciarla dal lato della chiesa. A quel punto però potrebbe aumentare la capienza del teatro: non più 600 ma mille posti. "Le ultime rassegne - conclude Marzi - hanno dimostrato che il capoluogo è in grado di riempire stabilmente una struttura di quelle dimensioni".

Verona: ex carcere del Campone, quale sarà la destinazione?

 

L’Arena di Verona, 31 gennaio 2005

 

Se qualcuno spera ancora che nel Campone si possano ricavare uffici giudiziari, sappia che non tutto è perduto. Nei colloqui tra i fratelli Magnoni, probabili proprietari dell’ex carcere che hanno già firmato un preliminare con la società dello Stato Patrimonio spa, e il Comune si è parlato della possibilità di destinare una parte dell’edificio all’ampliamento del Tribunale.

Anche se i primi sopralluoghi all’interno del Campone, autorizzati da Roma, non avrebbero incoraggiato granché: il Campone, utilizzato come penitenziario, ha una dislocazione interna molto difficile da ristrutturare e recuperare ad altri usi. Inoltre, i vertici dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia non avrebbero dato ai nuovi acquirenti particolari rassicurazioni su una effettiva necessità di espansione della cittadella giudiziaria. In ogni caso, gli incontri di cui ieri ha riferito il sottosegretario Aldo Brancher ci sono stati, "però non è stata una trattativa", precisa l’assessore Uboldi.

"Non corrisponde al vero che il Comune ha portato avanti la trattativa di vendita con i nuovi proprietari del Campone come ha affermato l’onorevole Brancher", dice l’assessore Uboldi, "per il semplice motivo che il Comune non può in alcun modo il Comune "trattare" la vendita a chicchessia di un immobile non di sua proprietà". Brancher, su relazione della società Patrimonio spa aveva ricostruito per la prima volta tutte le tappe della vicenda, dando notizia che è già stato firmato un preliminare tra la società dei fratelli Magnoni e la Patrimonio spa con deposito di una cauzione di 3 milioni di euro a fronte di un prezzo di 9 milioni e mezzo.

Pare però confermato che il ministero debba ora comunicare al Comune la possibilità di poter esercitare il diritto di prelazione sull’immobile. Ma a questo punto con quali risorse il Comune può andare all’acquisto? E per farne che cosa? Ammesso che l’appello del sindaco venga accolto dalle altre istituzioni e si trovino 9 milioni e mezzo di euro per l’acquisto, dopo ne servirebbero altrettanti per la ristrutturazione. Un’operazione, insomma, da 20 milioni di euro per le casse pubbliche. L’altra strada, invece, sarebbe quella di accordarsi con i fratelli Magnoni per ricavare comunque spazi da destinare all’amministrazione della giustizia.

Uboldi conferma: "Corrisponde al vero che gli acquirenti hanno avuto due incontri con me nei quali sono state chiaramente esplicitate le normative edilizie comunali relative all’area regolata dalla Variante 33. In altri termini è stato chiaramente esplicitato cosa, secondo le norme comunali vigenti, è possibile o non possibile fare, fatti salvi ulteriori vincoli". Uboldi spiega anche che "è stato fatto chiaramente presente che le attese dell’amministrazione comunale erano particolarmente rivolte alla soddisfazione delle eventuali necessità dell’Amministrazione giudiziaria, in particolare per la più volte richiesta Corte d’appello o sede staccata del Tar".

Due prospettive che però, stando ai riscontri effettuati dagli acquirenti, non sarebbero imminenti. "I possibili acquirenti dalla Patrimonio spa", chiarisce Uboldi, "hanno fatto presente la loro piena disponibilità a concertare con l’amministrazione comunale il miglior utilizzo dell’immobile nel momento in cui la trattativa con Patrimonio spa fosse andata a buon fine. Per quanto riguarda gli spazi alla giustizia non solo hanno assicurato la piena disponibilità di riservare gli spazi necessari, ma hanno assicurato anche un loro diretto interessamento presso il ministero per verificare le reali intenzioni e necessità dello stesso".

A questo punto resta da verificare la portata dei vincoli posti dal ministero nel bando di vendita: c’è chi sostiene che non siano particolarmente rilevanti, sia per difetto di competenza, sia perché sarebbero troppo generici, non richiamando alcuna legge di tutela monumentale o paesaggistica. E si apre un altro scenario ancora: quale destinazione urbanistica avrà il Campone? Attualmente infatti è catalogato come area destinata ad attività militari e va riclassificato. Come?

Giustizia: Radicali; su Cirielli-Vitali l’On. La Russa ha idee confuse

 

Agenzia Radicale, 31 gennaio 2005

 

Dichiarazione di Irene Testa, membro della giunta di Radicali Italiani e segretario dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto: "Questa mattina, durante i lavori per il decennale di Alleanza Nazionale, L’On. Ignazio La Russa è intervenuto a suo modo su problemi che evidentemente non conosce appieno.

Quelli che lui definisce "professionisti del crimine", per i quali dichiara di voler buttare le chiavi della cella, altri non sono se non una popolazione di più di 56.000 detenuti, tra i quali un’alta percentuale di tossicodipendenti, già alle prese con problemi di sovraffollamento, malsanità e vetustà delle strutture, impossibilità di accesso anche alle più essenziali terapie (in carcere l’aspirina è un lusso per pochi!), e tante altre condizioni degradanti e violazioni della legalità che costituiscono vere e proprie pene aggiuntive a quelle inflitte dai giudici. Questa Legge in votazione al Senato, se sarà approvata, altro non farà che riempire e alzare ancora di più la fiamma sotto questo calderone che già oggi sta per esplodere. La Legge ex-Cirielli metterà in gran difficoltà non solo gli stessi detenuti, ma anche tutti coloro che operano nel settore carcerario: agenti di custodia, direttori, educatori, psicologi, apportando un danno per l’intera società.

Solo ipocrisia e demagogia, dunque, da parte di questi politici che vogliono più severità per i recidivi facendo credere all’opinione pubblica di adoperarsi per la sicurezza, mentre invece si dimostrano indulgenti attraverso le clausole "salva-Previti", riducendo i tempi della prescrizione e ottenendo di riflesso che, chi ha i soldi per mandare avanti i processi non finirà in carcere.

Emarginazione: in Italia i senza dimora sono oltre 52 mila...

 

Avvenire, 31 gennaio 2005

 

Ma quanti sono i senza dimora in Italia? Dal punto di vista statistico il fenomeno non è ancora quantificabile con precisione per motivi metodologici. I dati della commissione povertà del 1991 sono ormai troppo vecchi. Tuttavia, secondo una stima della Caritas italiana basata su 11 studi effettuati a livello nazionale negli ultimi 6 anni, nel nostro Paese vivono oltre 52.500 senza dimora.
"Oggi i poveri - secondo la definizione del sussidio della Caritas italiana - sono coloro i quali non servono al sistema per funzionare e non partecipano né al sistema produttivo né a quello consumistico". Vengono inclusi nella cifra i cittadini italiani e gli immigrati che vivono in strada il cui progetto migratorio è fallito. Sono invece esclusi i clandestini e i disoccupati temporanei che per la giovane età e le buone condizioni psicofisiche hanno maggiori prospettive di reinserimento. 
Il fenomeno sta crescendo, in linea con il contesto europeo, dove il numero di persone in povertà estrema con gravi problemi di abitazione è aumentato sensibilmente nel corso degli ultimi anni e si calcola che attualmente superi il tetto dei tre milioni di persone. Il popolo della strada è in progressivo mutamento.
Le informazioni messe a disposizione dai centri di ascolto delle Caritas parrocchiali di tutta la penisola confermano una serie di novità emergenti tra il popolo della strada: in particolare è aumentata costantemente negli ultimi anno la componente femminile, inoltre si sta abbassando progressivamente l'età media degli homeless di casa nostra, attualmente collocata tra i 30 e i 40 anni mentre fino a cinque anni fa superava i 45 anni, ed è aumentata la quota di persone con problemi psichici e di dipendenza da sostanze come alcol, droga, farmaci. Rispetto al passato, infine, un numero crescente di senza dimora appartiene a minoranze etniche e comunità di immigrati provenienti dai Paesi in via di sviluppo.

Al popolo della strada serve una solidarietà che superi l’emergenza freddo. La Caritas italiana rilancia la questione sempre più complessa dei senza dimora con un sussidio intitolato "Così lontani, così vicini" (Edb), ricco di suggerimenti pastorali e indicazioni per realizzare progetti di aiuto. Giovedì scorso a Roma, intanto, ha dato vita con 30 Caritas diocesane attive al Coordinamento nazionale senza dimora.

"Il testo - spiega don Giancarlo Perego, responsabile dell’area nazionale della Caritas - vuole sensibilizzare le realtà parrocchiali e diocesane su un problema in cui si somma la mancanza della casa alla solitudine, alla dipendenza e spesso alla malattia mentale.

La strada è il fondo di un precipizio e oggi la comunità cristiana, radicata sul territorio, gioca un ruolo essenziale nel contrastare l’esclusione sociale. Non può delegare nessuno". La Caritas stima 52mila homeless in Italia, contando gli italiani e gli immigrati non clandestini. I centri di ascolto della penisola segnalano intanto l’aumento delle donne e l’abbassamento dell’età media dei clochard.

"Questa situazione per certi versi nuova - commenta don Perego - richiede servizi all’avanguardia come unità mobili, la psichiatria di strada o gli avvocati di strada e quindi un volontariato che coinvolga anche il mondo delle professioni. Chiediamo alle Caritas diocesane di realizzare servizi non solo emergenziali, collaborando con il terzo settore e l’ente pubblico senza sostituirsi a questo. Il sussidio spiega invece a predisporre progetti che aiutino le persone a godere di diritti fondamentali come la salute o ad accedere ai servizi sociali per reinserirsi nella società".

Il fenomeno si manifesta soprattutto nei grossi centri urbani mentre appare meno significativo nei centri al di sotto dei 100mila abitanti. Il problema è diverso e quindi diverse sono le risposte.

"In una piccola città di confine come la nostra - spiega Luigi Zenari, responsabile del centro di ascolto della Caritas di Bolzano - che ha 100mila abitanti e ben 200 senza dimora, è stato il bilinguisno ad attirare molti immigrati italiani in Germania finiti in carcere ed espulsi. Sono persone completamente sradicate, si illudono che la conoscenza del tedesco possa favorirli. Oppure giungono a Bolzano molti senza dimora austriaci".

Partito 15 anni fa, oggi il centro bilingue bolzanese ha sviluppato un servizio di accoglienza diurno. La collaborazione con l’ente locale è buona, "ma noi, attraverso un finanziamento europeo, abbiamo puntato in particolare su un programma per la casa ai senza dimora sui quali compiamo interventi di reinserimento".

A Milano la cifra dell’intervento è il coordinamento pastorale tra i diversi enti di matrice religiosa attivi sul territorio. La Caritas Ambrosiana ha dato vita vent’anni fa al Sam, il Servizio di accoglienza milanese, il quale pubblica ogni anno un report sulla situazione cittadina e partecipa al Coordinamento grave emarginazione con numerose realtà ecclesiali che in città aiutano gli homeless. Ma nella metropoli si avverte, prima che altrove, un drammatico cambiamento di scenario. "I senza dimora italiani in città sono circa 3500 - afferma Raffaele Gnocchi, responsabile dell’area grave emarginazione della Caritas milanese - cui dobbiamo aggiungere altre 1500 immigrati il cui progetto di vita è fallito.

In quest’ultimo anno il nostro osservatorio registra un incremento impressionante di italiani impoveriti, che hanno una casa, ma non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Sono gli impiegati di mezza età che perdono il lavoro, i disoccupati in giacca e cravatta, e le madri separate che lavorano. Si rivolgono ai nostri servizi perché il comune non riesce nemmeno a fissare colloqui in tempi ravvicinati".

"A Genova invece - conclude Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd, Federazione degli organismi di aiuto ai senza dimora - dove vivono 1000 homeless tra italiani e stranieri, la situazione della marginalità si presenta in modo più tradizionale. La Fondazione Auxilium, legata alla Caritas e associazioni come San Marcellino, legata ai gesuiti, hanno creato una rete con il comune, che finanzia le convenzioni per i posti letto. I responsabili collaborano in modo integrato. Grazie al coordinamento mi pare che la coscienza del problema in Italia sia aumentata, almeno negli enti locali. Ora serve pressione sulla politica nazionale per garantire i servizi essenziali e il reddito minimo".

Padova: tangenti per i permessi di soggiorno, 8 indagati

 

Il Mattino, 31 gennaio 2005

 

Tangenti da due o tremila euro a testa sborsate da oltre un centinaio di stranieri al loro datore di lavoro che li utilizzava in "nero" tenendoli in pugno come ostaggi: è il succo dell’inchiesta iniziata due anni fa dai Finanzieri del Nucleo provinciale di polizia tributaria di Padova e conclusa in questi giorni con la denuncia di otto persone accusate di estorsione, truffa e falso ideologico ai danni non solo degli extracomunitari costretti a pagare ma anche dell’Inps. A rendere ancor più tormentate le indagini, coordinate dal pm Maria Ignazia D’Arpa, fu l’iniziale constatazione che l’azienda coinvolta nel "pasticcio" risultava la "Nuova cooperativa veneta servizi" di viale Cavallotti 46, ora chiusa e messa in liquidazione.

Le indagini presero slancio nel novembre 2002, con l’arresto di Silvano Cesarotto, 56 anni di Padova, vice-presidente e gestore di fatto della cooperativa, in esecuzione del provvedimento restrittivo firmato dal gip Claudio Marassi, su richiesta del pm d’Arpa. Venne poi scarcerato in attesa di giudizio. E con lui furono inquisiti, per concorso in estorsione, il presidente della cooperativa, il figlio dello stesso vice-presidente e un socio che avrebbe iniziato a "spremere" gli immigrati all’insaputa degli altri.

A scoprire il velo dello scandalo fu un ragazzo diciottenne rumeno. Riferì d’essere stato costretto a versare 2 mila euro per sanare la posizione di extracomunitario "lavoratore in nero", secondo la procedura indicata dalla legge Bossi-Fini. In Italia con papà invalido e mamma casalinga, accettò subito il lavoro offerto dalla cooperativa di facchinaggio, avendo il permesso di soggiorno in scadenza. Chiese pertanto al responsabile d’essere messo in regola. Ma non successe niente. Dopo varie insistenze, arrivò la richiesta estorsiva: duemila euro per la regolarizzazione. Non possedendo il becco di un quattrino, il giovane rumeno chiese al fratello i primi 500 euro in prestito. E seguirono le trattenute sul salario mensile. Sentendosi con il cappio al collo, chiese aiuto ai finanzieri della "tributaria", solerti nel perquisire gli uffici della Cooperativa.

In questi due anni l’inchiesta si è arricchita di ulteriori elementi indiziari, ottenuti tramite pedinamenti, assunzioni testimoniali, accertamenti tecnici e perquisizioni. È emerso un quadro drammatico, con lavoratori sfruttati, sottopagati e costretti a lavorare "in nero" a ritmi incessanti. Gli inquirenti hanno pure constatato ulteriori circostanze penali nei confronti non solo degli stessi gestori della "Nuova cooperativa veneta servizi" ma anche di altri soggetti estranei alla stessa azineda.

La prima riguarda le false certificazioni di disponibilità d’alloggio (comprese le dichiarazioni d’ospitalità) concesse alle vittinme previo pagamento di ulteriore tangente. La seconda irregolarità concerne invece le false istanze di emersione di lavoro irregolare dei dipendenti della cooperativa extracomunitari. A loro insaputa, essi "figuravano regolarizzati da ignoti datori di lavoro e con mansioni differenti (colf, addetto al lavoro domestico) rispetto a quelle effettivamente svolte, ossia di operaio addetto al lavoro subordinato" puntualizza la Guardia di finanza in un comunicato. Di qui l’imputazione per tutti di "falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico". Per alcuni c’è anche il "concorso in truffa ai danni dell’Inps".

Emerge un quadro desolante. Grazie all’azione decisiva svolte dalle Fiamme Gialle è stato possibile smascherare un "mercato" lontano anni luci dalla decantata integrazione sociale. Più di un centinaio di lavoratori stranieri, immuni da precedenti penali e già gravati dall’esperienza dell’emigrazione, avevano quale unico obiettivo quello d’inserirsi costruttivamente nel contesto normativo, sociale e produttivo del Paese.

E non mancano i casi disperati. Come quello di una famiglia rumena di tre persone che aveva accettato di condividere, a 450 euro al mese, un mini-appartamento di 30 mq con altri 5 connazionali che, come loro, avevano bussato alla porta di una Onlus padovana per cercare una modesta sistemazione. Sono caduti dalla padella alla brace.

Padova: ex carcerato e invalido, ora vive di elemosina

 

Il Mattino, 31 gennaio 2005

 

Reinserimento sociale dopo il carcere destinato a rimanere una parola vuota. Disattesa anche l’assistenza agli ex detenuti. E poi una burocrazia ottusa e senz’anima. Ne sa qualcosa Michele S. di 32 anni, che sta portando ancora sulle spalle il peso di un errore giovanile compiuto una decina di anni fa e già ampiamente scontato.

Il suo calvario inizia il 16 ottobre del ‘99, quando viene condannato per assegni a vuoto e truffa. E il 14 maggio 2002 va agli arresti domiciliari. Trova lavoro a Milano per alcuni organi istituzionali. Poi si trasferisce a Padova, dove subisce un delicato intervento chirurgico al lobo sinistro del cervello. Ne esce invalido al 75% ed epilettico. Ma lui rifiuta un’invalidità così marcata, temendo di non trovare più lavoro. Gli viene comunque assegnata un’invalidità del 55%. Ma un’occupazione non gliela vogliono dare, così pure un alloggio. Michele è in crisi profonda. "Le assistenti sociali mi hanno proposto una mansione da 150 euro al mese, sapendo che solo d’affitto ne pago 450 e periodicamente mi devo sottoporre alla Tac i cui ticket si pagano salati. Come quelli delle medicine. Finora mi hanno aiutato suor Barbara dell’Associazione "Pane dei poveri" di Sant’Antonio e Tina Ceccarelli dell’Associazione "Famiglie e droga". Ma sono stanco di vivere di elemosina".

Bari: laboratori teatrali con i ragazzi del carcere minorile

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2005

 

Nell’istituto penale per i Minorenni "N. Fornelli" lavora già da sette anni il teatro Kismet Opera. Quest’anno l’attività di formazione si arricchisce delle compagnie "Armamaxa" di Foggia, "Teatro Minimo" di Andria (Bari) e Mariano Dammacco di Bari. I progetti realizzati in collaborazione con l’Eti, Ente teatrale italiano

Il progetto di formazione, produzione e programmazione teatrale e artistica che da sette anni il Teatro Kismet realizza con i ragazzi dell’ istituto penale per i Minorenni di Bari si arricchisce quest’anno con l’intervento di altre compagnie: "Armamaxa" di Foggia, "Teatro Minimo" di Andria (Bari) e Mariano Dammacco di Bari, che indicano un’apertura più ampia su tutta la Puglia.

Il progetto è realizzato in collaborazione con l’Eti (Ente teatrale italiano) e il Ministero della giustizia - dipartimento giustizia minorile. Il progetto prevede la realizzazione - prosegue la nota - di un laboratorio sul lavoro d’attore. "Attraverso esercizi fisici, vocali, e di relazione - sottolineano gli organizzatori - con gli altri attori, spesso introdotti sotto forma di gioco, il gruppo di lavoro scoprirà nel proprio corpo e nella propria voce un vero strumento di comunicazione: altresì le regole del lavoro e il suo carattere sociale permetteranno ai partecipanti un’ esperienza di messa in pratica di un metodi dio comunicazione".

Il progetto ha preso il via nel novembre scorso con il laboratorio diretto da Lello Tedeschi che insegna ai giovani detenuti le tecniche per realizzare un lavoro teatrale. In questo si è innestato, da ieri, il progetto della compagnia "Armamaxa" che porterà in scena il nuovo spettacolo "Sbarchi", sul tema dell’ immigrazione. Successivamente, dal 17 marzo, interverrà la compagnia "Teatro Minimo" che proporrà una ricerca teatrale per la messa in scena di "Amleto", e infine, dal 26 aprile, Mariano Dammacco che approfondirà con i giovani le tecniche del lavoro d’attore.

Foggia: assessore comunale denuncia "carcere senza infermeria"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2005

 

Il carcere di Foggia ha l’infermeria che non funziona. La denuncia giunge dall’assessore alle politiche del lavoro e del volontariato del comune di Foggia, Lino del Carmine che questa mattina ha visitato la casa circondariale del capoluogo dauno.

"Ho incontrato alcuni detenuti che mi hanno raccontato i loro problemi - ha dichiarato l’assessore- la struttura foggiana ha diversi problemi tra cui anche quella del numero elevato di detenuti che sono quasi il doppio del previsto. Speriamo che con la nuova direzione si possa risolvere qualche problema". "Non è possibile - ha aggiunto Del Carmine- che nel carcere ci sia una infermeria ma non possa essere utilizzata. Domani scriverò al ministro".

Guantanamo: giudice Usa; tribunali militari sono incostituzionali

 

Repubblica, 31 gennaio 2005

 

Un magistrato americano ha stabilito che i tribunali militari della base di Guantanamo in cui vengono giudicati i presunti terroristi sono incostituzionali. Il giudice distrettuale Joyce Hens Green ha anche deciso che ai detenuti della base Usa sull’isola vicina a Cuba si applicano le garanzie della carta costituzionale americana.

La sentenza afferma che la guerra al terrorismo "non può negare l’esistenza dei diritti fondamentali per i quali la gente di questo Paese (gli SUa - Ndr) ha combattuto ed è morta negli ultimi 200 e più anni". Green ha accolto i ricorsi di 11 detenuti che avevano sostenuto che la loro detenzione a tempo indeterminato giustificata con il fatto che sarebbero "combattenti nemici" (quindi esclusi dalla protezione riservata ai prigionieri di guerra) viola il Quinto emendamento della Costituzione americana. L’emendamento stabilisce che "nessuno sotto la giurisdizione americana può essere privato della vita, della libertà o delle proprietà senza un equo processo".

 

Precedenti

 

Già nel 2003 una Corte d’appello federale Usa aveva dato torto al presidente Bush sul caso dei talebani detenuti da due anni nella base americana vivina a Cuba. Secondo la sentenza i 660 prigionieri hanno diritto agli avvocati e alle tutele previste dal sistema giudiziario americano. A stabilirlo fu il nono distretto della Corte d’appello con una sentenza contrastata (2 a 1) rigettando l’opinione dell’amministrazione Bush, del ministro della Difesa Rumsfeld e del ministro della Giustizia Ashcroft.

Il caso di Guantanamo resta però aperto: il 19 gennaio un giudice federale aveva infatti respinto il ricorso di altri sette detenuti affermando che non hanno diritti costituzionali e sono soggetti alla giurisdizione militare. Entrambe le sentenze potrebbero finire davanti alla Corte d’appello ed eventualmente davanti alla Corte suprema. Attualmente i detenuti nella base di Guantanamo sono 540, per lo più talebani o militanti di al Qaeda catturati durante la guerra del 2001 in Afghanistan e in altre operazioni Usa in giro per il mondo.

 

 

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