Rassegna stampa 16 febbraio

 

Milano: ucciso Dario Foà, medico dei carcerati tossicodipendenti

 

Corriere della Sera, 16 febbraio 2005

 

Lo hanno colpito alla testa con una grossa pietra. È morto così Dario Foà, 58 anni, originario di Napoli, collaboratore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e responsabile dell’Area penale tossicodipendenze e carceri dell’Asl di Milano.

Ucciso in una stradina sterrata che corre parallela alla statale Paullese. L’allarme è stato lanciato da un automobilista della zona ieri mattina alle 9.50. Il cadavere del medico era accanto alla sua Golf grigia. A un metro, il sasso insanguinato con il quale Foà era stato colpito. In tasca non aveva il portafogli e anche il telefonino era sparito. Due particolari che farebbero pensare ad un delitto a scopo di rapina. Come e perché il professionista è arrivato in quella stradina? Resta un mistero.

 

Mistero sulla morte del medico di San Vittore

 

In auto con l’assassino. Con chi lo ha colpito alla testa con un pesante sasso, fracassandogli il cranio. È morto così Dario Foà, 58 anni, originario di Napoli, collaboratore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e responsabile dell’Area penale tossicodipendenze e carceri dell’Asl di Milano. Ucciso in una stradina sterrata che corre parallela alla statale Paullese, nella frazione di Triginto, nel comune di Mediglia.

Duecento metri di strada asfaltata, quindi a sinistra lo sterrato tra campi di mais a perdita d’occhio, grandi alberi e cascine sparse. Qui, su un bordo di un fossato, tra la cascina Pizzo e la cascina Martina, ha trovato la morte il medico dei detenuti. Un giallo. Un rompicapo per i carabinieri che sono intervenuti dopo aver ricevuto, ieri mattina alle 9.50, la telefonata di un automobilista residente a San Martino Olearo, un paesino lì vicino, che aveva fatto la macabra scoperta. I militari dell’Arma hanno trovato il cadavere del professionista accanto alla sua Golf grigia, con le portiere anteriori spalancate. L’uomo era vestito elegantemente, ma senza scarpe. Sul sedile posteriore c’era la borsa dei medici e il cappotto ripiegato accuratamente.

A un metro dal cadavere, il sasso insanguinato con il quale Dario Foà era stato ammazzato. Gli investigatori hanno poi trovato le scarpe della vittima a una trentina di metri, in un campo di mais. Mentre i lacci erano da un’altra parte insieme con le chiavi della vettura. Secondo il medico legale, il professionista, probabilmente, è stato ammazzato prima della mezzanotte di lunedì, un lasso di tempo non inferiore alle 12 ore dal momento del ritrovamento.

E a confermare l’arrivo della Golf in quel campo lontano dai centri abitati, ci sono anche le tracce lasciate sul terreno dai pneumatici, possibili solo se il passaggio fosse avvenuto prima della gelata notturna. Nelle tasche di Dario Foà non c’era il portafogli. Così pure il cellulare era sparito. E proprio questi due particolari farebbero propendere le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica di Lodi, Ilaria Sanesi, per l’omicidio a scopo di rapina.

L’identità del medico, che non aveva addosso i documenti, è stata recuperata attraverso il libretto della vettura che riportava i dati del proprietario. Poi, nel pomeriggio, a identificare il cadavere è stata la compagna della vittima, con la quale conviveva da tempo e dalla quale aveva avuto una figlia. Ma chi ha ucciso Dario Foà? Il mosaico è tutto da comporre e per gli inquirenti non sarà facile trovare la soluzione del rebus. Di certo scaveranno nella vita del professionista, per cercare di capire se aveva nemici, persone che potevano avercela con lui. Soprattutto nell’ambiente del carcere, quello dei tossicomani, nel quale Dario Foà si muoveva da anni ed era considerato un innovatore. Sicuramente il professionista era uscito da casa lunedì verso le 17.30 per recarsi a un appuntamento di lavoro. La solita riunione con altri collaboratori dell’Asl. E, proprio a loro, il medico aveva confidato di avere delle grosse novità. Che uno dei suoi progetti sarebbe andato in porto tra breve. Era euforico senza rivelare di cosa si trattasse, "per scaramanzia".

Tutto da chiarire insomma. Come e perché Dario Foà sia arrivato in quella stradina, in una zona lontana dai suoi abituali percorsi, non facilmente accessibile a chi non conosce il posto. Altra certezza, non sono state trovate tracce di colluttazione, come se l’aggressione fosse avvenuta improvvisamente, forse proprio al termine di un tentativo di rapina. "Dario Foà - ricorda Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - era un mio stretto collaboratore, un uomo straordinario, che ha aiutato molti giovani a combattere il dramma della tossicodipendenza". E forse proprio uno di quei giovani ha alzato il sasso contro il medico.

 

I colleghi: aveva aiutato molti giovani ad uscire dalla droga

 

L’hanno trovato sul ciglio di uno sterrato tra i campi con la testa fracassata, senza portafoglio, senza documenti e senza scarpe, a meno di un chilometro da un ritrovo di tossici e prostitute lungo una statale. "Una rapina finita male", è stata la prima somma tirata dai carabinieri. Poi, dopo molte ore, sono riusciti a identificarlo con certezza. E l’unica sintesi priva di dubbi, quando ormai è sera, è diventata quella tracciata da Sebastiano Ardita, responsabile nazionale del trattamento detenuti per il Dipartimento amministrazione penitenziaria: "Chiunque abbia ucciso quest’uomo ha interrotto la speranza di tanti giovani che contavano su di lui per uscire con qualche prospettiva non solo dal carcere ma soprattutto dalla droga". Forse no, forse non è stata solo una rapina. Perché quest’uomo era Dario Foà, 58 anni, di origini napoletane e trapiantato da una vita in Lombardia, dove faceva il direttore dell’Area penale tossicodipendenze dell’Asl di Milano: lo "psicologo medico di San Vittore", per dir la formula troppo riduttiva con cui molti lo conoscevano. In realtà il coordinatore - e molto di più - di tutti i progetti per il recupero dei detenuti tossicodipendenti nelle carceri milanesi di San Vittore, Opera, Bollate. Comunque uno che al mondo del carcere e ai suoi abitanti, specie ai più emarginati tra loro, aveva dedicato gli ultimi vent’anni della sua esistenza. Ed è appunto quando si è capito chi era davvero che la sua morte ha assunto contorni più intricati. Dove all’ipotesi della rapina squallida potrebbe invece sovrapporsi quella di una vendetta. Magari da parte di qualcuno che, in chissà quale passato, si fosse messo in testa di aver da lui subito anziché un aiuto un torto. Qualcuno che, uscito di galera, potrebbe aver voluto regolare il conto a modo suo. E forse non è un caso che le indagini, condotte a botta calda dai carabinieri di San Donato, siano state trasferite in serata al Nucleo operativo di Milano.

Il viottolo in cui un passante ha scoperto il corpo ieri mattina si trova tra i campi di mais fra Milano e Triginto di Mediglia, a lato della statale Paullese che dal capoluogo porta a Crema. C’era la sua Golf grigio scuro, con la portiera ancora aperta, e lui steso per terra lì accanto, il cranio sfondato. Poco distante, una grossa pietra sporca di sangue. Venti metri più in là le sue scarpe. "Non c’è dubbio che lo abbiano ucciso lì", è la sola sicurezza dei carabinieri. Sarà sua moglie, che insieme con la figlia di vent’anni non ne aveva più notizie dalla sera prima, a riconoscerlo all’obitorio diverse ore più tardi.

La domanda più banale è: come e perché il dottor Dario Foà era finito in quel posto, dove non si arriva se non di propria volontà o portatici per forza, comunque non per caso? Chi conosceva il medico tenderebbe a escludere una sua "doppia vita" notturna. Allora un appuntamento con qualcun altro, magari un tossico che gli aveva chiesto aiuto e invece lo ha rapinato e colpito? E se invece fosse stato portato lì a forza, da chi aveva intenzione di ucciderlo inscenando una rapina? Ma se questa era l’intenzione, perché farlo con una pietra che l’assassino non aveva alcuna certezza di trovare sul posto? Allora una lite degenerata? La moglie di Foà avrebbe escluso che il marito avesse mai ricevuto minacce. O forse le aveva ricevute, e non gliene aveva parlato.

Chi lo conosceva, e molto bene, era chiunque in Italia si occupasse di carceri professionalmente: al punto che il suo metodo era noto ormai da anni come il "modello Foà", capace di trasferire ogni anno e con successo dal carcere alle comunità terapeutiche una media di cento tossicodipendenti su quattrocento. Lo stesso Dipartimento nazionale dell’amministrazione penitenziaria lo aveva voluto come collaboratore, e l’ultimo suo progetto era stato presentato a Roma meno di un mese fa: per riprodurre su scala italiana l’esperimento milanese.

Gallarate: lavoro ai più deboli, esempi concreti di cooperazione

 

Varese News, 16 febbraio 2005

 

La cooperativa sociale Il Loto e la Corte del Ciliegio presentano i progetti finanziati in collaborazione con la Fondazione Cariplo: una falegnameria ed un chiosco-bar. Due esperienze di cooperazione sociale a Gallarate e Castellanza, due progetti con l’obiettivo comune di inserire persone in difficoltà nel mondo del lavoro. Persone che soffrono di malattie psichiche, uomini e donne con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti o alcoliche, persone con problemi sociali, ex detenuti in primis: tutte tipologie che hanno difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro e alle quali l’opera delle cooperative sociali fornisce opportunità uniche.

Grazie al finanziamento della Fondazione Cariplo, a Gallarate la cooperativa sociale "Il Loto" ha potuto ampliare la falegnameria, luogo protetto e ristretto, dove i bisognosi possono trovare appoggio e sostegno, dove possono sviluppare capacità manuali e fare un’esperienza lavorativa preziosissima. Il capo settore Claudio Maccagnan è come un fratello maggiore per i lavoratori della falegnameria, un padre che consiglia e guida i tanti ragazzi che ciclicamente passano in via Pier Capponi: "Al Loto lavorano in tutto una ventina di persone, la metà abbondante delle quali sono persone disagiate. In falegnameria diamo lavoro a due lavoratori in difficoltà. Per gradi imparano a levigare, ad assemblare fino a lavorare autonomamente con le macchine. La falegnameria ha aperto i battenti nel 2000: è un luogo protetto, qui dentro i lavoratori possono sbagliare senza avere mille occhi addosso. Il lavoro con il legno appassiona, i progressi sono rapidi e concreti, chi finisce il proprio percorso è pronto a lavorare da solo".

"Il progetto del Loto è stato finanziato per 50 mila euro dalla Cariplo - dice Silvana Sainaghi, presidente della cooperativa -, la metà del costo totale dei lavori di ristrutturazione. Il lavoro che le persone disagiate svolgono all’interno della falegnameria è prezioso per la cooperativa e per loro stessi: sono assunti con un vero stipendio e sono preparati al lavoro esterno. Le condizioni delle persone che ci mandano stanno peggiorando negli ultimi anni, sono più gravi e quindi più difficili da inserire".

Accanto al progetto finanziato a Gallarate c’è quello della Corte del Ciliegio a Castellanza. Qui la Cariplo ha dato un contributo di 45 mila euro al Consorzio Cooperative Sociali, presieduto da Cristina Ronzoni, per il rifacimento dell’impianto di riscaldamento, la cui assenza aveva costretto alla chiusura nel 2003.

"Come Consorzio - spiega la Ronzoni - abbiamo a carico 160-180 dipendenti, il 45 per cento circa dei quali sono disagiati di vario tipo. Al chiosco del Ciliegio i lavoratori possono apprendere un mestiere vero e proprio che li responsabilizza. I programmi di inserimento e riabilitazione sono individuali, per ogni lavoratore da inserire c’è un tutor che lo segue.

Operiamo in vari ambiti, dalla pulizia dei parchi alla cura del verde, dal servizio bar all’animazione per bambini, dalla gestione degli eventi e degli spettacoli agli interventi strutturali in collaborazione con tutte le cooperative. Il Consorzio serve proprio a mettere insieme varie capacità, a realizzare diversi lavori a seconda delle professionalità acquisite dai lavoratori nelle cooperative.

Il progetto del chiosco è importante perché inserito nella riqualificazione dei parchi urbani, luoghi da riscoprire attraverso il contatto con il verde, curato dai nostri ragazzi. Il problema per noi oggi è che al di fuori c’è una precarizzazione portata all’eccesso: i nostri ragazzi, una volta pronti, escono dalla cooperativa e sono proiettati in un mondo del lavoro che non dà alcuna certezza.

Per persone con svariati problemi può essere devastante essere scartati dopo una settimana o due di lavoro interinale. Una soluzione alternativa è data dal collocamento mirato, che permette il supporto anche in azienda al fianco del lavoratore uscito dalla cooperativa sociale". I progetti de Il Loto e della Corte del Ciliegio saranno presentati nel pomeriggio del 3 marzo, a partire dalle 14.30, nella sede della cooperativa sociale Il Loto, in via Pier Capponi 40 a Gallarate. L’incontro è intitolato "Per fare un tavolo ci vuole un fiore… di ciliegio".

Mantova: minori nel carcere psichiatrico, misura ottocentesca

 

Il Manifesto, 16 febbraio 2005

 

Incredulità da una parte, difese d’ufficio dall’altra. Queste le reazioni alla notizia, rilanciata ieri in prima pagina da Repubblica dell’apertura di una sezione per i minori (soprattutto stranieri) nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Alessandra Cattel, avvocato e membro della Camera minorile di Roma, si è detta scioccata: non è concepibile che i minori siano rinchiusi in una struttura mista, dove cioè sono presenti anche adulti, e il fatto che ci sia una separazione tra i reparti non è una garanzia sufficiente".

Cattel ha ricordato che una struttura di questo tipo sicuramente non è prevista dalla legge e ha detto che se fosse stata legale "ci sarebbero probabilmente finiti Erika e Omar, i fidanzatini assassini di Novi Ligure". Cattel ha rilevato che il principio fondamentale, nella giustizia minorile, è che "il ragazzo che commette un reato venga tolto dal circuito penale. Per questo si privilegiano le misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali o alle comunità".

Il manicomio criminale quindi non è la soluzione. Il ministro per la salute, Girolamo Sirchia, al quale la deputata Tiziana Valpiana aveva presentato un’interrogazione denunciando così per prima la presenza di minori in un manicomio criminale, cade dalle nuvole. "Sono cose che vanno prima capite e misurate, poi valutate" ha detto. "Noi non siamo un carcere ma una struttura sanitaria che cura i propri pazienti, sia adulti che giovani" - ha esordito, sicuro, Antonino Calogero, direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario e della comunità psichiatrica protetta per minori di Castiglione delle Siviere.

Si è detto stupito dello stupore, "e della faziosità" delle reazioni al reparto per minori ricavato accanto a quello femminile. "Valpiana - ha detto Peppe Dell’Acqua, tra i fondatori del Forum nazionale per la salute mentale, svoltosi in dicembre a Lido di Camaiore, dove questo fatto fu denunciato - aveva definito la vicenda "una soluzione inaccettabile e indegna di un paese civile". Sottoscrivo in pieno. È la prima volta dopo 40-50 anni - ha aggiunto - che si ritorna a costruire un istituto per minori, che abbiano la caratteristica del disturbo mentale e della devianza. Siamo nella peggiore delle tradizioni ottocentesche".

Roma: scarcerato in coma, si era visto rifiutare i domiciliari

 

Il Manifesto, 16 febbraio 2005

 

C’è voluto l’insorgere di una grave crisi respiratoria, il ricovero d’urgenza al reparto di rianimazione del policlinico Gemelli e il coma farmacologico per indurre il magistrato di sorveglianza a concedere la scarcerazione immediata a M.G. - il detenuto di Rebibbia malato terminale di Aids - che più di una volta si era visto negare la scarcerazione.

44 anni, tossicodipendente da quando ne aveva 15, arrestato per piccoli reati legati alla droga e affetto da immunodeficienze che ne hanno colpito gli organi interni e il cervello, M. G. era stato dichiarato incompatibile col regime carcerario dai medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Legittima dunque la sua richiesta dei domiciliari avallata - peraltro - dalla disponibilità della suocera di prendersene cura nonché da una legge che per tutti i malati di Aids conclamati sancisce l’incompatibilità tra detenzione e malattia. Incomprensibile il rigetto.

"Tra le motivazioni - dichiara l’avvocata del detenuto Manuela Lupo - anche il fatto che lui si fosse rifiutato di sottoporsi alla terapia. Ma quella terapia lo faceva star male anche perché non mirata. A Rebibbia, le flebo sono uguali per tutti". Ma c’è di più: "Il magistrato di sorveglianza - spiega Laura Astarita di Antigone - ha sì dichiarato l’incompatibilità ma l’ha poi definita stabile e, su questa base, negato le misure alternative. La maggioranza dei magistrati di sorveglianza preferisce comunque non rischiare".

Nessuna emergenza, quindi, che giustificasse l’allontanamento dal carcere. Stabili le condizioni di salute per quanto stabili possano essere quelle di un malato terminale. "Il ministro della Giustizia Castelli - è la richiesta di Ferdinando Aiuti, presidente dell’Anlaids - apra subito un’inchiesta nelle carceri italiane per accertare perché non viene applicata la legge che impone la scarcerazione di un detenuto affetto da Aids o sieropositivo con meno di 200 CD4".

Sulla vicenda è intervenuto anche il garante regionale dei detenuti, Angelo Marroni: "È solo quando a questi fatti si guarda in modo burocratico e non umano che si arriva a questo. Non c’è attenzione partecipata. E tuttavia va detto, i magistrati sono pochi e quei pochi sono sommersi dai fascicoli. Mi chiedo come mai si sia spettato che l’uomo entrasse in coma per concedere la scarcerazione".

Giustizia: Csm; la legge salva-Previti avrà un effetto devastante

 

Il Manifesto, 16 febbraio 2005

 

La ex Cirielli, la cosiddetta legge salva Previti, avrà "effetti devastanti" sulla giustizia. Lo dice la sesta commissione del Csm in una risoluzione approvata a larga maggioranza. Il documento, che sarà discusso dal plenum giovedì, afferma che "l’applicazione del nuovo regime ai processi in corso comporterà un vero e proprio cataclisma organizzativo all’interno di un sistema di giustizia penale che già oggi riesce con assoluta difficoltà a fronteggiare il numero elevatissimo di procedimenti".

E provocherà "la vanificazione di gran parte del lavoro svolto dall’intero sistema giudiziario nel corso di anni". Secondo le stime raccolte dai consiglieri, "quasi tutti i processi per reati puniti con la pena della reclusione compresa nel massimo tra i cinque e i sei anni e la grande maggioranza di quelli per reati puniti con la pena della reclusione massima di otto anni sono destinati a sicura prescrizione".

Germania: come stanno i detenuti italiani nelle carceri di Monaco?

 

News Italia Press, 16 febbraio 2005

 

Si terrà venerdì, 18 febbraio, presso la Eine Welthaus di Monaco, l’incontro organizzato dall’associazione culturale "Rinascita E. V." sul tema "Situazione dei detenuti italiani a Monaco". L’appuntamento, che rappresenta uno dei dodici incontri in calendario per l’anno in corso, nasce con l’obiettivo di raccogliere " informazioni - come spiega la presidente del sodalizio Sandra Cartacci - difficili da ottenere su altri fronti ".

"Nessuno dei membri della nostra associazione si confronta personalmente con questa problematica. Non abbiamo contatto con i carcerati o con le loro famiglie. Così si è pensato, tramite la nascita di contatti casuali, di organizzare un incontro nel quale porsi precise domande ".

Il tutto in lingua tedesca. Per cui ci si chiederà se sia possibile intervenire a favore di questa categoria di persone, per lo più dimenticata. "Non sappiamo nemmeno chi siano questi detenuti . Sono ragazzi giovani che hanno avuto problemi di droga? Oppure si tratta di adulti ? Probabilmente a questo appuntamento non parteciperà molta gente, in quanto vi sono tematiche di maggiore interesse per il pubblico". Non sono ancora certe le presenze dei relatori all’incontro. Probabile la partecipazione di due operatori sociali: "Uno del carcere maschile e l’altro di quello femminile".

Il prossimo appuntamento organizzato da "Rinascita E. V." è previsto per giovedì 3 marzo, sempre presso la Eine Welthaus. Questa volta si affronterà il tema "La stampa italiana. Chi tiene il guinzaglio?". Il relatore, per l’occasione, sarà Mauro Venier.

Lecce: detenuti in scena con spettacolo "l’Orlando furioso"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 16 febbraio 2005

 

Riabilitazione attraverso l’arte: i detenuti metteranno in scena (ore 15), mercoledì 23 febbraio, lo spettacolo teatrale "L’Orlando Furioso". Presenti reclusi, autorità e operatori del sociale. Riabilitazione attraverso l’arte: è quello che avviene all’interno del carcere di Lecce dove i detenuti mettono in scena, mercoledì 23 febbraio, lo spettacolo teatrale su "L’Orlando Furioso". L’appuntamento è fissato per le ore 15 alla Casa Circondariale di Borgo S. Nicola, alla presenza dei reclusi, delle autorità invitate e degli operatori del sociale. Quest’evento si realizza quale conclusione di un percorso formativo per esperti di teatro sociale, avviato su richiesta della direzione dell’istituto penitenziario, dall’ottobre 2005. Nello specifico, si tratta di un laboratorio diretto dall’attore Fabrizio Saccomanno che ha messo insieme un gruppo di reclusi con un gruppo di giovani allievi.

Ma, in verità il percorso teatrale è cominciato nel maggio 2003 su iniziativa dei Cantieri Koreja, dell’Istituto Professionale "De Pace" di Lecce, dell’Università degli Studi di Lecce e dell’Enfap con il sostegno della Regione Puglia e che ha visto questi giovani carcerati misurarsi con l’apprendimento alle tecniche collegate al teatro-minori, al teatro ed handicap, al teatro-scuola, al teatro-terapia, al teatro-ludico, a quello teatro comico e al teatro d’improvvisazione.

"Attendo con non poca emozione questo appuntamento - afferma Franco Ungaro, direttore del progetto formativo - che dà valore e senso alla nostra idea di un teatro che diffonde consapevolezza e spirito critico. Spero che in una società dove le marginalità, le disparità e le discriminazioni sociali si espandono sempre più, il nostro piccolo contributo serva a diffondere i germi di una pedagogia basata sulla condivisione di obiettivi e di bisogni, sulla disseminazione di metodologie creative. L’entusiasmo e la passione che i reclusi hanno riversato è il segno più evidente che il messaggio è stato recepito e che occorre dare continuità e profondità ad azioni educative di successo".

Prato: 40enne suicida in carcere, ma il padre non ci crede…

 

Il Tirreno, 16 febbraio 2005

 

Non credono all’ipotesi del suicidio i familiari del detenuto che domenica sera è stato trovato impiccato in una cella nel carcere della Dogaia. Un’ipotesi che però è ancora ritenuta la più verosimile dagli inquirenti. Ieri mattina il medico legale Brunero Begliomini ha compiuto l’autopsia sulla salma del detenuto e riferirà al sostituto procuratore Ettore Squillace, titolare delle indagini. "Mio figlio era una persona piena di vita, non credo che possa essersi suicidato - dice il padre del detenuto - Sono venuti a prenderlo venerdì pomeriggio i carabinieri in borghese. Lui era tranquillo. Mi ha detto di non preoccuparmi, che lui non aveva nulla da temere. Da quel momento non l’ho più visto". L’uomo aveva 41 anni ed era agli arresti domiciliari in casa del padre in provincia di Pisa.

È stato arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Prato per un’inchiesta ancora in corso e sulla quale gli inquirenti mantengono il riserbo. Quando è stato trovato cadavere era in attesa di essere ascoltato dal giudice. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, è sempre rimasto in isolamento, come è prassi in questi casi, e si sarebbe impiccato usando un indumento. L’intervento del medico, chiamato dalla polizia penitenziaria, si è rivelato inutile. La procura, in mancanza di testimoni che possano raccontare la dinamica della morte, ha comunque aperto un’inchiesta e ha disposto l’autopsia, dalla quale però non sarebbero finora emersi elementi che possano far pensare a qualcosa di diverso dall’ipotesi del suicidio. Il detenuto aveva già scontato due condanne per complessivi 14 anni e forse la prospettiva di dover passare altri anni in carcere può averlo abbattuto fino al punto di indurlo al suicidio. "Non ci credo - insiste il padre - Anche negli ultimi giorni è sempre stato tranquillo. Tra quattro o cinque mesi avrebbe finito di scontare l’ultima condanna, perché avrebbe voluto farla finita?". La salma partirà stamattina alla volta di Palermo, città di cui l’uomo era originario.

Ascoli: troppi detenuti e pochi agenti di sorveglianza…

 

Il Resto del Carlino, 16 febbraio 2005

 

Sovraffollamento delle carceri: un problema appartenente a quasi tutti gli istituti della penisola da cui non è esente il supercarcere di Marino del Tronto. L’annosa questione è riesplosa sabato scorso quando è scoppiata una maxi-rissa tra i detenuti che ha portato alcuni di loro a ricorrere alle cure mediche. La scazzottata è avvenuta nella sezione giudiziaria, proprio quella che patisce maggiormente il sovraffollamento.

"Il direttore del penitanziario - spiega Raffaele Agostini, magistrato di sorveglianza del supercarcere ascolano - aveva richiesto il trasferimento di alcuni detenuti della sezione giudiziaria, proprio a causa del sovraffollamento, solo alcuni giorni prima che scoppiasse questa rissa. In particolare è la sezione giudiziaria a pagare più di tutte le altre questo dazio. Qui sono previste camerate da quattro o da sei, ma per carenze strutturali, in queste camere alloggiano provvisoriamente anche otto o dieci persone. Invece, nella sezione speciale di massima sicurezza non esiste questo problema visto che i detenuti dispongono spesso di camere singole".

Ma i tempi di attesa che riguardano i trasferimenti non sono propriamente rapidi, proprio perché la maggior parte delle carceri è alle prese col medesimo problema.

"Proprio in questi giorni - continua Agostini - dovrebbero essere trasferiti dai 5 ai 10 detenuti per cui era stata già avviata la procedura. A questo punto credo verranno spostati quei detenuti che hanno creato dei problemi. Ma anche qui i tempi si allungano se il trasferimento riguarda istituti fuori dalla nostra regione. E purtroppo nelle Marche il fenomeno del sovraffollamento è molto accentuato". Al problema del sovraffollamento si collega strettamente quello degli agenti di polizia penitenziaria. Infatti se il numero di detenuti è in eccesso, quello degli agenti è gravemente in difetto. "Una giusta proporzione fra detenuti e sorveglianza - conclude Agostini - sarebbe avere due guardie per ogni detenuto. Invece il rapporto è di parità nel nostro istituto, cioè un agente per ogni detenuto, ma la situazione è addirittura peggiore in molte altri istituti. Purtroppo i problemi che affliggono le nostre carceri sono noti ormai da tempo, ma finché le cose non cambiano dobbiamo conviverci".

Giustizia: Anm; credito a infondato pregiudizio su nostro lassismo

 

Apcom, 16 febbraio 2005

 

"Il legislatore sembrerebbe qui dar credito ad un pregiudizio tanto diffuso quanto infondato su un certo lassismo da parte dei magistrati nella irrogazione delle pene in fase di cognizione e nella concessione di misure alternative in fase di esecuzione", precisa l’Anm nella nota".

Il numero elevato di detenuti e la minima entità dei reati commessi da parte di soggetti ammessi a misure alternative dimostrano al contrario che il difficile compito di adeguare la pena al fatto commesso in fase di cognizione e di offrire possibilità di rieducazione al condannato in fase di esecuzione è esercitato con equilibrio dalla magistratura italiana".

"Come dimostrano tutte le ricerche in campo criminologico sono la tempestività e l’efficacia degli interventi repressivi ad avere effetti positivi in termine di prevenzione generale, piuttosto che l’inasprimento delle pene, peraltro già oggi elevate nel massimo edittale. In questa chiave - continua - le altre misure contenute nel disegno di legge appaiono del tutto incomprensibili e in palese contrasto con lo scopo dichiarato". "L’attenuante obbligatoria per gli ultrasettantenni non ha alcuna giustificazione sul piano criminologico e si traduce unicamente in una ulteriore rigidità nella individuazione della pena.

Ravenna: l’arte reclusa in mostra con "Metropolitana 57"

 

Corriere della Romagna

 

Si inaugura questa mattina alle 11.30 presso il Magazzeno del Sale di Cervia la mostra Metropolitana 57, interessante progetto di arte rivolto ai detenuti della Casa Circondariale di Ravenna. Promosso da vari soggetti pubblici e privati – tra i quali il Consorzio per i Servizi Sociali dei Comuni di Ravenna, Cervia e Russi, l’Azienda Usl, la Circoscrizione I e la Caritas Ravenna – il progetto Metropolitana 57 si propone come momento di dialogo con la cittadinanza sul tema della detenzione attraverso l’arte espressa in varie forme, come la pittura, il mosaico, la fotografia, la poesia e quant’altro.

Gli elaborati esposti al Magazzeno del Sale provengono dunque dai corsi proposti all’interno della Casa Circondariale Port’Aurea di Ravenna dalle varie organizzazioni, e sono intesi come una comunicazione, attraverso modalità artistiche, tra le due opposte realtà di società e carcere, al fine di diminuirne la distanza che attualmente le separa e di operare su percorsi di reale integrazione sociale della persona in detenzione.

Il corso di pittura, svolto dall’insegnante Cinzia Fontanelli insieme ai detenuti del carcere di Ravenna, è certamente un’attività didattica sul piano artistico, ma il primo approccio con la pittura non è stato basato su un percorso artistico individuale, bensì su di un lavoro di gruppo, volto alla ricerca della creazione di un rapporto con la pittura gestuale, emotiva e psicologica, attraverso l’espressione del colore, del segno e del testo.

L’esperienza è servita a migliorare le condizioni dei detenuti, ad aiutarli a relazionarsi tra di loro, e ha reso possibile la realizzazione di diversi lavori di pittura, nonostante le problematiche dell’istituto. La mostra itinerante Metropolitana 57 fa parte del più ampio progetto "Incontriamoci in carcere", rientrante nelle politiche regionali per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone detenute, che come obiettivo ha quello di orientare i detenuti verso attività culturali, artistiche e fisiche da sfruttare come supporto per la loro situazione psico-fisica e riempire i momenti vuoti creati dall’isolamento sociale. Metropolitana 57 è visitabile fino al 27 febbraio, tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18. Informazioni allo 0544249171.

Sanremo: lavori socialmente utili, detenuti al lavoro nel parco

 

Secolo XIX, 16 febbraio 2005

 

"Il carcere fa parte della realtà cittadina, e dal suo interno deve cominciare il percorso di reinserimento sociale dei detenuti". L’assessore ai servizi sociali Luigi Ivaldi (Sanremo Insieme) illustra così la visita compiuta ieri mattina al penitenziario di valle Armea insieme al sindaco Claudio Borea e ai colleghi Marco Andracco (Ds) e Andrea Gorlero (Margherita).

Sindaco e assessori hanno raccolto un invito del direttore del carcere, Francesco Frontirré, che ha molto apprezzato la scelta di Ivaldi - alla sua terza visita al penitenziario - di inserire nelle linee programmatiche del suo settore, e quindi in quelle di Borea, la costituzione di una Consulta carcere-territorio (insieme con le associazioni di volontariato e cooperazione sociale) per avviare progetti di formazione professionale dei detenuti e per il loro coinvolgimento in lavori socialmente utili. Una di queste iniziative è stata già sperimentata, e ha riguardato la pulizia dell’ex ferrovia. Ora si sta invece mettendo a punto un progetto per coinvolgere i detenuti in regime di semilibertà - di giorno lavorano, la sera tornano in cella - nell’allestimento di un percorso naturalistico per i disabili intorno alla fattoria degli animali nelle ex colonie di San Romolo.

Sindaco e assessori hanno potuto verificare le condizioni di vita nel penitenziario, dove attualmente sono rinchiusi 273 detenuti e lavorano 200 agenti, oltre a un centinaio di addetti ad altri servizi. È stato affrontato anche il problema della sistemazione della strada che porta al carcere, oggi stretta e pericolosa anche a causa del transito quotidiano di mezzi pesanti: il Comune si farà carico dell’intervento, che figura nel programma triennale dei lavori pubblici.

Giustizia: grazia a Jannuzzi; il giornalista, "fine di un incubo"

 

TG Com, 16 febbraio 2005

 

Il Presidente della Repubblica, ha concesso la grazia al giornalista e senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi con decreto in data 11 febbraio. "È la fine di un incubo, dopo tre anni di persecuzione", così ha commentato a caldo il giornalista, condannato per diffamazione a mezzo stampa per i numerosi scritti da lui pubblicati contro l’amministrazione della giustizia di Napoli ai tempi del caso Tortora. "Mi sto imbarcando per Roma da Parigi - dice Jannuzzi -. Mi dispiace solo che con tutte le cose serie e importanti che ha da fare, il presidente abbia dovuto occuparsi anche di questo per colpa della malgiustizia. Sono tre anni che mi perseguitano e questa grazia è la fine di un incubo", conclude il senatore.

Jannuzzi stava scontando agli arresti domiciliari un cumulo di pena di 2 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione per reati di diffamazione a mezzo stampa.Gli era comunque concesso di assentarsi da casa dalle 8 alle 19 per assolvere al suo mandato parlamentare. La domanda di grazia era stata presentata dal legale del senatore, l’avvocato Grazia Volo, lo scorso giugno. In questi mesi la procedura è andata avanti e l’ufficio competente del ministero della Giustizia ha acquisito i pareri della procura generale e del Tribunale di Sorveglianza di Milano. Entrambi sono stati favorevoli alla concessione dell’atto di clemenza. Il ministro della Giustizia Castelli ha quindi condiviso le conclusioni e ha proposto la grazia nei confronti di Jannuzzi.

"È una bella notizia, che risolve definitivamente una vicenda che si è protratta troppo a lungo" - dichiara il segretario nazionale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, Paolo Serventi Longhi - "Si possono condividere le opinioni di Lino oppure no - afferma Serventi Longhi - ma non si può non continuare una dura battaglia contro le sanzioni penali e civili per il reato di diffamazione che limitano la libertà d’informazione. Credo che, a questo punto, il Parlamento non possa continuare in un balletto inaccettabile sulla legge per la diffamazione".

"I mille o duemila casi Jannuzzi - ha proseguito il segretario - dove il rischio carcere non è meno grave delle condanne pecuniarie miliardarie, non devono più appartenere al sistema legislativo di un paese democratico come il nostro".

Droghe: Giovanardi; pronto un nuovo carcere per tossicodipendenti

 

Antiproibizionisti.it, 16 febbraio 2005

 

Un carcere per il recupero di tossicodipendenti condannati a pene detentive che non permettono il loro assegnamento a comunità. Sarà inaugurato a marzo in Emilia Romagna, e avrà caratteristiche particolari: ampi spazi all’aperto, attività socioculturali e strutture mediche che possano garantire il recupero dei detenuti, proprio in comunità.

L’idea - spiega il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, intervenuto all’incontro Strategie nazionali e internazionali nella lotta alla droga - è di togliere dal carcere i tossicodipendenti che hanno commesso reati compatibili con il loro affidamento alle comunità. È evidente che chi è condannato per omicidio non può uscire dal carcere, ma non per questo si rinuncia all’idea di un recupero dalla tossicodipendenza.

Un tema, quello del recupero, che per Giovanardi deve essere affrontato in modo articolato: con il carcere, le comunità e la legge, come si tenta di fare con il ddl che prevede la possibilità di rimanere in comunità anche con sentenze passate in giudicato, per evitare che venga troncata l’esperienza di recupero come attualmente avviene. Insomma -sottolinea il ministro- serve quel mix di repressione verso il fenomeno dello spaccio e del consumo, unita all’attenzione per il recupero del tossicodipendente.

Droghe: Giovanardi con Fini per politiche contro la droga

 

Redattore Sociale, 16 febbraio 2005

 

Sarà il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi ad "aiutare" il collega degli Esteri Gianfranco Fini per le politiche contro la droga. Intervenendo questa mattina all’incontro su "Strategie nazionali e internazionali nella lotta alla droga", lo stesso Giovanardi ha indicato la prevenzione, la repressione e il recupero come "le tre direttrici per combattere il fenomeno delle tossicodipendenze".

Ha inoltre insistito sulla necessità di "trovare riscontro parlamentare al ddl Fini sulle tossicodipendenze", pena "il rischio che finisca la legislatura senza l’approvazione di una nuova legge. Giovanardi ha infine annunciato per marzo a Castelfranco Emilia l’inaugurazione di un "carcere modello", per il recupero dei detenuti tossicodipendenti condannati a pene detentive che non permettono l’assegnamento alle comunità. "Saranno le comunità stesse a entrare in carcere con progetti, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria".

I recenti sequestri di droghe avvenuti sul territorio nazionale "dimostrano una preoccupante escalation di stupefacenti con elevata quantità di sostanza attiva, qui di più elevata pericolosità". Senza dimenticare che, "oltre ai vecchi circuiti della distribuzione malavitosa delle tradizionali sostanze d’abuso, oggi sono presenti sul mercato nuove organizzazioni di spaccio, spesso straniere, che hanno indirizzato i consumi attraverso la distribuzione di sostanze mixate tra loro, con effetti micidiali sul sistema nervoso e sulle funzioni psichiche".

Lo ha evidenziato Nicola Carlesi, Capo del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, durante l’incontro di questa mattina, svoltosi presso la sala del Refettorio della camera e promosso dallo Dipartimento nell’ambito dei lavori della Consulta sulle tossicodipendenze. Un’occasione per affrontare, insieme ai componenti della Consulta delle tossicodipendenze, in rappresentanza di Regioni, Sert, Comunità e Associazioni, i temi da discutere nella IV Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, in programma a Pescara dal 20 al 22 settembre.

L’uso definito "normale" di sostanze euforizzanti come l’ecstasy, i derivati delle amfetamine e la cocaina impone strategie di prevenzione e di assistenza urgenti e innovative, secondo il Dipartimento. Carlesi ha rilevato anche "la necessità di aggiornare la rete dei servizi assistenziali, sia pubblici che privati, al fine di garantire risposte adeguate ai nuovi modelli di consumo, alle nuove richieste di trattamento e alle nuove tipologie di dipendenza".

Va sviluppato, dunque, "un sistema di allarme rapido", e allo stesso tempo un monitoraggio che sappia osservare il fenomeno sui territori. Resta sempre urgente il lavoro di prevenzione, da attuare "attraverso una comunicazione sociale attenta, che coinvolga istituzioni, famiglia, scuola", ha precisato ancora Carlesi, ricordando la funzione del Dipartimento da lui guidato: "Unire la funzione politica a quella tecnica".

"Le coltivazioni di coca e oppio continuano a diminuire anche in Afghanistan, in cui il problema droga è il primo in assoluto, ma non dobbiamo dimenticare le droghe sintetiche", ha osservato Antonio Maria Costa, vicesegretario generale delle Nazioni Unite - Direttore esecutivo Unodc (Ufficio delle Nazioni unite per la droga e il crimine) di Vienna, precisando che sta aumentando il "grado di purezza" delle droghe, passato dal 22 al 45% in Inghilterra, ad esempio, "con un maggiore rischio di morte per overdose".

E se l’abuso delle principali droghe "è in declino o stabile nei tradizionali centri di consumo, bisogna affrontare seriamente l’abuso di cannabis e droghe sintetiche". Costa ha suggerito l’introduzione nel nostro paese dei test anti-droga per chi guida. In ogni caso, ha aggiunto, "ridurre la domanda di droghe non è fattibile senza un sistema di controllo. Un numero sempre crescente di paesi sta adottando misure per verificare l’assunzione di droghe nelle industrie e servizi particolari per garantire la sicurezza degli utenti e dei lavoratori".

Fossombrone: i sigari di Liggio e le donne di Vallanzasca...

 

Corriere Adriatico, 16 febbraio 2005

 

C’era Liggio, mafioso di gran fama, che ordinava l’acquisto di sigari speciali. Arrivavano solo per lui. Vallanzasca riceveva cartoline illustrate con i saluti delle ragazze perché lui era il "bel René". Storie ormai lontane. Uscivano dal carcere, prima riservato a minorati fisici poi supercarcere per "pezzi" da novanta non esclusi i nomi più altisonanti delle Brigate Rosse, come indiscrezioni. Oggi le vicende si leggono sui libri e sulle riviste. Il carcere annovera al suo interno il premio "Bancarella" per la scuola Carmelo Gallico, redattore insieme ad altri del giornale "Mondo a quadretti" edito nella casa di reclusione. È stata recente la visita del cardinale Martino, ministro delle affari esteri del Vaticano. La notizia dell’ultima ora è che presto tornerà in forma ufficiale.

Il detenuto scrittore Gallico è stato investito dell’incarico di rappresentare la componente cattolica nei luoghi di pena. Mario Pace recluso da anni si diletta a dipingere e ad organizzare mostre. È studente del Dams di Bologna. Ci sono diversi detenuti studenti universitari. Alcuni letteralmente macinano filosofia ad alto livello. Il carcere di Fossombrone ha fatto spesso parlare di sé. Quando venne scoperto in un covo delle BR a Torino il piano d’attacco la cittadina visse attimi di terrore. Erano gli anni bui con tentativi di evasione e cariche al plastico che non scalfirono per fortuna il possente muro di cinta. Vennero presi in ostaggio anche agenti di custodia.

Pordenone: prevenire stili di vita a rischio nell’adolescenza

 

Cooperativa Itaca, 16 febbraio 2005

 

Cooperativa Itaca e Dipartimento per le dipendenze dell’Ass. 6 Friuli Occidentale hanno tratto oggi un bilancio dell’attività quadriennale del progetto Con-Tatto. "Strade Movimenti Sperimentazioni (SMS) - Itinerari verso l’adolescenza", questo il titolo dell’incontro svoltosi presso l’Auditorium della Regione. Presenti gli operatori di strada della Cooperativa Itaca che hanno attuato il progetto e il dottor Andrea Flego, direttore del dipartimento per le dipendenze di Pordenone. Oltre 2 mila i ragazzi tra i 14-25 anni contattati, oltre 200 quelli con i quali si sono instaurate relazione educative significative, età media di 17 anni.

Resta da sciogliere il nodo dei finanziamenti. Dopo tre anni di intenso lavoro, infatti, il progetto si è concluso con il 31 dicembre 2004 a causa della fine dei finanziamenti. Un vero peccato rischiare di disperdere il lavoro svolto ha, sottolineato il direttore del dipartimento dottor Andrea Flego, che ha assicurato l’impegno da parte dell’Ass. per reperire i fondi. Resta il fatto che i finanziamenti ad oggi, ha ribadito il presidente della Cooperativa Itaca Leo Tomarchio, non ci sono ed il rischio di perdere il lavoro a favore degli adolescenti finora svolto c’è ed è concreto.

Si sono fatte notare le assenze dei ‘politici’ al convegno di stamattina: peraltro annunciati, mancavano infatti il direttore generale dell’Ass6 Fabrizio Oleari causa un improvviso impegno ed il vice presidente della Provincia di Pordenone Alessandro Ciriani. Assenti anche gli amministratori della Regione Friuli Venezia Giulia e dei Comuni della provincia, unici presenti l’assessore alle politiche sociali di Pordenone Gianni Zanolin e l’assessore alle problematiche giovanili di Cordenons Stefano Raffin.

Il progetto "Con-Tatto" nasce dalla collaborazione privato-sociale tra l’A.S.S. n°6 Friuli Occidentale e la Cooperativa Itaca. In particolare il Dipartimento per le Dipendenze ha inteso mettere in campo nel territorio pordenonese una nuova metodologia nell’ambito della prevenzione primaria: l’operatività di strada.

L’operatività di strada prevede che gli operatori si pongano come adulti di riferimento verso i giovani (in particolare ragazzi tra i 14 e i 25 anni) incontrati in luoghi informali (bar, piazze, muretti, strade, eventi...) per sostenerli, attraverso una relazione educativa, nel loro particolare percorso di crescita e, quando necessario, accompagnarli verso servizi maggiormente specializzati.

In questi tre anni di attività del progetto "Con-Tatto", gli operatori hanno così avuto modo di affrontare con i ragazzi vari ambiti problematici, quali l’uso ed abuso di sostanze psicotrope, la famiglia, la sessualità, l’abbandono scolastico, la gestione del tempo libero (organizzazione di eventi) e altro ancora.

Di volta in volta gli operatori hanno lavorato in rete sia con le agenzie e gli enti del territorio che storicamente operano in questo ambito (Servizi sociali, Consultori, Scuole, Progetti giovani, Parrocchie, ...), sia con gli adulti che per la loro particolare professione incontrano quotidianamente i giovani (gestori di bar, locali, discoteche, negozi). Gli operatori di "Con-Tatto" sono stati riconosciuti come risorsa anche per alcune consulenze ad altri progetti, ed anche per la partecipazione come relatori ad alcuni convegni.

Questo ha permesso di poter incidere con molta delicatezza sull’immaginario che gli adulti spesso hanno del "giovane", partendo dall’assunto che una buona opera di prevenzione passa necessariamente nell’avvicinare questi due mondi.

Tutta l’operatività di "Con-tatto" è regolata da una metodologia che prevedeva incontri settimanali d’equipe, una supervisione operativa ogni quindici giorni, due momenti di valutazione all’anno, dei momenti di formazione per gli operatori e una rendicontazione su supporto informatico di tutte le attività svolte. Gli operatori di strada rappresentano una prima risposta ai bisogni e disagi rilevati nei giovani che riescono ad "incrociare", e possono essere considerati come osservatorio privilegiato, e quindi risorsa, per tutte le istituzioni o enti che hanno a cuore la prevenzione di stili di vita a rischio e, più in generale, la promozione del benessere nella comunità locale.

 

Alcuni dati

 

Relazioni con 212 ragazzi (contatti stimati circa 2000, di cui 1500 nella scuola, 500 in strada).

Il 59% maschi, il 41% femmine.

Il 14% immigrati.

L’età media è risultata 17 anni.

Il Target di età effettivo è 11-30.

Età media dei ragazzi conosciuti 17 anni.

Uscite/lavorato anche in orari notturni e festivi in ambito Comune di Pordenone.

Uso dei telefoni cellulari (SMS) per appuntamenti e chiamate tra operatori e con i ragazzi.

 

Zone di osservazione

 

Bar, pub, sale giochi, piazze, stazione delle corriere, scuole, parchi e parrocchie.

 

I luoghi d’incontro

 

Centro in generale,Piazza Cavour, Piazza "delle corriere",Piazza XX° Settembre,Deposito Giordani, InChiostro, Lakrus, Largo Cervignano, Via Pontinia, Villanova, Music in Village, Scuola.

 

Provenienza dei ragazzi

 

Pordenone 75%, provincia 19%, fuori provincia 2%.

Afferiscono ai servizi territoriali 58%, non afferiscono ai servizi 42%.

 

Contatti

 

Tramite amici 30%, tramite aggancio degli operatori 32%, da soli 7%, scuola 29%, invio dai servizi 2%.

 

 

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