Rassegna stampa 4 aprile

 

Amnistia: Pannella; stop a sciopero quando vedrò dei fatti

 

Agenzia Radicale, 4 aprile 2005

 

"Quando smetterò lo sciopero della sete? Non lo so. So solo che voglio fatti concreti, non segnali, e che nella lotta per l’amnistia prima che il Papa morisse sono stato sconfitto dal Generale weekend". Lo afferma Marco Pannella, che da ieri ha scelto ancora una volta un’estrema forma di protesta per chiedere un’amnistia per tutti i reati commessi entro la fine del 2004.

Il leader storico dei Radicali "prende atto" dell’apertura su un gesto di clemenza manifestata alla Radio Vaticana dal presidente del Senato Marcello Pera. "Ma ora - rileva - vorrei sapere se il presidente della Repubblica lancerà un segnale, che cosa faranno il presidente del Consiglio, il presidente della Camera ed i leader dei partiti. Perché, a questo punto, è necessario passare dagli auspici agli impegni veri". "È indubbio - ammette Pannella - che contro l’amnistia esistano mille motivi; io stesso sono un sostenitore dell’indulto.

Ma sarebbe stato importante che il provvedimento di clemenza fosse giunto prima della morte del Papa che lo aveva chiesto, a ragione, in occasione della sua visita al Parlamento italiano e che, in quella occasione, aveva incassato gli applausi generalizzati di quei politici che oggi ostentano deferenza nei suoi confronti. E del resto, a Roma per 1.500 anni è stata tradizione che alla morte del Papa ci fosse l’amnistia". Pannella, poi, si scaglia contro la legge ex Cirielli sulle prescrizioni, che definisce "una amnistia strisciante di classe riservata a chi si può pagare l’avvocato bravo".

E, a questo proposito, snocciola dei dati: "Le prescrizioni sono passare da 285 mila nel 2001 a 375 mila nel 2004, e nel 2004 si è sicuramente andati oltre il milione. Per non parlare della situazione dei suicidi nelle carceri: dietro le sbarre ne avvengono diciannove volte quelli che si verificano fuori. Di questo non si può non tener conto. E poi ci vuole coerenza: non si può rinviare alle riforme di struttura una realtà determinata dal fatto che la maggior parte delle detenzioni sono anticostituzionali e causano sofferenze ed un costo umano inaudito".

Amnistia: Pannella; in memoria del Papa fate un’amnistia

 

Agenzia Radicale, 4 aprile 2005

 

Marco Pannella si rivolge alle istituzioni - "Dal presidente della Repubblica ai presidenti dei gruppi parlamentari", - e alla politica italiana perché decidano di promulgare un’amnistia generalizzata, e aveva chiesto che le istituzioni lo facessero sapere in tempo al Papa, come "atto di riconoscenza, di risarcimento, di riparazione, di compassione".

Una richiesta che Pannella accompagna con uno sciopero della sete, iniziato ieri sera a mezzanotte. A Radio Radicale ha lanciato la sua nuova "provocazione" di buon mattino. Alle 17 Pannella annota: "Finora non c’è stata una sola reazione del Potere. E per potere intendo le massime istituzioni dello Stato, gli esponenti di governo, i segretari dei partiti". Ma poi, da esponenti del centrodestra a quelli del centrosinistra, le risposte sono arrivate.

E quando è arrivata la notizia della morte del Papa, Pannella ha commentato: "A maggior ragione ora, occorre onorare sentimenti e omaggi e manifestazioni forse anche eccessive che gli sono state tributate. A maggior ragione ora, sarò impegnato per aiutare il Potere italiano a compiere questo suo atto dovuto".

Era stato il Santo Padre, il 14 novembre 2002, nel suo discorso a Montecitorio, a sollecitare "un segno di clemenza" verso i detenuti, "mediante una riduzione della pena". Quell’invocazione partorì, tra molte difficoltà, soltanto un "indultino", "che si è rivelato - denuncia il leader radicale un bidone immondo". Anche per questo "sarebbe un atto di giustizia" - Pannella torna all’attacco rilanciando una proposta, l’amnistia, che nel merito non condivide neppure ("Preferirei un indulto generalizzato") ma che va promulgata "in onore" del Santo Padre.

 

Pannella, ha visto il mondo politico pregare alla messa a San Giovanni per il Papa?

"Non sono mai andato ai funerali equipollenti, non faccio massa" .

 

Ma quel mondo politico è stato ipocrita? Ha applaudito, ascoltato il Pontefice in Parlamento e alla sua invocazione di un atto di clemenza per i detenuti ha risposto con un provvedimento di indultino che ha fatto uscire 5000 detenuti...

A queste istituzioni che si genuflettono dinanzi al Pontefice mi rivolgo chiedendo loro un atto di coerenza, di riconoscenza nei confronti del Papa. Un risarcimento, perché no?, con un fatto concreto. Mi chiedo: quale dev’essere l’atto di compassione nei confronti di quest’uomo?".

 

Amnistia come atto di compassione?

"E di riconoscenza. Tutte le nostre istituzioni hanno avuto parole di riconoscenza nei confronti del Papa. Sarebbe davvero un atto di riconoscenza varare l’amnistia. È tradizione un atto di clemenza per festeggiare i nuovi re e i nuovi papi. Un’amnistia in ottemperanza a quello che lui chiese. Sarebbe anche un momento di dolcezza...". .

 

Dunque, un’amnistia come atto di riconoscenza?

"Da parte di tutto il mondo italiano. Aggiungo che questo mondo dovrebbe porsi il problema di dover fare anche un atto di riparazione. È stato approvato quell’indultino - malgrado lo sciopero della fame dei radicali - che sì è rivelato, a posteriori, un bidone immondo. E il giudizio non solo mio ma di tutti".

 

Le responsabilità vanno divise equamente. Se è stato approvato un indultino e non un atto di clemenza più generalizzato è perché non tutti la pensavano allo stesso modo...

"Non sono un giudice, mi interessa creare qualcosa di positivo. Mi rivolgo alle istituzioni: siccome quello che il Papa ha chiesto e stata l’amnistia e voi l’avete applaudito, in onore della sua scomparsa esaudirete questa richiesta. Sarebbe un atto di riconoscenza, direi quasi reciproca, se il termine è riconoscere" .

 

Sarebbe anche un atto di risarcimento?

"Nei confronti delle attese del Paese. Il ragazzo che a Regina Coeli lesse l’indirizzo di saluto al Papa era convinto di uscire poco dopo. È morto un anno dopo di Aids. Risarcimento anche rispetto all’indultino. A volte, il niente è meglio di qualcosa che maschera il niente".

 

Pannella, in assenza dell’ amnistia o dell’indulto, questo Parlamento ha legiferato e sta legiferando in una direzione che perlomeno non risolverà il problema del pianeta carcere o della giustizia. Ha presente la ex Cirielli?

"Che abroga la Gozzini. Figuriamo se possiamo essere d’accordo. Ora l’importante è la risposta delle istituzioni alla mia richiesta di impegnarsi a concedere un’immediata amnistia generalizzata per tutti i reati commessi entro la fine del 2004".

Amnistia: Capezzone; i segnali non servono, è l’ora dei fatti

 

Agenzia Radicale, 4 aprile 2005

 

"Lo sciopero della sete non si conta in giorni, ma in ore. Quando questo articolo uscirà Pannella sarà almeno alla trentacinquesima ora: già a rischio di blocco renale. Occorre avere presto fatti, non segnali". Daniele Capezzone, segretario dei radicali, accoglie con favore ma senza entusiasmo l’appello del presidente Pera per l’amnistia.

 

Perché?

"Apprezzo le parole di Pera, ma vedo il silenzio del governo, che invece di annunciare solo la nomina di Bertolaso avrebbe potuto anticipare un’iniziativa in tal senso. Così come mi spiace che taccia Casini, cosi solerte la volta scorsa".

 

Cosa auspica?

"Chi può agisca: dal capo dello Stato, al governo, alle forze politiche. E che si esca dal rischio della colpevolizzazione reciproca tra Polo e Ulivo".

 

Accusano Pannella di strumentalizzare la morte del Papa…

"Una volta strumentalizziamo i bambini africani, una volta i detenuti, ora il Papa morto: ma perché invece di buttarci addosso fango non ascoltano cosa Pannella dice? Credo che nessuno tra coloro che si sono emozionati alla morte del Pontefice leggerebbe in tal senso un’iniziativa a tutela della dignità della politica oltre che delle persone detenute".

 

Ma è il momento, con la salma di Wojtyla esposta?

"Fu proprio lui nel 2000 ad andare in carcere e invocare clemenza per i detenuti. Dopodiché assistemmo sconcertati a un pellegrinaggio di politici nelle carceri che facevano a gara nel promettere indulti e amnistie. Ma a fine legislatura c’era una sola proposta di legge: quella del radicale Pietro Milio. Poi il Papa tornò a Montecitorio e tutti applaudirono commossi ma non successe niente".

 

Ci furono le proposte Buemi e Pisapia…

"Si molto serie, ma per avere un si o un no Rita Bernardini, Sergio D’Ella e io dovemmo fare lo sciopero della fame. E se alla Camera la proposta di legge andò spedita, grazie a Pecorella e al presidente Casini, al Senato si arenò e solo dopo54 giorni di digiuno riuscimmo ad avere l’indultino" .

 

Che non risolse nulla…

"L’avevamo già detto nella conferenza stampa che facemmo nella gabbia: il Parlamento doveva approfittare della momentanea "boccata d’aria" per procedere a riforme complessive. Ma non l’ha fatto".

 

Violante le invoca ora, prima d un’amnistia…

"Però in attesa di riforme che non si fanno le carceri scoppiano e persino di detenuti in attesa di giudizio. E questo non è niente rispetto a ciò che sta per accadere con la legge ex Cirielli che abolisce la Gozzini per i recidivi. E quella sulla droga che presto verrà calendarizzata al Senato aggraverà ancora di più la situazione. È un miracolo che tutto il mondo carcerario continui a dare segnali di civiltà".

 

Pensa che Pannella vincerà questa battaglia?

"Me lo auguro. Pero credo che, non solo i radicali, ma tutti possano dare atto a Pannella di una cosa. Quando lui vince le sue battaglie non ci sono "sconfitti", ma tutti hanno conquistato un pezzetto di libertà in più".

Amnistia: Pannella; dopo Pera, ora attendo segnale dal Quirinale

 

Agenzia Radicale, 4 aprile 2005

 

"Quando smetterò lo sciopero della sete? Non lo so. So solo che voglio fatti concreti, non segnali, e che nella lotta per l’amnistia prima che il Papa morisse sono stato sconfitto dal ‘Generale weekend"‘. Lo afferma Marco Pannella, che da ieri ha scelto ancora una volta un’estrema forma di protesta per chiedere un’amnistia per tutti i reati commessi entro la fine del 2004. Il leader storico dei Radicali "prende atto" dell’apertura su un gesto di clemenza manifestata alla Radio Vaticana dal presidente del Senato Marcello Pera.

"Ma ora - rileva - vorrei sapere se il presidente della Repubblica lancerà un segnale, che cosa faranno il presidente del Consiglio, il presidente della Camera ed i leader dei partiti. Perché, a questo punto, è necessario passare dagli auspici agli impegni veri". "È indubbio - ammette Pannella - che contro l’amnistia esistano mille motivi; io stesso sono un sostenitore dell’indulto.

Ma sarebbe stato importante che il provvedimento di clemenza fosse giunto prima della morte del Papa che lo aveva chiesto, a ragione, in occasione della sua visita al Parlamento italiano e che, in quella occasione, aveva incassato gli applausi generalizzati di quei politici che oggi ostentano deferenza nei suoi confronti.

E del resto, a Roma per 1.500 anni è stata tradizione che alla morte del Papa ci fosse l’amnistia". Pannella, poi, si scaglia contro la legge ex Cirielli sulle prescrizioni, che definisce "una amnistia strisciante di classe riservata a chi si può pagare l’avvocato bravo". E, a questo proposito, snocciola dei dati: "Le prescrizioni sono passare da 285 mila nel 2001 a 375 mila nel 2004, e nel 2004 si è sicuramente andati oltre il milione.

Per non parlare della situazione dei suicidi nelle carceri: dietro le sbarre ne avvengono diciannove volte quelli che si verificano fuori. Di questo non si può non tener conto. E poi ci vuole coerenza: non si può rinviare alle riforme di struttura una realtà determinata dal fatto che la maggior parte delle detenzioni sono anticostituzionali e causano sofferenze ed un costo umano inaudito"

Amnistia: Pera rilancia, no di An e Lega, Ds e Fi sono incerti

 

Agenzia Radicale, 4 aprile 2005

 

Il presidente del Senato alla Radio vaticana: i politici si sveglino, una soluzione si trova. No di Lega e An, Ds e FI incerti. "Sta ora ai politici svegliarsi e comprendere che quel gesto di clemenza può risolvere parecchi problemi in Italia". Nel secondo giorno di sciopero della sete di Marco Pannella in favore di un’amnistia, Marcello Pera chiede alla politica di riconsiderare la richiesta di indulgenza per i detenuti, elevata dal Pontefice in Parlamento.

"Credo che Giovanni Paolo II avesse compreso che proprio attraverso quel gesto di clemenza si sarebbe potuto allentare una tensione nei rapporti che ora ci sono tra giustizia e politica" dice il presidente del Senato, in un’intervista alla Radio vaticana. E alla domanda sulla possibilità realistica di un’amnistia risponde che, "certo, l’argomento è delicato perché c’è da tenere in considerazione varie esigenze. Non ultima l’esigenza stessa della giustizia, di coloro che sono stati colpiti, che sono feriti, delle famiglie dei morti. Credo veramente, pero, che ascoltando questo significato umanitario che il Papa aveva dato al suo richiamo, una soluzione potrebbe essere trovata". Sottolineando di "non poterlo ovviamente promuovere", Pera conclude auspicando che si possa tenere un dibattito "sereno, pacato, laico, cioè storico e non di parte" .

Un’apertura di ampio respiro. Ma è netto il "no" della Lega e più sfumato, ma analogo, quello di An. Dopo la bocciatura del ministro della Giustizia, Roberto Castelli (ieri al Corriere aveva evidenziato che "la priorità è la sicurezza dei cittadini"), arriva anche quella del ministro delle Riforme, Roberto Calderoli, che giudica "vergognosa la strumentalizzazione della morte del Papa". "Se c’è sovraffollamento delle carceri - insiste Calderoli è dovuto in particolare alla presenza di stranieri. O se ne costruiscono di nuove o si fanno scontare le pene nei Paesi di origine, come ha iniziato a fare Castelli". Il coordinatore di An, Ignazio La Russa, ribadisce che "è fuori luogo parlarne ora " e "far sponsorizzare al Papa questo o quel provvedimento". Concorda il capogruppo udc, Luca Volonte, che parla di "pagliaccesco digiuno" che "viola la sofferenza e la preghiera dei cittadini italiani".

Ma la sfida di Pannella ribalta questa accusa. E alle "istituzioni che si genuflettono di fronte al Pontefice" chiede "coerenza". Quanto al segnale di apertura di Pera, Pannella apprezza ma va avanti e annuncia: "Smetterà lo sciopero della fame e della sete solo in presenza di gesti concreti", ha annunciato ieri.

L’unico ad avanzare un proposta di legge per l’amnistia è Gianni De Michelis. Per il sottosegretario Michele Saponara (FI) Marco Pannella "approfitta della situazione, ma indubbiamente il problema della concessione di un provvedimento di clemenza c’è". Smentisce di aver preso posizione sul tema, in questi giorni, il coordinatore nazionale di FI Sandro Bondi. Il centrosinistra con il ds Massimo Brutti mostra disponibilità, anche se si interroga su "quale significato abbia discutere di amnistia con chi propone la ex Cirielli", legge che abolisce la Gozzini per i recidivi. C’è chi in entrambi i Poli invita a non creare false aspettative nei detenuti. Tuttavia molti condividono le perplessità del capogruppo ds Luciano Violante che auspica piuttosto una riforma complessiva. I Verdi lanciano una proposta concreta: sconto di almeno 6 mesi a tutti.

Amnistia: Don Spriano; la voce del Papa è rimasta inascoltata

 

Redattore Sociale, 4 aprile 2005

 

Una visita storica quella del Papa al parlamento italiano riunito in seduta comune a Palazzo di Montecitorio, quella del 14 novembre 2002. Il Santo Pontefice prende posizione su un tema che già sta a cuore da sempre e su cui, già dal Giubileo, aveva sollecitato la classe politica italiana: un gesto di clemenza verso i detenuti, una legge di indulto. Non un atto isolato tuttavia, ma la convinzione profonda che la dignità dell’uomo va rispettata e tutelata.

Una convinzione che il Papa sostiene su scala planetaria. Il dibattito sull’argomento è acceso tra le forze politiche, l’appello del Pontefice è un segnale forte, ma resta inascoltato. "Tutte le volte che ha preso le difese dei poveri la sua voce è rimasta inascoltata. Così è successo anche quando ha chiesto un gesto di clemenza per i detenuti - commenta don Sandro Spriano cappellano del carcere di Rebibbia.

E questa è stata una delle sofferenze del Papa, anche se si parla sempre di quella fisica. L’indulto appare agli occhi del pontefice "l’unico strumento per ridare speranza al cuore di queste persone", sottolinea don Spriano la speranza di un reinserimento, di un futuro possibile, ma certamente il Papa pensa ad un giustizia diversa, quella che non può essere regolata solo da un atto amministrativo e legislativo. "Non è stato capito - sottolinea don Spriano ricordando quel momento - ma tutti noi pensavano che il suo appello andasse a buon fine visto gli applausi che gli hanno riservato tutti gli uomini politici".

Civitavecchia: Marroni; troppi problemi nel carcere di Aurelia

 

Centumcellae News, 4 aprile 2005

 

Il Garante dei Detenuti del Lazio interviene dopo l’ennesimo suicidio all’interno del supercarcere di Civitavecchia. È morto impiccandosi con un lenzuolo nella cella dove era detenuto da soli due giorni il trentenne rumeno trovato senza vita all’interno del supercarcere di Aurelia.

Arrestato in flagranza di reato dai Carabinieri di Ladispoli e accusato di tentata estorsione ai danni di una sua connazionale, il giovane era stato interrogato verso le 12.00 di giovedì dal Gip dott. Filocamo che, su richiesta del Pm, dott. Edmondo De Gregorio, ne aveva convalidato l’arresto. Solo tre ore e poi il dramma. L’ennesimo decesso avvenuto la scorsa settimana porta Civitavecchia verso il triste primato del maggior numero di suicidi in cella. Un dato preoccupante, che induce ad una profonda riflessione sulla situazione delle case di reclusione, troppo spesso lasciate in uno stato di abbandono non solo materiale, ma anche e soprattutto a livello di agenti di sicurezza, personale amministrativo e volontari.

"Il problema del supercarcere di Aurelia - ha commentato il dott. Angiolo Marroni, Garante dei Detenuti nel Lazio - è il dramma dell’affollamento, che rende la convivenza assai difficile. Se a questo si aggiunge poi la carenza del personale di vigilanza e di quelle figure che dovrebbero coadiuvare un lavoro già di per sé non semplice, come psicologi, volontari ed educatori, allora la situazione diventa piuttosto critica. Spesso questi detenuti sono lasciati soli, abbandonati a loro stessi; soprattutto i giovani e gli stranieri hanno maggiori difficoltà di inserimento, e nessuno si ricorda che i detenuti, come del resto ogni cittadino, non sono tutti uguali. Non ci sono soluzioni da proporre: le uniche iniziative da mettere in campo sono, sicuramente, un incremento delle figure professionali e una maggiore attenzione alla persona".

Mentre quindi la Procura continua ad indagare sulla morte del giovane rumeno, di cui finalmente si sarebbe definita l’identità così da poter avvertire i familiari, e mentre viene esclusa qualsiasi altra probabile pista, l’appello che viene lanciato dal Garante Marroni è quello di abbandonare un eccessivo burocratismo per intraprendere invece la strada del dialogo e della comprensione. E forse è il momento che qualcuno ascolti questa voce. Daria Geggi

Roma: misteriosa morte di un detenuto a Rebibbia

 

Corriere Adriatico, 4 aprile 2005

 

Misteriosa morte di un detenuto nel carcere di Rebibbia. Il detenuto di 34 anni è stato trovato morto in cella ieri mattina nel carcere romano di Rebibbia. La scoperta è stata fatta dai suoi compagni di cella al risveglio. Lo hanno chiamato più volte, ma non c’è stato nulla da fare. Domenico Maniscalco, di 34 anni, morto nel suo letto, nel Nuovo Complesso. I detenuti hanno avvisato le autorità penitenziarie, che hanno segnalato la morte, dovuta secondo i primi accertamenti medici ad un arresto cardiocircolatorio, alla magistratura. Il sostituto procuratore Simona Marazza ha aperto un’inchiesta per stabilire le esatte cause della morte. A quanto si è appreso in ambienti carcerari non si sarebbe trattato di suicidio. "I detenuti hanno pregato per lui e gli hanno rivolto lo stesso pensiero che hanno voluto dedicare al Papa ieri nella messa in ricordo del Pontefice", ha detto il capo dei cappellani di Rebibbia don Sandro Spriano.

Maniscalco, originario di Roma, era sposato ed aveva una figlia e, come ricordano a Rebibbia, proprio alcuni giorni aveva ricevuto la sua visita e insieme alla madre l’aveva portata nell’area verde dove i detenuti possono passare un momento di intimità con i loro famigliari. A quanto si è appreso l’uomo stava scontando una pena di due anni per piccoli reati e non era alla sua prima esperienza carceraria. L’inchiesta prosegue anche perché l’uomo non aveva mai lamentato patologie gravi.

Amnistia: Sappe; sì ad un gesto un gesto di clemenza

 

Comunicato stampa, 4 aprile 2005

 

"Ci auguriamo che la classe politica italiana trovi, alla ripresa dei lavori parlamentari la prossima settimana, il coraggio di accogliere l’appello che il Santo Padre Giovanni Paolo II lanciò nel corso della sua visita al Parlamento del 14 novembre 2002 per un gesto di clemenza verso i detenuti. Questo potrebbe essere il modo migliore per onorare la straordinaria figura di Giovanni Paolo II, che quando chiese un segno evidente di clemenza per i detenuti fu applaudito da tutto il Parlamento". È l’auspicio della Segreteria Generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, l’organizzazione più rappresentativa della Categoria con oltre 12 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività, che sottolinea anche quali effetti benefici un provvedimento di amnistia o indulto determinerebbe nei penitenziari del Paese.

"I dati riferiti al 28 febbraio scorso attestano che, nelle 206 carceri italiane, sono presenti quasi 57 mila detenuti (almeno il 30% sono extracomunitari, e il 20% tossicodipendenti) a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore a 42 mila posti. Questo sovraffollamento ricade principalmente sul Personale di Polizia Penitenziaria, che è impiegato nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico e spesso in palese inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti".

La Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria evidenzia anche come a nulla sia servito il famoso indultino: "nelle previsioni avrebbe dovuto prevedere l’uscita dal carcere di almeno 9000 persone. Nei fatti, però, i detenuti che ne hanno beneficiato sono stati meno della metà, appena 4000. E mentre loro uscivano, il loro posto veniva rimpiazzato in fretta".

"Il sovraffollamento delle carceri - rileva il Sappe - è e sarà sempre un problema attuale se non si legifera, come chiese Papa Giovanni Paolo II al Parlamento, un tangibile segno di clemenza verso i detenuti. Per fortuna al momento non ci sono segni di particolari tensioni che facciano pensare a possibili rivolte, ma questo è dovuto alla professionalità e al senso del dovere delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria ed anche al fatto che la popolazione carceraria si è dimostrata molto più responsabile della nostra classe politica, ed ha atteso pazientemente, dopo l’appello del Papa, i primi effetti dell’indultino".

Conclude il Sappe "Oggi, preso atto del fallimento dell’indultino e per onorare con fatti concreti le parole che disse Giovanni Paolo II in Parlamento sulle problematiche penitenziarie, la classe politica ha l’occasione per accogliere quella richiesta del Papa. Ci auguriamo che lo facciano presto."

Udine: progetto "Pannello Infopoint" tra Cssa e carcere

 

Comunicato stampa, 4 aprile 2005

 

Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione tra le direzioni del CSSA di Udine, della Casa Circondariale di Udine e del Centro Servizi Spettacoli di Udine. L’idea nasce dalla necessità di realizzare una guida per l’utenza penitenziaria che fosse facilmente fruibile da tutti compresa l’utenza straniera e i familiari.

Il Centro Servizi Spettacoli, Ente con il quale si collabora da anni, per la realizzazione delle attività culturali e ricreative all’interno degli istituti penitenziari della Regione Friuli Venezia Giulia, ha offerto la disponibilità economica e tecnica per la realizzazione del progetto, chiese ed ottenne dalla Regione in parola, l’autorizzazione all’utilizzo della somma assegnatagli nell’ambito del progetto pilota in tema di disadattamento,devianza e criminalità per gli spettacoli, che non poteva essere spesa all’interno dell’istituto di pena di Udine, per la ristrutturazione dello stesso, ancora in atto, che ha comportato una sensibile riduzione di presenze di detenuti.

Dall’originaria idea di fornire un supporto informativo cartaceo all’utenza si è elaborato il progetto informatico multilingue, finalizzato a fornire le necessarie informazioni sul contesto penitenziario, le legislazioni di riferimento, il formulario etc., realizzatosi con l’installazione di due pannelli interattivi, uno presso la casa circondariale di Udine, fruibile dai detenuti, ed uno presso il Centro di Servizio Sociale Adulti di Udine che assolvono la medesima funzione nei confronti dell’utenza in esecuzione penale interna ed esterna.

Il pannello all’interno del Cssa è stato potenziato con la modulistica amministrativa, utilizzabile solo dal personale assegnato al Centro che trova in maniera veloce tutti i fac-simile di istanze per poter richiedere le ferie, i permessi studio, i recuperi, etc., assolvendo la funzione di supporto all’attività amministrativa e rendendo un servizio adeguato in termini di efficacia ed efficienza al personale.

L’originalità del progetto, che è unico all’interno del Dap, è rappresentato dalla duttilità del programma che potrà essere potenziato ed eventualmente anche collegato al sistema di rete interno e ad internet, oltre che aggiornato, come già previsto semestralmente.

Il 26 aprile 2004, nel corso di una Conferenza Stampa, tenutasi nella sala riunione della Casa Circondariale di Udine, in presenza delle autorità locali ed i rappresentanti del Dap, è stato ufficializzato il progetto ed illustrato il funzionamento del pannello interattivo nelle due realtà penitenziarie: Casa Circondariale e Centro di Servizio Sociale Adulti di Udine.

 

Il direttore coordinatore del Cssa di Udine, dott.ssa Antonina Tuscano Monorchio

Amnistia: Sappe; la politica accolga l’appello che fece il Papa

 

Ansa, 4 aprile 2005

 

"La classe politica italiana trovi il coraggio di accogliere l’appello che Giovanni Paolo II lanciò nel corso della sua visita al Parlamento del 14 novembre 2002 per un gesto di clemenza verso i detenuti". È l’augurio del Sindacato Autonomo di Polizia Peniteniziaria (Sappe), secondo il quale "questo potrebbe essere il modo migliore per onorare la straordinaria figura di Giovanni Paolo II, che quando chiese un segno evidente di clemenza per i detenuti fu applaudito da tutto il Parlamento".

La Segreteria Generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria ricorda che stando ai dati del 28 febbraio scorso nelle 206 carceri italiane, sono presenti quasi 57 mila detenuti (almeno il 30% sono extracomunitari, e il 20% tossicodipendenti) a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore a 42 mila posti. "Questo sovraffollamento - dice il Sappe - ricade principalmente sul Personale di Polizia Penitenziaria, che è impiegato nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico e spesso in palese inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti". Il sindacato evidenzia "come a nulla sia servito il famoso indultino: "Nelle previsioni avrebbe dovuto prevedere l’uscita dal carcere di almeno novemila persone. Nei fatti, però, i detenuti che ne hanno beneficiato sono stati meno della metà, appena quattromila. E mentre loro uscivano, il loro posto veniva rimpiazzato in fretta".

Roma: i detenuti di Rebibbia scrivono al Papa…

 

Redattore Sociale, 4 aprile 2005

 

"Non sei riuscito a farci concedere un atto di clemenza, ma sei riuscito a darci la forza di affrontare con il sorriso le nostre tristezze. Non usiamo la parola "sofferenze" perché proprio Tu, in questi giorni, ci hai dimostrato cos’è la vera sofferenza". Parlano direttamente al Papa, i detenuti del carcere di Rebibbia, in un messaggio che racconta con verità la vicinanza profonda di Giovanni Paolo II all’uomo, solo, indifeso, senza diritti.

In ogni luogo del mondo, in qualsiasi condizione. E questo messaggio è un segno di riconoscimento per una esigenza profonda di giustizia - non solo negli atti - che il Papa ha sempre difeso. "Sicuri di interpretare il sentimento dei detenuti, non solo di Rebibbia, ma dell’intero Paese, desideriamo essere presenti in questo difficile, ma nello stesso importantissimo, momento del Tuo Pontificato - scrivono i detenuti (…). "Questa volta non ci rivolgiamo a te per chiederTi di far sentire la Tua potente voce ai potenti. Il nostro intento è solo quello di testimoniare la nostra presenza senza nulla chiedere, poiché da Te abbiamo, comunque ricevuto molto".

"I detenuti sono tipi strani, - prosegue il messaggio - fuori dal Mondo. Sarà per questo che tutti noi ci sentiamo tranquilli che Tu succederai a Te stesso. Nessuna figura, infatti, potrà mai ricoprire il Tuo posto, senza far sentire la Tua assenza. Nessuno avrà mai la forza di abbracciare tutti i fedeli del Mondo, trovando sempre il giusto momento d’intervenire a favore di ogni singola categoria. Non dimenticando mai la nostra". "La nostra abitudine a sentire le belle parole di circostanza - concludono i detenuti - c’induce a non utilizzarle, limitandoci a dirti: grazie Papa e arrivederci vicino a Te".

Papa: Don Rigodi; ha parlato ai detenuti in modo pulito

 

Redattore Sociale, 4 aprile 2005

 

Un Papa dietro le sbarre. Fin dall’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II ha dimostrato la sensibilità della Chiesa cattolica alla condizione dei carcerati, con la visita al carcere di Papadua in occasione del viaggio apostolico in Brasile.

Un’attenzione che in seguito il Papa ha ribadito più volte, insieme agli appelli alla clemenza e al condono delle pene lanciati in occasione della visita al carcere romano di Regina Coeli nel 2000 e dello storico discorso al Parlamento italiano del novembre 2002.

L’agenzia Redattore Sociale ha chiesto un bilancio dell’attività di Giovanni Paolo II a favore dei carcerati a don Gino Rigoldi, dal 1972 cappellano dell’Istituto penale per minorenni "Beccaria" di Milano. Don Rigoldi, nato a Milano il 30 ottobre 1939, è anche fondatore e presidente dell’associazione "Comunità nuova", impegnata nella gestione di comunità per minori e tossicodipendenti e nell’organizzazione di attività per i giovani del quartiere milanese di Baggio.

 

Don Rigoldi, come si può valutare l’attenzione espressa da Giovanni Paolo II verso il mondo del carcere?

"Ai detenuti il Papa si è rivolto con una parola semplicemente cristiana: misericordia. È chiaro che al male e al reato va dato il loro nome, tuttavia il Papa ha dimostrato che le persone non vanno mai giudicate ma accolte, per aiutarle a rincominciare e a risanare il loro cattivo comportamento. La pena, quindi, non dev’essere mai distruttiva ma inserita in un discorso di riabilitazione, che serva per capire e per ricominciare a vivere".

 

Anche in occasione della sua storica visita al Parlamento italiano, il Pontefice aveva sollevato l’esigenza di un atto di clemenza per i carcerati, di cui si è tornato a parlare appena un giorno dopo la sua scomparsa. Cosa frena alcuni politici italiani dal seguire l’invito del Santo Padre?

"Quello a favore dell’amnistia è un appello che Giovanni Paolo II ha ripetuto in tante occasioni, ma purtroppo non è andato a buon fine. Credo che la grinta con cui è più volte tornato su questo argomento, a volte anche con piglio che poteva sembrare aggressivo, fosse giustificata dalla delusione di essere sì ascoltato, ma non ubbidito: ha sentito il bisogno di alzare la voce, nella speranza che i suoi interlocutori capissero di più".

 

In che modo il Papa ha curato il suo rapporto con i detenuti, durante le sue visite in carcere?

"Il Papa ha adottato un approccio personale, effettuando un’operazione molto pulita: ha parlato ai detenuti come un maestro, come fa un prete con i suoi fedeli, non come una persona che deve provare pietà e compassione. Si è rivolto a loro con un atteggiamento non discriminatorio, grazie al quale i detenuti percepivano la stima nei loro confronti". (ar)

Germania: sequestro in carcere, finito senza feriti

 

Sda-Ats, 4 aprile 2005

 

Una presa di ostaggi nel carcere di Naumburg, nell’ovest della Germania, dove ieri due detenuti avevano sequestrato due impiegati del penitenziario, si è conclusa questa notte senza spargimento di sangue. La polizia è intervenuta ed ha liberato i due ostaggi - un uomo e una donna - mettendo nel contempo i due sequestratori nella condizione di non nuocere. Nessuno è rimasto ferito.

Il sequestro era cominciato poco prima delle 16.00 e si è concluso intorno all’1.00. Secondo un portavoce della polizia i due sequestratori di 37 e 44 anni - entrambi condannati a parecchi anni di reclusione per atti di violenza - non avevano armi da fuoco e per minacciare potevano usare solo un paio di forbici. Inizialmente i due avevano catturato tre persone, ma una è riuscita a fuggire. Già in passato nella prigione di Naumburg, dove sono rinchiusi 400 detenuti, per lo più condannati a lunghe pene, si era verificata una analoga presa di ostaggi che si era conclusa senza spargimento di sangue.

Turchia: le carceri sono una enorme Guantanamo…

 

Guerra e Pace, 4 aprile 2005

 

"Se non ci fossero la resistenza e la disobbedienza dei detenuti politici non saremmo qui a parlare delle condizioni disumane nelle prigioni turche, non esisterebbe più il problema, visto che né i media internazionali né quelli suppostamente democratici turchi ne parlano mai."

Ne è convinto Halil Ibrahim Sahin, un esponente dell’associazione dei prigionieri politici turchi Tayyad.

Il governo di Ankara, del partito Giustizia e Sviluppo (AKP), si è affrettato a varare alcune riforme per rispettare i requisiti di democrazia richiesti da Bruxelles per l’avvio del negoziato che dovrebbe portare il paese all’interno dell’UE nei prossimi anni. Ma la Turchia è un paese in cui, nonostante le rassicurazioni dei burocrati di Bruxelles e di alcuni osservatori interessati, gli arresti arbitrari, le sparizioni e gli omicidi extragiudiziali rappresentano la normalità. Gli avvocati vengono perseguitati, i familiari dei carcerati subiscono minacce e perquisizioni corporali. La Polizia uccide e tortura, protetta da un’impunità totale. I torturatori non solo non vengono individuati e puniti, ma molti di loro sono stati premiati con promozioni e qualcuno è riuscito addirittura a conquistare la carica di ministro.

Halil è un curdo che, per la sua attività all’interno del maggior partito della sinistra turca (il Dhkp-C, clandestino), nel 1993 è stato arrestato e condannato a 15 anni di carcere per terrorismo. A emettere la sentenza fu il DGM, una "Corte per la sicurezza dello Stato" composta interamente da quei militari che ancora oggi, nonostante le cosiddette riforme, continuano a controllare tutte le istituzioni.

Dalla cella d’isolamento Halil è uscito solo nel luglio del 2004, e negli ultimi mesi sta cercando di portare in Europa la voce di chi continua a lottare contro il regime turco. Il racconto dei suoi 11 anni di carcere è una elencazione di pestaggi, torture fisiche e psicologiche, scioperi della fame di protesta e punizioni.

"L’isolamento continua, incrementato dalla riforma del sistema carcerario. La repressione prevede anche l’istituzione di nuove punizioni supplementari nei confronti di chiunque disobbedisce o resiste all’interno delle carceri, intesa come strategia per liquidare la resistenza organizzata dei prigionieri e distruggere la solidarietà tra di loro. Le punizioni supplementari comportano ad esempio la distruzione della corrispondenza, la non applicazione del diritto di parlare con i propri familiari e gli avvocati, i mille ostacoli frapposti alla possibilità per il prigioniero, pure prevista dalla legge, di preparare la propria difesa." Quando qualcuno si rifiuta di sottostare agli ordini, anche i più assurdi, dei carcerieri, gli viene immediatamente applicata qualche severa punizione. La disobbedienza non viene tollerata in alcun modo. Halil continua a raccontare, il suo volto appare segnato dalla sofferenza ma anche determinato.

"Il solo fatto di assumere una posizione "non consona" durante la quotidiana conta dei prigionieri comporta aggressioni fisiche e pestaggi. Nel carcere è vietato parlare, a maggior ragione è vietato lanciare slogan. C’è un articolo della "legge sull’esecuzione della pena" che dice che una canzone che non è "necessaria" è vietata, non si può cantare senza un motivo preciso accettato dalle autorità. Si possono quindi cantare canti religiosi, o meglio ancora inni nazionalisti o fascisti, ma non le nostre canzoni di lotta che parlano di libertà. Anche i libri e i vestiti ci vengono sottratti, per rendere la nostra vita un inferno, per impedire ogni forma di socialità e di vita normale dentro le celle. Non possiamo avere più di uno o due libri nelle celle, perché secondo i nostri aguzzini i libri sono una fonte di sporcizia. Ma coloro che si preoccupano così tanto per la nostra salute ci costringono a vivere in carceri in cui gli scarichi fognari sono spesso a cielo aperto e dove manca la seppur minima assistenza sanitaria. Durante il giorno possiamo accedere all’acqua soltanto tre volte, e quello che esce dai rubinetti è un liquido opaco quando non addirittura marrone, fango.

Anche i dottori che operano nelle carceri sono spesso complici delle torture e delle angherie commesse ai danni dei prigionieri, alcuni dei quali poi muoiono proprio a causa della mancanza di cure o per le conseguenze dei pestaggi. Basti pensare alle centinaia di giovani prigionieri ridotti a larve umane dalla sindrome di Korsakoff: nonostante siano spesso incapaci di muoversi e quindi tutt’altro che pericolosi, anch’essi sono sottoposti all’isolamento."

Halil si riferisce a quei 600 ragazzi e ragazze ridotti a larve umane dalla sindrome di Vernicke-Korsakoff contratta quando, legati ad un letto d’ospedale dopo mesi di sciopero della fame, furono sottoposti all’alimentazione forzata da medici che agli zuccheri non associarono la vitamina B1, distruggendo così il sistema nervoso e la memoria dei prigionieri.

Ma la repressione si esercita anche sui familiari che si recano alle carceri per i colloqui: gli viene impedito di consegnare soldi o alimenti ai prigionieri, al contrario di quanto stabilisce la legge. "Ma la legge viene aggirata grazie alle cosiddette circolari ministeriali o ai regolamenti interni alle carceri."

Quando la legge è "troppo democratica" (il duro prezzo che necessariamente va pagato all’ingresso della Turchia nell’UE) la si aggira applicando altre norme ben più restrittive.

"Servono prove delle accuse contro le guardie carcerarie o i militari autori degli abusi, dicono i giudici. Ma solo loro sono in grado di procurarsele, e naturalmente se ne guardano bene, appoggiati dall’omertà dei medici che si rifiutano di denunciare le torture, le percosse. Oggi si parla molto dell’adeguamento della legge turca a quella dell’Unione Europea, ma queste circolari ministeriali non prevedono l’individuazione di un responsabile quando muore un prigioniero. Anche nella remota ipotesi che io possa provare che qualcuno mi ha esercitato violenza non posso sperare che il torturatore venga punito."

Halil racconta come le guardie obblighino i carcerati a gettare le proprie scarpe per violarne la dignità, e chi si rifiuta viene picchiato e poi punito con altri anni di carcere aggiunti a quelli della pena inflitta durante il processo.

"Con la nuova legge, quella che l’Unione Europea considera "sufficientemente democratica", cantare è vietato ma, in certe circostante, anche stare in silenzio è vietato. La guardia non gradisce l’espressione del tuo viso? Se la considera una mancanza di rispetto nei suoi confronti ti può comminare una pena supplementare da scontare in prigione, e così la tua condanna si allunga sempre più. Ogni minima protesta, anche la più banale, viene considerata il risultato di una disobbedienza di carattere collettivo e organizzato, e quindi da reprimere nella maniera più brutale. Il Codice Penale e i regolamenti ministeriali e carcerari sono due sistemi complementari che infliggono una doppia condanna al prigioniero; chi, già in stato di detenzione, venga ritenuto colpevole del reato di "ribellione collettiva", verrà condannato, applicando il Codice Penale, da tre a cinque anni di ulteriore carcerazione, pena che poi può essere raddoppiata in base alla cosiddetta "legge sull’esecuzione della pena"."

Lo spirito di queste nuove leggi è cancellare la lotta democratica e di massa contro la violazione dei più fondamentali diritti umani, dentro e fuori dalle carceri.

"Quando noi concediamo qualche intervista, come stiamo facendo ora, i giornalisti possono essere arrestati e la radio o il giornale chiusi dalle autorità, cosa che avviene spesso. La repressione tocca tutta la società, non c’è bisogno di appartenere alle organizzazioni della cosiddetta sinistra estrema. Secondo la "Legge sull’esecuzione della pena" i prigionieri che si ritiene possano farsi del male devono scontare la condanna in celle di isolamento speciali rivestite di materassi, come quelle degli ospedali psichiatrici. Sono delle vere e proprie camere di tortura, senza finestre".

Sono quelle che i prigionieri chiamano bare. Si tratta delle famigerate celle "di tipo F" dove sono stati rinchiusi centinaia di prigionieri dopo il massacro del 2000. Il 19 dicembre di quell’anno 10.000 poliziotti e militari assaltarono coi bulldozer 21 prigioni nelle quali si svolgeva lo sciopero della fame a oltranza dei detenuti politici. 32 uomini e donne furono massacrati e bruciati vivi, gli altri vennero trasferiti a forza nelle nuove celle. L’isolamento al quale vengono sottoposti i prigionieri politici mira a spezzarne il morale, ad annullarne la resistenza e la dignità. Oltre che a permettere alle guardie di poter torturare indisturbate. È questo il vero scopo della riforma: impedire ai prigionieri politici di avere contatti fra loro, come invece avveniva nelle vecchie celle comuni. Le "bare" sono costruite per ospitare tre persone ma normalmente nei contengono solo una. Eppure la protesta continua. 118 persone si sono lasciate morire di fame dal 2000. L’ultima è stata una ragazza di 26 anni appena scarcerata, che si è data fuoco in una piazza di Istanbul per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su quella che Halil chiama la "enorme Guantanamo turca":

"Questo terribile sistema oppressivo è una concretizzazione della dottrina Guantanamo in Turchia ma, a differenza che negli Stati Uniti, da noi è del tutto legale, rientra nei parametri fissati dalla nuova legge che tutti descrivono come più avanzata perché conforme agli standard europei."

Oggi in Turchia, su 80 mila detenuti, quasi 10 mila sono accusati di terrorismo o di reati connessi alla propria militanza politica; tra di loro ci sono i guerriglieri curdi e turchi, ma anche intellettuali, artisti, giornalisti. E la situazione non sembra destinata a migliorare. Anzi, il progressivo adeguamento delle istituzioni turche agli standard europei sembra promettere nuove sofferenze:

"Il regime turco ha promesso di approvare, il prossimo anno, una legge che permetterà di sottrarre al periodo della pena i giorni trascorsi in ospedale. La "legge sul pentimento", raccomandata dall’UE per facilitare il reinserimento dei guerriglieri nella vita civile e fatta passare come amnistia, è servita soltanto a liberare i detenuti della destra e gli integralisti islamici, che nelle carceri spesso sono un ulteriore strumento dei torturatori." Marco Santopadre

Enna: il vescovo Pennisi celebra Messa per i detenuti

 

La Sicilia, 4 aprile 2005

 

Nell’ambito delle iniziative promosse dal Rinnovamento dello spirito di Enna, e dalla Fondazione "Istituto di promozione umana mons. Francesco Di Vincenzo", che ha preso a cuore la triste realtà del mondo carcerario, si situa il progetto "Pasqua nelle carceri". "Si tratta di un piccolo segno di solidarietà - spiega Salvatore Martinez - che si inserisce in un contesto più ampio, la costruzione di una cittadella in cui i detenuti saranno messi nelle condizioni di vivere insieme alle loro famiglie e prepararsi a riprendere il cammino della vita dopo essere stati accompagnati sul piano umano, spirituale e lavorativo".

A tal proposito Martinez, coordinatore nazionale del RnS e presidente della Fondazione, ha inviato una lettera ai direttori delle case circondariali della Sicilia chiedendo il loro consenso per l’organizzazione di un momento celebrativo comunitario, volto a condividere con i "fratelli reclusi istanti di gioia e serenità". Molte sono state le risposte affermative, tra queste quella del carcere Enna. La messa è stata celebrata dal vescovo Michele Pennisi (nella foto con gli operatori della casa circondariale) che ha rivolto ai carcerati parole di conforto e di speranza e li ha esortati a vivere la Pasqua come momento di liberazione dal peccato e apertura verso un "nuovo esodo" caratterizzato dall’amore e dalla giustizia. Al termine della celebrazione, vissuta con un generale trasporto emotivo, si è proceduto alla consegna di gadget segnati con il logo pontificio, per simboleggiare la vicinanza del Papa nei riguardi di questa realtà. Rita Luisa Cozzo

Cagliari: dal Papa sempre parole di speranza per i detenuti

 

L’Unione Sarda, 4 aprile 2005

 

Sono passati poco meno di diciannove anni ma il ricordo è ancora vivo. Le foto appese ai muri dello spaccio e la targa di bronzo nella cappella testimoniano l’indimenticabile passaggio. Sua Santità Giovanni Paolo II il 20 ottobre 1985 onorò questo istituto della sua augusta visita recando a tutti parole di conforto, di speranza, di benedizione. Era un pomeriggio piovoso, la "papamobile" proveniva dalla Prefettura e dopo si sarebbe diretta all’ospedale Brotzu. La macchina che dopo l’attentato di piazza San Pietro era stata realizzata per proteggere il Pontefice si era fermata oltre il portone in ferro. A salutare Papa Giovanni Paolo II era stato il picchetto d’onore.

Karol Woytila aveva risposto col braccio sollevato a benedire chi lo riceveva con tanto affetto dentro un luogo di sofferenza: il carcere di Buoncammino. Fuori, due ali di folla incorniciavano la strada chiusa al traffico e mille mani salutavano festose. Gli agenti di polizia penitenziaria che quel giorno c’erano non hanno dimenticato. E ieri sera, all’interno del penitenziario cagliaritano, è stata una gara a ricordare. "All’incontro avevano assistito una sessantina di detenuti", ha fatto memoria un agente. "Mi aveva stretto la mano, lo aveva fatto con tutti, agenti e detenuti indistintamente. Aveva parlato circondato dalla gente, gli era stato sistemato un piccolo palco in modo che tutti potessero vederlo. Un detenuto gli aveva donato un veliero realizzato con le sue mani in carcere. Il Papa aveva a sua volta regalato a detenuti e agenti un rosario".

Nessuno degli agenti di polizia penitenziaria presenti quel pomeriggio ha conservato nella memoria le parole pronunciate dal Papa, ed è comprensibile: erano al lavoro, dovevano garantire la sicurezza e non solo partecipare a un autentico evento. Un agente donna ha sottolineato: "L’unica cosa che ricordo bene è il colore della pelle del Papa, marmorea, e la voce possente, quando è venuto a Cagliari stava ancora bene fisicamente. In realtà ho potuto vedere ben poco perché accompagnavo le detenute ma l’ho comunque visto toccare la mano a tutte, fermarsi a parlare con tutte. Dopo vent’anni è impossibile ricordare l’emozione che tutti abbiamo provato".

Un altro agente ha ricostruito l’intervento di Antonio Felline che aveva parlato a nome di tutti i detenuti. L’incontro era durato un’ora e mezza, forse due. "Il Papa si era fermato con noi, il discorso non riesco a ricordarlo ma comunque le sue erano parole, come dire, di chiesa. Io ho anche scattato alcune fotografie che conservo come tanti miei colleghi. Dopo la messa il Pontefice era andato nella cappella dove un anno dopo è stata sistemata la targa in ricordo della sua visita. Quel pomeriggio aveva parlato con tutti. La sua presenza ci aveva colpito, è inutile negarlo. Era rimasto insieme alla gente senza particolari misure di sicurezza, stringeva la mano a tutti". (m.f.ch.)

Palermo: minori violati, un’emergenza che cresce

 

La Sicilia, 4 aprile 2005

 

Dalle guerre alle malattie, dalla fame al razzismo, dalla pedofilia al lavoro minorile, le minacce contro bambini e adolescenti sono infinite ed impediscono un progresso effettivo dell’umanità. L’alimentazione, la salute, la pace, il gioco, l’istruzione sono alcuni tra i numerosi diritti sanciti dalla Convenzione internazionale per l’Infanzia, ma, troppe volte, sono calpestati e ignorati.

Di "Minori e diritti violati" si è discusso, ieri mattina, nei locali del Museo Archeologico "Salinas", in occasione di un convegno organizzato dalle associazioni "Fidapa" e "Movimento europeo per la Giustizia". Tra gli altri era presente Don Fortunato Di Noto, il coraggioso sacerdote siciliano fondatore dell’associazione "Telefono Arcobaleno" e quindi dell’associazione Meter, un punto di riferimento nella lotta contro la pedofilia.

"Dopo dieci anni di impegno e di battaglie in favore dei minori – ha detto Don Fortunato – devo, purtroppo, constatare che la situazione dell’infanzia in Italia e nel mondo è difficile e inquietante. Nonostante la presenza di 1650 associazioni nate per difendere i bambini e gli adolescenti, il fenomeno della pedofilia non accenna a diminuire. Se una mamma che denuncia i pedofili rischia la vita, vuol dire che qualcosa, nella nostra società, non funziona. Esiste un ritardo di fondo nell’affrontare un fenomeno così radicato dal punto di vista sociale, politico ed economico".

Don Di Noto ha ricordato che "molti pedofili non molestano i bambini per strada o davanti le scuole, ma cercano le loro vittime soprattutto nel cyber-spazio". Tuttavia, non bisogna demonizzare la realtà di internet, che può rappresentare uno spazio di libertà, democrazia e socializzazione. "Il problema è l’uso responsabile del computer, al quale i bambini vanno educati per evitare di incorrere nei pericoli. È lo stesso discorso della televisione che non è cattiva in sé: sono gli uomini che la rendono cattiva".

Ma la pedofilia non è l’unico problema per l’infanzia. Secondo il giornalista Tano Gullo, "i minori appaiono assediati fuori e prigionieri dentro le case. Il problema prescinde dalle condizioni economiche. La noia, la solitudine, il consumismo alienano bambini ed adolescenti". Un altro tema affrontato ha riguardato il carcere minorile. Secondo Rita Barbera, direttrice dell’Istituto penitenziario Malaspina, "la privazione della libertà personale dei minori rappresenta uno tra i maggiori diritti violati. Il carcere minorile è una extrema ratio. La pena deve svolgere una funzione rieducativa, mai punitiva o vendicativa. Purtroppo, la società è indifferente e inadeguata, davanti al dramma dell’adolescenza".

Secondo l’avvocato Pompeo Mangano, presidente del Movimento europeo per la Giustizia, "la tutela dei minori passa attraverso la prevenzione, intesa come azione di informazione e di supporto da svolgere indipendentemente dall’episodio emergenziale. Essa richiede un impegno nella famiglia e nella scuola, attraverso l’allungamento dei tempi obbligatori di frequenza. Occorre, inoltre, contrastare quel modello culturale distorto, caratterizzato da una struttura fortemente gerarchica in cui il padre, rimuovendo i propri sentimenti, esercita una posizione di predominio e fonda i rapporti, non sul piano affettivo, ma su quello utilitaristico".

Le responsabili della "Fidapa" di Palermo, infine, hanno proposto, tra l’altro, l’istituzione di un "Osservatorio permanente sull’infanzia, che elabori i dati provenienti dalle istituzioni, dalla Polizia, dal Tribunale per i minorenni"; nuove forme di socializzazione per i minori a rischio e per i loro genitori; un coordinamento contro la pedofilia; nonché "la promozione di una cultura dei diritti fondamentali di infanzia e adolescenza". Pietro Scaglione

Giustizia: appalti; Magni annuncia querela contro l’Espresso

 

Ansa, 4 aprile 2005

 

Giuseppe Magni, consulente del ministro della Giustizia Roberto Castelli per l’edilizia penitenziaria fino allo scorso febbraio, preannuncia querela nei confronti del settimanale L’ Espresso per gli articoli pubblicati nel numero oggi in edicola sull’inchiesta sui presunti illeciti relativi alla ristrutturazione e alla costruzione delle carceri. Magni, sindaco di Calco e candidato della Lega Nord alle regionali in Lombardia, è indagato dalla procura di Roma per concorso in corruzione e istigazione alla corruzione e verrà ascoltato dai magistrati subito dopo le elezioni. L’ex consulente, con una nota, smentisce "categoricamente" gli articoli apparsi sull’Espresso e preannuncia che presenterà "immediata denunzia querela nei confronti di tutti i soggetti che risulteranno responsabili in quanto i fatti così come riportati" dal settimanale "sono inveritieri e diffamanti la mia persona".

"Tengo a precisare - aggiunge - che ciò che viene riferito e millantato negli articoli" circa "i miei presunti rapporti con il ministero, ed in particolare con il ministro, di cui pure viene allegata nell’articolo una fotografia, cercando di alludere alla sua persona, non corrisponde al vero". "Mi sembra, ad ogni buon conto, quantomeno strano che tutto ciò avvenga a due giorni dalle elezioni regionali, che mi vedono candidato". "Farò ricorso a tutti i mezzi legali necessari - afferma l’ex consulente di Castelli - per tutelare il mio buon nome e la mia serietà come uomo e come politico e risponderò serenamente ai magistrati inquirenti. Non ho nulla da nascondere. Ritengo - conclude - non sia necessario aggiungere altro, allo stato, poiché ho intenzione di raccontare i reali accadimenti solo agli organi inquirenti".

Giustizia: Pannella; con prescrizione c’è amnistia di classe

 

Ansa, 4 aprile 2005

 

"Con l’obbligatorietà dell’azione penale i procuratori fanno i processi che gli vanno bene e in questo modo c’è un’amnistia di classe, violenta, perchè chi può permettersi gli avvocati, come i capi mafia e i capi quartiere, va in prescrizione". Lo ha detto il leader dei Radicali, Marco Pannella intervenendo alla trasmissione di Pierluigi Diaco, Servizio Pubblico, su Radio 24.

"Negli ultimi quattro anni ha aggiunto Pannella ci sono stati un milione e centomila processi andati in prescrizione, dei quali quasi il 40 per cento nelle procure della Repubblica. Si tratta di una giustizia della quale mi vergogno, che un paese minimamente democratico non potrebbe tollerare".

"Con l’appello che ho lanciato per l’amnistia - ha concluso ho voluto porre una domanda: ‘Tu presidente della Repubblica e tu presidente del Consiglio cosa fai per dire che la politica si impegna per testimoniare concretamente la propria compassione per Giovanni Paolo II?".

Amnistia: Cento (Verdi), non s'illudano i detenuti...

 

Ansa, 4 aprile 2005

 

"Dopo le sollecitazioni di Marco Pannella, ora le forze politiche hanno il dovere di verificare rapidamente e seriamente se esistono le condizioni politico parlamentari per un provvedimento di amnistia e indulto che Papa Giovanni Paolo II aveva chiesto durante la sua visita al Parlamento": lo afferma il deputato Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera.

"Noi Verdi - prosegue - confermiamo la volontà di perseguire questo obiettivo con la consapevolezza che sarebbe un vero e proprio atto di criminalità politica illudere nuovamente i detenuti e le loro famiglie senza arrivare a un approdo concreto e possibile.

È vero che la prescrizione anticipata prevista dall’ex legge Cirielli si configura come un’amnistia per i potenti ed è quindi profondamente classista a danno di migliaia di detenuti che non possono permettersi una difesa super pagata. Basterebbe questa valutazione per sbloccare la situazione in parlamento e arrivare a un accordo bipartisan tra tutte le forze politiche".

Giustizia: Carboni (Ds); Castelli chiarisca su consulente indagato

 

Ansa, 4 aprile 2005

 

Il ministro della Giustizia chiarisca "in forza di quali requisiti" abbia affidato l’incarico di consulente per l’edilizia penitenziaria a Giuseppe Magni, ora indagato dalla procura di Roma con l’ipotesi di corruzione; Castelli, inoltre, faccia luce sui rapporti tra Magni e la Dike aedifica spa. A chiederlo, con due distinte interrogazioni, è Francesco Carboni (Ds), della commissione giustizia della Camera.

Il parlamentare diessino riferisce innanzitutto il curriculum vitae di Magni, che da produttore di fili per salatura è diventato consulente per l’edilizia carceraria di Castelli, fino a quando ha lasciato per presentarsi candidato della Lega Nord alle regionali in Lombardia. In una prima interrogazione Carboni intende sapere, tra l’altro, quale "compenso, indennità o retribuzione egli ha percepito in ragione della convenzione stipulata col ministero della Giustizia" e il perché Magni, "pur non avendo alcuna specifica funzione, parteciperà alla inaugurazione del palazzo di giustizia di Lecco".

Il parlamentare diessino, in un’altra interrogazione, chiede che sia fatta luce sulla Dike Aedifica Spa che ha come "oggetto sociale", tra l’altro, la "realizzazione totale o parziale di interventi di edilizia giudiziaria e penitenziaria".

In particolare, vuole sapere "in ragione di quali requisiti sono stati nominati gli amministratori della società Dike Aedifica spa", "quali attività ha realizzato ad oggi la Dike Aedifica Spa, nell’ambito della attività sociale di costruzione di nuovi istituti penitenziari (...) e, per finire, "quali rapporti sono intercorsi a partire dal 3 luglio 2003 e fino al mese di febbraio del corrente anno fra la Dike Aedifica spa ed il signor Giuseppe Magni".

 

 

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