Rassegna stampa 17 febbraio

 

Parola d’ordine: tenerli dentro, articolo di Luigi Manconi

 

L’Unità, 17 febbraio 2005

 

M.G., 44 anni ancora da compiere, è un corpo e una mente che soffrono dietro due iniziali anonime. Ed è una biografia dolente, tra le molte biografie dolenti della sezione "malattie infettive" del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, a Roma. Affetto da Aids, M.G. presenta una serie di patologie croniche, legate a questa sua condizione. Di conseguenza, i sanitari di Rebibbia ne dichiarano, ripetutamente, la "incompatibilità con il regime carcerario".

Con altrettanta regolarità, le richieste di detenzione domiciliare per motivi di salute – secondo quanto previsto dalla legge 231/99 – vengono rigettate dalla Magistratura di Sorveglianza. In tali rigetti, naturalmente, l’ "incompatibilità" non viene messa in discussione: viene enfatizzato, piuttosto, il dato rappresentato dalla "stabilità" della sua condizione, che – non assumendo manifestazioni particolarmente "acute" rispetto ai valori abituali (e abitualmente assai elevati) - resterebbe "stazionaria". E, dunque, tale da non richiedere provvedimenti particolari, come la detenzione domiciliare. Con questa logica, per capirci, anche la condizione di un decapitato rischia di venire considerata stabile. E se l’esemplificazione può risultare macabra, la responsabilità – lo giuro - non è del mio cinismo, ma della cultura di chi decide della libertà e della vita dei reclusi. Della vita, appunto, dal momento che - due settimane fa - la situazione è precipitata e M.G., dopo una forte crisi respiratoria, è stato trasportato d’urgenza al Policlinico Gemelli, nel reparto di rianimazione.

Il suo avvocato, Manuela Lupo, ha fatto richiesta di sospensione della pena per gravi motivi di salute e, a questo punto, l’istanza è stata accolta. Attualmente M.G. si trova in coma farmacologico e le sue condizioni appaiono particolarmente difficili; ed è questa solo l’ultima tappa di una vicenda umana segnata da una successione di traumi sociali, fisici, psichici. M.G. è tossicomane dall’adolescenza, ha avuto una compagna, a sua volta tossicomane e sieropositiva, morta alcuni mesi fa, senza che gli fosse consentito di incontrarla durante la fase terminale della malattia; è affetto, infine, da candidosi esofagea. Esiste una ragione al mondo per cui M.G. debba restare in carcere? Esiste un solo motivo, legato a una qualche esigenza relativa alla tutela della sicurezza collettiva? A una concezione condivisa dell’ordine sociale e del senso della pena? A una idea razionale del diritto e della sua funzione all’interno di un regime democratico? Tra tutto ciò e la sorte di M.G. sembra aprirsi un baratro incolmabile: una divaricazione insuperabile, che divide la legge dai suoi destinatari. E destinatari della legge, suoi "clienti", non sono solo le vittime: sono anche gli autori dei reati. E, infatti, tra le funzioni della pena (la "minima necessaria", secondo gli illuministi) c’è anche quella di sottrarre il reo a punizioni inutili, sproporzionate, illegali. Tre termini che puntualmente definiscono la "sanzione" cui sono stati sottoposti il corpo e la mente di M.G. E questo, nonostante che molti si siano adoperati per dargli una mano: tra essi, Laura Astarita dell’ufficio del Garante dei detenuti del comune di Roma e Angiolo Marroni, Garante regionale dei detenuti.

D’altra parte, s’intuisce facilmente che la situazione di M.G. è tutt’altro che rara. L’uso politico della paura, gli allarmi sociali veri o simulati, la mobilitazione delle angoscie collettive hanno reso il carcere – chi vi sta dentro e, ancor più, chi ne esce – l’immagine plastica e la proiezione paranoide di una fobia diffusa. Dunque, la parola d’ordine egemone (e che ottiene consensi anche nel centrosinistra) é: tenerli dentro. E il più a lungo possibile.

Tenere dentro, ad esempio, B.Z, una donna di 55 anni affetta da "tutti i mali del mondo": per capirci, bronco pneumopatia cronica ostruttiva, mastopatia fibrocistica, prolasso e insufficienza mitralica.

Non solo: "assenza completa del setto nasale osteocartilagineo" e una "breccia ossea sul palato duro", tali da richiedere - secondo i medici - "un intervento ricostruttivo della breccia ossea palatale e della fistola naso-palatale". Nel luglio del 2004, B.Z. è stata sottoposta a operazione chirurgica nell’ospedale San Camillo di Roma, ma - come scrive il dirigente sanitario del carcere - "l’intervento non è andato a buon fine": e si rileva "un notevole peggioramento" sia rispetto alla Tac eseguita nel maggio precedente sia rispetto a quella eseguita dopo l’intervento. Da qui la valutazione che "la struttura carceraria non è in grado di apportare le cure necessarie alla paziente"; da qui l’affermazione che, "pur non essendo la patologia della paziente una patologia quoad vitam" (tale, dunque, da risultare mortale), si debba esprimere "parere di incompatibilità con il regime carcerario". Considerato tutto questo - direte voi, miei piccoli lettori - mettiamola fuori. Beh, non esattamente. Considerato tutto questo, il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato la domanda di differimento dell’esecuzione della pena. Sì, avete letto bene: considerato tutto questo, l’ha rigettata. Così va il mondo.

Un manicomio criminale per minori a Castiglione delle Stiviere

 

Carta, 17 febbraio 2005

 

Il nome esatto è Ospedale psichiatrico giudiziario, ma tutti lo chiamano manicomio criminale. Quel posto lì, insomma, dove sta rinchiuso chi ha ucciso per colpa della follia. Lì dentro esiste da qualche mese, ma nemmeno molti addetti ai lavori lo sanno, un nuovo reparto. Sperimentale: sarà per questo che non l’hanno fatto troppo sapere in giro.

Ci stanno dei ragazzi, prelevati dagli istituti dove scontano le loro condanne. Quel che tutti gli addetti ai lavori sanno bene, invece, è che la legge vieta di rinchiudere dei minori in un ospedale psichiatrico giudiziario. Diciamo allora che, negli ambienti della psichiatria, c’è chi si è parecchio allarmato per questa misteriosa novità. La questione è stata sollevata all’ultimo Forum per la salute mentale. Ha cominciato a circolare.

Tiziana Valpiana, parlamentare di Rifondazione, ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute: Castiglione delle Stiviere è infatti gestito, in base a una convenzione con il ministero della Giustizia, dalla sanità pubblica della Lombardia. Ha risposto il sottosegretario Cesare Cursi: il reparto per i minori è collocato in un’ala separata, "garantendo così la non commistione con gli adulti per tutte le fasi del processo terapeutico".

Risposta insufficiente, ha ribattuto la Valpiana: "È una cosa fuori dalla grazia di Dio. Si tratta di una soluzione inaccettabile e indegna di un paese civile, che non può rinchiudere minori in un ospedale psichiatrico giudiziario. È una collocazione assolutamente inadatta ai minori e tale da precludere ogni speranza di recupero e reinserimento sociale, considerato che i minori, anche quando sono autori di reato e di difficile gestione, hanno bisogno di essere sostenuti all’interno di strutture adeguate a questa finalità". Aggiunge che la sperimentazione - non si sa bene da chi voluta e avviata, e in base a quale ragionamento - le sembra "pericolosa" e figlia "delle spinte giustizialiste del ministro Castelli".

Il reparto sperimentale è un piccolo reparto. Spiega Antonino Calogero, direttore dell’ospedale psichiatrico: "Può ospitare al massimo dieci ragazzi. Ora ne abbiamo quattro. Nei mesi passati, dopo l’avvio in luglio, ce ne sono stati al massimo sei, contemporaneamente. Il reparto è stato ricavato accanto a quello femminile. Non c’è alcuna possibilità di incontro con i degenti adulti, e anche lo staff è diverso: uno psichiatra, uno psicologo, due educatori, un infermiere professionale, undici assistenti". Aggiunge che la sperimentazione "nasce dalla necessità di far fronte ai problemi psichici emergenti fra i minori detenuti". Questa, dice, "è l’ultima ratio, o almeno così ha funzionato".

Come sono stati scelti i ragazzi per il reparto sperimentale? Uno psichiatra che vuole rimanere anonimo dice: "Li hanno convinti dicendo che a Castiglione si sta bene, e che c’è anche la piscina. Poi, una volta verificato che il regime era stretto, sono cominciati i problemi e i tentativi di fuga". Il direttore Calogero dice che sono stati "inviati da Roma su segnalazione dei centri per la giustizia minorile, in base ad alcune caratteristiche della diagnosi, delle motivazioni, del percorso". Il sottosegretario Cursi specifica nella sua risposta all’interrogazione dell’onorevole Valpiana: "La comunità ha accolto sino ad oggi complessivamente otto minori che hanno riscontrato disturbi della personalità di tipo borderline (due minori), disturbi di grave condotta (due, di cui uno associato a ritardo mentale), disturbo antisociale (uno) e schizofrenico (uno), nonché portatori di disturbo di personalità aranoide a (uno), e un minore con diagnosi da definire". Il corsivo è nostro:forse non sono andati per il sottile.

Quello che non dice è che, verosimilmente, si tratta in grande maggioranza di ragazzi con problemi di tossicodipendenza. Questa è la realtà delle carceri minorili ( e di quelle dei grandi, peraltro). Problemi che, di norma, si affrontano all’interno delle comunità e non certo degli ospedali psichiatrici. I "disturbi di grave condotta" e i "disturbi antisociali" sono pane quotidiano negli istituti, ma nessuno aveva mai pensato di curarli con l’isolamento. Nessuno che, ovviamente, non si ponesse innanzitutto l’obiettivo del contenimento, dell’ordine da mantenere. Questi di Castiglione delle Stiviere sono tutti ragazzi segnalati dai centri di giustizia minorile, dice il direttore. Chissà quali. Da queste parti nessuno lo sapeva.

Non sapeva della sperimentazione Livia Pomodoro, presidente del Tribunale per i minori di Milano. Non sapeva Emilio Quaranta, procuratore dei minori di Brescia. Cade dalle nuvole anche don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile milanese Beccaria: "Qui da noi, come altrove, se ci sono ragazzi con problemi psichici, si provvede con il trattamento interno. È una cosa assolutamente nuova che si pensi a una struttura apposita: in 32 anni che faccio questo mestiere non ne ho mai sentito parlare. Sono molto preoccupato, perché si sa che, fatto un ospedale, si trovano poi i malati".

Che il problema esista, questo è certo: c’è un grosso aumento di malattie psichiche fra i ragazzi degli istituti, soprattutto fra gli stranieri che sono la maggioranza. Quello che a molti pare incredibile è che, una volta deciso di creare una struttura nuova e sperimentale ad hoc, la si piazzi dentro al manicomio criminale. "Tutta la cosa è assai poco chiara - dice l’onorevole Valpiana - e vogliamo verificare bene. Come mai si presta una struttura sanitaria per adulti a un progetto securitario, per ragazzi che hanno soprattutto bisogno di recupero? Resta poi un fatto: a norma di legge quei ragazzi non dovrebbero stare lì". Un gruppo di parlamentari di Rifondazione andrà quanto prima a visitare il nuovo reparto sperimentale.

Il divieto di legge è, diciamo così, aggirato dalla spiegazione che il reparto sarebbe totalmente separato da quelli che ospitano adulti. Ma sulla questione la risposta del governo lascia qualche dubbio: si dice il "processo terapeutico" assicura la "non commistione". Ma poi si accenna a "circolazione negli spazi comuni" e di "partecipazione alle attività". C’è poi un passaggio curioso: "Il collocamento in comunità specialistiche, in grado di accogliere minori particolarmente difficili soggetti a misure penali, deve tendere ad evitare processi di etichettamento". E per tenersi ben lontani da "processi di etichettamento" si prendono dei ragazzi e li si manda dentro al manicomio criminale. Si punta al loro reinserimento isolandoli, nel bel mezzo di una struttura di cura e contenimento per adulti. Perché poi, a parte le considerazioni professionali, bisogna anche pensare agli effetti giù in basso, dalla parte degli "ospiti": "Mio figlio l’hanno mandato a Castiglione delle Stiviere", o anche "Stai un po’ più tranquillo, o ti mando a Castiglione delle Stiviere".

Ivrea: muore detenuto tunisino, un suo insegnante ci scrive…

 

Ristretti Orizzonti, 17 febbraio 2005

 

Lunedì scorso è morto il cittadino tunisino Mohammed Gasmi, detenuto nel carcere di Ivrea. Era prossimo alla scarcerazione. Da anni soffriva per disturbi da disfunzioni ghiandolari e bastava incontrarlo per rendersi conto del suo malessere e che le sue condizioni non erano compatibili con la detenzione. È stato mio allievo. Voglio parteciparvi il mio dolore e il dispiacere per non aver saputo fare qualcosa.

 

Armando Michelizza

Intervista a Antonio Maria Costa, vice segretario generale Onu

 

Giustizia.it, 17 febbraio 2005

 

Antonio Maria Costa, direttore dell’ufficio Onu contro la droga e il crimine incontra oggi i detenuti e gli operatori dell’istituto penale minorile di Nisida. Accompagnano il rappresentante Onu il capo dipartimento per la Giustizia minorile, Rosario Priore, il direttore per la Campania e il Molise Sandro Forlani e il direttore di Nisida Gianluca Guida.

 

Lei arriva a Napoli il giorno dopo la firma del Memorandum di intesa tra Onu e Dna in materia di lotta alla droga e alla criminalità. Con quale intento incontra oggi i ragazzi della scuola Galileo Ferraris e quelli dell’istituto di Nisida?

Con spirito estremamente costruttivo. È una ricognizione per saperne di più. Vado ad apprendere le circostanze che hanno creato un fenomeno, quello della droga, che è preoccupante per questa città; vado a portare la solidarietà ai giovani sia delle scuole che delle carceri, per imparare le cause e i fenomeni di questo problema in Italia.

 

Ha esplorato altre realtà minorili oltre a quella italiana?

Questa visita rientra in un modello di accertamento della realtà di diversi paesi, ed è una cosa che svolgiamo da molti anni. Credo di esser stato nelle carceri più importanti di quasi tutte le nazioni con le quali noi lavoriamo frequentemente.

 

Obiettivo?

Dal punto di vista legislativo, quando le Nazioni unite fanno convenzioni con altri paesi, la conoscenza di queste realtà è sempre molto utile per elaborare modelli operativi ad hoc.

 

Modelli operativi riferiti, quindi, anche ai minori?

Questa mattina parlerò con una scolaresca per capire la realtà giovanile di Napoli e il coinvolgimento - che riguarda tutto il mondo giovanile - con il problema della droga, che comprende tossicodipendenza, spaccio e così via. È importante parlare con loro perché è la fascia di età più vulnerabile. E con lo stesso intento parlerò nel pomeriggio ai giovani detenuti di Nisida.

 

Quanto è importante l’opera di prevenzione?

Moltissimo. È importante parlare dei temi della lotta allo spaccio, alla camorra e alla tossicodipendenza perché bisogna coinvolgere la società nella sua totalità, in maniera orizzontale: il mondo della scuola, del lavoro, dei media devono fare la loro parte perché questi problemi non possono essere risolti solo dagli organi repressivi come la DNA e le forze di polizia.

Droghe: stranieri; alcool tra i sudamericani, cannabis tra i maghrebini

 

Redattore Sociale, 17 febbraio 2005

 

Sintomo di esclusione sociale o retaggio di altre culture? Il consumo di sostanze psicotrope (alcol, tabacco e stupefacenti) da parte degli immigrati è un fenomeno ancora poco studiato nel nostro Paese tuttavia in aumento. Il ricercatore Daniele Cologna, esperto di flussi migratori per la società di consulenza e ricerca sociale Synergia di Milano e mediatore culturale, ha proposto una doppia chiave di lettura per interpretare questa realtà poco conosciuta.

Ad una prima analisi il consumo di sostanze da parte degli immigrati può essere considerato come parte della quotidianità del migrante prima di lasciare il Paese d’origine. Giunto nel Paese d’immigrazione, lo straniero può quindi intensificare il consumo di sostanze fino a diventarne dipendente (come accade per il consumo di hashish da parte dei magrebini originari delle grandi città) oppure attenuarlo (come il consumo di qat da parte degli immigrati eritrei e somali). Dall’altro lato il consumo di sostanze può apparire, o trasformarsi in modo significativo, una volta giunti nel contesto d’immigrazione: è il caso del consumo moderato di alcolici da parte di alcuni musulmani (effetto del processo d’integrazione nella società locale), del consumo di droghe sintetiche, cocaina e derivati della cannabis (come forma di integrazione per inserirsi nel gruppo dei pari) e del consumo ricreativo-sociale di alcolici che diventa alcolismo cronico. Abbiamo chiesto a Cologna di illustrarci meglio le dinamiche sociali e le tendenze del fenomeno.

 

Quali sono le sostanze più consumate dai giovani delle comunità straniere?

"Il consumo di alcol riveste un ruolo predominante (secondo un rapporto dell’Asl di Milano, nel 2003 il 12% degli utenti dei Nuclei operativi alcologia era straniero, ndr): la maggior parte dei ragazzini che seguo (cinesi, filippini, ecuadoriani, egiziani e peruviani) prediligono in particolare la birra. Sulla diffusione del consumo di sostanze stupefacenti si sa ancora poco".

 

Il consumo di sostanze da parte degli stranieri è assimilabile a quello degli italiani?

"Credo che determinati comportamenti sociali, con conseguente consumo di sostanze, col tempo tenderanno a passare dai consumatori italiani a quelli stranieri. Per esempio, nei luoghi di aggregazione giovanile ad alta frequentazione si può verificare una sorta di colonizzazione del mercato di consumatori stranieri da parte dei pusher italiani. Tuttavia, per ora ci sono ancora differenze abbastanza importanti. La comunità latinoamericana di origine andina, per esempio, tende a concentrare il consumo di alcool nel fine settimana, con una regolarità che non si riscontra nei consumatori italiani. I latinoamericani associano il consumo di alcol alla socializzazione nel tempo libero, così come per i giovani italiani l’idea dello sballo è più legata alla frequenza della discoteca. Ma la comunità che riserverà maggiori sorprese sarà quella cinese. Se da un lato alcuni di loro stanno iniziando ad andare spesso in discoteca, assumendo comportamenti di svago assimilabili a quelli dei coetanei italiani che potrebbero indurli ad un più intenso consumo di stupefacenti, nello stesso tempo altri giovani cinesi sono del tutto avulsi dal consumo di qualsiasi tipo di sostanza".

 

Il consumo di droga tra gli stranieri è un fenomeno diffuso anche tra gli adulti?

" Anche qui bisogna distinguere tra i diversi gruppi etnici di appartenenza. Per esempio, il consumo di cannabinacei da parte dei giovani magrebini è un’abitudine che può essere già stata appresa nelle città del Paese d’origine, dove la comunità adulta ha sdoganato il consumo di queste sostanze, che in qualche caso viene considerato addirittura un rito di passaggio all’età adulta. Analogo discorso si può fare per il consumo di alcool da parte dei latinoamericani, nelle cui comunità sono soprattutto gli adulti ad abusare di alcol. Per quanto riguarda gli stranieri cinesi poi, l’abuso di alcool riguarda solo alcuni adulti isolati. La loro comunità accetta chi beve ai banchetti o alle feste, molto meno chi lo fa a casa propria: tra i cinesi l’alcolista è ritenuto un fallito".

 

La precarietà delle condizioni economiche può spingere verso il consumo di sostanze di qualità scadente, quindi ancor più pericolose?

Ritengo che la carenza di disponibilità economica sia uno dei fattori che spinge proprio verso il consumo di alcool. Basti pensare alle numerose donne dell’Europa dell’est che consumano molti prodotti alcolici fatti in casa, con gravi conseguenze per la loro salute".

 

Perché il consumo di sostanze da parte degli stranieri è un fenomeno ancora poco studiato?

"Ci sono due ordini di motivi. Prima di tutto studiare i modelli di consumo di sostanze da parte degli immigrati comporta una ricerca sul campo, con importanti investimenti in termini di tempo e di risorse. In secondo luogo, per molto tempo questo fenomeno è stato considerato come poco incisivo. La maggior parte degli immigrati, infatti, è tutta gente che lavora moltissimo e l’abuso di sostanze confligge con i progetti migratori delle persone e agli ideali ad essi collegati. Tuttavia, con l’aumentare degli anni di permanenza nel contesto immigratorio, il consumo di sostanze assume dimensioni più rilevanti".

Droghe: Carlesi; necessario intervento urgente del legislatore

 

Redattore Sociale, 17 febbraio 2005

 

A seguito della sentenza di assoluzione di Marco Pannella accusato, insieme ad altri, di detenzione di hashish a fini di cessione:, Nicola Carlesi, Capo del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ha sottolineato: "La Corte sembra aver aderito alla tesi della difesa, ovvero che il principio attivo (250 mg. di hashish) era irrilevante per poter essere giudicato dannoso.

La Corte di Cassazione qualche giorno fa, come è noto, ha sentenziato che un chilo e mezzo di cocaina pura, pari ad oltre 10.000 dosi, non è da considerarsi una ingente quantità". Secondo Carlesi queste sentenze dimostrano "che attualmente non ci sono regole certe circa la possibilità di definire il discrimine tra uso personale e spaccio e che, quindi, è necessario un intervento urgente da parte del legislatore".

"Per il resto – conclude - non mi sembra comunque positivo, dal punto di vista educativo e di una efficace prevenzione, assolvere chi distribuisce derivati della cannabis. Una sostanza che, contrariamente ai messaggi troppo tranquillizzanti come quello trasmesso dalla sentenza di oggi, non è comunque priva di effetti negativi per la salute psichica soprattutto degli adolescenti."

Iglesias: domani due parlamentari in visita al carcere

 

L’Unione Sarda, 17 febbraio 2005

 

I parlamentari sardi in visita al carcere di Iglesias. Francesco Carboni (vice presidente del comitato carceri della commissione giustizia alla Camera dei deputati) e Pietro Maurandi (deputato diessino eletto nel Sulcis Iglesiente) faranno tappa domani nella struttura penitenziaria che accoglie un centinaio di detenuti. La visita dei parlamentari arriva dopo le proteste che si sono registrate nelle scorse settimane all’interno del carcere.

Nella struttura che si trova alla periferia della città, lungo la strada provinciale per Villamassargia, circa un mese fa è esplosa la protesta dei detenuti, i quali lamentano una condizione insostenibile. Sono tanti i problemi: dal sovraffollamento alla mancanza di acqua calda e assistenti sanitari. Basti pensare che, a fronte di una capienza di una sessantina di persone, il carcere ne ospita attualmente un centinaio. Non sono soltanto i detenuti a manifestare il loro disappunto.

Proteste sono arrivate anche da parte dei rappresentanti della polizia penitenziaria, i quali lamentano carenze nell’organico che si ripercuotono anche sulla loro attività. Intanto sono rimasti al palo gli appelli lanciati dalla direttrice del carcere che, nei mesi scorsi, aveva invitato gli imprenditori a organizzare attività di lavoro per coinvolgere i detenuti.

Oristano: alla coop. "Il samaritano" passati finora 78 detenuti

 

L’Unione Sarda, 17 febbraio 2005

 

Tosaerba e cesoie in mano, una squadra di operai è già al lavoro. Sole o freddo, loro non si fermano e ogni giorno, da due mesi, curano il verde e la viabilità all’interno della Zona industriale di Oristano. Sono i soci lavoratori della cooperativa "Il samaritano" che, con regolare contratto di lavoro, svolgono il servizio per conto del Consorzio industriale. Un’unione forse un po’ insolita tra la comunità di don Giovanni Usai e l’ente industriale, ma di sicura rilevanza sociale.

Lo scorso novembre è stata firmata una convenzione che regola il servizio "e il Consorzio ha dimostrato una grande sensibilità istituzionale che può essere un esempio anche per altri enti", ha commentato don Usai ieri mattina. Da quando è sorta, era il 1994, la cooperativa ha puntato sul reinserimento sociale degli ex detenuti, riuscendo nell’intento in ben cinquanta casi.

"Finora sono stati in comunità 78 soci. Persone che in passato hanno sbagliato ma che devono essere aiutate e recuperate - ha aggiunto il sacerdote - Per questo è fondamentale il lavoro, trovare un’occupazione quando si esce dal carcere". Questa volta "Il samaritano", che opera sotto il Tribunale di sorveglianza e il ministero di Grazia e giustizia, ha trovato la collaborazione del Consorzio industriale che come ha sottolineato il direttore Sergio Niedda "non sta facendo mero assistenzialismo. Anzi.

Favoriamo il reinserimento sociale in cambio di un’attività produttiva: questi ragazzi svolgono un servizio importante". Il presidente dell’ente Virgilio Casta ha anche ribadito l’intenzione "di proseguire questa collaborazione per un triennio, visti i risultati positivi che si stanno già ottenendo". Per il primo anno il Consorzio spenderà circa 100 mila euro: lavoreranno cinque o sei ragazzi a turno per offrire a tutte le 28 persone attualmente ospitate in comunità la possibilità di lavorare. Tra i loro compiti la pulizia dei cigli stradali dalle sterpaglie e dall’erba, ma anche la potatura della palme di via del Porto e tutta la manutenzione del verde.

A coordinare i lavori due soci della cooperativa, due ex detenuti che adesso aiutano "ragazzi che stanno vivendo momenti e difficoltà che noi abbiamo già vissuto in passato", dicono Sebastiano, laurea in sociologia, e Gianni, maestro elementare. Alla presentazione ufficiale della convenzione ha partecipato anche il vescovo Piergiuliano Tiddia che, sottolineando l’importanza dell’iniziativa, ha ricordato il ruolo particolare di don Giovanni Usai "la cui consulenza è stata richiesta anche dal Ministro della Giustizia".

Dario Foà: per lui un applauso dai detenuti di San Vittore

 

Il Cittadino, 17 febbraio 2005

 

Un grande applauso "al nostro animatore". Così, ieri mattina, i detenuti del carcere milanese di San Vittore hanno ricordato Dario Foà. "Stamane sono stato a San Vittore, per parlare con i ragazzi assistiti dall’équipe del dottor Foà e assicurare loro che continueremo il suo operato - ha spiegato ai giornalisti Antonio Mobilia, direttore generale dell’Asl Città di Milano - .

Si respirava un’aria di grande commozione. Per quei ragazzi Foà era una specie di animatore, un grande professionista che in pochissimo tempo riusciva ad arrivare al cuore dei detenuti, anche di quelli appena arrivati. Abbiamo parlato a lungo, li ho tranquillizzati, e il tutto é finito in un grande applauso". E "per ricordarlo, domani alle 14.30, sarà celebrata una messa proprio all’interno del carcere di San Vittore", ha annunciato Mobilia. Alle domande dei cronisti Mobilia ha risposto con cautela. "Ho saputo della morte di Foà martedì intorno alle 18 - ha detto - .

Non sapevamo se Dario avesse dei nemici e non ci siamo fatti alcuna idea di come sia potuta succedere una simile tragedia. Spetta alla magistratura indagare e tutti noi confidiamo nel suo operato". Il medico, ha ricordato il direttore generale dell’Asl milanese, coordinava un team di "una trentina di operatori, al cui fianco lavoravano alcuni consulenti, oltre naturalmente ai medici penitenziari.

Foà portava avanti un programma di recupero, che puntava non solo alla disassuefazione dei detenuti tossicomani, ma anche al loro reinserimento nel mondo del lavoro una volta che fossero usciti dal carcere. Di ragazzi ne ha aiutati tanti, strappandoli alla droga e aiutandoli a ritrovare un posto nella società. Foà era un mio stretto collaboratore dal 1998. Il 27 gennaio eravamo andati insieme a Roma per presentare un progetto sperimentale che riguardava tutta Italia e che prevedeva incontri diretti tra detenuti e personale sanitario".

Giustizia: da Ciampi 11 provvedimenti di grazia in 5 anni...

 

Il Cittadino, 17 febbraio 2005

 

Quello di ieri a Lino Jannuzzi è l’undicesimo provvedimento di grazia firmato dal presidente della Repubblica nel corso del suo mandato al Quirinale. Questi i precedenti.

3 novembre 1999: Ciampi concede la grazia al fotografo Adriano Carlesi, condannato a 29 anni e 11 mesi di carcere per una serie di reati comprendenti ricettazione, emissione di assegni a vuoto, truffa e falso, reati per i quali gli sarebbe stata comminata una pena molto inferiore se fosse stato riconosciuto il requisito della continuità.

17 febbraio 2000: si apprende che nel dicembre 1999 il presidente della Repubblica ha graziato parzialmente l’ex senatore socialista Domenico Pittella, condannato con sentenza irrevocabile, nel 1993, a 12 anni e un mese di reclusione (due anni condonati) per reati di terrorismo.

13 giugno 2002: concessa la grazia ad Ali Agca, attentatore del Papa in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981.

22 agosto 2000: Ciampi grazia Natale Stramondinoli, un emigrato calabrese arrestato il 20 luglio precedente a Sorianello (Vibo Valentia) mentre era in vacanza, per una condanna a cinque anni inflitta dal tribunale di Napoli a causa di una renitenza alla leva nel 1983. La grazia al Capo dello Stato era stata chiesta dalla figlia di Stramondinoli, Concetta di nove anni, in una lettera in cui chiedeva di far tornare il padre in Germania.

13 ottobre 2003: graziato Vito De Rosa, 76 anni, condannato all’ergastolo nel 1953 per aver ucciso con un’accetta il padre che lo picchiava a sangue. Avrebbe dovuto concludere a breve la detenzione in una struttura psichiatrica per andare in un’altra struttura individuata dal Servizio sanitario nazionale.

24 novembre 2004: concessa la grazia a Graziano Mesina, "Grazianeddu", la primula rossa del banditismo sardo, 62 anni, 40 dei quali trascorsi in carcere, a Aldo Orrù 56 anni, condannato a 23 anni di reclusione per l’omicidio di un uomo a Milano nel 1986, e a Luigi Pellé, ex carabiniere in forza alla Dia, condannato per aver ucciso il 18 aprile 1993 a Roma un giovane che stava rubando un’automobile.

22 dicembre 2004: Ciampi concede la grazia parziale a Franco Viezzoli, 79 anni, e Giovanni Battista Zorzoli, 72 anni, rispettivamente ex presidente e ex consigliere d’amministrazione dell’Enel, condannati per corruzione a Milano per le tangenti pagate all’azienda elettrica tra l’86 e il ‘92. La clemenza parziale permette a Viezzoli e Zorzoli di scendere a 3 anni di pena residua e di chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Giustizia: l’Udc vuole il carcere per i giornalisti, di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 17 febbraio 2005

 

I giornalisti di tutta Italia devono molto a Pierluigi Franz. Praticamente dovremmo ringraziare ogni giorno Dio per averlo tenuto in vita e per continuare a tenercelo. Ad esempio senza la sua solerte opera di ricerca, quasi lavorasse per un’ideale redazione trasversale cui tutti possono attingere, ci ha fatto sapere con che insipienza altri nostri colleghi, del sindacato nazionale, sono sinora intervenuti, anche nelle sedi parlamentari su una materia che ci interessa a tutti: le querele facili e miliardarie del potere politico e giudiziario, e la riforma della legge sulla diffamazione che rischia di venire alla luce peggiorata persino rispetto a quella del 1948.

Dice Franz che "Nella quasi assoluta indifferenza di agenzie di stampa, giornali, radio e tv é iniziato da un mese alla commissione Giustizia del Senato l’esame della riforma della diffamazione approvata alla Camera il 26 ottobre scorso." E precisa che "nelle quattro sedute, tenutesi il 13, 18 e 19 gennaio e il 1° febbraio, i senatori di tutti i partiti hanno fatto quasi a gara nel sollecitare modifiche ed emendamenti di gran lunga peggiorativi rispetto al testo votato a Montecitorio. È una lettura amena che dimostra la scarsissima considerazione che hanno i senatori della classe giornalistica."

Poi la stoccata contro chi dovrebbe curare anche i fatti nostri oltre che i propri: "Non sembra quindi sufficiente la richiesta di audizione inviata il 3 febbraio scorso dal segretario generale della Fnsi Paolo Serventi Longhi al presidente della commissione Giustizia del Senato Antonino Caruso (An): la categoria deve, invece, svegliarsi e mobilitarsi al più presto per ottenere una riforma della diffamazione con le necessarie modifiche richieste, perché il Senato non solo vuole bruciare i tempi, ma soprattutto intende bocciare tutte le proposte della Fnsi, del consiglio dell’ordine nazionale dei giornalisti e dell’Unione nazionale cronisti italiani a tutela dei colleghi e degli stessi cittadini che hanno diritto, in base all’articolo 21 della Costituzione, ad essere correttamente informati." Allarmismo? Sostiene Franz che "c’è, ad esempio, chi vuole ripristinare il carcere per i giornalisti in caso di diffamazione o comunque raddoppiare o triplicare le sanzioni pecuniarie penali. Chi mira all’interdizione dalla professione da parte del giudice - con conseguente possibile licenziamento - di tutti i giornalisti - direttori compresi - in caso di recidiva della condanna per diffamazione".

Rimini: sezione per tossicodipendenti "Andromeda" ha due anni

 

Corriere Adriatico, 17 febbraio 2005

 

Andromeda compie due anni. Lo annuncia il direttore delle carceri di Rimini Maria Benassi perché Andromeda altro non è se non una sezione per detenuti tossicodipendenti e alcoldipendenti in un regime non più carcerario, ma simile a un regime di comunità."Organizzare una comunità in carcere - spiega la direttrice - non è affatto semplice".

Eppure in questi due anni sono passati per Andromeda circa 100 detenuti che si sono dati delle regole, hanno lavorato, si sono raccontati nel gruppo terapeutico ed esercitati ad avere rispetto verso se stessi. I risultati sono giudicati dalla direzione del carcere più che accettabili anche se si ammette la difficoltà di lavorare all’interno di un contesto come quello detentivo.

Per questo si ringrazia, nel secondo compleanno di Andromeda, chi ha contribuito al reinserimento dei detenuti: le autorità locali, il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria di Bologna, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero di Grazia e giustizia, il Sert e la città di Rimini.

Milano: Salvatore Riina portato in ospedale con l’elicottero

 

Tg Com, 17 febbraio 2005

 

Ricovero in gran segreto per Totò Riina a Milano. Il boss dei boss è arrivato all’ospedale San Paolo poco dopo le 21 a bordo di un mezzo blindato seguito da elicotteri e auto pieni di carabinieri, poliziotti e agenti penitenziari. Misure eccezionali adatte allo "spessore" del personaggio. L’ex capo di Cosa Nostra, ormai fisicamente malridotto, sarà sottoposto ad alcuni esami previsti da tempo. Riina, condannato ad una dozzina di ergastoli, ha girato diverse carceri di massima sicurezza fino ad approdare tre anni fa ad Opera, proprio alle porte di Milano. Le sue condizioni di salute sono ormai molto precarie: il boss dei boss ha infatti tre by-pass ed è stato colpito negli ultimi anni da almeno un paio di infarti.

Di qui la necessità di continui accertamenti clinici che ne controllino il sistema cardiocircolatorio. Nei giorni scorsi era stato perciò deciso questo ricovero. Che, vista l’importanza del personaggio, è stato messo in atto con misure di sicurezza molto speciali. Per evitare qualunque rischio di fuga, il ministero di Grazia e Giustizia ha deciso un ricovero in orario e condizioni particolari. Ovviamente il tutto coperto da grande segreto. Giunto al San Paolo, Riina è ora super controllato. Nell’ospedale milanese resterà solo il tempo strettamente necessario per lo svolgimento degli esami. Dopo di che, toccherà di nuovo ad elicotteri e mezzi blindati l’onere di riportarlo nel carcere di Opera.

Droghe: pronto il carcere per recuperare i tossicodipendenti

 

Avvenire, 17 febbraio 2005

 

Farà discutere, ma l’idea alla fine potrebbe anche funzionare. Verrà inaugurato a marzo un carcere per il recupero di tossicodipendenti condannati a pene detentive che non permettono il loro assegnamento a comunità. Nascerà in Emilia Romagna e avrà caratteristiche particolari: ampi spazi all’aperto, attività socioculturali e strutture mediche che possano garantire il recupero dei detenuti.

"L’idea - ha spiegato ieri Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il Parlamento (durante un convegno organizzato dal Dipartimento nazionale per le politiche antidroga) - è togliere dal carcere i tossicodipendenti che hanno commesso reati incompatibili con il loro affidamento alle comunità. È evidente che chi è condannato per omicidio non può uscire dal carcere, ma non per questo si deve rinunciare all’idea di un suo recupero dalla tossicodipendenza".

In qualche modo, allora - ha concluso - "saranno le comunità a entrare in carcere con progetti, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, di recupero nel penitenziario". Capitolo nuova legge, poi. Ed è stato sempre il ministro a sottolineare che "bisogna trovare riscontro parlamentare al disegno di legge Fini sulle tossicodipendenze", perché c’è "il rischio che finisca la legislatura senza l’approvazione di una nuova normativa". E come per il fumo - ha continuato - bisogna "collegare l’uso delle sostanze ai riflessi che ha sugli altri, ad esempio se assumi e poi guidi metti a rischio gli altri. In questi casi vanno previste sanzioni amministrative".

Dunque la legge Fini "deve trovare in aula il consenso necessario". Annotazione del responsabile per le politiche della famiglia di An, Riccardo Pedrizzi: "Chi è che, anche all’interno della stessa maggioranza, rema contro la legge Fini antidroga e antispaccio, in discussione presso le commissioni congiunte Sanità e Giustizia del Senato?". Anche il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, sempre al convegno di ieri, ha chiesto che il Parlamento metta subito mano a nuove iniziative legislative, sottolineando come resti "indispensabile sciogliere il nodo dell’inesistente distinzione tra droghe leggere e pesanti", e definendo "pilatesco ogni approccio al problema che percorra la strada della "riduzione del danno".

Fronte internazionale, poi. L’Italia resta principalmente Paese di transito (oltre che di consumo) per il commercio delle sostanze stupefacenti - ha raccontato Mantovano - sebbene mantenga "importanti basi in mano alle organizzazioni della criminalità organizzata". Attualmente è la Spagna il Paese, in Europa, dal quale transitano maggiormente le sostanze, mentre in Italia si registra una sostanziale flessione dei sequestri dovuta "ad una più incisiva opera di prevenzione".

E 29mila sono state le denunce all’autorità giudiziaria per reati legati alla droga (con una diminuzione del 45% nei sequestri di sostanze cannabinoidi ed un incremento, invece, del 50% del sequestro di anfetamine). Quel che però preoccupa sempre più è la diffusione delle sostanze tra i minori. Basta una cifra: l’anno scorso sono stati oltre mille quelli denunciati per spaccio, il 6,5% in più dell’anno precedente.

Una firma importante, infine, ieri pomeriggio: quella del memorandum di collaborazione firmato a Roma dal procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna e dal direttore dell’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, Antonio Maria Costa. Memorandum che prevede scambio di informazioni e pareri sia sui progressi fatti nel rispettivo ambito di lavoro e sia sui progetti di comune interesse, consultazioni sulle strategie da seguire e cooperazione tecnica tra le parti.

Cagliari: sì a cessione Quartucciu, ma serve una nuova struttura

 

Ad Majora Media, 17 febbraio 2005

 

Sono proseguite stamattina in commissione "Diritti civili", le audizioni sulla situazione delle carceri. Sono stati sentiti il presidente facente funzioni del Tribunale dei minori Marinella Polo e il procuratore generale Ettore Angioni. I magistrati non sono contrari a cedere la struttura di Quartucciu (attualmente adibita a carcere minorile), a patto che si trovi una struttura vicina al tribunale dei minori che abbia la funzione di favorire la rieducazione e il recupero dei ragazzi.

La soluzione adatta era stata trovata qualche anno fa, ha detto il procuratore generale Ettore Angioni, ma il Ministro della giustizia non ha neanche risposto alla proposta di acquisire l’area di via Dante (l’ex Biochimico sardo), di ristrutturarla e ampliarla per trasformarla sia in carcere per detenuti minorenni sia in uffici giudiziari.

La necessità di individuare un’area idonea, dato il sotto utilizzo della struttura di Quartucciu, è stata sottolineata dalla commissione che si è impegnata a chiedere al Ministro della giustizia di attivarsi per trovare al più presto un locale per giustizia minorile. L’area, secondo Mariella Polo, deve essere vicina al tribunale anche per consentire un rapporto sempre più stretto tra i giovani detenuti e il magistrato di sorveglianza. A Quartucciu mancano una sezione femminile e una struttura di accoglienza per i minori con patologie psichiche hanno ricordato il presidente e il procuratore generale Ettore Angioni: in caso di detenzione, per questi casi, i minori devono andare in penisola.

Arezzo: la polizia penitenziaria protesta davanti al carcere

 

Arezzo Notizie, 17 febbraio 2005

 

Il personale della polizia penitenziaria e quello amministrativo dopo la manifestazione dello scorso primo febbraio questa mattina hanno rinnovato la loro protesta ad Arezzo, in via Garibaldi, di fronte alla Casa Circondariale.

I punti dei disagi, già segnalati dal segretario territoriale della Cisl Fps, Gerardo Vettese, rimangono tanti e sempre i soliti: mancata convocazione da parte del provveditore dell’amministrazione Toscana Prap, Massimo de Pascalis, mancanza di personale presso il penitenziario aretino, sovraffollamento dei detenuti, gestione inadeguata del personale, struttura fatiscente e non conforme alle norme vigenti.

Serve un carcere nuovo aveva già detto Vettese ispettore di polizia penitenziari in servizio a San Benedetto e segretario provinciale della Cisl Fps. "La casa Circondariale può ospitare fino a 60 reclusi mentre attualmente ve ne sono almeno il doppio. "L’attuale organico è carente di almeno 20 unità ed è costretto a garantire i servizi con turni pesanti". La situazione è stata denunciata anche dagli onorevoli Giuseppe Fanfani (Margherita) e dal presidente del Comitato carceri, Enrico Bueni (Sdi). La convocazione da parte del provveditore dell’amministrazione della Toscana, Prap è arrivata questa mattina ed è prevista a Firenze per lunedì alle 12,00.

Dario Foà: un immigrato palestinese confessa l’omicidio

 

Tg Com, 17 febbraio 2005

 

Svolta nelle indagini sull’omicidio di Dario Foà, il medico dell’Asl Città di Milano e collaboratore del Dap, trovato morto martedì mattina in un campo di Mediglia con il cranio fracassato. I carabinieri del Comando provinciale di Milano hanno fermato due uomini, un palestinese di 36 anni e un egiziano di 31. Il primo ha confessato: avrebbe ucciso il dottore mentre erano appartati insieme. Il palestinese, S.S., che vive in Italia, è stato individuato dai militari a Milano grazie alle intercettazioni telefoniche fatte dagli investigatori sul telefofino della vittima, che è stato trovato in possesso dell’altro fermato, il cittadino egiziano, H.E.S., il quale sarebbe però ritenuto coinvolto nel delitto in maniera indiretta: gli investigatori stanno ancora accertando il suo ruolo nella vicenda. Per ora si sa solo che era in possesso del cellulare della vittima e dei soldi rubatigli. L’omicidio, secondo le prime indiscrezioni, sarebbe maturato nell’ambito di un incontro occasionale tra il professionista ucciso e il suo assassino. Il palestinese avrebbe raccontato agli inquirenti di aver agito sotto influsso di sostanze stupefacenti assunte nel pomeriggio, prima di incontrare Foà. In particolare, i due uomini, che non si erano mai visti prima, si sarebbero incontrati la sera del delitto nella Stazione Centrale di Milano, per poi appartarsi nella zona di campagna. Qui tra i due sarebbe scoppiata una lite, al culmine della quale sarebbe avvenuto il delitto. Il secondo straniero fermato, l’egiziano, è accusato, per ora, di favoreggiamento.

Giustizia: Castelli; Cdl valuti se mettere a repentaglio riforma

 

Agi, 17 febbraio 2005

 

"Oggi la situazione è questa: dobbiamo valutare se la Casa delle Libertà può mettere a repentaglio un testo così importante oppure no. Credo che il ministro Alemanno si convincerà che queste ragioni che non sono tra l’altro mie ma di tutta la Cdl, mi pare anche di una larga parte di An".

A margine dell’inaugurazione del cantiere di una nuova sede della polizia penitenziaria al ministero, il Guardasigilli Roberto Castelli torna sulla polemica innescata dall’emendamento alla riforma dell’ordinamento giudiziario presentato dal senatore di An Roberto Salerno, meglio noto come emendamento taglia concorsi.

"Ne ho già parlato con Alemanno - spiega il ministro -, tornerò a vederlo domani in Consiglio dei ministri e cercherò di spiegargli che il testo che abbiamo messo a punto è frutto veramente di un’opera ormai di cesello. È molto delicato, anzi risulta difficilissimo potere toccarlo pena la riapertura di tutta una serie di questioni che francamente metterebbero a repentaglio l’iter stesso del provvedimento".

Milano: i "Belli dentro" di San Vittore che piacciono fuori

 

Mille Canali, 17 febbraio 2005

 

Una share del 26.23%, in seconda serata, per un totale di 2.676.000 spettatori. Un buon risultato per la prima puntata di "Belli dentro", una sitcom "molto particolare" in onda dal 13 febbraio su Canale 5. Il programma, a carattere brillante (è una sitcom), va in onda su una delle reti Mediaset ma non è nato dalle menti creative delle società di produzione; nemmeno si tratta di un format acquistato all’estero. L’idea risale addirittura a due anni fa ed è nientemeno che di un gruppo di detenuti di San Vittore (che si occupano anche di "ildue.it", il magazine del carcere). I carcerati in questione non avevano intenzione di diventare famosi e di comparire nei talk show televisivi, volevano semplicemente fare sapere com’è la vita dentro, cosa fanno, quali sono i ritmi del carcere; per loro fortuna, hanno trovato in Giovanni Modina, direttore di Canale 5, un buon sostenitore.

"Non è stato facile - ha spiegato Modina - : le sit-com costano e se si investe si vogliono vedere i risultati. Ci aspettiamo buoni riscontri ma comunque è stata tanta la soddisfazione di fare questo lavoro". Le celle di San Vittore, per la sitcom in questione, denominata "Belli dentro", sono state ricostruite in studio, una maschile e una femminile, e la recitazione è stata affidata ad alcuni attori di "Zelig" e "Colorado Cafè", che interpretano tre detenuti e tre detenute e gli agenti di polizia penitenziaria, oltre a una suora e un tuttofare. La sitcom dura circa mezz’ora e ne verranno trasmesse 30 puntate.

Questo programma non è peraltro l’unico nella produzione artistica dei carcerarti di San Vittore. Ricordiamo anche "Fine amore: mai", un film girato da Davide Ferrario con i detenuti del carcere, o "Il grande fardello", parodia del "Grande Fratello", con detenuti alle prese con prove, confessionali, suite e tuguri.

Roma: un progetto teatrale per la riabilitazione dei detenuti

 

Adnkronos, 17 febbraio 2005

 

Il teatro per offrire un’ulteriore opportunità di reintegrazione ai detenuti, che spesso in carcere perdono la propria identità. Attraverso la settima arte desideriamo contribuire a dare una speranza per il futuro e la coscienza del presente anche nel braccio di massima sicurezza, che viene considerato dai detenuti come un carcere nel carcere e dove molti di loro si lasciano andare senza stimoli. In tutta Italia - ha spiegato Tiziana Biolghini, Consigliere della Provincia di Roma - ai detenuti in regime di massima sicurezza è preclusa nei fatti qualsiasi possibilità di recupero, fisico, affettivo e mentale, dal momento che i servizi educativi e sociali non operano alcun tipo di monitoraggio, acutizzando così il senso di emarginazione. Proprio per questo oltre a promuovere un carcere di prospettive e non di espiazioni la Provincia di Roma patrocinerà il prossimo 24 febbraio il primo spettacolo del laboratorio teatrale di Rebibbia, che per l’occasione metterà in scena "La Tempesta" di William Shakespeare, tradotta da Eduardo De Filippo e mai rappresentata in Italia.

Padova: ospizio lager, condannate a 2 anni le assistenti-aguzzine

 

Il Gazzettino, 17 febbraio 2005

 

Lo scandalo al Configliachi di Padova fu scoperto nel gennaio 2003: offese e sevizie agli anziani lungodegenti. "Non senti che puzza?... Non sei ancora morta, vecchia?... Cosa aspetti a morire?". Erano frasi di routine, queste, accompagnate da irripetibili offese. Espressioni ingiuriose ed allusive al sesso, dove puttana e finocchio apparivano gli epiteti più graziosi. All’Istituto per minorati della vista "Configliachi" di via VII Martiri, un’intera ala del terzo piano, dove sono ricoverati i pazienti lungodegenti in preda a demenza senile e a gravi handicap, era stata trasformata in una sorta di lager da un gruppetto di operatrici tecniche.

Il blitz dei carabinieri, coordinato dal pubblico ministero Paola De Franceschi, era scattato il primo mattino del 21 gennaio 2003. Maltrattamenti aggravati e violenza privata. Erano scattate le manette.In carcere erano finite Lucia Zotti, caposala, nonché le colleghe Daniela Vitali e Barbara Natroni. Confinate alla detenzione domiciliare Raffaella Zanovello e Cinzia Senes. Denunciata a piede libero con obbligo di firma Sandra Magro. Nei guai era finita anche la loro direttrice, Maria Teresa Busatto, accusata di omissione in atti d’ufficio,, favoreggiamento, calunnia.

Ieri la conclusione del processo. Colpevoli di maltrattamenti. Due anni di reclusione alla Zotti, alla Vitali e alla Natroni. Un anno e mezzo alla Zanovello. Un anno e due mesi alla Senes. Innocente l’ultima assistente, Sandra Magro: "non ha commesso il fatto". Otto mesi di reclusione alla direttrice che non mosse un dito per fermare la "squadretta". Interdizione dai pubblici uffici e dalla professione di operatrici socio sanitarie per la durata della pena detentiva. A tutte è stato concesso il beneficio della condizionale. Quindi niente galera. Ma le imputate dovranno risarcire il danno all’istituto in sede civilistica.

Tutto era partito dalle timide segnalazioni di alcune operatrici precarie. Due tirocinanti, testimoni dei metodi della "squadretta", ebbero il coraggio di parlarne con una suora. Si sentirono rispondere di portare pazienza, perché il tirocinio presto o tardi sarebbe finito. L’istituto affidò ad una commissione l’incarico di accertare la fondatezza delle voci sui presunti maltrattamenti. E la vicenda finì in Procura. Offese, ingiurie, pulizia sommaria dei pazienti lasciati mezzi sporchi, abbandonati sulle lenzuola bagnate e puzzolenti, strattonati. Ad un demente che si era sporcato - spesso gli ospiti abbandonati a se stessi si sporcavano fino ai capelli rigirandosi nel letto - una delle operatrici avrebbe afferrato la mano, lo avrebbe costretto ad infilarla nel pannolone sozzo di feci, poi gliel’avrebbe cacciata in bocca. Nell’ordinanza che aveva disposto l’arresto il giudice delle indagini preliminari Giuliana Galasso aveva parlato di "quadro particolarmente doloroso di sofferenze fisiche e psichiche", di "mancato rispetto per le persone affidate alla loro cura, per i loro bisogni e le loro debolezze". Alle condanne inflitte seguono le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dalla professione di operatrici socio sanitarie per la durata della pena detentiva.

Droghe: Radicali; disegno legge Fini aggraverebbe proibizionismo

 

Agenzia Radicale, 17 febbraio 2005

 

Dichiarazione di Marco Cappato, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, e di Giuseppe Rossodivita, della Direzione di Radicali italiani, a seguito dell’audizione tenuta presso la Commissione sanità del Senato sul disegno legge Fini in materia di droga. "Il disegno di legge Fini aggrava il quadro proibizionista e repressivo in particolare su quattro punti: la caduta delle differenze tra droghe leggere e droghe pesanti; il ripristino di una dose massima che fa da soglia tra consumo e spaccio; l’inasprimento delle sanzioni, sia penali che amministrative; l’alternativa obbligata tra carcere e comunità.

Il combinato disposto di queste norme colpirebbe soprattutto i 3-4 milioni di consumatori abituali dei derivati della cannabis. Nella misura in cui le forze dell’ordine fossero ulteriormente distolte dalla lotta contro il crimine per inseguire i consumatori, l’amministrazione della giustizia si troverebbe ad affrontare un ulteriore aggravio del già insostenibile carico di lavoro. Nel farlo, non potrebbe più contare sul margine di apprezzamento da parte del giudice, che sarebbe obbligato a considerare spacciatore, e dunque a sanzionare penalmente, chiunque produce, commercializza, ma anche detiene oltre a una certa quantità qualsiasi sostanza stupefacente proibita, anche nel caso in cui sia dimostrabile che la detenzione è unicamente a fine personale. Per la cannabis, le pene aumenterebbero: da un anno (per i casi di lieve entità) a vent’anni nella proposta di legge, mentre oggi si va dai 6 mesi ai 6 anni. Quanto alle sanzioni amministrative, la facoltà di archiviare il procedimento è stata espunta nel disegno di legge, con la conseguenza che dovranno senz’altro essere applicate le sanzioni (sospensione della patente o divieto di conseguirla, sospensione del passaporto, ecc.). Chi è già stato condannato, anche non definitivamente e per altri reati, potrebbe essere sottoposto fino a due anni di misure cautelari limitative della libertà personale che consegnerebbero alle forze dell’ordine un potere da Stato di Polizia, esponendo i cittadini e le stesse forze dell’ordine ad abusi di ogni tipo.

Riguardo alla possibilità di evitare il carcere sottoponendosi a trattamenti di recupero. A ben guardare, la strategia non è priva di rischi: puntare tutto sulle comunità penalizzerebbe terapie sostitutive e di riduzione del danno che solitamente non implicano il ricovero in strutture apposite, e per le quali i servizi pubblici per le tossicodipendenze e i medici di base possono svolgere un ruolo fondamentale. È inoltre provato che la cura in comunità di recupero ha scarsissime possibilità di successo se effettuata da parte di un cittadino costretto a scegliere tra comunità e carcere. Per i consumatori di cannabis, la questione assume connotati di vera e propria farsa. Non essendo tossicodipendenti nel senso clinico del termine, cioè non soffrendo né crisi di astinenza né altri disagi significativi dalla non assunzione di droghe, come possono essere "curati" dalla comunità terapeutica?

Se dunque è vero che la tossicodipendenza non si cura in carcere, come lo stesso Presidente del Consiglio ha riconosciuto, è falso che la proposta di legge Fini presenti valide alternative, che non possono basarsi sul ricovero coatto, ma sulla restituzione al cittadino della libertà e responsabilità delle proprie scelte, compresa quella di avvalersi dell’aiuto di un medico al quale non venga più negata la libertà di proporre le terapie più adatte.

Milano: Inter - Milan, super derby del Csi a San Vittore

 

Vita, 17 febbraio 2005

 

L’evento sportivo organizzato da Csi all’interno del carcere di San Vittore nella settimana che precede il derby della Madonnina. È l’evento sportivo più originale organizzato all’interno del carcere milanese di San Vittore in cui oltre 200 tra detenuti e agenti saranno gli insoliti campioni di un derby giocato oltre le sbarre, in attesa di quello ufficiale in programma domenica 27 febbraio allo stadio Meazza.

Due grandi squadroni, l’uno rosso nero e l’altro nero azzurro, si affronteranno tutti i giorni da lunedì 21 febbraio a venerdì 25 sul campo sportivo dell’area detentiva dando vita a una serie di partite di calcio a 5 i cui risultati, ovvero le reti segnate, saranno sommate decretando così il "club" vincente. In campo, insieme ai detenuti, Leonardo in rappresentanza di A.C. Milan e Riccardo Ferri per conto di FC Inter. Altri campioni ed ex professionisti del mondo del calcio saranno presenti insieme a ospiti istituzionali e del mondo giornalistico. Un evento atteso il superderby, che va ad arricchire un progetto più ampio e composito che vede il Csi presente nel carcere milanese da ben 9 anni. Una squadra di detenuti (il S. Victory Boys) gioca, infatti, a pieno titolo in un campionato di calcio a 7 del Csi e tutte le settimane incontra una squadra esterna con cui gioca nel cortile destinato all’ora d’aria.

 

 

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