Rassegna stampa 26 febbraio

 

Trani: suicidi, pestaggi e un’overdose, carcere al collasso

 

La Repubblica, 26 febbraio 2005

 

I trasferimenti di massa dal penitenziario di Taranto e lo scandalo del sindacato Osapp hanno portato la tensione alle stelle. Un linciaggio. Una rissa e un ricovero per overdose. Tutto in 72 ore. Nel carcere di Trani c’è qualcosa che non funziona: la sicurezza.

La situazione è davvero tesa. L’elenco dei misteri tra le celle del Nord Barese comincia domenica scorsa, quando C.M., 34 anni, arrestato pochi giorni prima con l’accusa di violenza sessuale su una minorenne, si impicca nella sua cella. L’uomo, sia al momento dell’arresto sia all’udienza durante la quale il gip ha convalidato l’arresto, si era proclamato innocente. La procura di Trani ha chiesto di eseguire l’autopsia sul corpo del trentaquattrenne che si è impiccato annodando il lenzuolo alle staffe su cui era poggiato il televisore. Per la magistratura ci sarebbero alcuni particolari poco chiari nell’improvviso suicidio. La cella è stata sequestrata.

Martedì pomeriggio il secondo caso: P.M., arrestato per una rissa, appena arrivato in carcere viene aggredito da venticinque detenuti. Qualcuno lo descrive come un vero e proprio linciaggio. Il ragazzo per sfuggire ai suoi aggressori si arrampica sulle sbarre che delimitano il cortile dell’ora d’aria. Ma per motivi su cui è stata avviata un’indagine interna, il detenuto viene aggredito una seconda volta: in cella, dai suoi compagni. Dopo due pestaggi finisce in infermeria. Gli agenti della polizia penitenziaria intervengono subito, in entrambi i casi, per salvarlo e poi lo spostano in un reparto speciale per tutelare la sua incolumità.

Sempre nello stesso pomeriggio viene ricoverato urgentemente all’ospedale Bisceglie un altro detenuto, G.P., per un’overdose. I medici e la polizia penitenziaria vogliono capire se il malore sia stato provocato da sostanze stupefacenti sfuggite ai normali controlli, o da un’assunzione massiccia di medicinali. Nel secondo caso sarebbe il secondo (questa volta tentato) suicidio in tre giorni al carcere di Trani.

Quattro episodi che ricordano il grido d’allarme lanciato nei giorni scorsi da alcuni sindacati, che avevano denunciato la precarietà nella gestione del personale e il pericolo che questa "anarchia" poteva procurare sulla sicurezza dell’istituto, che non riguardava la struttura in sé, ma gli stessi operatori penitenziari e i detenuti.

Al grido dei sindacati ha risposto, con una lettera a Repubblica, il provveditore regionale delle carceri pugliesi, Rosario Cardillo, assicurando che nel carcere di Trani "la sicurezza è garantita". Cardillo parlava di "duecento detenuti comuni al giorno" e del carcere di Spinazzola, che presto entrerà a regime e potrà ospitare fino a 70 detenuti con un residuo di pena da scontare non superiore a due anni. Infatti dallo scorso ottobre nel carcere sono stati avviati importanti lavori di ristrutturazione. Da allora il "Braccio blu", quello dove erano rinchiusi i brigatisti rossi, non esiste più.

Ma se a Trani non ci sono più gli "irriducibili" ci sono 240 detenuti comuni. Solo martedì sera sono arrivati otto extracomunitari, tunisini, libici ed egiziani, arrestati dai carabinieri per un furto di olive nelle campagne di Terlizzi. Per non parlare della "migrazione" di detenuti dal carcere di Taranto: nelle ultime settimane, infatti, sono avvenuti trasferimenti di massa dal penitenziario del capoluogo ionico a quello del Nord Barese. E certo la pressione non si allenta con la presenza della struttura di Spinazzola, dove al momento sono detenute solo quattro persone in regime di semilibertà controllate da circa trenta agenti.

Insomma il carcere di Trani è al collasso: troppi detenuti, poco personale e poca sicurezza. Un carcere, tra l’altro, dove ancora si sente l’eco dello scandalo del vicesegretario nazionale dell’Osapp, Domenico Mastrulli, accusato di falso in atto pubblico, visto che tesserava al suo sindacato agenti ignari. Proprio in questi giorni sul tavolo del sostituto procuratore Luigi Scimè sono arrivate due nuove denunce. 

Pisa: orientamento e formazione - lavoro per le detenute

 

Antonella Serani (Società della Salute), 26 febbraio 2005

 

Carcere e donne: un sistema di servizi dall’orientamento, alla formazione, per arrivare al lavoro, protagoniste le donne della Casa Circondariale Don Bosco.

Vivere il carcere e nel carcere significa vivere una condizione di isolamento e perdere ogni giorno un po’ della propria identità e spesso dignità. Una situazione ancor peggiore per la sezione femminile, composta da donne anche giovani e per la maggior parte immigrate con permanenze di media durata, che non sono nei termini per accedere a permessi premio, e che hanno pochi spazi dove potere ritrovarsi, leggere, impegnare il tempo per ricomporre un proprio progetto di vita da realizzare una volta fuori ma anche prima, dentro il carcere.

Così è nata l’idea del gruppo Diritti di Cittadinanza del Consiglio Cittadino Pari Opportunità per un intervento di formazione-lavoro all’interno del carcere Don Bosco. A definire le priorità di un progetto che si delinea come percorso di reinserimento socio-lavorativo per le detenute, assieme all’Assessorato Pari Opportunità e al suo Consiglio Cittadino hanno contribuito, oltre al carcere, la Società della Zona Pisana, che coordina tutte le azioni pubbliche e del privato sociale nella zona destinate ai detenuti, l’assessorato al Lavoro-Formazione della Provincia con il consolidamento dell’attività del Centro per l’Impiego all’interno del carcere, il Centro Servizi Sociali Adulti, e l’assessorato alle Politiche Sociali della Provincia.

Il progetto è diventato un accordo fra istituzioni, con tanto di protocollo e firma da parte del Sindaco di Pisa Fontanelli, il Presidente della Società della Salute Macaluso, il Presidente della Provincia Pieroni, sotto la conduzione dell’assessora comunale per le Pari Opportunità Fabiana Angiolini.

Il progetto, innovativo nel contesto regionale, mette a sistema e potenzia un insieme di servizi da destinare a tutte le detenute, da quelli primari, promozione della salute psicofisica e alfabetizzazione ad esempio, a quelli che garantiscono l’emersione delle competenze personale della donna detenuta, quindi l’inserimento in percorsi di orientamento, formazione e quindi lavoro. "Siamo partite dalle esigenze delle detenute e dalla ricognizione dei servizi esistenti per comporre il quadro complessivo", ha sottolineato Marilù Chiofalo, presidente del Consiglio Cittadino Pari Opportunità’, "e questo è stato possibile grazie al forte impegno e al lavoro motivato di operatrici e responsabili dei soggetti istituzionali e alla capacità di integrare le rispettive competenze". Il protocollo definisce il funzionamento, le modalità d’accesso ai servizi, quelli territoriali programmati e governati dalla Società della Salute, quelli del Cssa relativi alle misure alternative, di orientamento, bilancio delle competenze, incrocio domanda-offerta del Centro per l’Impiego, interventi ad hoc d’integrazione sociale e mediazione culturale delle Politiche Sociali della Provincia, regolamentando anche gli interventi realizzati da soggetti esterni, per evitare inutili frammentazioni.

L’intero progetto, che prevede anche azioni di sensibilizzazione delle aziende e comunicazione strutturata presso il mondo produttivo, ha trovato una fonte stabile di finanziamento attraverso risorse del Fondo Sociale Europeo messe a bando dal Settore Lavoro e Formazione della Provincia. La firma del protocollo d’intesa e il reperimento delle risorse sono i primi passi lungo un percorso che dovrà adesso essere sperimentato per dare risposte concrete alle detenute, ma anche a i detenuti del carcere pisano. 

Pesaro: il rapporto di Antigone, "carcere sovraffollato"

 

Corriere Adriatico, 26 febbraio 2005

 

Notizie dal carcere. La società dei "liberi" si avvicina alla realtà che si muove dietro le sbarre. Una realtà "opaca". Così la descrive il coordinatore nazionale di Antigone Patrizio Gonnella che ha reso noti i dati emersi dalla ricerca sulle carceri italiane negli anni 2003-2004 nel corso della conferenza stampa svoltasi ieri nella sala del Consiglio comunale. Presenti l’assessore alle Politiche sociali Marco Savelli, la referente di Antigone per la Regione Marche Monia Caroti e Antonella Ciccarelli, una delle responsabili di IRS L’Aurora, la cooperativa che dal ‘98 gestisce Casa Paci, la struttura pesarese, centro di accoglienza per detenuti.

È stato presentato il libro "Antigone in carcere, terzo rapporto sulle condizioni di detenzione", frutto dell’impegno dell’associazione Antigone, il primo Osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione. Un’associazione nata nel 1990 che vede impegnati in prima linea "per i diritti e le garanzie nel sistema penale" operatori di giustizia, studiosi, parlamentari e cittadini. Nella realtà pesarese Casa Paci rappresenta "un ponte tra carcere e società - spiega la Ciccarelli - in cui si accolgono ex detenuti, quelli sottoposti a misure alternative o in permessi premio". Una struttura fortemente voluta e sostenuta dal Comune di Pesaro e Caritas.

"Il Comune - precisa Savelli - ha rimesso in discussione l’extraterritorialità del carcere. È da circa vent’anni che si stanno facendo sforzi per far sì che quella realtà non sia estranea al contesto territoriale. La nostra è un’attenzione profonda e politica verso un mondo che tende a rimanere separato". La casa circondariale pesarese può essere definita "un’isola felice - dice Monia Caroti - ma presenta ugualmente i problemi riscontrati a livello nazionale: sovraffollamento, carenza e impreparazione del personale, difficoltà di comunicazione con stranieri, problema della salute dei carcerati". 

Tibet: appello per la liberazione dei buddisti in carcere

 

Asca, 26 febbraio 2005

 

Un appello a tutti i cittadini dei paesi liberi perché "ci aiutino a liberare tutti i tibetani ancora in carcere". Lo ha lanciato Ngawang Sangdrol, monaca buddista condannata a 21 anni di carcere, per aver inneggiato alla libertà del suo paese. La Sangdrol, liberata dopo una iniziativa di pressione internazionale, è oggi a Firenze per ricevere la cittadinanza onoraria.

La monaca ha raccontato le torture a cui vengono sottoposti i prigionieri nelle carceri del Tibet: si va dal bastone elettrico alle ferite procurate con vetri rotti, dall’obbligo di tenere a lungo le mani dentro il ghiaccio all’essere legati con corde e sollevati da terra. Il peggio però, ha spiegato Sangdrol, viene dopo il rilascio.

Una volta "liberi", infatti, i monaci non possono tornare al loro monastero e nemmeno entrare in un tempio per pregare. Neanche i parenti possono aiutare gli ex-detenuti, perché sarebbero considerati collaborazionisti. Il presidente del consiglio comunale di Firenze Eros Cruccolini, che questa sera consegnerà la cittadinanza onoraria alla monaca tibetana, ha sottolineato che "la decisione dell’assemblea di Palazzo Vecchio ha contribuito alla liberazione di Ngawang Sangdrol" e ha aggiunto che "Firenze è una città operatrice di pace e il fatto che sia stata liberata significa che le istituzioni hanno ancora un peso importante per far rispettare i diritti umani".

Iran: 14 anni di carcere per un "blog" anti-governativo

 

Punto Informatico, 26 febbraio 2005

 

Succede in Iran, paese che avrà un ruolo importante al prossimo Summit Onu sulla Società dell’informazione. Il giovane blogger aveva osato criticare il regime. Non si smentisce la linea dura del regime iraniano contro la libera espressione tanto più quando prende corpo in rete, dove è più difficile contenere la pubblica opinione dall’esprimersi. E accade così che in Iran un giovane di 28 anni possa essere condannato per direttissima a 14 anni di carcere per essersi espresso con troppa libertà in rete. Arash Sigarchi, che scriveva i propri pensieri su un sito non più raggiungibile www.sigarchi.com/blog/, aveva criticato la scelta delle autorità di arrestare altri blogger. Lo scorso dicembre, come si ricorderà, Teheran aveva provveduto all’arresto di cinque persone, tutti colpevoli di aver parlato troppo. La pesantissima pena inflitta a Sigarchi trova la sua giustificazione nelle ragioni ufficiali citate nella sentenza, che comprendono cospirazione contro la sicurezza nazionale, spionaggio e vilipendio dei leader iraniani. Ad aggravare la sua posizione anche il fatto che l’anno scorso era stato arrestato dopo aver pubblicato on line le foto di una manifestazione di protesta inscenata dai familiari di vittime del regime, persone che nel 1989 erano state giustiziate da Teheran. Ma se è ovvio che organizzazioni come Reporters sans frontieres stiano ora cercando di sollevare rumore attorno a questo caso, con l’aiuto peraltro di numerosi blogger che fanno circolare un banner pro-Sigarchi (qui a lato), appare invece in tutta la sua evidenza la scelta del regime di Teheran di estendere alla rete il pugno di ferro con cui da sempre tratta la stampa e più in generale i mezzi di comunicazione. La condanna di Sigarchi rappresenta anche un deterrente contro altri blogger che volessero utilizzare i propri spazi web per rendere pubbliche le proprie opinioni su certi temi politici.

Una realtà, questa, che fa a pugni con il ruolo centrale che proprio l’Iran, come peraltro anche la Cina, giocheranno in Tunisia, un altro paese che censura la rete e che ospiterà come noto il secondo round del WSIS, il Summit sulla Società dell’informazione voluto dall’ONU. A fare il punto sulla protesta è tra l’altro il blog Committee to Protect Bloggers che espone anche il banner pro-Sigarch. 

Iraq: uccise uomo disarmato in una moschea, marine assolto

 

Il Mattino, 26 febbraio 2005

 

Un soldato americano che fu filmato mentre uccideva a freddo un iracheno disarmato in una moschea di Falluja, non sarà incriminato: la procura militare ha ritenuto che non ci siano prove sufficienti per farlo. Il fatto accadde il 13 novembre e fu ripreso da un operatore della Nbc.

L’inchiesta militare ha concluso che il soldato non poteva sapere se l’uomo, che era avvolto in una coperta, era disarmato o no. Le immagini, dopo quelle delle torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib, avevano provocato indignazione nel mondo e, negli Usa, un dibattito sulle regole di ingaggio dei soldati in Iraq. 

Catania: "Libertà dietro le sbarre", libro Cannavò tradotto in braille

 

La Sicilia, 26 febbraio 2005

 

L’Unione italiana ciechi ha deciso di far tradurre in braille "Libertà dietro le sbarre", l’ultima fatica letteraria del giornalista Candido Cannavò (foto a fianco). Il testo, che sarà distribuito in tutt’Italia, sarà ufficialmente presentato alle autorità (tra le quali il prefetto Anna Maria Cancellieri, l’arcivescovo Salvatore Gristina, l’assessore regionale al Welfare Raffaele Stancanelli, giornalisti ed esponenti della cultura cittadina) dal direttore dell’emittente televisiva Telecolor, Nino Milazzo. L’incontro è previsto per lunedì prossimo, 28 febbraio, alle 17,30 nella biblioteca della stamperia braille dell’Unione italiana ciechi, in via Nicolosi.

L’Uic non è nuova a queste iniziative: trascrive libri scolastici, giornali e testi di cultura ponendosi al primo posto in Italia in termini di produzione e di qualità e offrendo ai non vedenti quella facoltà di leggere che rappresenta uno dei presupposti di quel processo d’integrazione cui mira da ottantaquattro anni la stessa Unione ciechi.

Candido Cannavò, notissimo giornalista di casa nostra, dopo aver rivestito il ruolo di caposervizio nel nostro quotidiano, è stato per lunghi anni direttore della "Gazzetta dello Sport", giornale con il quale continua a collaborare, oltre che con i più quotati giornali italiani, dedicandosi nel medesimo tempo alla stesura di libri di gran successo.

Tra questi ultimi, per l’appunto quello che descrive, senza retorica e al di là di ogni pregiudizio, le storie, i conflitti interiori, le speranze e i sogni emersi dai colloqui diretti con i reclusi del carcere milanese di San Vittore: tutte testimonianze e fatti di vita ma soprattutto esempi che, come sottolinea nella prefazione del libro stesso il cardinale di Milano, Giacomo Tettamanzi, "spingono a guardare con occhi diversi la realtà del carcere non solo come luogo di pena, ma soprattutto come luogo di riscatto e di cambiamento di vita".

Cannavò, definito dal direttore de Il Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, "simbolo forte e appassionato del nostro giornalismo", ha insomma saputo cogliere da par suo spunti, segnali e descrizioni di un mondo complesso e articolato segnato, sì, dal dramma del male e dal peso della reclusione, ma anche dal tentativo di riemergere prima o dopo nella libertà e all’insegna di una ritrovata correttezza, dignità e onorabilità: ed è appunto tale impostazione a fare guardare al carcere con maggiore comprensione e rispetto anche quando l’autore, nel suo viaggio, s’intrattiene a descrivere le confidenze e le confessioni nei reparti dove le storie di efferatezza e di turpitudini raggiungono gli abissi più profondi. "Il lungo faticoso cammino di riscatto e d’integrazione dei non vedenti - ha affermato il presidente regionale dell’Uic, avv. Giuseppe Castronovo - vuole da sempre esaltare il diritto e il dovere di ogni uomo di essere considerato e rispettato per aspirare sempre alla propria crescita e al proprio miglioramento. "Con questo scopo - ha concluso Castronovo - la stamperia regionale braille, grande conquista culturale e sociale dei ciechi, promuove la trascrizione di testi che hanno alti contenuti di solidarietà e di speranza".

Torino: proposta di legge per garante regionale dei detenuti

 

Agenzia Radicale, 26 febbraio 2005

 

Durante la seduta odierna del Consiglio Regionale del Piemonte, Bruno Mellano e Carmelo Palma (consiglieri regionali radicali) hanno raccolto le firme di altri colleghi a sostegno della loro proposta di legge su "Istituzione dell’Ufficio del Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale".

Hanno firmato: Antonello Angeleri e Rosa Anna Costa (Udc); Giuliana Manica e Marisa Suino (Ds, la prima capogruppo); Valerio Cattaneo e Cristiano Bussola (Forza Italia, il primo capogruppo); Pino Chiezzi (capogruppo Comunisti Italiani); Rocco Papandrea e Mario Contu (Rifondazione Comunista, il primo capogruppo); Giovanni Caracciolo (capogruppo Sdi); Marco Botta (capogruppo An); Domenico Mercurio (capogruppo Per il Piemonte); Giancarlo Tapparo (gruppo misto); Enrico Moriconi (capogruppo Verdi); Mino Taricco e Rolando Picchioni (Centro per il Piemonte – Popolari, il primo capogruppo); Roberto Vaglio e Giacomo Rossi (Federalisti Liberali-AN, il primo capogruppo); Alessandro Di Benedetto (capogruppo Riformisti-DL-La Margherita); Costantino Giordano (capogruppo I Democratici-L’Ulivo).

Bruno Mellano (primo firmatario) e Iolanda Casigliani (Associazione Detenuto Ignoto, ideatrice della proposta) hanno dichiarato: "Sulla scorta delle 120 visite ispettive compiute in questi cinque anni nelle carceri piemontesi, siamo riusciti, in zona Cesarini, ad incardinare l’iter di una proposta di legge che ha ricevuto il sostegno della stragrande maggioranza del Consiglio Regionale. I firmatari hanno condiviso con noi l’esigenza di creare una figura istituzionale che in modo continuativo si occupi della tutela dei diritti dei circa 4.700 cittadini detenuti nelle 13 carceri piemontesi. Un difensore civico particolare, controllato dal Consiglio Regionale (a cui dovrà presentare ogni anno una relazione sulle attività svolte), dotato di mezzi finanziari adeguati (500.000 euro annui) ma non tali da trasformarlo in un’ennesima burocrazia. Spiace dover rilevare che questa piccola riforma di civiltà non sia stata condivisa dagli esponenti della Lega Nord; i loro slogan su "ordine e sicurezza" non sono inconciliabili con l’istituto del difensore civico, tanto è vero che le uniche due regioni in cui finora è stato istituito sono il Lazio di Francesco Storace e la Lombardia (la legge è stata approvata ieri) di Roberto Formigoni.

Era stata solo la Lega Nord ad opporsi alla nostra richiesta di inserire l’istituto del Garante alle carceri nel nuovo Statuto Regionale; ci auguriamo che, nell’ultima settimana che rimane prima della chiusura dei lavori del Consiglio, la Lega muti il suo atteggiamento; l’istituzione del Garante potrebbe essere l’ultima legge approvata in questa legislatura; sarebbe un bel modo di passare le consegne al prossimo Consiglio regionale".

Radicali: libertà per 60 bambini rinchiusi nelle carceri italiane

 

Agenzia Radicale, 26 febbraio 2005

 

Dichiarazione di Salvatore Ferraro, membro della Giunta di Radicali Italiani: "60 bambini (età non superiore a tre anni) stanno trascorrendo dentro una galera italiana il loro tempo più significativo, delicato e costruttivo. 60 "Colpevoli nati", ingeriti dal sudicio labirinto intramurario, col suo carico di degrado igienico, normativo, burocratico. "Colpevoli nati" in quanto figli di donne più volte condannate (per reati, però, di non particolare gravità sociale), figli, quasi tutti, di donne extracomunitarie.

La legge 8 marzo 2001 n. 40, il civilisissimo dettato normativo predisposto dall’on. Finocchiaro sta per entrare al suo quarto anno di vita ma i risultati a cui doveva approdare non si sono visti. La legge era sincera, illuminata, tesa a smantellare dal nostro paese "l’assoluta vergogna" di cui sopra. Sono mancate ancora le premesse di fatto, gli strumenti applicativi, le decisioni di alcuni giudici. È stata presente, al contrario, lo stato di assoluta indigenza delle ree che non ha permesso l’applicazione, per esempio, di misure alternative.

Occorrerebbero, pertanto, scelte più coraggiose e drastiche. La presenza di 60 bambini in carcere è qualcosa che travalica qualsivoglia ragionamento giuridico o posizione ideologica. È solo un’aberrazione da cancellare nel più breve tempo possibile. E bisogna farlo subito.

Radicali: con la "ex-Cirielli" il Governo è sulla strada sbagliata

 

Agenzia Radicale, 26 febbraio 2005

 

Dichiarazione di Irene Testa, membro della giunta di Radicali Italiani e segretario dell’associazione radicale "Il Detenuto Ignoto": "Ci auspichiamo che qualcuno adesso esamini e discuta anche il resto della legge ex-Cirielli, ovvero gli articoli che comminano aumenti di pena ai recidivi. Se esiste una direzione per la gestione delle pene che si è delineata ed è raccomandata da chiunque istituzionalmente vigili sullo stato dei diritti umani all’interno delle prigioni italiane, salta all’occhio come il disegno di legge in questione vada nella direzione esattamente opposta, vanificando le positive innovazioni apportate dai provvedimenti Gozzini e Smuraglia, escludendo di fatto qualsiasi trattamento di riabilitazione e rieducazione per i detenuti recidivi, circa l’80% della popolazione carceraria odierna. È in sostanza il trionfo di una concezione esclusivamente affittiva della pena.

Si potrebbe a questo punto ridere, se non ci fosse invece di che piangere, quando si apprende che il Governo intenderà disporre di un nuovo carcere modello la cui gestione sarà affidata alla comunità di San Patrignano, per far fronte alla criminalizzazione di circa 5milioni di cittadini "tossicodipendenti", diretta conseguenza, l’unica di sicuro prevedibile della prossima applicazione della legge Fini in materia di stupefacenti". 

Pisa: Adriano Sofri in permesso per serata dedicata a Gaber

 

Ansa, 26 febbraio 2005

 

Ci sarà anche Adriano Sofri alla serata di beneficenza "L’illogica allegria - Per Gaber senza Gaber" al Verdi di Pisa il 28 febbraio. Sofri ha ottenuto il permesso premio per questa particolare occasione visto che lui stesso ha contribuito a creare lo spettacolo. La manifestazione è in favore dei detenuti del carcere don Bosco di Pisa. Sofri conosceva Giorgio Gaber e il loro ultimo incontro risale al febbraio 2001 quando il cantautore si recò in visita in carcere a trovarlo.

Ragusa: concerto del coro "Mariele Ventre" per i detenuti

 

La Sicilia, 26 febbraio 2005

 

Forse un pubblico così attento e caloroso i ragazzi del coro "Mariele Ventre" di Ragusa non l’avevano mai avuto. Per una volta ad applaudire non c’era un pubblico fatto di genitori, parenti e semplici cittadini, ma i detenuti della casa circondariale di Ragusa. Un regalo, nell’ambito dell’iniziativa "Fai un regalo alla tua città", che l’associazione-coro di Ragusa ha voluto donare proprio ai detenuti che vivono nell’impossibilità di assistere ad iniziative di spettacolo e culturali se non per le sporadiche attività che vengono organizzate durante l’anno. Questa è stata una tra le più riuscite. I bambini erano molto curiosi e trepidanti e alla fine hanno vinto l’emozione di cantare dentro un carcere.

Il successo non è mancato anche perché il teatro all’interno della casa circondariale era stracolmo, segno che l’iniziativa è stata molto apprezzata. "Un momento davvero molto emozionante e forse è stato uno tra gli spettacoli più belli del nostro coro - spiega Giovanna Guastella, direttrice del Coro Mariele Ventre di Ragusa - Gli ospiti della casa circondariale hanno seguito con la massima attenzione e con un grande calore la nostra esibizione.

Alla fine occhi lucidi per tutti, bimbi, genitori e detenuti. Non ci siamo sentiti all’interno di un carcere, ma in un teatro dall’atmosfera magia, dove il rapporto artisti-pubblico è stato davvero esaltante ed unico". I piccoli coristi del Mariele Ventre hanno cantato un repertorio della canzoni dell’Antoniano ma anche pezzi di musica leggera e antiche musiche siciliane. Di particolare effetto l’esibizione del piccolo Mario Scucces, finalista all’ultima edizione del festival dello Zecchino d’oro.

Como: Sonia Caleffi denuncia un agente "mi ha violentato..."

 

La Provincia di Como, 26 febbraio 2005

 

Un agente della polizia penitenziaria del Bassone è stato iscritto sul registro degli indagati con l’ipotesi di violenza sessuale ai danni di Sonya Caleffi, l’infermiera 34enne arrestata il 14 dicembre scorso, rea confessa di aver soppresso 5 pazienti del Manzoni di Lecco e indagata per più di altri 20 decessi in vari ospedali e case di cura lariane.

L’episodio, avvenuto negli ultimi giorni di permanenza della donna al settimo piano del Sant’Anna - dove scontava i domiciliari: tre settimane fa venne poi trasferita a Castiglione delle Stiviere - risale a fine gennaio, ma è stato svelato dalla Caleffi stessa ai periti psichiatrici solo in apertura dei test, il 15 febbraio scorso.

Ai sette medici chiamati a valutare la sua capacità di intendere e volere al momento della commissione dei reati (cioè nell’autunno scorso), la Caleffi si è presentata con questo ennesimo colpo di scena: "Prima di iniziare voglio dirvi che sono stata violentata da un poliziotto della scorta" ha dichiarato l’infermiera, corredando poi di date e circostanze l’episodio.

Che, stando alla versione subito passata sul tavolo del sostituto procuratore Vittorio Nessi, sarebbe avvenuto una notte, quando la detenuta era - come al solito - in compagnia di due agenti incaricati di vegliarla e prevenirne tentativi di suicidio; rimasta in stanza con un solo poliziotto - l’altra si era assentata per un caffè e urgenze personali - la Caleffi sarebbe stata costretta a subire l’assalto dell’uomo, che nel frattempo aveva provveduto a chiudere a chiave la porta alle sue spalle.

L’infermiera nei verbali depositati in procura ha poi aggiunto di non essere riuscita a ribellarsi all’attività richiestale perché in preda a un terrore totale, lo stesso che le avrebbe poi impedito di parlare del fatto per più di due settimane, e solo in presenza di medici.

È superfluo sottolineare che, alla luce della personalità confusa della donna, dei suoi omicidi confessati e del suo stato di prostrazione morale, gli inquirenti stanno valutando con molta prudenza il racconto. Dal riserbo investigativo, più che mai necessario, emergerebbe che non sono stati trovati riscontri chiari, oggettivi e univoci a sostegno della turpe vicenda, del resto quasi impossibili da individuare, con una distanza di più di 15 giorni tra fatto e denuncia.

No comment dei difensori della Caleffi, Renato Papa e Claudio Rea, che invece hanno deprecato la fuga di notizie. Il poliziotto, in qualsiasi caso, rischia gravi complicazioni lavorative. La Caleffi solo di confondere ulteriormente chi la deve giudicare, medici e magistrati. 

Bergamo: mediazione penale, la giustizia anche senza giudici

 

L’Eco di Bergamo, 26 febbraio 2005

 

La mediazione penale sarà applicata ai casi meno gravi. Chi commette il reato si impegna a "riparare" Caritas in campo: partita la formazione di 12 volontari. Don Balducchi: l’accordo tra le parti non si basa sulla pena. Far incontrare gli autori dei reati con le loro vittime e aiutare le due parti, con l’aiuto di un soggetto neutrale, a raggiungere un accordo riparatorio. È l’obiettivo della mediazione penale, un modo molto particolare di amministrare la giustizia che, già sperimentato con buoni risultati in Italia e in Europa, presto approderà anche a Bergamo sotto l’impulso della Caritas, che a questo scopo ha già avviato un percorso di formazione per un gruppo di 12 volontari e punta ad aprire il primo ufficio di mediazione penale già dal prossimo autunno.

La mediazione penale si basa sul concetto di "giustizia riparativa", che cerca di superare la logica del castigo e considera il reato non soltanto come un illecito commesso contro la società, o come un comportamento che incrina l’ordine costituito e richiede una pena da espiare, ma come un comportamento dannoso e offensivo in sé, che può provocare alle vittime privazioni e sofferenze e che richiede da parte del reo una riparazione del danno provocato.

"Con la mediazione penale - spiega don Virgilio Balducchi, responsabile del progetto per la Caritas - si cerca di risolvere il conflitto tra il reo e la parte offesa nell’ambito dei reati meno gravi, facendoli partecipare attivamente e a titolo volontario ad un confronto davanti ad una terza persona imparziale, un mediatore: dal loro incontro, anziché al castigo e alla pena, si cerca di arrivare ad un accordo riparatorio, dove l’autore del reato può decidere di rimediare al danno procurato. Può farlo sia materialmente, per esempio con un risarcimento economico, sia simbolicamente, magari attraverso una prestazione gratuita a favore della vittima o della collettività. Ma nell’incontro potrebbe succedere anche che la vittima decida di perdonare il reo senza alcuna riparazione".

In questi mesi la Caritas sta già formando i futuri mediatori penali: "Abbiamo 12 volontari, tra cui avvocati, educatori e operatori Caritas, che stanno seguendo un corso di formazione della durata di 160 ore che finirà a luglio. Al termine del percorso formativo prenderemo contatti con le istituzioni per intraprendere anche a Bergamo la mediazione penale, una strada che è prevista dalla legge italiana e riconosciuta dal Consiglio d’Europa e dalle Nazioni Unite, ma che non ha ancora preso piede e deve conquistarsi spazio".

A tenere il corso di formazione, docenti universitari che hanno già partecipato all’ufficio di mediazione penale di Milano, che è partito nel 1998 nell’ambito della sola giustizia minorile e che prossimamente si aprirà anche agli adulti, diventando un punto di riferimento regionale: "A Bergamo - prosegue don Balducchi - la sperimentazione della mediazione penale riguarderà già dall’inizio gli adulti e l’ufficio sarà aperto a chiunque ne avrà la necessità. L’obiettivo è quello di affermare una strada diversa per la giustizia, una strada dove il castigo passa in secondo piano rispetto all’accordo tra le due parti: un percorso riparativo, più che punitivo, ma ugualmente in grado di garantire la giustizia". "Di fronte al male - aggiunge don Balducchi - si utilizzano gli strumenti del bene".

La mediazione penale riguarda solo i reati meno gravi, quelli che oggi sono di competenza del giudice di pace, come il reato di ingiuria, diffamazione, deturpamento e imbrattamento di cose altrui, o furti punibili a querela dell’offeso, ma in una seconda fase potrebbe estendersi anche ad alcuni casi di reati più gravi, per esempio quando a un detenuto viene concessa una misura cautelare più lieve ed esce dal carcere, magari in affidamento in prova al servizio sociale: "Per queste persone - spiega don Balducchi - potrebbe aprirsi la possibilità di confrontarsi con le vittime dei loro reati e arrivare ad una riconciliazione, se non ad una riparazione del danno. È un compito difficile, perché in certi casi vorrebbe dire riavvicinare il reo alla vittima dopo tanti anni, e le due parti potrebbero non avere il desiderio di incontrarsi". Uno dei presupposti della mediazione penale, infatti, è la volontarietà: fin dall’inizio, infatti, il reo e la vittima devono scegliere ciò che vogliono fare, e anche la scelta di non partecipare alla mediazione - soprattutto per l’autore del reato - non può comportare conseguenze processuali sfavorevoli. La sperimentazione della mediazione penale a Bergamo fa parte di un progetto più ampio della Caritas, denominato "Poveri, ma cittadini", che ha lo scopo di fornire servizi per garantire anche ai più poveri i diritti di tutti i cittadini, primo tra tutti il diritto alla difesa giudiziaria, per il quale da sette mesi è attivo un gruppo di una decina d’avvocati che si occupa di assicurare la difesa a persone senza fissa dimora che non hanno la possibilità di pagarsi un avvocato o di usufruire del gratuito patrocinio da parte dello Stato.

Siracusa: gli agenti; necessari interventi nel carcere di Augusta

 

La Sicilia, 26 febbraio 2005

 

Verificare lo stato in cui versa la casa di reclusione di Augusta, un sopralluogo è stato effettuato dalla segreteria regionale e dal segretario provinciale del Coordinamento Nazionale Polizia Penitenziaria Massimiliano di Carlo.

"Nel corso della visita - dice il segretario regionale Mauro Lo Dico - diretta ad accertare esclusivamente le condizioni logistiche dei vari luoghi di lavoro, si è avuto modo di osservare che molti di essi necessitano di una manutenzione ordinaria o addirittura speciale, la cui mancata esecuzione pare sia dovuta alla limitatezza dei fondi nel capitolo di bilancio, fermo restando che l’amministrazione solo da pochi giorni sta provvedendo alla bonifica dei cunicoli che erano inaccessibili, al fine di individuare con esattezza l’origine dei problemi persistenti nella struttura".

La segreteria regionale, in una nota inviata ai vertici degli organi competenti, segnala altresì la cronica carenza di organico che produce turni massacranti e un maggiore impegno per il personale, costretto a ricoprire più posti di servizio.

"In virtù della grave carenza- aggiunge- nonostante al momento circa 20 unità siano impiegate in altri istituti, gli effettivi agenti di polizia penitenziaria di Augusta devono ancora fruire di 4.800 giorni di congedo relativi all’anno 2004. La casa penale ha bisogno di un incremento del personale. Sono indispensabili almeno 70 unità per consentire un’adeguata organizzazione nello svolgimento dei servizi istituzionali".

 

 

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