Rassegna stampa 13 dicembre

 

Padova: muore suicida un detenuto romeno di 26 anni

 

Il Gazzettino, 13 novembre 2005

 

Due settimane fa era stato arrestato dalla polizia dopo aver massacrato di botte, assieme a un connazionale, Sandro Storelli, cinquantaduenne funzionario della Confederazione nazionale degli artigiani ed ex assessore del Comune di Belluno. Sabato pomeriggio Mihai Varga Lingurar, romeno ventiseienne, è stato trovato morto in una cella della casa circondariale di via Due Palazzi. Secondo una prima ricostruzione lo straniero si sarebbe impiccato usando un paio di pantaloni ma sul caso sta indagando la Squadra mobile diretta dal dottor Marco Calì. La tesi del suicidio sarebbe stata confermata dall’autopsia compiuta ieri pomeriggio da Massimo Puglisi, medico della polizia scientifica. Sul cadavere di Lingurar sarebbe stato trovato un solo livido, al collo, compatibile con la dinamica del suicidio. Non sarebbero stati individuati altri segni tali da alimentare il sospetto di una morte violenta. Non è stato trovato alcun biglietto.

La tragedia è avvenuta sabato nel primo pomeriggio. A dare l’allarme sono stati i compagni di cella che non vedendo più uscire dal bagno l’immigrato alle tre hanno deciso di aprire la porta. Lingurar aveva legato un paio di pantaloni sottili, come quelli di lino, a una inferriata della finestra e poi aveva fatto un cappio stringendolo al collo. Quindi si era lasciato scivolare in avanti. Il decesso, per asfissia, era arrivato dopo alcuni minuti. Gli agenti della polizia penitenziaria hanno provveduto a compiere i rilievi e ad informare il pubblico ministero Antonella Toniolo che ha autorizzato la rimozione del cadavere. Sul caso stanno comunque indagando gli investigatori della Squadra mobile che la sera del 28 novembre scorso avevano arrestato lo straniero e che stanno aspettando che Storelli esca dal coma farmacologico per interrogarlo.

L’aggressione era avvenuta intorno alle otto e mezza nell’abitazione di Storelli in via Forlanini 24, a Chiesanuova. Lingurar era assieme al connazionale Marius Nicolae Nastase, ventenne. Finora la sola versione dei fatti è quella che era stata fornita dai due aggressori davanti al giudice per le indagini preliminari Giuliana Galasso. Avevano detto di essere stati contattati da Storelli al telefono quel lunedì dopo che si erano conosciuti alcuni giorni prima. Una volta giunti nell’abitazione del funzionario era accaduto qualcosa che aveva scatenato la furia dei due romeni che avevano picchiato a sangue il cinquantaduenne con pugni, calci e utilizzando pure una statuetta. Proprio Lingurar era stato quello che aveva agito con maggiore ferocia al punto che si era fratturato una mano. Gli stranieri avevano ammesso di aver pestato il padrone di casa per quaranta minuti senza però spiegare il perché. Poi avevano preso le chiavi dell’Alfa 146 della vittima ed erano fuggiti verso il confine. A San Donà di Piave erano stati fermati dalla polizia. Gli agenti della Stradale avevano sequestrato l’auto e lasciato andare via i romeni. Un quarto d’ora dopo erano arrivati gli investigatori della Mobile di Padova e i due fuggitivi erano stati catturati mentre camminavano sull’autostrada vicino al casello di Cessalto.

Amnistia: uscire dai tatticismi e dal gioco del cerino

di Sergio Segio (associazione SocietàINformazione)

 

Comunicato stampa, 13 novembre 2005

 

Il provvedimento di amnistia e indulto per il quale ci stiamo battendo ormai da 5 anni, e attorno al quale si sta nuovamente raccogliendo un ampio cartello di associazioni, non deve essere occasione per reiterare polemiche e lacerazioni nel cortocircuito dei botta e risposta tra esponenti delle forze politiche.

È un dibattito che può prendere quota se riesce a prendere aria, ovvero a uscire dall’avvitamento stretto sul solo piano delle posizioni dei partiti, sul chi farà la prima mossa, per ascoltare anche le voci del sociale, di chi nel carcere lavora e vive, dei cappellani, dei volontari, delle realtà territoriali.

Diversamente, rischiano di non esserci prime mosse, ma solo riproposizione di diffidenze e immobilismi. L’amnistia e indulto, che abbiamo proposto nuovamente in questi giorni con un appello già ampiamente sottoscritto, non costituisce un’iniziativa "buonista", magari per strumentalizzare lo spirito natalizio.

È invece misura razionale e pragmatica, senza la quale non è possibile mettere mano ai problemi strutturali che affliggono il sistema penale e penitenziario, riforma del codice penale in primis, che tutti dicono di voler affrontare.

Ma anche l’amnistia non avrebbe senso ed effetto se non aprisse una nuova e diversa fase di politiche sulla giustizia e di politiche sociali. Non ha senso, ad esempio, fare con una mano la legge Cirielli e con l’altra l’amnistia. Oppure continuare con politiche di massima penalizzazione dei consumatori di droghe (dal 1990 sono stati scontati oltre 250.000 anni di carcere per possesso e piccolo spaccio). O continuare in politiche sull’immigrazione che rendono impossibile entrare in Italia legalmente, favorendo così i tessuti criminali e lo sfruttamento degli immigrati.

Occorre investire di più in integrazione, in politiche sociali: perché sono queste che garantiscono per davvero la sicurezza dei cittadini. Le attuali carceri, oltre che incivili e invivibili, rappresentano un pessimo uso delle risorse economiche. Tenere un tossicodipendente in carcere costa il quadruplo che non assisterlo in una comunità.

Così come sono ingenti e non risolutrici dei problemi i costanti investimenti in edilizia penitenziaria (spesso a discapito della sanità e della formazione): negli ultimi 30 anni è stata via via stanziata una cifra corrispondente a quasi tre miliardi di euro (2.967.045.195), quasi 6.000 miliardi di vecchie lire. Ulteriori 93 milioni di euro sono stati stanziati nel 2002 per la costruzione di penitenziari in leasing. Ulteriori 320 milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 9 nuovi istituti nel 2003-2004.

Come volontari, abbiamo provato a immaginare cosa si potrebbe fare di diverso con quest’ultima somma, utilizzandola per quel "piccolo piano Marshall" di sostegno al reinserimento che avevamo proposto già nell’anno del Giubileo: ebbene, basterebbe per rafforzare con 2000 nuovi operatori i tribunali di sorveglianza, gli uffici degli educatori e i Centri di servizio sociale;

per incentivare aziende e cooperative all’assunzione di 10.000 detenuti o ex detenuti;

per costituire una rete abitativa di accoglienza per 5000 dimessi dal carcere (un detenuto su 4 non ha luogo dove andare al termine della pena).

Un diverso impiego di una parte delle risorse, insomma, garantirebbe molta più sicurezza e prevenzione del crimine dell’attuale spreco, che nonostante l’impiego di miliardi di euro tiene accatastate 60.000 persone in 42.000 posti-cella (con una spesa giornaliera pro-capite per il vitto di soli 1,58 euro!). Discutere dell’amnistia, e sperabilmente arrivare a vararla, deve essere occasione di ridiscutere e riformare tutto ciò, non essere palestra per un inutile ping-pong politico.

Amnistia: perché dico sì, di Furio Colombo

 

L’Unità, 13 novembre 2005

 

L’amnistia, antica istituzione di regale clemenza, trova il suo riconoscimento giuridico anche negli ordinamenti democratici. Autorizza i governi a compiere un gesto eccezionale che conserva, dalle sue origini autoritarie, qualcosa di magico: quel gesto si può compiere solo al momento giusto. Se il momento è giusto, l’atto di clemenza arricchisce l’autorità di chi lo compie. L’amnistia, spiegava ai suoi allievi un grande maestro del diritto penale, Francesco Antolisei, può avvenire come celebrazione.

Può avvenire a causa di un grande evento (per esempio la nascita dell’erede maschio del sovrano), per segnare il passaggio irripetibile, o comunque raro, da un periodo storico all’altro (un gesto di clemenza dei vincitori verso i vinti, come modo di chiudere il tempo dello scontro). Oppure può trattarsi di una decisione che non fa riferimento alla volontà del legislatore o del governo, ma al realistico stato dei fatti: un atto di giustizia che risponde a uno stato di necessità.

In Italia si sta parlando con fervore e passione di amnistia, da parte di alcuni. Le domande dunque sono: quale amnistia? E chi la sta chiedendo? La prima risposta è nella definizione del giurista Antolisei: un atto di giustizia che risponde a uno stato di necessità.

Infatti si sta parlando delle carceri italiane tormentate da tre gravi problemi incombenti: lo stato incivile delle carceri, la fatale lentezza dei processi, il disumano sovraffollamento in ogni cella di ogni prigione italiana, al punto da sfidare anche i più blandi criteri di giudizio sullo stato della nostra civiltà.

Si possono intrattenere dibattiti su chi - o quale governo - ha fatto di meno o ignorato di più questi problemi (da ex deputato dell’Ulivo dico che mai la situazione è stata grave e abbandonata come adesso, ma si tratta di un giudizio tanto convinto quanto di parte).

Nessuno però potrà o vorrà negare che in Italia, oggi, la parola "carcere" mette un brivido che non ha solo a che fare con la negazione della libertà. Rappresenta una negazione di minima umanità. Vediamo allora chi ha deciso di sollevare il problema e di chiedere, addirittura di implorare, un provvedimento di amnistia.

Trovo solo due voci, che risuonano in modo molto diverso nella vita italiana, ma hanno detto - o dicono in questi giorni - quella stessa parola, amnistia. Una è la voce di Giovanni Paolo Secondo, ricordate? Nella sua visita al Parlamento italiano. Forse si è intromesso nelle vicende italiane, quel Papa, ma a nessuno è venuto in mente di notarlo, data l’urgenza e la natura del suo appello. Chiedeva qualcosa non per la Chiesa ma per l’Italia, a nome del più condiviso dei valori, il comune senso di umanità.

Pensava al nostro Paese, che con quel gesto avrebbe ridotto almeno un poco la somma totale delle violazioni dei diritti umani e delle ingiustizie, specialmente verso i meno difesi (l’espressione si adatta bene alle carceri e ai suoi abitanti). E pensava ai detenuti, la gran massa dei quali vede ormai la pena - qualità e durata - separata sia dal gelido contrappasso (reato e pagamento del reato) che dall’astratto però volenteroso intento di aiuto al rientro nella vita sociale.

Il Papa, ricorderete, è stato applaudito con calore senza distinzione di banchi. Quella storica visita non è stata dimenticata. Risale a non più di un mese fa l’inaugurazione di una targa che la ricorda. E la celebra. Il messaggio no. Il messaggio è andato perduto. Nel nostro Parlamento non ha lasciato traccia, come qualcosa di mai accaduto.

L’altra voce - diversa, certo - è quella di Marco Pannella. Pannella è un leader politico con un lungo e antico lavoro sui diritti umani e i diritti civili, e un recente progetto politico detto "La Rosa nel pugno". La sua invocazione di amnistia, in questa Italia, in questi giorni, adesso, non ha intento politico in senso partitico, non ha rilevanza elettorale. Ma occupa un vuoto imbarazzante e dunque è impossibile non ascoltarla.

Lo ha fatto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera di domenica. Lo facciamo noi oggi, augurandoci, mentre scriviamo, di non essere affatto originali, e di trovare in tanti altri quotidiani italiani, nei prossimi giorni, questa stessa parola e domanda e, se volete, implorazione di amnistia.

Conosco molti, da una parte e dall’altra degli schieramenti politici, che sarebbero stati più a proprio agio nel seguire la prima voce (il Papa) piuttosto che la seconda (Pannella). Ma questo Papa, Benedetto XVI, ha scelto di non parlarne. E anche a coloro che non hanno enorme simpatia per Pannella resta l’invito alla marcia di Natale per l’amnistia, una idea difficile da svalutare con tradizionali argomenti politici. Purtroppo il nuovo Papa non ha completato la frase quando ha ammonito che "i consumi inquinano lo spirito del Natale". Con tutto il rispetto, lo facciamo noi: "E dunque uniamoci nel volere un gesto di umanità e di giustizia accanto a coloro che nelle carceri italiane stipate in modo selvaggio non riescono più a vivere con un minimo di dignità".

Se scrivessi queste righe a mio nome, aggiungerei che un ministro della Giustizia così inadatto, indifferente e (quando osserva ironicamente che le prigioni non sono un "grand hotel") anche crudele, non lo abbiamo mai avuto in nessuna delle tante fasi di questa Repubblica.

Ma il giudizio sulla persona ci allontanerebbe dal gesto di clemenza, un gesto che si può ottenere solo con la volontà e l’iniziativa di tutti. I lettori sanno che non credo al "fare insieme" con coloro che hanno votato senza batter ciglio le varie leggi Cirami e Cirielli.

Però intendo usare tutto l’impegno di cui sono capace per unirmi, con questo giornale, alla invocazione di Giovanni Paolo Secondo e di Marco Pannella. Intendo contribuire a rompere disattenzione e silenzio, perché una amnistia a Natale (e, se necessario, una "marcia di Natale per l’amnistia") sono quanto di più religioso (interfaith, direbbero i nostri colleghi giornalisti e parlamentari americani) di più laico e anche, se volete, di più nobilmente politico che si possa progettare. Sappiamo di contare poco, noi che scriviamo e pubblichiamo questa dichiarazione. Ma vi diciamo senza esitare: in questa campagna per l’amnistia contate su di noi.

Amnistia: lettera di Marco Pannella a Romano Prodi

 

Agenzia Radicale, 13 novembre 2005

 

Caro Romano, da decenni, ormai, ovunque il paese, e Roma in particolare, sono teatro di manifestazioni popolari di massa, oltre che di mobilitazioni di rivendicazione di settori sindacali, corporativi; e per celebrazioni di ogni tipo; manifestazioni, mobilitazioni, celebrazioni "assicurate" da un sistema organizzato, che funziona in genere a sostegno di schieramenti politici e/o istituzionali. Finora invano, da settimane ho sperato che, almeno questa volta, fosse possibile veder esprimersi in tal modo soggetti e/o oggetti delle grandi questioni sociali, democratiche, liberali, socialiste, laiche, nonviolente di classe e insieme di Riforma civile e di religiosità umanistica.

"Ieri" mai venne dato uno spazio, ed erano milioni, ai cosiddetti "fuorilegge del matrimonio" che per generazioni si sono visti vietati famiglia, amore e dignità sociale: costretti a vivere nella clandestinità obbligata e vergognosa di sé; mentre chi poteva, si faceva annullare il matrimonio a pagamento, dalla Sacra Rota.

E non solo. Mai, venne promossa e tenuta manifestazione, quando, in pochissimi, si lottava e poi si ottenne la chiusura dei lager manicomiali, la fine di questa altra tragedia. O di quella dei milioni di donne massacrate, raschiate, distrutte dalla piaga degli aborti, moltiplicatisi del non-detto ufficiale e "sociale".

Per risolvere problemi sociali "vecchi" di decenni prodotto e frutto della cultura, dell’ideologia, degli interessi delle classi politiche dominanti con il fascismo e il post-fascismo, bastarono cinque anni: cinque anni dalla presentazione del progetto di legge Fortuna-Baslini; poi tre anni dalla richiesta referendaria sull’aborto.

Così l’Italia venne accolta e ri-conosciuta come società e Stato europei.

L’Italia, anche quella "ufficiale", sembrò per un attimo comprendere e comprenderci: negli stessi tempi si dette gli obiettivi che proponevamo: per esempio il nuovo diritto di famiglia (che giaceva parlamentarmente e politicamente dimenticato dal 1971) vide la luce in quei giorni; o l’abolizione dei lager manicomiali, solo da noi radicali promossa e sostenuta con un referendum, mentre perfino Franco Basaglia la riteneva un’iniziativa immatura e prematura.

Vengo al dunque: oggi la maggiore, tremenda questione sociale italiana è costituita dall’Amministrazione della (si fa per dire) "Giustizia". I fatti, mai come in questo caso, parlano, anzi: "gridano":

a) Gli ultimi provvedimenti di amnistia e di indulto risalgono a quindici anni fa.

b) Sono trascorsi cinque anni dal Giubileo e dalla campagna per l’amnistia e l’indulto, per un "Piano Marshall" per le carceri e il reinserimento sociale dei detenuti.

c) Sono trascorsi tre anni da quando il Parlamento applaudì ripetutamente Giovanni Paolo II mentre invocava un provvedimento di clemenza e una riduzione delle pene.

d) A chiedere l’amnistia e l’indulto non sono solo i detenuti e le associazioni, ma anche gli operatori, la polizia penitenziaria, i medici e gli infermieri, gli educatori e gli assistenti sociali, i direttori, gli avvocati, i magistrati.

e) Attualmente sono 60.000 i detenuti in Italia: un vero e proprio record nella storia repubblicana. Altre 50.000 persone sono in misura alternativa alla detenzione. Altre 70-80.000 persone, già condannate a pene inferiori a tre anni (quattro in caso di tossicodipendenza), sono in attesa della decisione del giudice circa la possibilità di scontare la condanna in misura alterativa. In totale: 180-190.000 persone, che significa una crescita esponenziale di ben volte nel volgere di quindici anni.

f) In Italia un’amnistia di fatto esiste già. Un’amnistia clandestina e di classe. Basti pensare che, solo negli ultimi cinque anni, ben 865.073 persone hanno beneficiato della prescrizione dei reati penali per i quali erano state inquisite. Se crescono le carcerazioni, crescono ancora di più le prescrizioni: da 66.556 nel 1996 a 94.181 nel 2000 a 221.888 nel 2004.

g) Non è vero che aumentando le carcerazioni si riducono i reati. E se la mano pesante della giustizia si scarica per intero sugli esclusi, senza avvocato e senza difesa, soprattutto immigrati e tossicodipendenti, in totale sono 8.942.932 i processi pendenti, di cui 5.580.000 penali.

Tra la data del delitto e quella della sentenza la durata media è di 35 mesi per il primo grado del processo e di 65 mesi per l’appello.

Sono moltissimi i reati che non vengono nemmeno perseguiti: nella sua relazione di apertura dell’Anno Giudiziario, il primo presidente della Corte di Cassazione Francesco Favara stima che per ognuno dei sei milioni di processi penali pendenti, siano almeno cinque le persone coinvolte, mentre due sono quelle coinvolte nelle otre tre milioni di cause civili pendenti, la maggior parte in ragione delle loro funzioni pubbliche, ma i milioni e milioni per ragioni e cause personali; il presidente Favara ha inoltre documentato come le persone denunciate siano state ben 536.287 e i delitti denunciati per i quali è iniziata l’azione penale siano stati 2.890.629 (in crescita rispetto all’anno precedente), ma nell’80,8 per cento dei casi l’autore era ignoto.

h) Il problema della sicurezza e della legalità riguarda la società libera, ben più che il carcere.

Le vittime del reato hanno interessi non dissimili da quelli delle vittime di un sistema della giustizia forte con i deboli e debole con i forti. Una giustizia che sia efficace ed efficiente ed equa è una necessità di tutti.

i) Il carcere è spesso un luogo illegale, dove le leggi non sono applicate. Come, ad esempio, il Regolamento penitenziario, varato nel 2000 e rimasto in buona parte lettera morta.

l) L’amnistia e l’indulto, da semplici provvedimenti umanitari e razionalizzanti, diventano l’unica risposta a quella che è divenuta una vera e propria emergenza sociale. Una questione che, direttamente e indirettamente, riguarda la vita e le condizioni di milioni di cittadini e di famiglie italiane. Per costruire una nuova giustizia, occorre rimuovere questo enorme "tappo" con un’amnistia. Attraverso l’indulto, invece, è possibile riportare il numero delle presenze a quello delle capienze, vale a dire ridurre di almeno 15.000 gli attuali detenuti.

m) Investire sul recupero e sulla prevenzione è la vera politica per la sicurezza, una politica meno costosa socialmente, umanamente ed economicamente.

Tenere una persona in carcere, peraltro nelle attuali condizioni miserevoli, costa 63.875 euro l’anno, in gran parte per la struttura, mentre per il vitto di ogni recluso si spendono mediamente solo 1,58 euro al giorno.

Tenere un tossicodipendente in carcere (e sono almeno 18.000) costa il quadruplo che assisterlo in una comunità o affidarlo a un servizio pubblico.

Ciò detto e premesso: da giorni, settimane, ufficialmente, chiedo ai massimi leader del centro-sinistra, del mondo sindacale e delle associazioni che operano nel "sociale" se non ritengano necessario, opportuno, urgente, e perfino utile a loro oltre che a tutti noi, su questa grande questione sociale del nostro tempo, assicurare quelle strutture e quei servizi che vengono normalmente assicurati per tenere a Roma le grandi manifestazioni di massa e, quindi, non solo aderire, come già in tanti in queste ore stanno facendo, ma anche concretamente consentire una presenza popolare e di massa alla grande Marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, il cui comitato promotore è presieduto da don Antonio Mazzi, e di cui fanno già parte i senatori a vita Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Giorgio Napolitano, don Antonio Mazzi e Luigi Ciotti, decine di esponenti del mondo politico, sociale e culturale.

Da settimane, ufficialmente, abbiamo chiesto al sistema anonimo ma evidentissimo della "creazione" delle "grandi manifestazioni di popolo", alle loro forze politiche e sociali di riferimento - in gran parte impegnate sullo stesso fronte di lotta elettorale al quale la Rosa nel Pugno concorre - di cessare di letteralmente impedire, con l’arma dell’ignoranza, dell’estraneità, dell’omissione di servizi e di soccorso, la manifestazione della massima realtà, della sofferenza, di rivolta umana, civile, sociale, per consentire a questa questione che riguarda e tortura il vivere, il vissuto con la disperazione che dilaga, di manifestare, di manifestarsi.

L’unica risposta è di ostilità psicologica, antropologica, quasi; di timore e di irrazionale paura con il riflesso catastrofico dello struzzo dinanzi al pericolo.

Chiedo con tutta la speranza e l’amore della nonviolenza e della virtù della prudenza, con questi modesti 3 giorni di sciopero della fame, che simbolizzano il mio e il nostro farvi fiducia e trasmettervi tutta la povera forza fisica mia, che il leader della opposizione, della quale io stesso e i miei compagni facciamo autonoma parte, recuperi il ritardo che sta per impedire la tenuta della Grande Marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, o continui a immergere e sommergere il presente e il futuro della nostra società e delle nostre coscienze.

 

Marco Pannella

Amnistia e giustizia: la vera politica per la sicurezza

 

Agenzia Radicale, 13 novembre 2005

 

"Si tratta della maggiore questione sociale che abbiamo in Italia: 60mila detenuti nella carceri italiane non ci sono mai stati nella storia repubblicana": così Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, l’Associazione che si batte a livello mondiale per una moratoria contro la pena di morte.

Si tratta di un’emergenza che riguarda persone in carne ed ossa che vivono in spazi dove potrebbero viverne al massimo due terzi di loro, in situazioni abominevoli dal punto di vista igienico e dal punto di vista della vivibilità, del lavoro e dell’educazione per cui sono stati tagliati tutti i finanziamenti.

C’è poi la cifra che riguarda l’emergenza giustizia, fornita dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario, vale a dire: 9 milioni di processi pendenti nei tribunali di ogni ordine e grado, 6 milioni dei quali sono procedimenti penali. "Sono passati tre anni da quando il Parlamento italiano accolse con un’ovazione Giovanni Paolo II che a Montecitorio implorava deputati e senatori affinché si impegnassero per l’amnistia.

Tre anni dopo, con una solenne cerimonia, una targa commemorativa ha ricordato quella visita papale: ma dell’amnistia, nemmeno l’ombra". Pierluigi Battista ricostruisce con un editoriale sul Corriere della Sera del 12 dicembre 2005 la più recente vicenda dell’amnistia. "Sono passati cinque anni dal Giubileo, quando il Pontefice chiese un gesto di clemenza nei confronti dei detenuti nelle carceri italiane: molti applausi e apprezzamenti, ma nessun provvedimento; molte dichiarazioni, ma in pratica solo mediocri compromessi.

Se non mancassero altre ragioni per sostenere lo sciopero della fame di tre giorni iniziato oggi da Marco Pannella per l’amnistia, basterebbe il richiamo della decenza che impone una minima corrispondenza tra le parole e le cose, tra la retorica dei discorsi e ciò che effettivamente esce dalle aule parlamentari.

Milita insomma a favore dell’amnistia una ragione di dignità, oltre che l’urgenza di sanare una situazione esplosiva e anche incivile".

Vi è chi guarda alla questione con diffidenza. È il caso del senatore Antonio Di Pietro che dice: "Ogni anno, al ridosso del Santo Natale, va in scena l’ipocrita rituale dell’amnistia". Si scaglia contro quello che definisce "un modo per scaricarsi le coscienze e distogliere l’attenzione dal vero problema".

"La questione - precisa il "benaltrista" ex pm - è che il sovraffollamento delle carceri, i tempi brevi della giustizia, la certezza della pena, la risocializzazione e rieducazioni dei carcerati è un problema che esiste 365 giorni l’anno e non un solo giorno l’anno". Eppure, comunque la si voglia leggere la vicenda amnistia è drammaticamente reale. In Italia un’amnistia di fatto esiste già. È clandestina e di classe.

Basti pensare che, solo negli ultimi cinque anni, ben 865.073 persone hanno beneficiato della prescrizione dei reati penali per i quali erano state inquisite. Se crescono le carcerazioni, crescono ancora di più le prescrizioni: da 66.556 nel 1996 a 94.181 nel 2000 a 221.888 nel 2004.

Non è vero che aumentando le carcerazioni si riducono i reati. E se la mano pesante della giustizia si scarica per intero sugli esclusi, senza avvocato e senza difesa, soprattutto immigrati e tossicodipendenti, in totale sono 8.942.932 i processi pendenti, di cui 5.580.000 penali. Tra la data del delitto e quella della sentenza la durata media è di 35 mesi per il primo grado del processo e di 65 mesi per l’appello.

Sono moltissimi i reati che non vengono nemmeno perseguiti: nel 2003 le persone denunciate sono state 536.287 e i delitti denunciati per i quali è iniziata l’azione penale sono stati 2.890.629 (in crescita rispetto all’anno precedente), ma nell’80,8% dei casi l’autore era ignoto.

Il problema della sicurezza e della legalità riguarda la società libera, ben più che il carcere. Le vittime del reato hanno interessi non dissimili da quelli delle vittime di un sistema della giustizia forte con i deboli e debole con i forti.

Una giustizia che sia efficace ed efficiente ed equa è una necessità di tutti. Il carcere è spesso un luogo illegale, dove le leggi non sono applicate. Come, ad esempio, il Regolamento penitenziario, varato nel 2000 e rimasto in buona parte lettera morta.

Spesso sono leggi inique a indurre criminalità. Basti osservare come sia risibile il numero degli immigrati regolari in carcere, mentre è crescente quello degli immigrati senza permesso di soggiorno.

L’impossibilità di ingresso legale produce illegalità e reati, mentre chi ha possibilità di regolarizzazione dimostra di essere pressoché esente da pratiche illegali e criminali. L’amnistia e l’indulto, da semplici provvedimenti umanitari e razionalizzanti, diventano l’unica risposta a quella che è divenuta una vera e propria emergenza sociale.

Una questione che, direttamente e indirettamente, riguarda la vita e le condizioni di milioni di cittadini e di famiglie italiane. Per costruire una nuova giustizia, occorre rimuovere questo enorme "tappo.

Milano: incontro su suicidi ed autolesionismi in carcere

 

Redattore Sociale, 13 novembre 2005

 

Morire di carcere. Il fenomeno dei suicidi e dei casi di autolesionismo dietro le sbarre (408 quelli registrati in 6 istituti di pena lombardi negli ultimi sei mesi) è stato il tema di un workshop ospitato questa mattina presso il Palazzo Pirelli, sede della Regione Lombardia. Al centro del dibattito il progetto "La presa in carico dell’autolesionismo tra intervento psicologico e lavoro di rete", avviato in via sperimentale nel 2005 nelle carceri di Milano-San Vittore, Milano-Opera, Como, Pavia, Monza e Busto Arsizio: nel corso dell’anno 39 operatori hanno effettuato oltre 2.000 interventi. L’idea sottesa al progetto è che, potenziando il servizio psicologico orientato alla prevenzione delle criticità prodotte dall’interazione con l’impatto carcerario, sia possibile limitare efficacemente il danno. Nello svolgimento del servizio vengono impegnati psicologi, criminologi, mediatori culturali ed educatori, ma anche volontari e compagni di detenzione. Le attività sono governate da un tavolo di coordinamento che ha sede presso la Direzione Famiglia e Solidarietà sociale della Regione Lombardia, dall’associazione L’amico Charly in vesto di ente gestore e da un organo di supervisione e monitoraggio.

"La scelta del suicidio è favorita da una serie di elementi che hanno a che fare con il carcere - conferma lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet, direttore del servizio Crisis Center dell’associazione L’amico Charly -. Il suicidio ha a che fare più con la vergogna che con la colpa: per questo bisogna lavorare per diminuire i rischi che l’individuo soccomba sotto il peso della mortificazione e l’umiliazione, condizioni da cui si cerca di liberarsi con un progetto vendicativo, un messaggio forte in grado di riabilitare la grandezza del sé. Condannarsi a morte ha anche questo significato. Chi vive in carcere subisce la rottura dei legami affettivi e delle relazioni amicali che ci autorizzano a sperare in un futuro in cui si realizzerà il nostro progetto e la nostra vocazione - continua Charmet -. Bisogna che il contesto carcerario istighi meno a darsi la morte volontaria e che non induca all’emulazione. Non è impensabile che diminuisca il numero dei suicidi in carcere, in modo che rimangano soltanto quelli legati a problemi psico-patologici".

Nella fase sperimentale, effettuata durante i primi sei mesi del 2005, sono stati effettuati 2.130 interventi negli istituti di Milano-San Vittore (13 operatori coinvolti, 901 interventi effettuati), Milano-Opera (10 operatori coinvolti, 632 interventi effettuati), Pavia (3 operatori coinvolti, 166 interventi effettuati), Monza (7 operatori coinvolti, 292 interventi effettuati), Como (3 operatori coinvolti, 98 interventi effettuati) e Busto Arsizio (3 operatori coinvolti, 41interventi effettuati). Il parallelo progetto di monitoraggio dei comportamenti autolesivi, avviato ad aprile 2005 e tuttora in corso, ha rilevato 408 casi di autolesionismo nei 6 istituti di pena coinvolti.

Di autolesionismo ed espressioni di disagio carcerario si occupa anche il libro "Nuovi Giunti - Racconti dal carcere" di Francesco Berté, pubblicato dall’editore Monti con una prefazione di don Antonio Mazzi. "L’idea del libro nasce dalla volontà di far conoscere il mondo sconosciuto del carcere - spiega l’autore, medico penitenziario da oltre vent’anni-: fare questo tipo di lavoro significa rapportarsi con i detenuti, conoscerli e diventare loro amico".

Giustizia: la disastrosa condizione delle carceri italiane

 

Guida Sicilia, 13 novembre 2005

 

Nel comitato promotore della Marcia di Natale, l’iniziativa con cui Marco Pannella ha lanciato un appello per l’amnistia, la libertà e la giustizia, ci sono anche i senatori a vita Giulio Andreotti, Emilio Colombo e Giorgio Napolitano. Pannella sembra determinato a sollecitare una risposta rapida soprattutto dai suoi alleati dell’Unione: dall’altro ieri, il leader dei Radicali italiani ha iniziato un "digiuno di dialogo" per riportare al centro dell’attenzione della politica il problema del sovraffollamento nelle carceri. Alla Marcia di Natale hanno già aderito in ordine sparso molti esponenti del centrosinistra: Cesare Salvi e Livia Turco dei Ds, Giuliano Pisapia (Prc), Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), il giornale della Margherita, Europa, Enrico Boselli (Rosa nel Pugno), l’ex parlamentare Ferdinando Imposimato.

Pannella però vuole che accanto a lui, a scendere in campo on le rispettive macchine organizzative, ci sia Prodi, ma anche Piero Fassino e i leader di Cgil, Cisl e Uil. Una richiesta concreta quella che Pannella fa quando mancano pochi giorni a Natale: il dramma delle carceri sovraffollate (oltre 60 mila detenuti) e gli effetti devastanti di una giustizia sempre più lenta sono degni di una mobilitazione di massa sostenuta da partiti e sindacati?

Qualche flebile segnale ai radicali arriva anche dal centrodestra, ma il clima di campagna elettorale non facilita certo le prese di posizione sull’amnistia di chi dovrà presto riconquistarsi il posto in Parlamento magari cavalcando i temi della sicurezza e esaltando l’aumento del numero dei detenuti (fino al "tetto" di 80 mila nel 2006) innescato dalla legge "ex Cirielli" voluta a tutti i costi dalla maggioranza. Così, per ora, nella Cdl si sono fatti vivi con Pannella solo i Riformatori liberali Marco Taradash e Benedetto Della Vedova. Scrivono dunque i radicali che hanno scelto il centrodestra: "Da molte legislature la situazione carceraria si va aggravando senza che parlamenti e governi siano in grado di trovare soluzioni adeguate alla drammaticità della situazione carceraria e per questo motivo riteniamo necessario che si traduca in legge l’impegno per l’amnistia".

 

La situazione delle carceri in Sicilia

 

Sono pochi i carceri italiani dove il sovraffollamento non è un problema. Per descrivere invece la realtà più comune, ossia quello del disagio massimo che la maggior parte dei carcerati delle prigioni nazionali vivono, prendiamo in esame la situazione delle carceri siciliane, sempre più al collasso, con un trend di detenuti in crescita anche tra gli immigrati. Si vive in una situazione di costante difficoltà e, a causa di una scarsa integrazione culturale e religiosa, ai limiti della convivenza pacifica tra i carcerati. Questo il quadro allarmante emerso a margine del VI Osservatorio sulla Pubblica amministrazione che si è svolto ieri mattina al Castello Utveggio di Palermo su "Immigrazione e integrazione: problematiche e prospettive", organizzato dal centro ricerche Cerisdi.

Fino allo scorso mese di ottobre i detenuti nelle 26 carceri siciliane erano 6368, mentre nello stesso periodo del 2004 raggiungevano il numero di 5685. Quasi 1300 sono i detenuti stranieri, di cui 349 provenienti dall’Europa (Albania, ex Jugoslavia e Romania), 699 dall’Africa (Marocco, Tunisia e Algeria), 116 dall’Asia (Medio Oriente e altri paesi) e 42 dall’America.

"Per lo più i reati commessi dagli stranieri - dice Orazio Faramo, provveditore regionale per la Sicilia del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - sono spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti, rapina, induzione e sfruttamento della prostituzione. Anche tra gli immigrati l’identikit del detenuto tipo è, infatti, cambiato: sempre più ormai ci troviamo di fronte al detenuto tossicodipendente affetto da Hiv".

Per Faramo "le cifre già di per sé allarmanti aumenteranno ancora di più anche a causa della ex Cirielli. Si può stimare che tra un anno ci saranno nelle nostre carceri circa 800 detenuti in più rendendo ancora più difficile la gestione degli istituti penitenziari. Non sono un mistero, infatti, i problemi legati all’integrazione religiosa e culturale delle varie etnie presenti, all’alimentazione e allo stato di salute. Sono in netta recrudescenza, infatti, malattie come il vaiolo e la tubercolosi".

Tra le cause maggiori, secondo Faramo, che contribuiscono all’aumento della popolazione penitenziaria tra gli immigrati "la mancata realizzazione dello sportello unico, previsto invece dalla Bossi Fini: gli immigrati potrebbero regolarizzare la loro presenza e contratto di lavoro stando così lontani dalla delinquenza. La lunga burocrazia invece e la necessità di dover passare da un ufficio all’altro con impiego di molto tempo scoraggia e alimenta il lavoro nero". "Intanto sono state appaltate le opere di costruzione del carcere di Marsala - conclude Faramo - che ospiterà 200 detenuti; entro marzo 2006 finiranno quelli del carcere di Noto e sarà conclusa la ristrutturazione dell’istituto di Trapani, che possono ospitare rispettivamente fino a 150 e 300 detenuti".

Amnistia: Pecorella; il Parlamento deve decidere…

 

L’Arena di Verona, 13 novembre 2005

 

Ha iniziato il "digiuno del dialogo" e ha chiamato i Poli alla Marcia. Ma di fronte al silenzio nel centrosinistra, sua area di riferimento, Marco Pannella rinnova il pressing su Romano Prodi. Il silenzio che ha accolto il suo appello alla mobilitazione di Natale a Roma per l’amnistia, la giustizia e la libertà ha spinto il leader radicale a scrivere al leader dell’Unione per sollecitare il suo impegno personale alla grande manifestazione da tenersi il 25 dicembre.

Alla manifestazione ha aderito uno schieramento politico trasversale, del quale fanno parte anche tre senatori a vita (Francesco Cossiga, Giulio Andreotti e Giorgio Napolitano). E mentre Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori diserterà il corteo (perché contrario "all’ipocrita rituale natalizio"), e Legambiente ha confermato la partecipazione, Gaetano Pecorella, Forza Italia, presidente della Commissione giustizia della Camera si è detto pronto a riaprire il dibattito sull’amnistia, aderendo alla richiesta di Enrico Boemi, Sdi. Una questione sulla quale, secondo Pecorella, il Parlamento ha il dovere di prendere una decisione, "positiva o negativa che sia".

Nella lettera a Prodi Pannella ha posto un aut aut: "recuperi il ritardo che sta per impedire la grande marcia, o continui a immergere e sommergere il presente e il futuro della nostra società e delle nostre coscienze". Secondo il leader radicale è sempre più urgente porre al centro dell’attenzione della politica il problema del sovraffollamento delle carceri, che il varo della ex Cirielli rende più drammatico. E di fronte all’amnistia "clandestina e di classe" che negli ultimi cinque anni ha aperto le porte del carcere a quasi 900 mila persone, Pannella chiede all’Unione un impegno per la prossima legislatura. Il punto di partenza è la Marcia di Natale. Di qui la richiesta di adesione rivolta a Prodi, Piero Fassino e Francesco Rutelli, ma anche ai leader di Cgil, Cisl e Uil. E pure a Silvio Berlusconi. Anche se Pannella sa bene che nella Casa delle libertà i margini di manovra sono stretti, data la contrarietà di An e Lega a qualsiasi provvedimento di clemenza nonostante Luigi Vitali, Fi, sottosegretario alla Giustizia abbia osservato che "dopo la Cirielli è giusto azzerare i conti in sospeso e fare un’amnistia".

Al Professore il leader dei Radicali ha chiesto non solo di aderire, ma anche di "consentire una presenza popolare e di massa alla grande marcia di Natale".

Preoccupata per la scarsa sensibilità dimostrata dal centrosinistra per l’emergenza carceri è pure Emma Bonino. L’esponente radicale spera che da parte dei leader dell’Unione "oltre all’impegno verso i lavoratori e i disoccupati, arrivi anche il riconoscimento della portata sociale" del problema. Secondo Luigi Manconi, responsabile dei Diritti civili dei Ds, e tra i promotori del corteo natalizio, "la battaglia per l’amnistia si deve fare", anche se "da sola non basterà per risolvere i problemi". A spiegare il silenzio dell’Unione su provvedimenti di clemenza ci ha pensato Giuliano Pisapia, Rifondazione. "L’amnistia non può rientrare in un programma di governo perché il provvedimento richiede i due terzi delle Camere". Ma nel programma dell’Unione, ha anticipato Pisapia, "è già scritto che la priorità è un nuovo codice penale che avrà come indispensabile premessa un provvedimento di clemenza".

Amnistia: Belillo (Prc); garantire diritti di tutti i carcerati

 

Apcom, 13 novembre 2005

 

"Oltre alla concessione di amnistia e indulto, è necessario sostenere l’impegno per il rispetto e l’attuazione delle leggi esistenti, troppo spesso ignorate o aggirate". Lo afferma in una nota la deputata di Rifondazione Comunista Katia Belillo, che vuole vengano sostenuti "il diritto alla salute, all’affettività, all’impiego dei detenuti per i lavori socialmente utili, all’applicazione delle leggi per le misure alternative al carcere".

"Penso -prosegue la nota - alla necessità di garantire ai/alle transessuali di essere inseriti in sezioni specifiche o dove si sentano più adeguati. È necessario garantire i diritti dell’intera popolazione carceraria", perché "ll carcere spesso diventa un grande business, non solo politico, e viene usato come uno spot elettorale, mentre i carcerati diventano merce di scambio. Il tutto -conclude - mentre la situazione delle carceri italiane è insostenibile ed al collasso".

Amnistia: Lussana; Lega Nord contraria a ogni ipotesi

 

Apcom, 13 novembre 2005

 

La Lega Nord è "sempre stata contraria ad ogni ipotesi di amnistia e la nostra posizione non è cambiata". Lo afferma Carolina Lussana, responsabile giustizia della Lega Nord a Montecitorio. "Siamo stufi del fatto che ci sono alcune forze politiche - prosegue Lussana - che non sanno interpretare le esigenze dei cittadini che non chiedono amnistie ma sicurezza e giustizia. E i provvedimenti di clemenza non sono certo le risposte adeguate a questo tipo di richieste".

"Se si pensa ancora che l’amnistia possa risolvere il problema del sovraffollamento carcerario - aggiunge il deputato leghista - allora diciamo che servono nuovi penitenziari e la possibilità di far scontare la pena agli extracomunitari a casa loro. Chiediamo inoltre la piena applicazione della Bossi-Fini che prevede l’espulsione in alternativa alle pene fino a due anni da scontare nelle nostre carceri". "Se invece qualcuno pensa che dato che è quasi Natale bisogna essere più buoni - conclude Lussana - allora facciamo un provvedimento che tuteli maggiormente i cittadini onesti vittime innocenti di reati e approviamo in fretta la legge sulla legittima difesa alla quale manca solo il voto della Camera. Un provvedimento che non incita al far west come qualcuno vorrebbe far credere ma che sancisce il principio di auto tutela insito nello stesso diritto naturale. Non è con il buonismo che si risolvono i problemi del Paese ma con la legalità e la certezza della pena".

Amnistia: Rizzo (Pdci); la Cdl predica bene e razzola male

 

Apcom, 13 novembre 2005

 

Quello sull’amnistia è "un provvedimento urgente" di fronte al quale "la destra predica bene e razzola male". Lo dichiara Marco Rizzo, capo della delegazione del Pdci all’Europarlamento.

"Ormai da tre anni - osserva - si parla con cadenza periodica di amnistia, o perché l’emergenza carceri, soprattutto d’estate, fa avvertire come urgente il problema, o perché si approvano leggi - come la ex Cirielli, che prevede un inasprimento per la recidiva - che aggravano la situazione carceraria, già oltre i limiti di tollerabilità, e allora, per forza di cose, il dibattito ritorna alla ribalta delle cronache. A farne le spese sono in ogni caso, soprattutto, loro, i detenuti, spesso in condizioni sanitarie precarie, senza la possibilità di accedere alle adeguate cure, in sovra numero nelle celle, impossibilitati al "recupero" previsto dalla nostra Costituzione".

"La verità - prosegue Rizzo - è che la destra che sta al governo, anche quando parla bene, razzola comunque male. Altrimenti come spiegare gli applausi al Papa sui provvedimenti di clemenza ed una inerzia, quasi una ritrosia ad affrontare il tema dell’amnistia? Crediamo che il futuro governo di centrosinistra debba mettere in agenda anche questo delicato, ma urgente problema".

Amnistia: Brutti (Ds); subito proposta Unione, decisione non rinviabile

 

Apcom, 13 novembre 2005

 

"Un provvedimento di clemenza che possa alleviare le drammatiche condizioni in cui si trovano decine e decine di migliaia di detenuti è certamente necessario, oggi più che mai. Le condizioni delle carceri, infatti, sono destinate d’ora in avanti a peggiorare ancora per effetto della ex-Cirielli, che la destra ha voluto testardamente approvare e che adesso contesta". Lo dichiara il senatore Massimo Brutti, responsabile Giustizia dei Democratici di Sinistra che sottolinea: "i partiti dell’Unione stanno lavorando in queste ore per presentare subito una proposta concreta che possa raccogliere l’ampio consenso richiesto dalla Costituzione e che possa essere approvata nelle poche settimane di lavoro parlamentare che abbiamo davanti".

"Per noi questo è naturalmente un atto che si inserisce in un progetto complessivo di riforma che proponiamo al paese e che - aggiunge l’esponente della Quercia - intendiamo realizzare se avremo la maggioranza nelle prossime elezioni. Oggi, però, abbiamo il dovere di rispondere ad un’urgenza. Pannella l’ha segnalata e spetta a questo punto a tutte le forze politiche non tirarsi indietro. Una decisione in questa materia non è più rinviabile. Chiediamo ai partiti del centro-destra di pronunciarsi al più presto, senza pregiudizi".

Sofri: Castelli; non sussistono le condizioni per la grazia

 

Sdi on-line, 13 novembre 2005

 

Niente grazia per Adriano Sofri. Il ministro della Giustizia Castelli ha ancora una volta negato il procedimento a favore dell’ex leader di Lotta Continua, attualmente ricoverato in ospedale dopo una delicata operazione all’esofago. La decisione è arrivata al termine dell’esame svolto dagli uffici ministeriali. "Si tratta - ha commentato Enrico Buemi - dell’ennesima dimostrazione che alla guida del ministero della Giustizia vi è una persona piena di pregiudizi e certamente non consapevole dell’alto ruolo istituzionale che ricopre. Fortunatamente l’Italia ha avuto ben altri ministri della giustizia e certamente ne avrà di migliori".

In una nota diffusa dal ministero si legge che "il ministro della Giustizia, Roberto Castelli e gli uffici competenti hanno concluso l’esame del fascicolo relativo al detenuto", si spiega che "sulla base delle precedenti proposte di grazia avanzate al Presidente della Repubblica e istruite su una prassi consolidata il ministro è giunto alla decisione di non avanzare la proposta di grazia in quanto allo stato non sussistono tutte le condizioni richieste dalla prassi sopra richiamata".

"Si fa presente che attualmente Adriano Sofri è completamente libero - è stato sottolineato - in quanto la pena gli è stata sospesa, e non sussiste nessun elemento negativo per la sua completa guarigione che il ministro, così come tutti, auspica". La decisione del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, di non proporre la domanda di grazia per Adriano Sofri ribalta le aspettative che lo stesso guardasigilli aveva contribuito ad alimentare dopo il ricovero in ospedale dell’ ex leader di Lotta Continua.

Lo ‘stop’ alla grazia accresce l’attesa per le decisioni che la Corte Costituzionale prenderà circa il conflitto sul potere di grazia sollevato dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, verso il ministro della Giustizia. Il 28 settembre scorso la Consulta aveva giudicato ammissibile il conflitto sollevato dal capo dello Stato. Resta ancora lontana, però, la pronuncia sul merito della questione posta alla Consulta.

All’origine del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Ciampi il no del ministro della Giustizia a dar corso alla determinazione del presidente della Repubblica di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi, l’ex militante di Lotta continua condannato a 22 anni di carcere assieme ad Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi.

Con la decisione di fine settembre, i giudici della Consulta hanno indicato nel Guardasigilli la controparte che sarà ora chiamata a costituirsi in giudizio. Gli atti, era indicato nella decisone, devono essere infatti notificati al ministro Castelli "entro 90 giorni" dalla comunicazione della decisione al presidente della Repubblica.

Prato: alla Dogaia metodo Buteiko contro ansia e stress

 

Webangel, 13 novembre 2005

 

Al carcere di Prato La Dogaia un gruppo di detenuti sta frequentando un corso inerente il Metodo Buteiko. Si tratta di rieducazione respiratoria. I reclusi imparando le tecniche respiratorie possono alleviare ansia, stress e risolvere problemi d’insonnia. Il metodo, messo a punto dal dott. Buteiko consiste in una serie di esercizi mirati a diminuire progressivamente la quantità d’aria inspirata in modo da ridurre l’iperventilazione e ristabilire il giusto quantitativo di anidride carbonica nel sangue, indispensabile per essere in buona salute.

Gli esercizi proposti vengono adattati alle esigenze di ogni persona in base alle sue capacità allo stato di salute e al tipo di vita che conduce, ed eventualmente modificati a seconda dell’entità dei miglioramenti.

Aversa: Opg, una casa per i familiari dei detenuti

 

Il Mattino, 13 novembre 2005

 

Accoglierà le famiglie dei degenti dell’ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito" e soprattutto consentirà in due anni un primo, graduale, reinserimento sociale di 20 ricoverati, accogliendoli di giorno. La prima casa famiglia (fortemente voluta dalla Caritas diocesana) di questo genere, sorta ad Aversa, è stata inaugurata ieri pomeriggio in alcuni locali concessi dalla diocesi. Il taglio del nastro è avvenuto al termine di una cerimonia che si è svolta nel seminario vescovile, alla presenza del vescovo Mario Milano, della responsabile dell’associazione di volontariato aversana, Cam, la dottoressa Levita che avrà il compito di gestire la casa famiglia, della dottoressa Dante in rappresentanza dell’Opg e del direttore diocesano della Caritas, Vincenzo Cacciapuoti. Alla cerimonia erano presenti anche il sindaco di Aversa Domenico Ciaramella e il direttore generale dell’Asl Ce2 Angela Ruggiero. "L’obiettivo del progetto che ha dato il via alla realizzazione della struttura inaugurata oggi - ha spiegato la Levita - è quello di salvare il legame tra le famiglie dei degenti e i loro congiunti ricoverati nell’Opg, consentendo a quegli stessi ricoverati, che tra alcuni anni saranno dimessi, di reinserirsi nella società esterna". Positivi i commenti del vescovo Milano che ha sottolineato "l’alto valore sociale dell’iniziativa promossa dalla Caritas diocesana", del primo cittadino Ciaramella e della dottoressa Ruggiero.

 

 

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