Rassegna stampa 29 gennaio

 

Milano: dalla Regione più attenzione alla salute dei reclusi

 

Varese News, 29 gennaio 2005

 

La commissione Sanità del Consiglio regionale ha approvato il progetto di legge sulla "Tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari". La proposta di legge è stata approvata a maggioranza (astenuti DS, Rifondazione e Radicali) e sarà discussa in Aula in una delle prossime sedute. Il testo (di iniziativa di Antonella Maiolo, Presidente della Commissione Speciale sulla situazione carceraria, che ne è anche relatrice) detta le regole per la tutela della salute delle persone in carcere, dei loro affetti e legami familiari e sociali, prevede corsi base per l’apprendimento linguistico e attività socio educative e di formazione al lavoro.

"Si tratta del primo provvedimento, in Italia, che ha forma di legge - ha commentato Antonella Maiolo - e in quanto tale segna un passaggio importante. Il testo è innovativo e riprende, puntualizzandolo, il protocollo esistente fra Regione e Ministero. Tutte le iniziative e le regole previste dalla legge sono finalizzate al recupero reale dei detenuti e alla riduzione del fenomeno della recidività".

"Il progetto di legge stanzia direttamente 1 milione di euro - informa la Presidente Maiolo - ma molte delle attività regolamentate da questo testo saranno in capo ai diversi assessorati che si faranno carico di finanziarle, aumentando di molto quindi il budget complessivo dedicato all’attuazione della legge."

Bologna: Antimafia apre fascicolo su suicidio Pastoia

 

Adnkronos, 29 gennaio 2005

 

Della morte del boss Francesco Pastoia, trovato impiccato questa mattina nella sua cella nel carcere di Modena, se ne occuperà pure la Direzione distrettuale antimafia della Procura di Bologna che è competente per i fenomeni criminali che avvengono nella regione. L’inchiesta è stata affidata alla pm Lucia Musti, che ha aperto un fascicolo.

L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio, anche se restano ancora molti punti da chiarire sulla morte di Francesco Pastoia, 62 anni, vice di Bernardo Provenzano, trovato impiccato con le lenzuola alle sbarre della cella di isolamento del carcere di Modena, dove si trovava detenuto da lunedi’ scorso. Per chiarire le modalità del decesso, la Procura modenese ha disposto l’autopsia, a cui si aggiungerà anche una perizia tossicologica.

Le ultime ore di vita di Pastoia - arrestato lunedì notte a Castelfranco Emilia, dove si nascondeva - sono state ricostruite dal procuratore aggiunto di Modena, Manfredi Luongo. Il detenuto, alle sei di questa mattina - secondo quanto riferito dal guardiano della sua cella - stava riposando normalmente. Cinque minuti dopo, l’agente del turno successivo si è accorto invece di quanto era accaduto.

La guardia ha immediatamente chiesto aiuto e rimosso le lenzuola, utilizzate come legacci stretti attorno al collo di Pastoia. Ha tentato anche di rianimarlo, stendendolo sul letto, ma non c’è stato nulla da fare. Pastoia sembrava tranquillo: il medico e lo psicologo che lo avevano visitato (il detenuto era portatore di cardiopatia) non avevano rilevato manifestazioni di disagio o segni premonitori che lasciassero intendere un imminente tentativo di suicidio.

Un suicidio "d’onore"? Per la procura, è il movente più accreditato. Pastoia, considerato l’uomo di fiducia di Provenzano, dopo l’arresto, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Tuttavia, dall’inchiesta che lo aveva portato in carcere, erano emerse alcune intercettazioni telefoniche disposte dalla Dia di Palermo che alludevano a piccoli "tradimenti" verso Cosa nostra e Provenzano. Pistoia forse, più dell’ergastolo - è questa la tesi degli inquirenti - temeva eventuali "ritorsioni".

Immigrazione: rapporto Italia 2005 di Eurispes; "i Cpt sono lager"

 

Reporter Associati, 29 gennaio 2005

 

Sono circa due milioni e 600 mila gli immigrati regolari in Italia. Il 90% arriva per lavoro o per motivi di famiglia. A fotografare il pianeta immigrazione è l’Eurispes in un capitolo del "Rapporto Italia 2005", in cui affronta anche la questione dei Centri di permanenza temporanea.

Il dato, sottolinea l’Eurispes, è superiore a quello registrato dal ministero dell’Interno (circa 2,2 milioni) perché comprende anche i 400.000 minori, aumentati al ritmo di 65.000 l’anno. Nonostante la formalizzazione dei permessi di soggiorno e dei contratti di lavoro di quanti avevano fatto richiesta di regolarizzazione nell’anno precedente, il 2003 - rileva l’Istituto - è stato per l’Italia un anno di relativa chiusura: senza tenere conto dei 68.000 visti per lavoro stagionale, se ai 19.500 visti per inserimento lavorativo (come autonomi o dipendenti) si aggiungono 66.000 visti per ricongiungimento familiare, 18.000 per motivi di studio e 4.000 per motivi religiosi, il totale di ingressi ha toccato 107.500 unità. Tre soprattutto i gruppi nazionali di provenienza (Romania, Marocco e Albania), con circa 230-240 mila soggiornanti registrati; al quarto posto balza l’Ucraina (113.000), seguita dalla Cina (100.000). In generale, si impone la presenza europea con quasi la metà del totale (47,9%), di cui solo il 7% costituito da cittadini comunitari.

A livello nazionale, gli immigrati hanno un’incidenza del 4,5% sulla popolazione complessiva del Paese. Il 60% vive al nord (1 milione e 500 mila, soprattutto in Lombardia che ne conta 606 mila), il 30% al centro (710 mila, con epicentro nel Lazio che conta 369 mila immigrati) e il 10% (357 mila) al sud dove primeggia la Campania (121 mila).

I due terzi (66,1%) degli immigrati è venuto in Italia per lavoro e circa un quarto (24,3%) per motivi di famiglia. La quota dei soggiorni per lavoro, a seguito della regolarizzazione, è aumentata di 10 punti percentuali: da 834.000 a 1.450.000. Complessivamente il 97% dei permessi di soggiorno viene rilasciato per motivi di insediamento e "ciò - aggiunge l’Eurispes - relega in una dimensione decisamente anacronistica l’idea dell’immigrazione come fenomeno congiunturale". Nel corso di 5 anni, pur essendo diminuiti in termini assoluti i casi di violenza (spesso rivolta a donne singole, per lo più da parte di sfruttatori, o a minori), sono tuttavia aumentati quelli dichiaratamente razzisti.

In ambito occupazionale, sono 771.813 i casi di assunzioni a tempo indeterminato (18,9% del totale) e con 214.888 casi di assunzioni a tempo determinato (10,1% del totale). Complessivamente, un’assunzione di immigrato ogni 6: al nord si concentra il 70% di tutte le assunzioni, al centro il 20% e al sud il 10%. Nel 2003, anno in cui sono stati registrati i contratti stipulati dopo la regolarizzazione, l’incidenza delle donne nelle assunzioni ha toccato il 49,6%. Considerando le assunzioni per settori, il 7,4% va all’agricoltura, il 21,7% all’industria e il 27,2% ai servizi; il 43,7% è costituito prevalentemente da rapporti nel settore domestico. Tra gli aspetti più dinamici vi è l’imprenditoria: gli imprenditori stranieri sono risultati 71.843 (al 31 giugno 2004), con un’incidenza del 2% sul totale delle imprese.

I Cpt "chiamati impropriamente ed erroneamente centri "di accoglienza" (anche se originariamente erano siglati Cpta, ovvero Centri di permanenza temporanea e assistenza), in realtà sono luoghi "di soggiorno coatto", "di detenzione e sospensione dei diritti", "gabbie", "lager" o "prigioni", "luoghi di detenzione militarizzati", "luoghi della scomparsa", sottolinea l’Eurispes riferendo alcuni titoli riportati dai mass media. La situazione, aggiunge parlando di un rapporto di Medici senza frontiere-sezione Italia del 2004, "si aggrava anche per via di una folta presenza (per una media del 60%, con punte fino al 95% in casi particolari) di persone che vengono dall’esperienza carceraria, e che spesso allo scadere della pena vengono nuovamente rinchiuse per poter essere poi rimpatriate. In media il 60-70% della popolazione all’interno dei Centri proviene dal carcere".

Biella: parole che vanno e parole che vengono dal carcere

 

Social Press, 29 gennaio 2005

 

È più di una settimana che, prima leggendo Il manifesto e poi alcuni giornali locali come La provincia e L’eco di Biella, mi cade l’occhio sulla notizia della perquisizione avvenuta il 20 dicembre nel carcere di Biella in cui sono stati sequestrati i libri dalle celle dei detenuti. Mi è parsa subito una cosa grave, come certamente ne accadono altre che rimangono sotto silenzio. Eppure, forse, non ne ho colto pienamente il significato fino a quando non ho letto un libro molto ben fatto che raccoglie scritti e storie dal carcere. Si intitola Eco di voci murate ed è a cura di Giuliana Bertola Maero per i tipi delle Edizioni dell’Arco.

Perché la parola, la parola scritta, è l’unica che può uscire, che può evadere senza essere inseguita, ci spiega la curatrice a metà del libro. In un luogo dove sono quasi inaccessibili altre forme di comunicazione la parola scritta detiene il potere di far comunicare il dentro con il fuori, di porre questioni cui nessuno dà ascolto, di immaginarsi e apprendere un modo diverso di vivere. E allora quella perquisizione, con il sequestro dei libri, acquista tutto il suo valore distruttivo e d’annullamento delle persone detenute.

Per ritrovarle e conoscerle conviene andare a fondo di quel testo. Giuliana Bertola Maero dà voce alle persone che ha conosciuto facendo la volontaria in una casa circondariale, e lo fa con rispetto delle soggettività, dei percorsi di ognuno dei co-protagonisti di questo libro. Il libro non nasconde l’inaccettabilità di un’istituzione che annulla la persona senza comprendere che, per la maggioranza dei detenuti, ci sarà anche un domani fuori di lì. Insomma che le carceri esistono soprattutto per rassicurare quelli che stanno fuori, piuttosto che per costruire delle possibilità con chi sta dentro.

Il carcere è l’ufficio dove Dio fa il bilancio dell’evoluzione dei suoi figli… ci spiega Tommaso che, come racconta la curatrice con dolore e rabbia, di galera sta morendo. E se così è i conti del nostro bilancio non tornano: l’involuzione è evidente.

Non cade nel pietismo, il libro inizia parlando delle colpe, dei reati sono stati commessi e delle pene comminate, ma ciò non toglie che la legge non è uguale per tutti, che il diritto alla difesa non è garantito e, spesso, neanche quello ad avere un interprete per comprendere nella propria lingua di che cosa si è accusati. È così che si finisce a parlare di "umanità dolente", perché le galere sono piene di quelle persone che commettono piccoli reati ma che, soprattutto, sono i soggetti giusti per catalizzare le paure: stranieri, tossici, marginali.

È questo l’obiettivo del libro, uscire dal pregiudizio e confrontarsi con gli uomini, perché pensiamo che l’uomo è un essere in divenire perenne, che non ci sono mostri di natura, e che quel che non riesce una volta, o due, o tre, può riuscire a tempo opportuno, più avanti, quando le cose sono mature. Insomma consigliamo la lettura di queste voci da smurare che, una volta trovate, parlano benissimo da sé; ma, soprattutto, spingiamo perché ci si rapporti con questo mondo che è l’altra parte di noi. Potremmo iniziare rispondendo all’appello fatto dal carcere di Biella di inviare libri e riviste alla sezione speciale del carcere. Casa circondariale, Via dei Tigli 14, 13900 Biella. (I pacchetti si possono indirizzare a Nicola De Maria, Cesare Di Lenardo, Ario Pizzarelli).

Salerno: servizio civico comunale per lavoro ai detenuti

 

Salerno Notizie, 29 gennaio 2005

 

L’Assessorato alle Politiche Sociali di Vietri sul Mare, affidato all’assessore comunale Tommaso Buono, informa che con delibera giuntale è stata approvata l’istituzione di un servizio civico comunale. L’articolo 21 del Regolamento per gli interventi di assistenza sociale e di servizio sociale professionale, infatti, prevede "la corresponsione di contributi a favore di ex detenuti e familiari di detenuti per un periodo massimo di mesi dodici, a partire dal mese successivo a quello della scarcerazione, rinnovabile per un secondo anno", forma assistenziale che non ha più possibilità giuridica di continuare ad essere erogata.

L’Amministrazione comunale del centro costiero, quindi, ha deciso di puntare su un processo di inserimento sociale dei soggetti in questione con l’istituzione di un servizio civico, da attuarsi mediante l’assegnazione di una attività lavorativa che non costituisce alcun rapporto di lavoro subordinato né di carattere pubblico, né di carattere privato, né a tempo determinato né a tempo indeterminato, in quanto trattasi di esclusiva e mera prestazione di natura assistenziale e per la quale si prevede un compenso forfetario orario di € 5,16.

Il servizio civico sarà espletato, in particolare, nell’ambito della salvaguardia e manutenzione del verde o aree pubbliche, assistenza agli anziani, pulizia straordinaria di immobili comunali e di qualsiasi altra attività che l’Amministrazione comunale intenderà avviare. La Giunta ha deliberato quindi di concedere il contributo straordinario per il mese di gennaio a favore dei soggetti di cui all’art. 21 del regolamento; di istituire, il servizio civico comunale con previsione di un compenso forfetario orario di € 5,16; di procedere all’elaborazione di una proposta di nuovo regolamento di servizio ed assistenza sociale.

"Quella del servizio civico - spiega Tommaso Buono - è una novità importante nel settore dei Servizi Sociali, che sarà disciplinata da apposito regolamento, ma non è certo l’unica. Nelle more dell’approvazione di un nuovo Regolamento di Servizio e Assistenza Sociale, infatti, un altro progetto sarà quello del "lavoro in rosa", riservato al mondo delle donne".

Milano: difendere gli indifesi, la missione di "Avvocati per niente"

 

Redattore Sociale, 29 gennaio 2005

 

Difendere gli indifesi. È il comandamento degli "Avvocati per niente", una squadra di 40 giovani legali milanesi (il più vecchio non arriva ai 40 anni) che dal luglio 2004 si prendono cura di quanti che non si possono permettere un difensore: persone senza fissa dimora, italiani e stranieri vittime dell’esclusione e della marginalità.

"Finora abbiamo seguito 25 persone coinvolte in cause di vario tipo", spiega uno dei collaboratori-, puntando a valorizzare il cosiddetto volontariato qualificato: un servizio reso da professionisti, in questo caso avvocati, che mettono gratuitamente a disposizione la loro professionalità".

Il tema verrà ripreso in occasione del convegno "Lavorare per niente per chi non ha niente - La promozione del volontariato qualificato", che si terrà domani dalle 9 alle 14 presso la sede della Provincia di Milano (Palazzo Isimbardi). Interverranno, tra gli altri, il presidente degli "Avvocati per niente" don Virginio Colmegna, l’assessore provinciale ai diritti dei cittadini Francesca Corso, il presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati Mario Papa e il Sostituto procuratore della repubblica di Milano Gherardo Colombo.

"Ci siamo conosciuti nel 2002 alla Caritas ambrosiana -ricorda Luca Bettinelli, che collabora con l’associazione fin dai primi tempi-: eravamo un gruppo di avvocati e studenti di giurisprudenza che dava una mano alle persone immigrate nel periodo della regolarizzazione degli stranieri". Due anni dopo, la passione e l’impegno di quel primo gruppo di persone sono stati raccolti dai cinque enti fondatori (Caritas ambrosiana, fondazione "Casa della carità, associazione "Cena dell’amicizia", fondazione San Carlo e Acli milanesi) che hanno ideato gli "Avvocati per niente". Oggi l’associazione conta 36 soci effettivi e 40 aspiranti: "Si diventa soci a tutti gli effetti dopo aver svolto un anno di attività volontaria a favore dell’associazione", spiega Bettinelli. In poco più di sei mesi di vita gli "Avvocati per niente" hanno assistito 25 persone, 14 italiani e 11 stranieri: "È importante ribadire che le persone interessate non possono rivolgersi direttamente a noi - rileva Bettinelli - ma devono contattare uno dei cinque enti fondatori". Finora sono stati seguiti 5 processi civili, uno penale, un processo per minori e ben 18 vertenze amministrative: "Per la maggior parte si tratta di ricorsi contro l’assegnazione delle case popolari e contro la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato", spiega Bettinelli. Ma l’impegno di questi avvocati volontari non si ferma alle arringhe nel foro: "Facciamo consulenza telefonica e via email, rispondiamo alle lettere dei detenuti che ci chiedono assistenza, organizziamo seminari, convegni e attività di formazione".

Milano: dopo due mesi, un primo bilancio della "Casa della carità"

 

Redattore Sociale, 29 gennaio 2005

 

Sulla strada. È dove vuole stare il personale della "Casa della Carità Angelo Abriani" di Milano, per cogliere più da vicino le esigenze di chi vive ai margini della città. A due mesi dalla sua fondazione, l’istituto diretto da don Virginio Colmegna fa un primo bilancio della sua attività e lancia i progetti "Diogene" ed "Instradiamoci", creati rispettivamente per assistere i senza dimora che soffrono di disagio psichico e gli emarginati costretti a vivere in aree dismesse o in agglomerati abusivi. Nei primi due mesi di attività sono arrivate 412 richieste di aiuto, in gran parte da uomini di nazionalità italiana.

Dallo scorso 24 novembre, giorno di apertura del rinnovato complesso di via Brambilla a Milano, gli operatori della Casa della Carità hanno ricevuto 412 segnalazioni per l’inserimento di persone nella loro struttura, di cui 313 nel primo mese di attività. Altre 20 segnalazioni riguardavano l’inserimento di nuclei familiari. Gli ospiti attualmente presenti nella casa sono 44, ma in questi primi due mesi sono state ospitate 63 persone. Preponderante la componente maschile: 41 uomini, a fronte di 18 donne e 4 minori. Tra i 18 Paesi di provenienza degli ospiti la nazionalità più frequente è quella italiana (29 persone, di ben cui 23 uomini), ma non sono mancati egiziani (4), marocchini (4), boliviani (3) e bulgari (3). Il maggior numero di segnalazioni è giunto da privati (73 telefonate), quindi da parrocchie (8) e servizi (18).

"Camminando nella città ci si accorge delle nuove ingiustizie, dei problemi della convivenza interetnica, delle difficoltà che si incontrano nel mondo del lavoro, della solitudine generata da relazioni spezzate". Da queste percezioni, raccolte dagli operatori della Casa della Carità, nasce la proposta dei due nuovi progetti chiamati "Diogene" ed "Instradiamoci". Il primo è rivolto all’assistenza a disagiati psichiatrici che vivono sulle strade di Milano e dell’hinterland, "per intercettare le domande di salute mentale, apparentemente meno visibili, ma in realtà forti e brucianti come le altre domande implicite di benessere che il senza dimora porta in sé", dicono gli operatori. La proposta non è quella di una cura diretta, ma di un sostegno "itinerante e flessibile" che avviene attraverso l’avvicinamento e l’ascolto delle persone. L’attività sarà condotta da un’équipe mobile composta da psichiatri, educatori e volontari.

"Instradiamoci", invece, è un’iniziativa rivolta all’incontro con tutte le persone che abitano i "non luoghi" della città: insediamenti abusivi in aree dismesse, ex capannoni, agglomerati, roulotte e strade. L’unità di strada dedicata a questo progetto si muoverà di giorno, tentando di creare "percorsi di rete" a livello educativo e sanitario per chi vive sulla strada, in collaborazione con le parrocchie e le associazioni attive sul territorio.

Modena: si impicca in carcere il "postino" di Provenzano

 

Corriere della Sera, 29 gennaio 2005

 

Un suicidio e una "cantata". Un boss che s’impicca in cella, a Modena, e un altro che si affretta "a farsi pentito", a Palermo. È il primo contraddittorio bilancio a tre giorni dal blitz sfociato nell’arresto di 50 fiancheggiatori di Bernardo Provenzano. Come se da questa morsa giudiziaria si potesse uscire solo per due strade, morire o parlare. Ed è il procuratore Pietro Grasso a sperare che, se davvero questa è l’alternativa, capi e gregari sappiano scegliere: "Meglio vivere, confessare, collaborare con la giustizia. E noi siamo pronti ad ascoltare, a proteggere...".

Un appello che non avrebbe mai recepito Francesco Pastoia, il boss di 62 anni fermato lunedì notte vicino a Modena, a Castelfranco Emilia, ultimo domicilio prima di finire in carcere. Ma c’è rimasto solo 48 ore. Perché ieri mattina ha deciso di uscire dalla cella e dalla vita.

O almeno così sembra, anche se il procuratore aggiunto di Modena lascia aperto il giallo: "È suicidio al 90 per cento". Il resto lo diranno l’autopsia, gli esami per cercare eventuale veleno e l’indagine della Direzione antimafia. Di certo c’è un lenzuolo arrotolato come una corda, un capo assicurato alle sbarre della finestra del Sant’Anna, tre nodi scorsoi al collo, un calcio alla seggiola cinque minuti dopo le 6, cinque minuti dopo l’ultimo controllo della guardia che giura di aver visto dallo spioncino il detenuto steso sulla branda.

E invece l’hanno trovato con i piedi a dieci centimetri dal pavimento. Quanto basta per cancellare il peso di questa indagine vissuta da Pastoia come una vergogna. E non perché pentito di delitti orrendi o della copertura assicurata all’imprendibile "Zio Binnu" da gran manovratore della "via dei pizzini", cioè dello smistamento dei "bigliettini" del cosiddetto "ministero delle Poste di Cosa Nostra", per dirla con Grasso.

No, è un’altra la vergogna di cui s’è sentito macchiato. Pastoia aveva tradito Provenzano e gli altri capimafia con le sue stesse parole intercettate e incastonate fra le mille pagine dell’ordine di custodia cautelare, un pacco grosso come tre elenchi telefonici letti e riletti in cella con sgomento. Ignorando di essere intercettato, nei mesi scorsi aveva confidato a un altro mafioso delitti eseguiti all’insaputa del grande capo, lo stesso Provenzano, il vecchio latitante esaltato a tratti come "una cosa dentro l’anima mia" e, a tratti, rimproverato: "Quante volte lo "zio" mi ha messo in difficoltà...".

E poi, sbruffone, arrogante, strafottente, come sono i mafiosi sempre sicuri di se stessi, s’era lasciato andare fino ad ammettere di essere pronto a uccidere il figlio di un altro capo mandamento, il rampollo di Benedetto Spera ("Un pezzo di cornuto e sbirro di razza"), il rampante Giovanni Spera, così definito: "Un cornuto, un traditore... a me quello mi mette pensieri...".

Infine le involontarie ammissioni registrate da una microspia incollata al ramo di un albero, in aperta campagna, sull’omicidio di Salvatore Geraci, un piccolo imprenditore assassinato in ottobre a Brancaccio, nel Bronx di Palermo: "Prima lo facciamo e poi glielo diciamo allo "zio"".

Il carcere a vita o la vendetta degli "amici" debbono aver preso corpo come spettri per il boss che troppe cose nascondeva a Provenzano. Compresa l’onta della cresta sul racket. Vero è che per il numero uno di Cosa Nostra sono state trovate robuste mazzette da 50 euro con il cognome sulle fascette colorate, ma dalle intercettazioni viene fuori anche la sottrazione di somme raccolte dai taglieggiatori e che Pastoia aveva il compito di consegnare al superboss.

Non solo, ma aveva anche messo a rischio la sicurezza del capo rivelando che fra il 14 e il 19 settembre Provenzano si muoveva fra Bagheria e Ficarazzi, cioè a venti chilometri dal centro di Palermo, anzi forse arrivando nei due paesi proprio dal cuore della città. Dove ha sempre avuto coperture. Anche fra i medici. E ce n’è uno, Giovanni Mercadante, consigliere regionale di Forza Italia, finito sui giornali per una presunta visita al boss. Una fuga di notizie che coincide con l’archiviazione dell’inchiesta "per mancanza di prove" come dicono in Procura: "Meglio lavorare su filoni produttivi". A cominciare da quelli offerti dall’ultimo pentito, Mario Cusimano. Il primo ad aver scelto bene fra "morire e parlare".

Tempio Pausania: tornare sulla strada gelata?; meglio il carcere

 

L’Unione Sarda, 29 gennaio 2005

 

Ha lasciato di stucco tutti Gerald Caulogne ieri mattina, nella stanza del Gup di Tempio Alessandro Di Giacomo. Per lui, accusato di avere rubato lamette da barba, mutande e carne in scatola nel supermercato Iperstanda di Olbia, era pronta una richiesta di patteggiamento e la conseguente immediata scarcerazione. Invece il clochard di 47 anni, che ha scelto Olbia per il suo vagabondare, non ne ha voluto sapere di uscire dalla Rotonda.

Inverno rigido, neve e ghiaccio, troppo freddo per ritornare in strada: concetti che in qualche modo è riuscito a far capire a giudice, pubblico ministero e avvocati. Meglio attendere che il tempo si rimetta per chiudere la vicenda giudiziaria iniziata davanti alle casse del centro commerciale. E la singolare richiesta di Gerald è stata accolta, nel senso che sino a quando i servizi sociali del comune di Tempio non troveranno una casa di accoglienza disponibile ad ospitare il barbone, di scarcerazione non se ne parla.

E così la polizia penitenziaria ha riaccompagnato Gerald alla Rotonda, avvolta dalla neve, sicuramente decrepita e inquietante quanto può essere un carcere costruito alla fine dell’ottocento, ma per il francese preferibile alle gelate notturne e alla fame. I primi a sapere che una eventuale scarcerazione del barbone francese in questo periodo, metterebbe a rischio la sua salute e la sua vita, sono i difensori, Mariella Pirina e Edi Baldino. Le due legali sono in stretto contatto con le assistenti sociali del Comune e stanno facendo di tutto per aiutare Gerald e trovare una sistemazione e risolvere i problemi giudiziari una volta per tutte.

Lui aveva spiegato subito dopo l’arresto di avere rubato per disperazione e per fame. Alla fine dello scorso agosto era entrato nel supermercato Iperstanda con un progetto preciso, fare le provviste e arraffare un po’ di merce con la quale riempire uno zaino, anche questo rubato. Il francese però non riesce a portare a compimento il suo piano perché qualcuno ha seguito tutti i suoi movimenti tra gli scaffali. E quando Gerald si presenta alle casse, scatta subito il controllo delle guardie giurate che lo bloccano e gli chiedono spiegazioni sulla merce sottratta.

Che lui naturalmente non è nelle condizioni di dare. Il clochard davanti al personale da in escandescenza e una delle guardie giurate, stando alle contestazioni del pubblico ministero, si becca anche un graffio in faccia. Così il furto si trasforma in rapina. Ma non è finita, perché Gerald, chiuso in uno sgabuzzino in attesa dell’arrivo dei carabinieri, riesce a ripulire la giacca di una impiegata e si impadronisce di un portafoglio. Quando nella stanza entrano le guardie giurate si accorgono subito del borsellino infilato sotto la cinta dei pantaloni. La giornata del francese nel centro commerciale si conclude con l’arresto ed il trasferimento in carcere. Sono passati i mesi, è arrivato l’inverno con temperature sotto zero. Il barbone ha scelto di restare in cella piuttosto di non dormire sulle panchine. Meglio stare al fresco, anzi no, al caldo.

Siracusa: allontanate dalla Caritas; denuncia di due volontarie

 

La Sicilia, 29 gennaio 2005

 

Anche nella realtà del volontariato sociale, quello in cui meno ci si aspetterebbe che si possano verificare episodi spiacevoli, si attraversano momenti "di difficoltà". Eppure, stando a quanto denunciato da due volontarie, "ex" non per loro scelta, può accadere che si determinino situazioni quantomeno sgradevoli.

Le due donne, che si sono rivolte a numerose autorità denunciando attraverso una lettera la situazione in cui si sono trovate, operavano per il recupero dei detenuti. Un settore particolarmente delicato del volontariato, a cui si erano dedicate con particolare impegno e spirito di sacrificio. Le due volontarie, infatti, avevano promosso un’attività di insegnamento delle arti, al fine di agevolare i ben noti complessi meccanismo di recupero, di reintegrazione e risocializzazione degli ospiti delle case circondariali.

Nello specifico, avevano dato vita ad un corso per i detenuti di Brucoli. I risultati erano stati tali da farle giungere alla determinazione che sarebbe stato un giusto riconoscimento, per i detenuti stessi, poter fare conoscere fuori dalle mura della struttura restrittiva le opere realizzate grazie al corso. Con non poche difficoltà le due volontarie riuscirono ad organizzare una mostra, risalente al mese di gennaio dello scorso anno, in un padiglione della Fiera del sud. Una iniziativa che, oltretutto, riuscì a riscuotere un successo quasi inaspettato. Da quel momento, per qualche motivo, le due volontarie sono state allontanate di fatto sia dall’associazione per cui prestavano servizio sia che dallo stesso progetto di risocializzazione dei detenuti.

Per questo le due donne hanno inviato la loro lettera-denuncia al magistrato di sorveglianza del tribunale di Siracusa, al direttore del carcere di Brucoli, al capo-educatori della struttura penitenziaria, al ministero di Grazia e Giustizia, al dipartimento di amministrazione penitenziaria di Palermo, al ministro Prestigiacomo, e alle sedi centrali della stessa associazione di volontariato.

Nel documento le due volontarie, oltre a porre in evidenza il rammarico, esprimono il loro disagio nei confronti delle autorità in indirizzo "che avete sempre sollecitato le attività di recupero prestando particolare attenzione ad ogni iniziativa mirata alla reintegrazione dei detenuti. Consce di avere sempre agito nell’osservanza dello spirito del volontariato e della cristiana credenza del perdono, chiediamo un aiuto per comprendere".

Usa: pena di morte, confermata l’esecuzione di Michael Ross

 

Associated Press, 29 gennaio 2005

 

È finita con una sconfitta degli attivisti per i diritti umani la lunga battaglia legale per salvare la vita di Michael Ross, condannato a morte malgrado sia affetto da handicap mentale. La Corte Suprema Usa ha confermato la sentenza capitale, che sarà eseguita alle 8.01 italiane di oggi, rigettando l’ultima istanza presentata dal padre del condannato. Ross sarà il primo detenuto giustiziato da 45 anni a questa parte negli stati del New England. Quarantacinque anni, Ross si trova nel braccio della morte per l’omicidio di quattro donne. L’anno scorso aveva deciso di rifiutare ogni ulteriore appello a salvargi la vita, accettando l’iniezione letale.

Il padre e diverse organizzazioni che lottano per abolire la pena di morte avevano tuttavia continuato la loro battaglia legale, affermando che il detenuto era affetto da turbe psichiche e non era in grado di comprendere esattamente gli eventi che lo riguardavano.

Padova: operazione Siberia, letti nei container per senza-tetto

 

Il Gazzettino, 29 gennaio 2005

 

Razzismo Stop e del Cso Pedro in collaborazione con un gruppo di abitanti del quartiere Portello, hanno ristrutturato una stanza della sede di Razzismo Stop (stabile di proprietà del Comune in via Gradenigo 8) e noleggiato un bagno chimico e tre containers, due dei quali ospiteranno 15 posti letto e il terzo una la doccia

Un’azione pro vagabondi che si va ad inserire nell’operazione "Siberia 2005", scattata dopo la morte dei due extracomunitari trovati sotto le volte dello stadio Appiani, e che offrirà ai senza fissa un ricovero. Gli operatori di strada hanno ripulito da immondizie ed erbacce un’ala dell’edificio comunale, trasformato uno spazio inutilizzato nel centro operativo di "Siberia 2005" e creato con della ghiaia un vialetto di ingresso ai container.

"È chiaro che la domanda di posti letto a Padova per i senzatetto è molto elevata - spiega Luca Bertolino di Razzismo Stop - e l’offerta è praticamente nulla. Questo è il motivo che ha spinto Razzismo Stop e Cso Pedro ad agire in favore dei vagabondi. Certo non abbiamo chiesto il permesso per installare dei container, ma crediamo che il lato umano dell’intera vicenda superi qualsiasi ostacolo burocratico. La nostra azione di aiuto ai senzatetto - prosegue Bertolino - viene svolta in perfetta armonia con le altre associazioni già presenti da anni sul territorio. Infatti, siamo in stretto contatto, ad esempio, con l’associazione Noi famiglie padovane contro la droga e anche con il 118. Noi crediamo che a Padova manchi un progetto per l’accoglienza dei senza fissa dimora, visto che il numero di posti letto disponibili risale ai tempi di quando il sindaco era Giaretta. Siamo riusciti a noleggiare i container e a ripulire la stanza e parte del giardino grazie all’aiuto economico di Razzismo Stop, del Cso Pedro, dei Verdi e soprattutto dell’Adl Cobas. Il costo dell’intera operazione per ora si aggira sui 2mila euro, ma ovviamente in futuro ci sarà pure l’affitto mensile dei container".

Punta il dito sulle istituzioni locali Claudia Vatteroni di Razzismo Stop: "Da quando siamo partiti con il piano Siberia 2005 abbiamo ricevuto telefonate da una infinità di associazioni, ma le istituzioni non si sono fatte mai sentire. Non vogliamo una telefonata di elogi, però ci sembra assurdo che nessuno degli addetti ai lavori del Comune ci abbia contattato".

Darete accoglienza anche agli extracomunitari senza permesso di soggiorno? "Noi diamo accoglienza a tutti: italiani e stranieri. Da anni Razzismo Stop organizza lezioni di italiano per gli extracomunitari senza permesso di soggiorno. Non è una novità. Penso che l’aspetto umano vada oltre il pezzo di carta che regolarizza o meno una persona".L’operazione "Siberia 2005" continuerà fino a quando non cesserà l’ondata di gelo. In questa settimana gli operatori di strada di Razzismo Stop e del Cso Pedro hanno contattato circa 150 homeless e sono riusciti ad accoglierne una ventina. Il numero del telefono Bianco 049.775372 è sempre attivo e chiunque può dare il suo contributo chiamando e portando coperte e altro che possa essere d’aiuto ai vagabondi.

Firenze: per i senza-tetto 120 metri quadrati alla stazione

 

La Nazione, 29 gennaio 2005

 

Il Comune di Firenze risponde all’emergenza marginalità con varie strutture di accoglienza dislocate in vari punti della città e prosegue col progetto "Emergenza freddo" con alcune novità previste in questo particolare periodo di clima rigido. È quanto ricorda l’assessore all’integrazione e all’accoglienza Lucia De Siervo, "questo per scongiurare l’aggravarsi della situazione dei senza fissa dimora di Firenze. Cerchiamo di garantire un riparo notturno a più persone possibili".

Il Comune ricorda inoltre che è in funzione un numero verde 800055055 per richiedere tutte le informazioni utili sui centri di accoglienza della città. "In questo particolare periodo di grande emergenza il Comune ha attivato ulteriori soluzioni di ricovero rispetto a quelle ordinarie e dell’emergenza freddo - ha evidenziato l’assessore De Siervo -. Nei primi tre giorni sono state reperite stanze d’emergenza nelle strutture di Montedomini e Fuligno.

Da domani la società "Grandi Stazioni" ha messo a disposizione dei senza tetto uno spazio di 120 metri quadrati all’interno della stazione di Santa Maria Novella, che sarà in grado di ospitare diverse persone". La novità prevista per questi giorni particolarmente freddi riguarda l’estensione dell’orario: la struttura di via del Porcellana, per sole donne, resterà aperta tutto il giorno, 24 ore su 24, mentre all’Ostello del Carmine, per soli uomini, si prevede l’ingresso alle 16 e non alle 19 e l’uscita il mattino dopo alle 10 invece che alle 9.

Oltre a queste iniziative di emergenza freddo in città le strutture di pronta accoglienza ospitano un totale di 635 posti che sono suddivise per varie tipologie: 305 posti sono nelle strutture di accoglienza per uomini italiani e stranieri; 80 posti in strutture di accoglienza per donne italiane e straniere; 150 sono i posti in alberghi popolari e affittacamere per uomini e donne. Le strutture per nuclei a media lunga permanenza in mini alloggi sono così suddivise: 92 posti in strutture per nuclei familiari; 8 sono i posti per emergenze per il pronto intervento sociale 24 ore su 24. Inoltre ai senza fissa dimora vengono erogati: 140.000 pasti mensa Caritas e 87.500 pasti mensa Madonnina del Grappa, per un totale di 227.500 pasti; 20.000 docce Caritas.Il progetto "Emergenza freddo", partito il 15 novembre scorso, prevede un totale di 100 posti: 80 posti per uomini e 20 posti per donne. "Al momento - ricorda l’assessore De Siervo - ci risulta che sono ancora disponibili alcuni posti all’albergo popolare in via della Chiesa".

Milano: emergenza freddo, posti esauriti nei dormitori

 

Il Giorno, 29 gennaio 2005

 

Letteralmente "strapieni": 150 uomini in via Calvino, 100 donne in viale Isonzo. E il capannone di piazzale Lodi, quello dei "saccopelisti", che viene preso d’assalto tutte le notti. Una situazione che si ripete in tutti i ricoveri di Milano. Pieno il "Villaggio della Misericordia" fondato da Fratel Ettore ad Affori. Solo un letto libero al centro Arca in via San Giovanni alla Paglia. La Casa della Carità di via Brambilla può invece concedere solo tre o quattro ingressi straordinari al giorno, in attesa di entrare in funzione a pieno regime, a gennaio. "In città c’è una necessità urgente di posti letto - dice don Massimo Mapelli, collaboratore di don Colmegna nella Casa di via Brambilla -. Riceviamo ogni giorno richieste di accoglienza dalle parrocchie, dai servizi sociali ospedalieri, dalle forze dell’ordine. Tutte le strutture della città sono sature".

E i disagi maggiori li vivono gli "irregolari", spiega Mario Furlan, fondatore dei City Angels. Rumeni, moldavi, bulgari, ucraini, maghrebini. Ma anche italiani. Che si ritrovano nei capannoni dismessi in viale Forlanini, nei parcheggi in disuso, nelle auto abbandonate attorno alla Stazione. "Per questo sarebbe utile che il Comune accogliesse anche i sans papier , o almeno le donne. Come è stato fatto l’anno scorso nel centro di viale Jenner". Certo, "non è compito nostro far le leggi sull’immigrazione", aggiunge Maurizio Rotaris, responsabile di Sos Stazione Centrale. "Ma davanti ai clandestini che sono già a Milano non possiamo chiudere gli occhi".

Una richiesta che Tiziana Maiolo, assessore comunale ai Servizi sociali, definisce "singolare". Perché non si può chiedere alle istituzioni di violare la legge. "Il Comune ha già fatto uno sforzo enorme: 625 mila euro investiti nel "Piano freddo", 200 mila in più rispetto al 2003. E 1492 posti garantiti, 180 letti in più". Detto questo, chiude l’assessore, "tollerare alcuni atteggiamenti discutibili tenuti dalle strutture private, finanziate dal Comune, non giustifica un appello così sopra le righe".

Parma: nessuna soluzione per gli sgomberati dall’ex cartiera

 

La Gazzetta di Parma, 29 gennaio 2005

 

Torniamo a parlare di precarietà e di negazione dei diritti, in particolare del diritto alla casa e all’accoglienza, per i soggetti che più di altri subiscono gli effetti di politiche che tendono all’esclusione sociale e non rispondono ai bisogni fondamentali: i cittadini migranti.

È di ieri la notizia che gli immigrati che, il 18 gennaio scorso avevano trovato rifugio a Parma nella chiesa di S. Cristina, subito dopo essere stati sgomberati dai vigili urbani da un’ex-cartiera di strada Argini, hanno lasciato la chiesa e saranno ora ospitati dalla Caritas in diversi dormitori e in alcune pensioni della città.

I ventitré migranti, per la maggior parte richiedenti asilo, provenienti dalla Costa d’Avorio e dal Congo, erano stati lasciati in strada con le loro poche cose, senza più un tetto sulla testa in questi freddi giorni di gennaio. Solo alcuni di loro hanno trovato ricovero presso i dormitori della zona; gli altri, sostenuti dalle realtà cittadine che si battono per la difesa dei diritti dei cittadini migranti, sono stati accolti nella chiesa di S. Cristina. L’occupazione di S. Cristina riapre il dibattito in città sull’emergenza abitativa che gruppi e associazioni come l’associazione Ya Basta e il Comitato cittadino antirazzista, denunciano già da diversi anni.

Chi dormiva in quella cartiera non aveva un’altra soluzione, era quindi compito del comune di Parma trovare una sistemazione dignitosa per i migranti, prima di eseguire lo sgombero.

Nel pomeriggio di martedì si è tenuta un’assemblea nella chiesa, a cui hanno partecipato la Caritas, le realtà antirazziste e i sindacati che hanno chiesto la creazione di un tavolo interistituzionale per rimettere al centro del dibattito il problema del diritto alla casa, ma il sindaco ha rifiutato qualsiasi tipo di confronto, sostenendo che "non si può dare priorità a chi alza la voce" negando addirittura di essere a conoscenza che la maggioranza dei ventitré immigrati sono richiedenti asilo.

Molte sono state le polemiche sulle modalità con cui è avvenuto lo sgombero dell’ex-cartiera, si è parlato di "veri e propri metodi squadristi", "i vigili - si legge in un comunicato del Comitato antirazzista - hanno fatto irruzione nello stabile con i manganelli alla mano". Sembra si sia venuto a costituire un corpo speciale, ai diretti ordini del sindaco, con un regolamento a parte, che consente loro, per esempio di avere in dotazione le manette o di eseguire sgomberi senza l’ordinanza del tribunale. Molto diversa la reazione della cittadinanza che fin da subito ha espresso la sua solidarietà offrendo materassi, coperte e cibo.

Abbiamo intervistato Enrico dell’Ass.ne Ya Basta di Parma che ha ricostruito per noi l’intera vicenda e invita tutti alla manifestazione convocata dall’Ass.ne Senegalesi, Guigì e il Comitato cittadino antirazzista del 19 febbraio prossimo sul diritto alla casa e contro le discriminazioni.

Brescia: scrivere dal carcere, sulle ali della libertà...

 

Giornale di Brescia, 29 gennaio 2005

 

"Casa di reclusione di Fossombrone" è il tema dell’incontro organizzato dalla Libreria Rinascita questo pomeriggio alle 17,30 nel Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia. Alla conversazione interverranno due detenuti-scrittori del carcere di Fossombrone, Carmelo Gallico e Bruno Condello, il presidente dell’associazione di volontariato "Un mondo a quadretti", Giorgio Manganelli, Pantaleone Giacobbe, direttore della casa di reclusione di Fossombrone, Carlo Alberto Romano, fra le anime dell’associazione "Carcere e territorio" di Brescia, Alessandro Zaniboni, magistrato del tribunale di Sorveglianza di Brescia, Maria Grazia Bregoli, direttrice del carcere cittadino. Brani delle opere verranno letti dall’attore Michele Danubio.

"La vita di ognuno di noi è una strada disseminata di bivi. Di fronte ad essi non sono previste soste per pensare, solo la speranza di aver scelto nel modo migliore, perché a nessuno è dato sapere dove conducano le strade che si iniziano a percorrere.

Quando le scegliamo pensiamo che ci portino chissà in quali posti meravigliosi; siamo persuasi di muovere lievi passi su vie lastricate; di incrociare con lo sguardo creature di rara bellezza e di immergerci in luoghi ameni, pervasi da aria limpida e profumata. Scopriamo, invece, indicibili orrori e brutture. Nessuna amenità nei luoghi in cui ci si inoltra e l’aria, sovente, ha il tanfo dei cadaveri. C’è chi sceglie di non vedere questi aspetti; chi li scansa e chi ci passa sopra con "travolgente" indifferenza. E’ questo il vero e solo bivio che ognuno di noi può scegliere, perché in fondo la strada e unica, uguale per tutti e con una sola direzione: quella della vita".

Metafora e riflessione di un primo giorno passato in una nuova vita: quella in cui (lo dice il titolo della rivista edita all’interno del carcere di Fossombrone) il "Mondo a quadretti".

Un cosmo di spazi ristretti con il quale convivono da qualche tempo Carmelo Gallico (autore di queste riflessioni) e Bruno Condello. Due detenuti che hanno deciso un’evasione tutta particolare: quella della scrittura. Una scrittura come condivisione delle emozioni, come riflessione esistenziale, come metafora di una vita che è stata aspra, ma che potrebbe cambiare. Che potrebbe essere riscattata con una moneta molto particolare: l’impegno culturale, la scrittura, il racconto breve e l’opera teatrale; la rivista impegnata sul fronte della solidarietà e il riconoscimento di un talento che per Carmelo Gallico e Bruno Condello hanno rappresentato premi letterari, giornalistici e segnalazioni in concorsi di mezza Italia.

Così Carmelo Gallico, figlio di una terra calabrese, figlio di una Palmi dilaniata dalle faide che non hanno risparmiato la sua famiglia, in carcere (e che carcere: Fossombrone è di massima sicurezza) dal 1999, ha vinto il premio bancarella coprendo la sua identità dietro lo pseudonimo di Erasmus e ha dato vita ad una produzione letteraria che sembra inarrestabile tra articoli, racconti, poesie, scritti per il palcoscenico (alcuni raccolti in "Frammenti di vita" , Edizioni Banca del gratuito).

Accanto a Carmelo è cresciuto Bruno Condello, pure lui calabrese di un’altra zona difficile, di Bruzzano Zeffirio, cittadina in provincia di Reggio che i bresciani hanno imparato a conoscere perché ha dato i natali ad un calciatore del Brescia: Peppe Sculli, pedina importante della Nazionale Olimpica, ex del Chievo e ora alla corte di Corioni. A Sculli è dedicato "Una sfida da vincere. Peppe Sculli e Speedy" (Edizioni Banca del gratuito), la storia di due ragazzi di borgata legati dallo stesso sogno, quello del calcio, ma divisi da un destino diverso: la maglia della Nazionale per Sculli, la cella di un carcere di massima sicurezza per Condello. Con il suo ricordo di quelle partitelle nel campetto sotto casa, Bruno ha vinto un concorso letterario e ha tenuto viva la sua amicizia con Peppe (sempre ricambiata), per lui esempio vivente che un mondo migliore è possibile.

Con i racconti, le poesie e gli interventi su "Mondo a quadretti", il giornale del carcere, Carmelo Gallico invece tiene viva la sua voglia di volare, di ridare piumaggio a chi si sente - sono parole sue - "un angelo capitato in inferno" dove "le mie ali hanno preso fuoco e comunque anche se mi avessero consentito di volare via da quel luogo, come avrei potuto lasciarmi alle spalle chi amo e in quel luogo ci sarebbe rimasto? Ho preferito rimanere in inferno, pur consapevole del rischio che chi mi guarda, non veda più l’angelo che ero, ma il demone che appaio". Angeli o demoni entrambi forse meritano un’altra chance. La stanno cercando scavando nella loro voglia di raccontare e raccontarsi. Auguri.

Droghe: dal Dap prove generali di carcerazione privata…

 

Il Manifesto, 29 gennaio 2005

 

Il Dap: “In comunità i tossicodipendenti”. In quattro città i tossicodipendenti arrestati potranno scegliere se scontare la pena in carcere o in comunità. Sono le prove generali del Dap per la legge Fini che punta ad arrestare e “curare” i consumatori di tutte le “sostanze”

Sostituire il più possibile la comunità di recupero alla galera tradizionale per i detenuti tossicodipendenti condannati per piccoli reati. È questa l’idea del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che ha illustrato ieri a Roma, nel corso di un convegno nazionale, un progetto che si propone di estendere ad altre quattro grandi città italiane (Roma, Padova, Reggio Calabria e Catania) un’esperienza-pilota che ha già dato risultati positivi a Milano, a partire dalla metà degli anni Novanta. “Il tossicodipendente arrestato per reati minori - ha spiegato il responsabile della direzione generale dei detenuti Sebastiano Ardita - viene preso in carico da un’equipe fatta da medici del servizio Sert e delle Asl.

Tutto questo prima che venga portato davanti al giudice per il processo per direttissima o per la convalida della misura cautelare. Grazie all’aiuto di questa equipe di esperti, il tossicodipendente può scegliere se sottoporsi a un programma di cura. Il giudice, a questo punto, avrà tutti gli elementi per emettere un provvedimento di custodia cautelare alternativa in una comunità terapeutica o in un centro di cura”.

Attualmente, secondo le cifre ufficiali, i tossicodipendenti in carcere sono più di 15.000 e rappresentano un quarto abbondante del totale di una popolazione carceraria che supera le 56.000 unità. Ma il potenziale “bacino d’utenza” del baratto tra carcere e comunità è molto più alto, visto che nel solo 2004 i tossicodipendenti che sono transitati in prigione, per periodi anche brevi o brevissimi, sono stati 24.000.

Sarebbe insomma un bel po’ di gente da affidare alle competenti mani degli esperti, che dopotutto sono sempre meglio della galera. Sarà però un mucchio di gente molto più grosso quando la minacciata legge Fini sulle droghe verrà approvata e trasformerà con un solo colpo di bacchetta magica chiunque consumi qualunque tipo di sostanza illegale in un tossicodipendente da aiutare obbligatoriamente. O, peggio ancora, trasformerà automaticamente in spacciatore chiunque detenga sostanze illegali in quantità superiore a quella indicata dalle tabelle ministeriali, salvo poi spedirlo in comunità se dichiarerà di essere “anche” un drogato.

In una prospettiva del genere sarebbe una mano santa, per l’amministrazione penitenziaria, potersi liberare grazie alle comunità di decine di migliaia di detenuti nuovi di zecca che non si saprebbe proprio dove piazzare stato l’attuale stato di affollamento delle prigioni. Al momento, comunque, il progetto dell’amministrazione carceraria si basa sui detenuti e sulle leggi di cui già dispone. “Non stiamo innovando il sistema punitivo - ha precisato infatti il responsabile del Dap Giovanni Tinebra - ci sono già spazi e luoghi alternativi al carcere per il recupero dei detenuti tossicodipendenti. È una strada da percorrere”.

Le prospettive di questa strada sembrano però proprio dirigersi, con il centrodestra al potere, verso un’enorme ampliamento della categoria sociale dei tossicodipendenti. Ne fa fede il messaggio inviato dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi al convegno romano organizzato dal Dap. “I progressi realizzati sul fronte della cura della tossicodipendenza - dice il cavalier Silvio - permettono oggi di prevedere pene alternative per chi, afflitto da questa patologia, cade nelle maglie della microcriminalità. Sono convinto che il modo migliore di combattere questo problema sia di aiutare chi ne è coinvolto a vincere la propria dipendenza”.

Nel centrodestra si sente comunque il bisogno di attenuare il “buonismo” presidenziale. Il sottosegretario alla giustizia Giuseppe Valentino (An) fa presente ad esempio che “ci si può curare anche in carcere”, mentre la collega alla salute Maria Elisabetta Alberti (Fi) avverte che “la malattia non deve mai costituire un passaporto di impunità”. Tra i rappresentanti dell’opposizione, al contrario, qualche segnale di interesse per l’applicazione di pene alternative al carcere, non cambia il no su tutta la linea alla filosofia proibizionista e repressiva del governo.

 

 

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