Rassegna stampa 29 dicembre

 

Il Consiglio dei Ministri "si è rimangiato"

un pezzo della legge ex Cirielli

 

Ristretti Orizzonti, 29 dicembre 2005

 

Nel Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n° 37 del 22 dicembre 2005, in mezzo a una selva di provvedimenti su temi che vanno da accordi fra Italia ed Israele in materia di sicurezza delle reti al codice della navigazione, si legge anche:

"Il Consiglio ha approvato una disposizione che consente di non applicare ai tossicodipendenti plurirecidivi le previsioni introdotte dalla legge n. 251 del 2005, relative alla sospensione dei benefici penitenziari ai condannati".

Questa disposizione dovrebbe trovarsi all’interno del Decreto Legge "Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno", che è attualmente all’esame del Capo dello Stato.

Dunque, a meno di un mese dall’approvazione della legge 251, meglio conosciuta come ex Cirielli, nella logica del "Qui lo dico e qui lo nego" il Governo si è "rimangiato" già parte della legge fortemente voluta dalla Casa delle Libertà, e ora non sa bene cosa fare dal punto di vista "mediatico": da una parte, Giovanardi si è assunto la "paternità" di questa modifica, su sollecitazione di Muccioli e di altri alla Conferenza sulla droga di Palermo (evidentemente la preoccupazione di non avere più utenti all’interno delle comunità ha fatto svegliare tanti. Quindi, a "morte" tutti i recidivi, ma se sono tossicodipendenti mandateceli in comunità), dall’altra è dura pubblicizzare la follia di una legge appena fatta e già modificata, e fingere anche di essersi accorti solo adesso dei disastri che avrebbe prodotto sui tossicodipendenti.

Ora sono "salvi" i tossicodipendenti che credevano di essere nei termini per un affidamento, e magari si trattava del secondo affidamento, e si erano ritrovati invece, con la ex Cirielli, a dire addio alle speranze e a restarsene ancora a fare altra galera.

Ma gli altri? Le donne Rom, colpevoli di tanti piccoli furti? gli altri disperati che vivono in strada e il carcere lo vedono troppo spesso? E i tossicodipendenti stessi, che si vedranno penalizzati nei processi con pene molto più pesanti? Per loro va tutto bene? Niente splendido "regalo di Natale" che si rimangia un pezzo di una legge appena approvata, che come unico, vero obiettivo ha la distruzione della legge Gozzini?

 

La Redazione di Ristretti Orizzonti

 

L’aggiornamento della ex Cirielli, ossia renderla inapplicabile per i tossicodipendenti solo per la parte riguardante l’esecuzione della pena e lasciare, così come è, il trattamento previsto in fase processuale con aumenti di pena da capogiro, comporterà un unico e solo vantaggio che agevolerà soprattutto chi questo piccolo cambiamento lo ha chiesto: non dimentichiamoci che dietro ci sono state le pressioni di Muccioli, don Gelmini, Ce.i.s..

Ora questi che si vantano con l’opinione pubblica di aver strappato a Giovanardi una grandiosa concessione, non sono per caso quelli a cui non interessa niente che un tossicodipendente si ritrovi dieci o venti anni di galera da fare, per reati sicuramente non di alto livello, purché, scontata un’eternità dietro alle sbarre, alla fine entrino nel circuito sempre più fiorente del business, ormai a livello industriale, delle Comunità di recupero? Tutto è stato comunque giocato e deciso a Palermo mentre era in corso a Roma una contro-conferenza, che raduna moltissime realtà che di ex-Cirielli o di Fini-Mantovano non ne vorrebbero proprio sapere, e sono tante.

 

Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti

Giustizia: Castelli; le carceri sovraffollate e i miei interventi

 

Corriere della Sera, 29 dicembre 2005

 

A fronte dello spettacolo non proprio commendevole offerto dai firmatari della seduta straordinaria della Camera, che hanno preferito disertare il dibattito dopo averlo richiesto, dimostrando che il partito dell’amnistia non è poi così determinato, occorreva rapidamente trovare un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe. Chi meglio del ministro Castelli risponde alla bisogna? Ecco allora un importante fondo del dottor Galli della Loggia che dichiara, ipse dixit, che il ministro non ha, testuale "mosso un dito per tutti questi anni in cui è stato ministro della Giustizia per risolvere il problema delle carceri". Affermazione pesante, a cui segue l’immancabile reprimenda sui politici e i governanti in generale. Mi sarei aspettato che una così definitiva e autorevole accusa fosse scaturita da un’accurata indagine sullo stato delle carceri, dopo una verifica sul campo. Da una rapida indagine invece non risulta che il dottor Galli della Loggia abbia mai chiesto informazioni né al ministero, né al dipartimento e non risulta nemmeno che abbia mai visitato un istituto. Su cosa basa, allora, le sue squalificanti affermazioni su di me? Non si sa. Certo non vale l’affermazione per cui la mia supposta inerzia sarebbe un fatto notorio. Ora, sulla serietà di questo comportamento potrei polemizzare a lungo, preferisco invece illustrare l’attività di questi anni al fine di fare opera maieutica sul dottor Galli della Loggia e di informazione ai lettori, chiedendo di essere giudicato sui fatti e non sul "sentito dire". Era da tempo noto che il problema principale del sistema penitenziario italiano fosse il sovraffollamento, pertanto da subito ho operato su questo fronte. Nei primi mesi del mio dicastero ho reso operativo il penitenziario di Bollate, pronto ma vuoto prima del mio arrivo. Ciò ha permesso di avere a San Vittore un massimo di 1.500 detenuti, contro i precedenti 2.200. Negli anni successivi abbiamo poi messo in funzione gli istituti di Caltagirone, Castelvetrano, S. Angelo dei Lombardi, Laureana di Borrello e Perugia, mentre a febbraio, superando notevoli difficoltà, apriremo Ancona.

Abbiamo inoltre ristrutturato oltre 5.000 posti prima fatiscenti. Consapevoli che l’aumento della popolazione, legata soprattutto al fenomeno dell’immigrazione clandestina, è ormai diventato un dato fisiologico del sistema, abbiamo dato vita ad un vasto piano di costruzione di nuovi penitenziari. Di essi, 23 sono stati programmati con lo strumento tradizionale delle poste in Finanziaria e realizzazione da parte del ministero delle Infrastrutture. Per questa via sono stati aggiudicati i lavori di 4 penitenziari e altri 2, Savona e Rovigo, saranno aggiudicati nei prossimi giorni, per un totale di 2.000 posti. Poiché questa procedura richiede tempi lunghi, abbiamo ricercato vie innovative, trovandone due: lo strumento del leasing e la costituzione di una società, la Dike Aedifica, che potesse impiegare fondi derivanti dalla dismissione di carceri obsoleti.

Attraverso il primo strumento sono già stati aggiudicati i lavori per l’ampliamento di Bollate, mentre, invece, sul secondo fronte, la Patrimonio S.p.A., società deputata a valorizzare i vecchi penitenziari, non è ancora riuscita a garantire sufficienti finanziamenti. Consapevole del fatto che costruire nuovi penitenziari non è una risposta esaustiva, ho cercato di agire sul fronte del contenimento del numero dei detenuti. Atteso che il problema fondamentale è costituito dagli stranieri, abbiamo individuato anche qui strumenti innovativi. Attraverso la Bossi Fini rimpatriamo, liberi, circa 100 detenuti al mese nei Paesi di origine, e abbiamo stipulato, fatto senza precedenti, accordi con Albania, Bulgaria e Romania al fine di far scontare la pena in patria. Il bilancio è fino ad ora di circa 3.000 detenuti espulsi. Galli della Loggia dichiara che le nostre carceri versano in uno stato "pietoso e vergognoso", dichiarazione opinabile ma essendo di natura relativistica, incontrovertibile. Segnalo però che il Bilancio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è passato da 2.312 milioni di euro del 2000 a 2.807 milioni previsti per il 2006.

Ciò significa che un detenuto costa ai cittadini italiani circa 130 euro al giorno, mentre negli Stati Uniti 63 dollari cioè meno della metà. E ancora Galli della Loggia afferma che gli agenti sono sott’organico. È vero, infatti a fronte di un organico di 44.000 unità il corpo ne conta attualmente 43.000. Segnalo che ciò significa un agente ogni 1,4 detenuti. La media europea è di un agente ogni 3 detenuti, mentre quella degli USA è di un agente ogni 7 detenuti. E ancora, lo Stato spende pro capite per la salute dei detenuti il doppio che per i cittadini liberi. I suicidi sono passati dall’1,25 per mille del 2001 allo 0,88 del 2005 (dato del 15-12). Questo, in termini sintetici, è il quadro. È stato fatto poco o tanto? Non spetta a me giudicare. Credo però che questo Governo abbia il diritto di essere valutato sui fatti e non sui pregiudizi. Poiché molti di questi numeri sono scomodi per i critici a priori, so già cosa diranno. Che i dati non sono veri. A questo proposito sfido chiunque di fronte ad un giurì d’onore a verificarli. Mi sia consentito però un appello. Mai come in questo caso le parole sono pietre. Smettiamola di accreditare i nostri penitenziari come un inferno, smettiamola di eccitare irresponsabilmente gli animi dei detenuti, di esasperali ingenerando in loro false speranze, sistematicamente disattese. Tutta la classe politica sa che i cittadini vogliono, con pieno diritto, sicurezza. Non vogliono amnistia né indulto. Allora cerchiamo di avere il coraggio di dire la verità ai detenuti e di avere rispetto per chi soffre. Perché in carcere si soffre. Ciò è indubitabile.

È noto che io sto con Abele, ma non posso dimenticarmi di Caino. D’altro canto l’Italia non è un Paese di aguzzini. Di fronte a 60.000 detenuti registriamo oltre 38.000 condannati in esecuzione penale esterna, dato in aumento. E infine ricordiamoci che in questi 5 anni, in carcere si è vissuti senza sommosse e incidenti di rilievo, al contrario di quanto è accaduto nella passata legislatura. Se ciò è accaduto, è perché abbiamo il personale tutto che ogni giorno si spende con professionalità e abnegazione in un’attività lontana dai riflettori. Ma anche perché la popolazione dei detenuti ha dimostrato più senso di responsabilità di tanti nostri politici e opinion makers.

 

Roberto Castelli, Ministro della Giustizia

 

Insomma: il quadro carcerario è decisamente roseo, va tutto benissimo, il ministro Castelli ha fatto tutto ciò che andava fatto e che le prigioni della Penisola versino in uno stato vergognoso è assolutamente opinabile. Confermo tuttavia che nel caso particolare è la mia opinione, e forse, quel che sento, non solo la mia.

 

Ernesto Galli della Loggia

Amnistia: lettera aperta di Don Mazzi a Romano Prodi

 

Comunicato Stampa, 29 dicembre 2005

 

Caro Romano, la lunga amicizia che ha segnato positivamente il nostro passato mi permette di provocarti (è inutile usare un altro verbo, perché mi conosci) su un terreno tanto caro per me quanto delicato per te: il carcere. Insieme con altri ho marciato a Natale perché i tempi dell’amnistia si abbreviassero. Ho sperato che tu mandassi un segnale di assenso, anche timido. Invece uno dei tuoi ha lasciato una dichiarazione ai giornali che non vorrei fosse frutto dei vostri colloqui. Ci ha accusati "di non avere un briciolo di sensibilità verso la sofferenza dei detenuti, fomentando illusioni". Spiega e ricorda a quel giovanotto, uscito dai ranghi dell’Azione Cattolica, di che pasta sono fatto e che per primo da vent’anni ho ospitato e ospito nelle mie comunità tutte le alternative al carcere che sono state progettate con la nascita della Gozzini. Legge che ha trasformato una intuizione tacciata di debolezza e di poco senso dello Stato, nello strumento più azzeccato per la lotta al terrorismo. Nessuno vuole illudere i carcerati. Vogliamo che si ponga fine ad un indegno ammassamento di persone dentro le galere e che si smetta di costruire nuovi istituti penitenziari.

Sono due i tempi, che vanno attuati per riportare i castighi e le pene in linea con le strategie di una repubblica democratica. Il primo l’amnistia, pensata da alcuni come atto di clemenza, e da altri, con più intuito, antefatto necessario per il passaggio al secondo tempo, cioè al tempo per la collocazione della giustizia entro l’alveo della rieducazione e non solo della bieca repressione. Si riprendano i processi veloci e sicuri; le vie alternative al carcere; le messe alla prova massicce per i minori che sbagliano; la formazione delle guardie carcerarie; un ministero che sia degno del titolo che porta, cioè della Giustizia. È scandaloso che siano sempre i poveri a farne le spese, come è scandaloso che certa stampa e certa politica vada rimestando nella confusione caricando sui poveri crimini mai esistiti, violenze mai esibite, ricatti mai pensati. Sarebbe già un grande gesto di politica sfoltire le carceri da quanti potrebbero uscirne solo se i processi si celebrassero in tempi debiti. Romano fammi un favore esci dal tuo limbo. Il peso della tua autorevolezza deve incidere con forza affinché i due tempi di cui sopra si avverino. Le galere potrebbero diventare in pochi giorni o mina vagante con conseguenze incontrollabili o spazi dai quali partire, subito, per esternare segnali di una politica sociale diversa, più intelligente, più a misura d’uomo. Se uno sforzo personale dalle valenze positivissime ti portasse ad incontrare il Presidente Berlusconi, e accordarti sui passaggi minimi e sui contenuti dell’amnistia, anticiperesti con i fatti molto più che con le parole i programmi di un Governo meno legato agli equilibri interni e più attento ai disagi generali.

 

Don Antonio Mazzi, Presidente del Comitato Promotore della Marcia di Natale

Amnistia: Pecoraro, se non è possibile, almeno l’indulto

 

Ansa, 29 dicembre 2005

 

Per il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, "è necessario un provvedimento di clemenza". "Amnistia e indulto insieme - aggiunge il leader dei Verdi - sono una scelta importante e utile, l’amnistia riduce anche i carichi degli uffici giudiziari di questo paese". "Ma se non è possibile fare entrambe le cose - spiega Pecoraro - almeno l’indulto sarebbe una risposta a una serie di allarmi e difficoltà che ci sono nel sistema carcerario". Ma soprattutto, chiarisce Pecoraro Scanio, "l’indulto riguarderebbe soltanto i piccoli reati e non i fatti di sangue, i camorristi, i terroristi e i grandi truffatori dei mercati finanziari". "È evidente - conclude Pecoraro - che non si tratta di fare un altro regalo ai potenti e ai prepotenti: ne hanno già fatti abbastanza nel governo del centrodestra".

Amnistia: la beffa di Natale, di Nando Dalla Chiesa

 

L’Unità, 29 dicembre 2005

 

Era prevedibile. L’amnistia, in politica, è una brutta bestia. C’è chi ci crede davvero, come valore in sé, rituale di una giustizia mite. C’è chi la usa per rifare il lifting alla propria immagine di garantista, raggrinzita da servizievoli pratiche verso il potere ingiusto. C’è chi la usa per lucidare in chiave più umana il proprio verbo di cattolico ortodosso. C’è chi la usa perché il garantismo ha comunque un mercato politico. E ci sono ancora tanti "chi". Fatto sta che se così stanno le cose - e così stanno - non c’è affatto da stupirsi nel vedere giungere alla Camera meno della metà dei deputati che hanno firmato solo alcuni giorni fa la richiesta di una seduta straordinaria da dedicare a questo tema da sempre controverso.

Colpa di Casini e del calendario scelto? Forse anche. Ma è arduo sostenere che sarebbe andata meglio la vigilia di Natale o sotto Capodanno o nei primissimi giorni di gennaio. L’amnistia fu al centro del dibattito già dopo la visita di Giovanni Paolo II in Parlamento. Chi aveva sensibilità doveva usarla lì, di fronte a quel richiamo che trascendeva le ragioni della politica e della coscienza che sconfinava nelle pieghe dell’anima; doveva farsi penetrare dal quel messaggio allora e poi assumersi la responsabilità di trasformarlo in scelta politica. Non andò così. Venne fuori la proposta dell’indulto, per ragioni che anche ieri sono risuonate nell’Aula di Montecitorio. È giusto, o ha senso, svuotare le carceri, alleviare le sofferenze di chi qualcosa ha già pagato; non ha senso procurare impunità indifferenziate, giungendo in soccorso di chi sta fuori ottimamente difeso e ha solo il disturbo di un processo. Ma anche la proposta dell’indulto benché forte di appoggi trasversali, venne limata, contenuta, smussata; fino a far nascere l’"indultino", forse il massimo che potesse partorire il contesto politico di questa legislatura. Perché poi, nello stesso identico contesto, a centinaia abbiano ritenuto di poter offrire e quasi promettere l’amnistia ai detenuti, questo per me rimane un mistero. Va da sé che lo spirito della richiesta ha un suo senso, tocca corde umane e civili che per fortuna suonano ancora, esorta tutti a riflessioni più serie e coraggiose dell’usuale. Ma chi ha già vissuto la vicenda dell’indultino ha avuto modo di chiarirsi molto bene lo stato delle cose presenti. Ha potuto misurare dall’interno atteggiamenti e sentimenti, calcoli e possibilità. E ha, anche, potuto registrare la maggiore complessità - culturale, giuridica - che un’amnistia odierna comporterebbe rispetto a quindici anni fa. Né, vorrei aggiungere, sfugge certo ai parlamentari la qualità del nuovo sistema elettorale e il grappolo variegato delle sue implicazioni. Davvero vogliamo credere che in un sistema rappresentativo organizzato per liste di partito, con il proporzionale nuovamente imperante, un partito come la Lega voglia rinunciare a fare fino in fondo la faccia feroce, di paladino di cittadini onesti, della certezza della pena, proprio lei che ha un ministro della Giustizia che si è battuto al limite della Costituzione per negare la grazia a Sofri e oggi nemmeno davanti alla sua malattia tradisce uno scrupolo in più? Un ministro della Giustizia che, se ben ricordo, definì "hotel a cinque stelle" il carcere di Cagliari pochi giorni prima che vi si ammazzassero due detenuti?

E si pensa che Alleanza Nazionale possa cedere il passo alla Lega nel presentarsi come il partito dell’ordine e della sicurezza dopo avere già messo la patria sotto il tappeto della devolution, dopo aver votato senza fiatare le leggi dell’impunità? Che possa cioè rinunciare gratis a quel che resta della sua immagine presso il proprio elettorato più tradizionalista?

Certo, Forza Italia è sotto questo profilo un pò diversa. Ma anche lei compete per i voti. Anzi, si gioca il primato nella coalizione, visto che gli alleati puntano proprio su questa legge elettorale per competere con lei, per ingrassare - loro - della sua crisi. E un leader che per mesi e mesi non ha l’elementare coraggio di mandare a casa Fazio può avere mai il coraggio di farsi carico di una parola d’ordine così impegnativa in campagna elettorale? E l’Udc, se davvero avesse voluto l’amnistia, non si sarebbe mossa già anni fa, almeno per compiere un gesto di riconoscenza verso un grande Papa prima che morisse? Per offrirgliela, l’amnistia, come ultima e più grande testimonianza d’amore e di spirito filiale?

Tutto questo era limpidamente squadernato davanti a noi. Perciò, sul piano umano e politico, non è stato il massimo della responsabilità fare intravedere alle masse dei detenuti la possibilità di un’amnistia in arrivo a settimane. Non era difficile capire. Così come, aggiungo, non è difficile capire che il centrodestra aspetta solo che l’opposizione chieda un’amnistia sotto elezioni per azzannarla alla gola. Per riprendersi quella rendita di posizione sulla sicurezza che fu probabilmente decisiva nel 2001 e che si è molto assottigliata in questi anni, per demerito degli uni e merito degli altri.

Rinunciare dunque ai progetti di diritto mite, per usare la bella espressione di Gustavo Zagrebelsky? Rinunciare a ogni idea di clemenza? No. Ma certo la prima cosa da evitare, se si vogliono davvero difendere le condizioni di vita dei detenuti, se si vogliono promuovere le pene alternative al carcere, se si vuole valorizzare la dimensione restitutiva rispetto a quella afflittiva della pena, è che torni al governo il centrodestra, magari sull’onda di una bella campagna securitaria a colpi di televisioni. Solo così si potranno fare riforme organiche e affrontare un tema tanto delicato e complesso come quello dell’amnistia (sono cambiate sia la qualità dei reati perseguiti sia, ancor più, la composizione della popolazione carceraria) con la dovuta serietà. Soprattutto occorre evitare che torni il governo di centrodestra - finalmente - la giustizia si faccia carico degli "ultimi" almeno quanto dei "primi".

Già, perché in tutto questo c’è qualcuno che dal punto di vista morale davvero non dovrebbe sapere da che parte voltarsi, davanti alla richiesta di clemenza che sale dai dannati della terra. Ed è la maggioranza di governo. Questa maggioranza che un’amnistia mascherata la stava già facendo (decine di migliaia di processi all’anno, decine di migliaia di imputati amnistiati senza avere mai messo un piede in carcere) con la prima versione della Salva Previti. Questa maggioranza che ha chiuso l’anno solare in Senato "incardinando" a rotta di collo l’ultima legge ad personam per il premier, quella che abolisce il processo di appello se la sentenza di primo grado è di assoluzione. La maggioranza che, in Senato, riprenderà i suoi lavori dopo Natale avendo all’ordine del giorno esattamente quella legge, ultima vera incombenza prima che si chiuda la legislatura. Perché la faccia e il coraggio di fare un’amnistia sotto elezioni insieme con l’opposizione mancano del tutto. Ma la faccia e il coraggio di fare un’ultima amnistia solo per se stessi quelli non mancano di sicuro. Anzi, è un dovere.

Amnistia fa rima con... ipocrisia, di Mauro Mellini

 

L’Opinione, 29 dicembre 2005

 

Se questa amnistia chiesta da Pannella e, prima di lui, in verità, dal Papa e, dopo di lui, a quel che sembrerebbe, da molte altre brave o meno persone, dovesse andare in porto, l’uscita dal carcere di una o molte persone (dovessero essere anche le più sicuramente colpevoli dei reati più odiosi ed allarmanti) sarà fatto che, di per sé, non mi dispiacerà affatto. Perché con la giustizia che abbiamo oggi in Italia, nessuno può dirsi giustamente, oltre che legittimamente, detenuto. Non basta, infatti, che uno sia colpevole perché, in un paese civile, si possa tenere in galera. Occorre che tale sia stato riconosciuto con un processo giusto, così come un linciaggio non ha mai rappresentato una impiccagione "legale", anche quando nessuno riteneva innocente il linciato ed ingiusta la pena di morte. Altra cosa sarà (ammesso che l’evento si compia) stabilire che sia giusto che chi dovrà pur rimanere in galera (anche Pannella, che, in genere, non si lascia distrarre dai particolari, penserà ad un’amnistia generale e totale) possa dirsi giustamente escluso dal beneficio, proposto (e promosso) da tanta brava gente.

Ma, per un giorno, sia pure il giorno di Natale, si sarebbe detto che lo stile di Pannella avesse contagiato tutti, così come, a suo tempo, tutti si spellarono le mani ad applaudire il Papa che, nel suo "discorso della corona" (o del triregno) a Montecitorio, chiedeva un provvedimento di clemenza per i detenuti. Gli stessi che lo applaudirono provvidero, intanto, a "consolidare" il famigerato "41 bis", cioè il "carcere duro" (altro che necessità di impedire che i boss continuino a commissionare delitti!), con il dichiarato, anche se inconfessabile, proposito di estorcere la "collaborazione", il "pentimento" a chi vi era sottoposto. Tra i partecipanti alla sfilata di Natale, molte le facce di personaggi per i quali chiedere l’abolizione del 41 bis equivale essere "concorrenti esterni" della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta etc., etc.. Fuori, quindi, dall’amnistia, intanto, i sottoposti al "41 bis". Fuori tutti gli accusasti (condannati o in attesa di condanna) per mafia. E poi, "ovviamente", quelli per traffico di droga, per corruzione, concussione, abuso d’ufficio, reati di cui sono condannati, condannandi, indagati ed indagandi Berlusconi, Dell’Utri, Previti e tanta gente che a chiederne l’amnistia si fa peccato mortale. Niente amnistia, "ovviamente", per pedofili e presunti tali, per gli inquinatori (sempre veri o presunti), per gli usurai (ci mancherebbe altro!) e così via.

Così via per un buon numero di condannati (e, quindi, di imputati). Un certo numero di essi, invece, necessariamente, ne fruirebbe. Ma i sostenitori dell’amnistia (e specie quelli che possono permettersi di lasciare ad altri il fastidioso compito di stabilire a chi sì e a chi no) affermano che, comunque, l’eliminazione del livello insostenibile di affollamento carcerario costituirebbe la condizione per poter affrontare riforme essenziali per avere una giustizia più giusta. L’esperienza dimostra il contrario. Una giustizia all’italiana si avvale delle amnistie per riprendere fiato ed imperversare con nuove "campagne", misure forcaiole, giustizia sommaria. Così da sempre: "ner riscioje lì ladri e l’assassini me pare che er governo abbi raggione li locali sò pochi e piccinini e senza ariseravà quarche priggione, dov’ha da mette poi li giacubbini"? Lo scriveva G.G. Belli centottanta anni fa ed il metodo della giustizia papale è passato fino a noi senza troppe variazioni. Certo è che dopo ogni amnistia segue un’ondata di recriminazioni, una ripresa del forcaiolismo, una nostalgia della giustizia sommaria, una accentuata (e non del tutto ingiustificata, di fronte ai fatti) confusione tra garantismo e lassismo, accomunati nel dileggio e nell’esecrazione.

In termini più ravvicinati alle sorti dei detenuti rimasti in galera e degli imputati non esentati dal rischio di finirci, le reazioni immediate all’amnistia sono quelle della restrizione di tutti i "benefici" nell’esecuzione della pena (e dell’estensione dei "malefici" a cominciare dal "41 bis") ed in una più accentuata sommarietà e severità delle condanne. Questioni come queste Pannella ha il privilegio di non doversele porre e volentieri gli lasciano il merito delle buone intenzioni, senza fargli carico del demerito di volare al di sopra di questi particolari. Ma molti, troppi partecipanti alla marcia di Natale, che, oltre tutto, hanno abitudini opposte in fatto di attenzioni rispettivamente per gli ideali ed i particolari della condotta politica, non riuscivano certo a nascondere con le loro facce e le loro dichiarazioni compunte, di sapere bene che tali problemi esistono e sono quelli che danno il vero segno di una parola, come amnistia. Nel 2006 (che non è il 1847). Amnistia fa, dunque, rima con ipocrisia. Un omaggio del vizio alla virtù? Per qualcuno sarà pure così. Ma, purtroppo, l’ipocrisia di qualcuno va oltre, al punto che non si può neppure parlare di ipocrisia. Si tratta dell’intento di creare e far crescere una patata bollente per metterla nelle mani di un governo ed una maggioranza cui sarà lasciato l’ingrato compito di prendere atto della impraticabilità, e peggio che della impraticabilità, di questa strada. Uno scherzo crudele e cinico sulla pelle dei detenuti, di coloro che hanno sete di giustizia, di tutti. Ed a beneficio dei "signori della giustizia, degli irresponsabili censori delle responsabilità altrui, maestri del vittimismo. Che è mestiere facile quando gli altri credono di essere troppo furbi.

Amnistia: dal 10 gennaio in Commissione Giustizia alla Camera

 

Il Tempo, 29 dicembre 2005

 

Non l’amnistia (che estingue il reato) bensì l’indulto (che condona la pena) di due anni, purché sia stato espiato un quarto della pena, e con l’esclusione dei reati più gravi. È quanto prevede il testo su cui partirà il confronto alla commissione Giustizia della Camera il prossimo 10 gennaio: si tratta del testo su cui si era bloccato nel gennaio 2003 la discussione parlamentare, e il presidente della commissione Giustizia, Gaetano Pecorella, ha proposto all’ufficio di presidenza di ripartire da lì. Anche in quella occasione mancava in aula il quorum dei due terzi, e così si optò per il cosiddetto "indultino", cioè uno sconto di pena che richiedeva solo una maggioranza qualificata, che infatti passò sia alla Camera che al Senato.

Il fatto che il testo base preveda l’indulto non esclude "a priori" che poi alla Camera, prima in commissione e poi in aula, si possa optare per l’amnistia. Infatti ogni gruppo parlamentare potrà presentare gli emendamenti che crede e alla fine arriverà il provvedimento, amnistia o indulto, su cui si sarà formata una maggioranza parlamentare. Ovviamente in aula servirà sempre il quorum dei due terzi richiesto dalla Costituzione. In ogni caso martedì 10 si partirà dal cosiddetto "Testo Mormino", dal nome del relatore nonché vicepresidente della Commissione, l’azzurro Nino Mormino. Eccone i punti principali: - Indulto: Nei suoi otto articoli si prevede "l’indulto nella misura non superiore a due anni per le pene detentive, e non superiore a 10.000 euro per le pene pecuniarie". - Condizioni: il beneficio si applica ai condannati "che abbiano espiato almeno un quarto della pena detentiva". - Esclusioni soggettive: Niente indulto peri recidivi, "per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza". - Esclusioni oggettive: l’indulto non si applica alle pene per i reati più gravi, come quelli associativi, attentato terroristico, strage, riduzione in stato di schiavitù, prostituzione minorile, pedofilia, riciclaggio, traffico di stupefacenti. - Misura ridotta: il testo Mormino stabilisce la concessione dell’indulto nella misura ridotta di un anno per altri reati, come rapina, estorsione, usura. - Revoca: l’indulto può essere revocato, il che riporterebbe in carcere il beneficiario. Ciò avverrebbe nel caso in cui esso dovesse commettere, nei successivi cinque anni, "un delitto non colposo per il quali riporti una pena detentiva non inferire a due anni".

"Illustre Signor Presidente, mi rivolgo a Lei, garante della Costituzione italiana e massima autorità istituzionale, per segnalare la precaria e difficile situazione delle carceri del Paese, auspicando un Suo autorevole intervento. Se, come hanno scritto sia Voltaire sia Dostoevskij, il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri, il nostro non sembra proprio essere un Paese civile. L’attuale situazione penitenziaria vanifica, di fatto, il fondamento del terzo comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione laddove prevede che "… le pene devono tendere alla rieducazione del condannato"."

Amnistia: anche il Vaticano richiama il Parlamento

 

Il Mattino, 29 dicembre 2005

 

La strana coppia Osservatore Romano e Marco Pannella, in disaccordo quasi su tutto, dai Pacs all’aborto, uniti per l’amnistia. Atto di clemenza chiesto in Parlamento nel 2002 da Giovanni Paolo II e mai varato, a eccezione del cosiddetto indultino servito a far uscire dalle carceri poco più di ottomila persone. Una goccia nel mare del sovraffollamento penitenziario, tema discusso l’altro giorno nell’aula semideserta di Montecitorio, nonostante la raccolta di firme da parte di oltre duecento deputati. "Si infierisce sulla speranza dei detenuti" titola il giornale della Santa Sede che riepilogando i lavori parlamentari ricorda che "di amnistia, o meglio di indulto, se ne tornerà a parlare a gennaio". Quando tornerà a riunirsi la commissione Giustizia per esaminare un disegno di legge su cui nel 2003 fu impossibile ottenere la maggioranza dei due terzi che la Costituzione impone. Papa Wojtyla chiedeva un gesto incondizionato di clemenza, mentre la Camera dovrebbe al limite discutere di indulto, provvedimento che non estingue il reato e ugualmente condona la pena. "Amnistia e indulto non possono essere la risposta sistematica a una giustizia lenta, sono le riforme a dover portare tempi ragionevoli nei processi, ma occorre un provvedimento di clemenza", scrive Famiglia Cristiana. Pannella intanto se la prende con Romano Prodi accusato di "colpevoli silenzi" nei confronti di "una battaglia sociale che dovrebbe essere di sinistra e invece - dice - non c’è stata nemmeno una parola, un barlume, un respiro; dall’altra, i Ds, sono intervenuti con Anna Finocchiaro che ha fatto un discorso più infelice di quello di quanti hanno fatto in modo che dall’amnistia si arrivasse all’indultino (An e Lega, ndr)". Il Professore bacchettato da un potenziale alleato, nel resto della coalizione, da Rifondazione all’Udeur, con qualche incertezza nella Margherita, prevalgono i sì, ma a circa un mese dalla fine della legislatura il tempo pare scaduto, tanto che i Verdi propongono un patto bipartisan nella prossima, perché "sarebbe del tutto cinico e sbagliato continuare a spargere illusioni sulla possibilità che dalla convocazione della commissione Giustizia prevista per il 10 gennaio possa uscire un’indicazione positiva", taglia corto Paolo Cento. An intanto conferma, attraverso il portavoce Andrea Ronchi, il no e chiede "più responsabilità e meno demagogia su certi argomenti". Atto di clemenza da tre anni come una pallina di ping pong che di tanto in tanto rimbalza nell’emiciclo di Montecitorio senza che nessuno tenti di segnare un punto. "Romano Prodi esca dal limbo e facendo uno sforzo personale incontri Silvio Berlusconi per accordarsi sui passaggi minimi", scrive don Antonio Mazzi, presidente del comitato promotore della marcia di Natale, quella a cui ha preso parte anche Massimo D’Alema che due giorni dopo si è ritrovato mezzo partito su un fronte diverso. "Nell’Unione ci sono varie posizioni, c’è chi ritiene giusto che oltre all’indulto si provveda all’amnistia e bisognerà elaborare una posizione comune", spiega il ds Cesare Salvi, mentre l’Osservatore Romano commenta che "di fronte ai grandi temi, dalla pace agli atti di misericordia nei confronti dei detenuti, Giovanni Paolo II è rimasto sempre solo", morto portando "nel cuore sempre le attese dei carcerati e la sua personale speranza che un giorno queste attese potessero essere soddisfatte". Un atto d’accusa nel confronti di quel Parlamento che durante il discorso del Papa applaudì venticinque volte e lo scrosciare di mani più forte si registrò quando Woytjla, scandendo bene le parole, chiese un "gesto di clemenza per i detenuti".

Giustizia: Sappe scrive a Ciampi; carceri incivili, intervenga lei

 

Ansa, 29 dicembre 2005

 

Comincia così la lettera inviata oggi da Donato Capace, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’organizzazione più rappresentativa del Corpo con oltre 12 mila iscritti, al Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. "È stato detto, a ragione, che il carcere è il buco nero delle nostre coscienze" aggiunge il Sappe. "Abbiamo toccato un picco di detenuti mai raggiunto nella storia della Repubblica: 60 mila. Un terzo in più di quanti potrebbero ospitarne i nostri 207 penitenziari. Significa 6 o 7 persone in cella, con letti a castello che radono il soffitto. Significa malattie da Terzo mondo, come la tbc o la scabbia (rispettivamente nel 57,5% e nel 66% delle carceri). Significa la crescita esponenziale dei suicidi (in galera ci s’ammazza 20 volte più che fuori), non solo fra i reclusi bensì fra gli stessi agenti di Polizia Penitenziaria (2 soli casi nel 2000, 8 nel 2004). In breve, significa la palese violazione dei principi costituzionali sulla natura della pena. Un decreto del 2000 prometteva l’adeguamento delle carceri entro il 20 settembre 2005; non se n’è fatto nulla, sicché il sistema penitenziario è ormai ufficialmente fuorilegge. Con il 18,8% delle celle senza bagno separato, e il 18,4% dove c’è luce anche di notte. Con un educatore ogni 107 detenuti, un assistente sociale ogni 48, uno psicologo ogni 148. Con un agente di Polizia Penitenziaria che, specie negli Istituti del Nord Italia, controlla – da solo – 80/100 detenuti (il doppio nelle ore serali e notturne). Infine con la promessa alquanto paradossale di costruire nuove carceri, quando da noi servono 15 anni per ogni edificio, contro i 9 mesi degli Usa".

Il Sappe punta il dito contro le recenti affermazioni del ministro Castelli circa la costruzione di nuovi penitenziari: "Il ministro Castelli ha dichiarato più volte che l’unica soluzione al sovraffollamento delle carceri sarebbe quella di costruire nuovi istituti penitenziari rifiutando fermamente di appoggiare un provvedimento di clemenza per i detenuti ormai non più rinviabile. In realtà, per costruire un nuovo carcere servono 15 anni di tempo e 200 milioni di euro di spesa; è ovvio che questa di Castelli non può essere una soluzione. Si pensi che negli ultimi 5 anni, nonostante i consistenti finanziamenti acquisiti dall’allora Guardasigilli Fassino sono stati aperti solo 2 istituti (Milano Bollate e Perugia Capanne) per una spesa di oltre 300 milioni di euro per appena 1.000 posti detenuto. Se solo si pensa che l’impatto della legge ex Cirielli è valutato con un aumento di circa 10.000 detenuti l’anno, tutti posso capire come quella del Ministro Castelli è pura demagogia. Non solo, ma il Ministro Castelli non sa o non dice che i soldi per l’edilizia penitenziaria non esistono o sono solo virtuali, visto che quest’anno – 2005 – i 90 milioni di euro iscritti al Bilancio dello Stato per questo motivo non sono mai stati accreditati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e non sarà più possibile recuperarli (un gioco di prestigio del ministro Tremonti…). E a tutto ciò si aggiunga che l’Ente di Assistenza del Personale di Polizia Penitenziaria è sull’orlo del fallimento perché il ministro dell’Economia Tremonti (e non è la prima volta) si è appropriato di altri 5 milioni di euro provenienti dalle tasche dei poliziotti penitenziari. I proventi dell’Ente di Assistenza, infatti, sono frutto degli utili delle Sale Bar degli Istituti e servizi penitenziari, dei versamenti volontari del Personale e dei proventi delle sanzioni pecuniarie al personale. E tutti questi soldi dovrebbero servire per attività solidali e di sussidio per i Baschi Azzurri (ad esempio, per gli orfani e per figli disabili). Le perverse leggi finanziarie italiane, invece, impongono che tali introiti vadano a finire nel calderone del Ministero del Tesoro per essere successivamente riassegnate al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Tremonti permettendo. E Tremonti, per la seconda volta, non permette, appropriandosi dei nostri soldi per ripianare i debiti dello Stato."

"Aggiungo, signor Presidente" aggiunge ancora Capece "che è poco responsabile un Governo che, avendo sotto gli occhi il disastroso sistema penitenziario italiano, non ha assunto alcuna iniziativa concreta nella Finanziaria per intervenire sul carcere e su chi ci lavora permettendo, addirittura, che 500 poliziotti penitenziari perdano il posto di lavoro al 31.12.2005 e contemporaneamente ha sponsorizzato una legge (la ex Cirielli) che incrementerà ulteriormente la già vertiginosa cifra dei 60.000 detenuti attuali (sono previsti 4.000 detenuti in più alla fine del prossimo anno e saranno oltre 70.000 nel 2008). La Polizia Penitenziaria, presidente Ciampi, ha bisogno di fatti concreti e la finanziaria 2006 avrebbe dovuto garantire, tra le altre priorità, almeno l’assunzione definitiva di 500 ex agenti ausiliari, rispediti a casa senza alcuna remora, e maggiori fondi che permettano la predisposizione di piani straordinari per la sicurezza degli istituti di pena e per il personale. Impegni, questi, che si era assunto il 26 settembre scorso il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, che - a nome del Governo Berlusconi – incontrò e sottoscrisse insieme al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe un accordo con precisi impegni per definire in sede di stesura della Legge Finanziaria del 2006 alcune precise priorità per il Corpo. Ma nella Manovra economica licenziata dall’Esecutivo Berlusconi non c’è nemmeno uno degli impegni che si assunse Vitali. Che, insieme al ministro Castelli ed a deputati davvero poco onorevoli, hanno approvato questa Finanziaria senza alcuna risorsa per la Polizia Penitenziaria e il sistema carcere e ne hanno di fatto decretato il fallimento e l’implosione." "Per evitare che ciò accada, signor Presidente" conclude la Segreteria del Sappe "ci rivolgiamo a Lei, che apprezziamo e stimiamo sinceramente, auspicando un Suo intervento risolutivo. Perché si possa finalmente dire che anche il grado di civiltà dell’Italia si misura osservando la condizione delle sue carceri."

Varese: sul nuovo carcere incombe il pericolo che nulla cambi

 

Varese News, 29 dicembre 2005

 

Mai avevo immaginato di acquistare due quotidiani locali e invece lo faccio regolarmente perché se il tempo per la lettura si è dilatato – non ho rinunciato al "Corriere"- mi sento un bosino più informato, spesso chiamato alla valutazione di due interpretazioni di un fatto.

Questa mattina mi ha colpito l’efficacia del titolo più importante della prima pagina della "Provincia". "Arriva l’anno che cambierà l’Italia": Bankitalia e capo dello Stato nuovi, forse come governo e premier, e poi le elezioni politiche e amministrative e il referendum a giugno, senza trascurare Olimpiadi della neve e Mondiali di calcio.

Il 2006 dunque un anno di grandi cambiamenti, di novità e allora,per quanto riguarda casa nostra, cioè Varese, mi auguro che non ci sia rivoluzione nel segno di un italico costume, ricordato da Tomasi di Lampedusa nel suo celebre romanzo " Il Gattopardo", vale a dire che si cambi tutto per non cambiare.

Mi riferisco a un preciso problema, quello del carcere. Ho letto ieri su Varesenews che Roma costruirà subito 6 nuove strutture carcerarie, quattro in Sardegna le altre due a Savona e Rovigo. Del carcere di Varese, impelagato in una serie di ricorsi contro l’assegnazione dei lavori, nessuna notizia: è possibile allora che si arrivi ad aprile senza che il progetto veda l’inizio della sua realizzazione. Ad aprile si vota, se ci sarà il ribaltone governativo, niente di più facile che del nuovo carcere non si parli più per anni essendo forti a sinistra, ma non solo, le contrarietà in ordine alla sua collocazione in un’oasi verde scelta dalle aquile dell’ urbanistica e della burocrazia cittadina e ministeriale.

Dove sta in agguato il gattopardo? Proprio nel fumo, nel fracasso e nelle promesse dei nuovi arrivati: si parlerà di cambiare, ma incomberà il pericolo che nulla cambi, che cioè detenuti e guardie resteranno dove sono oggi, in una casa circondariale assolutamente inadeguata, diciamo pure una vergogna per una città che grazie all’ impegno di molti dimostra invece di avere grande attenzione verso gli ultimi. A maggio cambierà la squadra di Palazzo Estense: il Consiglio comunale dovrà essere subito pronto con un altro progetto, questa volta condiviso e meno assurdo, qualora non fosse "partito" quello romano.

Firenze: "Progetto Giobbe" in favore dei detenuti indigenti

 

Ansa, 29 dicembre 2005

 

Le aziende private fiorentine si mobilitano per sostenere e finanziare l’iniziativa "Progetto Giobbe", promossa dall’"Associazione di volontariato penitenziario" per la distribuzione ai detenuti indigenti di indumenti e prodotti per l’igiene personale. "Il "Progetto Giobbe" - ha spiegato il presidente del consiglio del Comune di Firenze Eros Cruccolini - è nato sette anni fa con un primo consistente contributo dell’ente Cassa di Risparmio di Firenze.

I volontari si pongono l’obiettivo di dare a circa 700 detenuti indigenti ristretti nel carcere di Sollicciano immediata risposta alla emergenza igienico-sanitaria segnalata dalla direzione del carcere e dalla commissione detenuti provvedendo in primo luogo a fornire prodotti per l’igiene personale quali saponi, dentifrici, spazzolini ed a distribuire biancheria intima e vestiario. In sintonia con quanto espresso da un documento del Ministero della Sanità, dipartimento penitenziario, pubblicato sul bollettino numero 2 del 1997, intende sollecitare la possibilità di collaborazione delle varie realtà operanti nel carcere di Sollicciano. In particolare l’associazione, che in questi anni ha maturato una vasta esperienza nel campo delle marginalità in generale, e del carcere in particolare, e che ha attivato in collaborazione con Sert, azienda sanitaria locale ed enti locali progetti educativi, di informazione sanitaria, di formazione professionale, di sostegno psicologico e sociale, sempre tesi al recupero della persona e della sua dignità, si propone di coinvolgere nel progetto altri gruppi associativi per avviare un lavoro di rete".

"La società civile di una città con le tradizioni di Firenze che da decenni porta avanti progetti di solidarietà - ha aggiunto Cruccolini - non può non rispondere agli appelli che ci arrivano da soggetti in difficoltà ricordando che il "Progetto Giobbe" ha costante bisogno di aiuto per poter esistere. Dopo la seduta straordinaria del consiglio comunale, che si è tenuta l’anno scorso all’interno del carcere di Sollicciano, l’appello è stato raccolto dalle aziende Ipercoop-Metro-Coin-Saponerie Fissi e dalla ditta Everlast che ringrazio fortemente. Ma le necessità dei detenuti indigenti sono veramente tante e per questo invito ancora le aziende fiorentine a continuare a sostenere il "Progetto Giobbe".

Brasile: terminata la rivolta nel carcere di Porto Velho

 

Ansa, 29 dicembre 2005

 

È durata 4 giorni la rivolta nel carcere brasiliano di Ursa Bianco, nella città di Porto Velho nel nord-ovest del paese. Sono state rilasciate le 207 persone tenute in ostaggio. le autorità hanno soddisfatto tutte le richieste dei rivoltosi: la principale era il ritorno del loro capo trasferito la settimana scorsa in un’ altra prigione. La sommossa era iniziata domenica durante l’orario delle visite quando i carcerati, armati di coltelli rudimentali, avevano sequestrato i parenti dei detenuti. Non ci sono stati feriti, né vittime. Nell’aprile 2004, invece, una rivolta nello stesso carcere era finita nel sangue: durò 5 giorni e morirono 14 persone.

 

 

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