Rassegna stampa 3 aprile

 

Amnistia: Pannella inizia lo sciopero della sete a favore

 

La Repubblica, 3 aprile 2005

 

I politici "che si sono genuflessi" e le istituzioni italiane "facciano un atto concreto" per il Papa: si impegnino "a concedere una immediata amnistia generalizzata per tutti i reati commessi entro il 2004". Marco Pannella, il settantacinquenne leader radicale, lancia la proposta alla radio alle nove del mattino. Annuncia: "Farò lo sciopero della sete per aiutare chi può a prendere subito questa decisione...". A fine giornata, poche ore prima della morte del Pontefice, calcola: "A Radio radicale abbiamo ripetuto l’invito 54 volte, ma vedo che tutti, o quasi, tacciono". Eppure, ricorda, l’ultimo appello di Giovanni Paolo II allo Stato italiano fu per un atto di clemenza: era il 15 novembre del 2002 quando Karol Wojtyla salì a fatica i pochi gradini dell’aula di Montecitorio e, seduto sullo scranno più alto, tra i presidenti del Parlamento, Casini e Pera, chiese "pace e clemenza per i detenuti". Impegno che la politica si è palleggiata e ha fatto naufragare in un gioco di veti incrociati.

"Se il premier, il capo dell’opposizione, i presidenti di Camera e Senato, il Quirinale rispondessero positivamente, chissà che il Papa non possa saperlo e costituisca un atto concreto di riconoscenza, di compassione, di riparazione", commenta Pannella. Ricorda altresì che, sebbene l’usanza sia in disuso, in occasione di eventi eccezionali, si fanno atti di clemenza. L’iniziativa radicale è un fulmine a ciel sereno sulla politica italiana. Un argomento che però Giulio Andreotti, il senatore a vita e sette volte premier, aveva a sua volta sollevato commentando in tv l’agonia del Papa: "L’indulto è una grave inadempienza che abbiamo sulla coscienza: un argomento sul quale bisogna tornare e che spetta al Parlamento, non ai governi".

Nelle carceri di tutta Italia, dove ieri si sono tenute veglie di preghiera per il Papa, è una boccata di speranza. Paolo Cento, leader dei Verdi, va a Regina Coeli; ne parla con i carcerati. "È il vero modo per rendere omaggio al Papa, poiché si tratta di un impegno mancato e le condizioni di vita carceraria sono al collasso". Ma è il primo a smorzare facili illusioni. I 56 mila carcerati negli istituti di pena sovraffollati, che dovrebbero ospitarne circa un terzo, non devono coltivare illusioni sulla possibilità che i partiti, già alle prese con le politiche del 2006, si impegnino per amnistia o indulto.

"Quando si va alle urne, si fa la faccia truce - commenta Gaetano Pecorella, il presidente forzista della commissione Giustizia di Montecitorio - io comunque valuterò subito la settimana prossima se c’è una maggioranza ampia e trasversale per affrontare la questione e riprendere l’iter parlamentare congelato". Apertura anche dal responsabile Giustizia di Forza Italia, Giuseppe Gargani: "Siamo disposti a discuterne; è stata la sinistra a mettere veti". E un sì, anche dall’avvocato forzista Carlo Taormina, da Alfredo Biondi, e da Luigi Vitali. Reazione severa di Anna Finocchiaro dei Ds: "Non parlo di amnistia fino a quando non si manifesta un fronte compatto e sincero, perché non si gioca con la vita e la speranza delle persone". E se veti ci sono stati a quell’atto di clemenza, per il quale tanto il Papa si è speso, "sono arrivati proprio dalla Casa delle libertà". Quando fu approvato il cosiddetto indultino nel 2003 (snaturando la proposta di legge di Giuliano Pisapia del Prc e Enrico Buemi dello Sdi) ci fu uno scontro senza esclusione di colpi tra i Poli: oggi di quel provvedimento (cioè della sospensione di due anni di pena per chi avesse scontato metà della condanna) ne hanno beneficiato 4.400 detenuti. E il tam-tam delle carceri lancia adesso l’allarme per le conseguenze della cosiddetta legge "salva Previti": quando sarà definitivamente approvata, la popolazione carceraria potrebbe crescere del 40% per via dell’inasprimento delle pene per i recidivi. Lo spiega Irene Testa dell’associazione radicale "Al detenuto ignoto". Giovanna Casadio

Amnistia: Pera; la clemenza può risolvere parecchi problemi

 

Agenzia Radicale, 3 aprile 2005

 

Se il ministro della Giustizia Roberto Castelli si dice contrario alla richiesta di amnistia avanzata da Marco Pannella, da 18 ore in sciopero della sete, perché la "priorità è la sicurezza", e Luciano Violante (Ds) "perplesso" perché quello che serve è la riforma del processo penale, è il presidente del Senato Marcello Pera, dai microfoni di Radio Vaticana (tra breve on line), a sostenere l’esigenza di un segno di clemenza nei confronti dei detenuti, così come chiesto dal Pontefice stesso nella sua visita in parlamento.

Il Papa ha "messo a fuoco, richiamato l’attenzione di tutti, in questo caso soprattutto dell’Italia, sul gesto di clemenza per i carcerati. Credo che Giovanni Paolo II avesse compreso che proprio attraverso quel gesto di clemenza si sarebbe potuto allentare una tensione nei rapporti che ora ci sono tra giustizia e politica". Si tratta però di "uno dei casi in cui le richieste del Papa, la missione del Papa, il suo messaggio, non hanno avuto successo durante la sua vita. E questo potrebbe essere il caso del gesto di clemenza. Sta ora ai politici svegliarsi e comprendere che quel gesto di clemenza può risolvere parecchi problemi in Italia. Certo, l’argomento è delicato, perché c’è da tenere in considerazione varie esigenze, non ultima l’esigenza stessa della giustizia di coloro che sono stati colpiti, che sono feriti, delle famiglie dei morti. Credo veramente, però, che ascoltando questo significato umanitario che il Papa aveva dato al suo richiamo, una soluzione potrebbe essere trovata".

Però, avverte di non poter promuovere la proposta in Senato, ma che gli "piacerebbe veramente moltissimo che un dibattito sereno, pacato, laico, se posso dire, cioè storico, non ideologico e non di parte, si possa veramente tenere". Ma sono "fatti concreti, non segnali" quelli che possono far cessare lo sciopero della sete di Marco Pannella. Il leader radicale "prende atto" dell’apertura di Pera, "ma ora vorrei sapere se il presidente della Repubblica lancerà un segnale, che cosa faranno il presidente del Consiglio, il presidente della Camera ed i leader dei partiti. Perché, a questo punto, è necessario passare dagli auspici agli impegni veri".

"È indubbio - spiega Pannella - che contro l’amnistia esistano mille motivi; io stesso sono un sostenitore dell’indulto. Ma sarebbe stato importante che il provvedimento di clemenza fosse giunto prima della morte del Papa che lo aveva chiesto, a ragione, in occasione della sua visita al Parlamento italiano e che, in quella occasione, aveva incassato gli applausi generalizzati di quei politici che oggi ostentano deferenza nei suoi confronti. E del resto, a Roma per 1.500 anni è stata tradizione che alla morte del Papa ci fosse l’amnistia".

Però, con la legge Cirielli un’amnistia c’è stata, "una amnistia strisciante di classe riservata a chi si può pagare l’avvocato bravo. Le prescrizioni sono passare da 285 mila nel 2001 a 375 mila nel 2004, e nel 2004 si è sicuramente andati oltre il milione. Per non parlare della situazione dei suicidi nelle carceri: dietro le sbarre ne avvengono diciannove volte quelli che si verificano fuori. Di questo non si può non tener conto. E poi ci vuole coerenza: non si può rinviare alle riforme di struttura una realtà determinata dal fatto che la maggior parte delle detenzioni sono anticostituzionali e causano sofferenze ed un costo umano inaudito".

Ad esprimere immediatamente la sua contrarietà a un provvedimento di clemenza, soprattutto in questo momento, è il coordinatore nazionale di An Ignazio La Russa: "Ritengo proprio fuor di luogo, se non di dubbio gusto, parlare oggi di leggi che possano onorare il Papa, se no comincerebbe la gara di chi in nome del Papa si sponsorizza la sua legge: da quella per abolire l’aborto a quella sulla procreazione assistita fino, come fa Pannella mettendo in pratica il suo cliché, a quella sull’amnistia. Si può discutere di tutto, ma più avanti.

Parlare ora del problema dell’amnistia, avrebbe il sapore di tirare il Papa per la giacchetta. Ora onoriamo questo grande Papa che ha avvicinato l’uomo a Dio e contribuito a cambiare il mondo, senza strumentalizzare la sua morte per far passare una legge piuttosto che un’altra". Più esplicito Roberto Calderoli (Lega Nord): "Non solo continuo a credere che l’amnistia sia un errore, ma trovo anche che sia vergognoso che si utilizzi un evento tragico come la morte del Santo Padre per rilanciare la proposta". Federico Punzi

Amnistia: Brutti (Ds); va bene, ma Cdl vuole una nuova giustizia?

 

Apcom, 3 aprile 2005

 

"Pronti a discutere un provvedimento di clemenza se si apre la strada ad una nuova politica sulla giustizia. Sono convinto che la clemenza sia possibile se si lega a misure di riforma da decidere con un ampio consenso. Ma è pronta la maggioranza di centrodestra per una discussione serena in questa direzione?". È quanto afferma Massimo Brutti, responsabile giustizia dei Ds, commentando la possibilità che, come aveva a suo tempo chiesto il pontefice, il Parlamento possa concedere una amnistia ai detenuti.

"Credo che la prossima settimana - continua Brutti - sia opportuno discuterne, ed è necessario che le forze politiche manifestino chiaramente gli orientamenti. Ma, anzitutto, bisogna verificare se esiste una linea concorde all’interno della maggioranza, se c’è insomma una proposta, perché è evidente che in mancanza di questa, qualsiasi ragionamento costruttivo è impossibile".

L’esponente diessino si chiede, inoltre, "se abbia un senso aprire un dibattito su un provvedimento di clemenza nel momento in cui la Cdl sostiene una legge come la ex Cirielli che, da un lato contiene misure aspre nei confronti degli autori di piccoli reati e determina così un maggiore affollamento delle carceri, e dall’altro abbrevia in modo irragionevole i tempi della prescrizione, garantendo l’impunità per reati come quelli di corruzione o per reati come l’usura, ai confini della criminalità organizzata".

Enna: i detenuti assistono al musical Jesus Christ Superstar

 

La Sicilia, 3 aprile 2005

 

Una mattinata particolare quella di ieri per i detenuti della casa circondariale che hanno avuto il piacere di assistere alla esibizione all’interno della struttura del musical "Jesus Christ Superstar". Lo spettacolo, riadattato con testi in italiano dai maestri Maria Grazia Malara e Gaetano Fontanazza, è stato portato in scena dal gruppo parrocchiale "Artemusia" della parrocchia Mater Ecclesiae che dopo il successo del concerto Gospel di Natale si è ripetuta in questo spettacolo di musica e danza.

Una performance quella dei circa venti attori della compagnia che è stata molto apprezzata dai detenuti presenti e dagli agenti di custodia. Dal Cristo interpretato da Luigi Milazzo, Maria Grazia Malara nelle vesti di Maria Maddalena, Fabio Pedone in quelle di Pietro, Angelo Di Mattina in Kaifa, Riccardo Perricone, che ha interpretato Simone, Guglielmo Ingrà, in Ponzio Pilato, e Gaetano Fontanazza in quelle di Giuda. Allo spettacolo erano presenti anche la direttrice della casa circondariale Letizia Bellelli, il cappellano della struttura Don Giacomo Zangara e il parroco della Mater Eccelsiae Padre Angelo Lo Presti. Quest’ultimo al termine dello spettacolo ha fatto raccogliere i presenti in un momento di riflessione con la recita del Padre Nostro in segno di solidarietà e vicinanza al pontefice Giovanni Paolo II. Riccardo Caccamo

Brescia: nel carcere di Verziano una messa dedicata al Papa

 

Giornale di Brescia, 3 aprile 2005

 

Potenza di Giovanni Paolo II, che anche nel momento della prova estrema ha saputo avvicinare le persone, rompere steccati, gettare ponti fra religioni diverse. Una messa dedicata a lui, celebrata all’aria aperta, sul prato del carcere di Verziano, ieri mattina ha avuto la capacità di accomunare detenuti di fedi diverse, cristiani e musulmani, cattolici e agnostici.

Tutti uniti da un’intensa vicinanza umana al Papa sofferente. Ieri il carcere di Verziano ospitava la manifestazione "Vivicittà" curata dall’Uisp. Sentito il cappellano della casa di reclusione, la direttrice Maria Grazia Bregoli ha deciso di far celebrare una messa alle 9.30 sul campo di gara, prima della manifestazione, per pregare per il Papa in agonia. E così, attorno all’altare dove concelebravano don Carlo Bosio e don Piero Gabella, si sono assiepati uomini e donne, detenuti e atleti ospiti, cristiani e islamici.

"È stata una cerimonia molto toccante, una scena incredibile - spiega don Bosio - .Si sentiva che c’era una ragione profonda, vera in questa preghiera. C’era un punto di unità attorno alla figura del Papa. Tutti i detenuti l’hanno sentito come una presenza vicina. È stata l’unica voce che si è espressa per un segno di clemenza nei confronti dei detenuti". Un appello che il Papa ha fatto risuonare ancora, inutilmente, in occasione della sua storica visita in Parlamento.

Negli occhi di don Carlo Bosio, cappellano a Verziano oltre che parroco a Longhena, resta intanto impressa l’immagine dei detenuti, seguaci di Cristo e di Maometto, tutti uniti attorno a un unico altare: "È stata una dimostrazione di grande affetto verso il Papa. Ancora una volta abbiamo potuto toccare con mano l’unità fra le persone che egli ha saputo creare, fino all’ultimo". m.te.

Brescia: porte aperte al carcere di Verziano con "Vivicittà"

 

Giornale di Brescia, 3 aprile 2005

 

Un contatto con il mondo esterno. Sentirsi, almeno per qualche ora, meno emarginati e più vicini alle persone che non conoscono la realtà del carcere. È la sintesi del progetto "Vivicittà, porte aperte" che ieri mattina nel penitenziario di Verziano ha proposto una corsa podistica cui hanno partecipato, oltre ad un buon numero di reclusi del carcere bresciano, anche una delegazione del penitenziario di Canton Mombello. Accanto a loro, tantissimi studenti che hanno aderito con grande partecipazione ad una giornata indimenticabile per i carcerati ma anche per loro, che, per la prima volta, si sono confrontati con una realtà di difficile impatto come quella carceraria.

"Una giornata entusiasmante, per me è la prima volta - sottolinea Maria Grazia Bregoli, direttrice del carcere di Verziano - . Ho visto una partecipazione intensa da parte dei reclusi così come degli studenti. Un’esperienza importante in una giornata molto difficile per tutto il mondo. Il bilancio è assolutamente positivo: un modo inequivocabile per ricordare che il carcere è parte integrante della nostra società. Mi auguro che già quest’anno si riescano a portare avanti altre iniziative di questo genere". Una giornata indimenticabile che però ha anche vissuto un momento di sport puro nei momenti che hanno caratterizzato la corsa podistica vinta da Thomas Recaldini tra i maschi e Sonia Mangerini tra le donne. "È bello vedere continuare una tradizione come questa - assicura Giorgio Lamberti, assessore allo sport del comune di Brescia - . È un modo per sensibilizzare gli studenti che non hanno mai vissuto questa esperienza. Avvicinare i giovani a realtà come queste penso possa esser molto utile".

Ad Opera esiste una squadra di carcerati che ogni domenica esce dal carcere per partecipare ad un vero e proprio campionato. Un esperimento felice che potrebbe essere ripetuto a Brescia. "Come assessorato siamo disponibili a ricevere qualsiasi input - ricorda Lamberti - . A Brescia non l’ha mai proposto nessuno. L’assessorato non è in grado di proporre eventi, possiamo solo dare una mano. Potrebbe però essere una prospettiva di grande interesse sociale". Daniele Bonetti

Catania: On. Valentino e direttore del Dap Ardita visitano carceri

 

La Sicilia, 3 aprile 2005

 

Due strutture modello, anche se i detenuti non sono dello stesso avviso. Il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Valentino, ha visitato ieri la casa circondariale e l’istituto penale per minori di Bicocca, su invito dell’assessore comunale allo Sport e turismo, Nino Strano. Quindi è andato al carcere di Piazza Lanza e poi al Comune, dove è stato ricevuto dal sindaco Scapagnini.

"Questa - ha esordito Valentino - è una giornata di solidarietà ma anche di osservazione". I detenuti di piazza Lanza, gli diciamo, lamentano il sovraffollamento, le condizioni igieniche pessime, l’assistenza sanitaria precaria. "Piazza Lanza è stato di recente ristrutturato - ha replicato il sottosegretario - ma andremo a vedere cosa si può fare per soddisfare talune esigenze, compatibilmente con le risorse a disposizione". Più in generale, Valentino ha detto che "i problemi della Giustizia si risolvono creando strutture ma anche culture, non con soluzioni come gli indultini, non sempre coerenti con le effettive esigenze del sistema".

All’incontro hanno partecipato anche il prefetto Anna Maria Cancellieri, il questore Biagio Giliberti, il vice presidente della Provincia, Angelo Sicali, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo, i direttori dei due istituti di pena, Corrado Casto e Giovanni Rizza, i comandanti degli agenti di polizia penitenziaria che operano nelle due strutture, Giuliano Cardamona e Salvatore Garro. Ad accompagnare il sottosegretario c’era il direttore generale dei Detenuti e del Trattamento del Dap, Sebastiano Ardita, uno dei due destinatari dei plichi-bomba intercettati giovedì mattina a Roma. Ardita, catanese, 38 anni, non drammatizza né minimizza. "Sono episodi che fanno parte del nostro mestiere, anche se è bene non sottovalutarli". Poi il magistrato ha spostato l’attenzione sulla situazione delle carceri.

"Il problema del sovraffollamento è presto spiegato: ogni anno, su base nazionale, ci sono 2000 detenuti in più. Io penso che bisogna insistere sulla strada delle misure alternative senza rinunciare all’effettività della pena, che resta un punto fondamentale". Infine, parole di stima per gli agenti della polizia penitenziaria di Catania, "orgoglio della nostra amministrazione". "Sono particolarmente vicino a loro - ha aggiunto Ardita - perché so con quanta professionalità operano per restituire la legalità a questa città". Infine il sottosegretario Valentino, sollecitato da Strano, ha garantito un intervento, in collaborazione con il Comune, per rendere fruibile il campetto di calcio di Bicocca. Speriamo che il contributo dello Stato non si limiti solo a questo. Ernesto Romano

Ardita (Dap): i gruppi anarchici cercano proseliti nelle carceri

 

La Sicilia, 3 aprile 2005

 

Roma. Nessuna traccia della terza videocassetta esplosiva citata dagli anarchici nel volantino di rivendicazione. Dopo i due plichi-bomba trovati – e disinnescati – in un ufficio postale di Roma, indirizzati al direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, e al direttore dell’ufficio detenuti, Sebastiano Ardita si cerca il terzo pacco esplosivo. Inutilmente. Il Dap è allertato, le Poste hanno aumentato la sorveglianza e i controlli della corrispondenza in tutti gli uffici, affiancati da agenti della polizia postale. Non si può escludere infatti che il terzo pacco sia rimasto in giacenza all’interno di un sacco in un qualche magazzino postale.

La lettera di rivendicazione parla chiaro quando, facendo riferimento a un attacco al Dap, scrive di "tre dei principali responsabili della violenza e dello sfruttamento che quotidianamente subiscono i detenuti. Il Dap – continuano i terroristi anarchici nella loro rivendicazione – pianifica e gestisce violenza attraverso i suoi aguzzini, i Gom (il Gruppo operativo mobile, che nelle carceri deve impedire situazioni pregiudizievoli, ndr), con pestaggi dietro le sbarre".

Il messaggio dattiloscritto – circa 15 righe che rivendicano il gesto a nome del Fai-cellule armate per la solidarietà internazionale (Federazione anarchica informale) – è giudicato attendibile e si chiude con una minaccia, con la promessa "di una nuova campagna rivoluzionaria contro uomini e strutture dell’ambiente carcerario".

La rivendicazione, arrivata nella sede del quotidiano "La Repubblica", era contenuta in una busta chiusa e inviata per posta prioritaria circa quattro giorni fa. Secondo gli inquirenti, i due ordigni erano molti pericolosi, in grado di ferire gravemente e forse anche di uccidere se aperti a distanza ravvicinata.

La Procura di Roma, intanto, ha deciso di procedere anche per associazione sovversiva, oltre che per porto e detenzione di materiale esplodente. L’integrazione del fascicolo processuale è legata alla rivendicazione, giudicata attendibile, arrivata venerdì. La Fai è tra l’altro una sigla non nuova per gli inquirenti romani. È infatti la stessa che rivendicò, nei mesi scorsi, il pacco bomba recapitato alla sede romana della Iberia.

"I pacchi bomba indirizzati al Dap sono un fatto molto grave e un elemento di allarme che si aggiunge ad altri in un momento molto difficile della storia del nostro Paese" ha commentato il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Valentino. "Tutte le ipotesi per risalire agli autori del gesto sono praticabili", ha poi aggiunto.

E riguardo a un possibile collegamento tra gli autori del gesto e chi sta all’interno delle carceri, il sottosegretario ha risposto che "a 24 ore di distanza dall’individuazione dei pacchi non si può ancora dire nulla: tutte le ipotesi sono valide". Il giudice catanese Sebastiano Ardita ieri è stato a Catania per visitare le carceri di Bicocca e Piazza Lanza assieme al sottosegretario alla Giustizia Valentino. A proposito dei plichi-bomba, il magistrato ha detto con una battuta: "Le videocassette? Io preferisco i dvd".

Poi ha aggiunto: "Avevamo avuto segnali dai servizi di sicurezza. Nella strategia degli estremisti, il carcere è presente per cercare di fare proseliti tra i detenuti, e questo è un aspetto pericoloso, anche se non siamo più negli anni 70". Chi sono questi "anarchici informali"? "Boh: prima si dichiaravano anarchici-insurrezionalisti, ora sono informali. Una delle tante sigle loro, l’area è sempre quella. Non è che poi sappiamo cosa ci sia dietro, si può solo ipotizzare". Elisabetta Martorelli

Fossombrone: il ponte della Concordia dipinto da un detenuto

 

Corriere Adriatico, 3 aprile 2005

 

Ecco il ponte della Concordia ritratto da un pittore speciale. Mario Pace, detenuto a Fossombrone. Sempre più alle prese con i pennelli per esprimere il meglio della sua sensibilità. Quanti hanno visto l’ultima opera di Pace sono rimasti benevolmente compiaciuti. In particolare la parte che riguarda i fiori e la vegetazione assumono un calore non indifferente.

Il ponte della Concordia è stato oggetto di mille attenzioni attraverso gli anni: Anselmo Bucci lo ha riprodotto quasi in scansione fotografica nei vari momenti della ricostruzione dopo che era stato minato dai tedeschi. Non sono mancati, in epoca più recente fotografi di grido, operatori televisivi e perfino un poeta tedesco. Mario Pace è l’artista che ha regalato suoi quadri al cardinale Martino in visita al carcere. L’espressione di un sentimento sincero e profondo di un uomo che sa guardare oltre le sbarre all’insegna della speranza. Quello che più conta è che non si tratta di nient’altro se non di espressione artistica pura. Semplice quanto si voglia. Fortemente genuina. Non è un caso che Pace abbia già acquisito a buon merito il titolo di scuola superiore grazie al corso interno all’istituto di pena organizzata dal polo "Luigi Donati". E sempre Pace oggi vanta l’iscrizione al Dams di Bologna. È la conferma che intende proseguire nella strada intrapresa.

Oltre a questo aspetto rilevante la conferma che il carcere di Fossombrone è in grado di offrire ai suoi ospiti condizioni di vita che vengono apprezzate e che meritano di essere segnalate. Tutto questo grazie alla direzione e a tutto il personale civile e militare. Un ruolo importante lo riveste anche il gruppo dei volontari. Per i quali resta sempre in primo piano la richiesta avanzata ormai da qualche anno: creare una struttura esterna alla casa di reclusione perché si possano ospitare al meglio i parenti dei detenuti che arrivano da ogni angolo d’Italia. R.G.

Roma: i detenuti pregano "grazie Papa, eri il solo a pensare a noi"

 

La Repubblica, 3 aprile 2005

 

"Grazie Papa, perché sei stato l’unico a esprimere speranza, a chiedere un atto concreto per noi detenuti. Ma i politici non ti hanno ascoltato...". Le parole di Alberto, carcerato di Regina Coeli, rimbombano da dietro le sbarre della prigione di Trastevere. Con lui altri cento reclusi si sono riuniti, ieri pomeriggio, in preghiera nella "rotonda", la cappella dalla quale si diramano i bracci del penitenziario. In questo stesso luogo Giovanni Paolo II ha celebrato, cinque anni fa, il Giubileo dei detenuti. Non è una messa ma una veglia particolare. "Anche da queste sbarre le nostre parole possono arrivare al Papa", assicura padre Vittorio Trani, da 25 anni cappellano del penitenziario romano. Con lui don Livio Poloniato, da 13 anni collaboratore del Pontefice, rivela che in mattinata un amico ha visto da vicino il pontefice. "Uscendo, mi ha detto che, anche se pieno di tubi dappertutto, il Papa lo ha salutato - racconta don Livio - gli ha fatto un sorriso e ha fatto capire in un polacco "Non abbiate timore. Gesù Cristo mi aspetta. Voi continuate... Siate felici...".

Parole che arrivano al cuore. In un angolo il direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani, il deputato Paolo Cento e alcuni agenti penitenziari ascoltano in un silenzio commosso. Ma la commozione più forte arriva dagli stessi carcerati che al microfono ricordano il "loro" Papa. Ognuno lo fa a modo suo. Non ci sono solo italiani ma immigrati dall’Est e dall’Africa. E sono soltanto una parte dei 950 detenuti che popolano il vecchio penitenziario "cantiere" di Trastevere. "Il Santo Padre è sempre stato vicino a noi senza distinzioni di razza o religione - ringrazia un detenuto -. Il Papa resterà sempre nel nostro cuore".

Dietro ai cancelli di Regina Colei poco importa se chi recita il Padre nostro non è cattolico. Quel che conta è che crede nel messaggio lanciato da quell’uomo vestito di bianco. "Parlo a nome di chi non crede in Dio, ma stima quest’uomo in maniera spropositata - spiega, emozionato, un giovane al pianoforte ha accompagnato i canti religiosi -. Forse, non è tanto importante credere in Dio, ma seguire il Papa e ricordarci che, anche in un carcere, anche tra persone di tante religioni diverse, siamo tutti uguali".

Era il 9 luglio del 2000 quando il pontefice ha attraversato piazza San Pietro per incontrarsi con i detenuti dell’ex convento vaticano, dal 1891 prigione della nuova Italia unita. Da quel giorno Giovanni Paolo II ha più volte sollecitato "un segno di clemenza" per chi vive in cella. Prima di lui, altri due papi avevano varcato Regina Coeli. Due lapidi in marmo ricordano la visita del ‘58 di Giovanni XXIII e quella di Paolo VI nel ‘64. Ma le parole che sono rimaste incise nel cuore dei detenuti sono quelle dette dal papa polacco: "Vi stringo a me in un abbraccio come fratelli e sorelle". "Quel giorno il carcere era avvolto da un silenzio irreale - ricorda Pasquale Di Stefano, il detenuto che regalò un dipinto al Papa-. Tremava già e sembrava che dovesse cadere. Ma quando ha cominciato a parlare è venuta fuori la energia, la forza di chi, da sempre, sta con i più deboli".

Taranto: anziani maltrattati nell’ospizio-lager, due arresti

 

Gazzetta del Sud, 3 aprile 2005

 

Farmaci scaduti, cibi avariati, una situazione igienica assai precaria, anziani ammalati curati alla meno peggio, e altri spesso immobilizzati sulle sedie con cinghie e lacci per impedire che si muovessero e che dessero fastidio. È la foto raccapricciante che, fra ispezioni e approfondimenti successivi, la polizia ha scattato su quella che tutti nella frazione di Talsano, a pochi chilometri da Taranto, conoscevano come casa di cura per anziani "Santa Chiara".

Per i poliziotti ci sono pochi dubbi: l’ospizio era tutt’altro che una casa di cura, era un lager dove i 60 ospiti non godevano di alcuna assistenza, anzi venivano maltrattati e tenuti segregati. Era una struttura che veniva utilizzata da due coniugi, titolari e gestori dell’ospizio, per arricchirsi, perché le costose rette che i famigliari degli anziani versavano finivano nelle loro tasche. Fino a ieri mattina, quando i due coniugi sono stati arrestati su disposizione del gip del Tribunale di Taranto Michele Ancona, che ha accolto le richieste del pm inquirente Ida Perrone.

In carcere sono finiti Giovanni Onorio, di 55 anni, originario di Ravenna, medico geriatra e - secondo l’accusa - gestore di fatto della casa-lager, e sua moglie, Annabella Paloscia, di 53, fiorentina, amministratrice della struttura. Devono rispondere di abbandono e maltrattamenti di persone incapaci. Non solo, la polizia sta anche indagando sulla morte, avvenuta qualche tempo fa nella casa di cura, di due anziani. Gli investigatori vogliono capire se le condizioni di cattiva assistenza e vessatorie in cui vivevano gli anziani poi deceduti possano aver favorito la loro morte. Per questo motivo hanno avviato accertamenti, e a breve ascolteranno i primi testimoni e acquisiranno i referti clinici dei due ospiti.

La casa di riposo-lager è stata scoperta per caso, grazie ad un visita di cortesia che una ventina di giorni fa una coppia di poliziotti di quartiere compì nella struttura. Gli agenti notarono subito che qualcosa non andava sul piano igienico-sanitario. Si insospettirono e tornarono il giorno dopo. Eseguirono un’ispezione e trovarono in armadietti e su alcune mensole farmaci scaduti e cibi avariati. Accertarono anche che a tutti i 60 ospiti badava una sola infermiera. E rimasero sconvolti quando scoprirono, dopo un altro accertamento, che la donna era una cittadina clandestina di nazionalità russa, che non aveva alcun titolo per svolgere quel lavoro.

In sostanza, rilevarono che la donna avrebbe potuto fare (e forse faceva) al tempo stesso la donna di servizio e l’infermiera professionale. La donna, quando vide i poliziotti, cercò di fuggire ma venne rintracciata e bloccata poco dopo per strada. Fu portata in questura dove le fu notificato un decreto di espulsione.

Sulla casa-lager fu inviato un dossier alla magistratura tarantina che subito dopo dispose il sequestro della struttura affidandola, assieme ai suoi 60 ospiti, alle cure e alla coscienza amorevole di don Nino Borsci, parroco della chiesa San Francesco de Geronimo, nel rione operaio dei Tamburi. Sulla casa di cura per anziani "Santa Chiara" ora, a Talsano, c’è già chi favoleggia che aleggi una maledizione perché gli ospiti non riescono proprio a trovare pace. In tanti ricordano che circa 15 anni fa, tra quelle mura, scoppiò un terribile incendio. Ci furono anche delle vittime. Anche in quella occasione la Procura di Taranto aprì un fascicolo e scoprì alcune irregolarità. Ma ora, forse, per gli anziani ospiti della struttura l’incubo sembra davvero finito.

Iraq: attacco al carcere di Abu Ghraib, feriti 44 americani

 

Ansa, 3 aprile 2005

 

Sono almeno 44 i soldati Usa feriti nell’attacco al famoso carcere di Abu Ghraib avvenuto ieri per mano della guerriglia irachena. Lo hanno reso noto oggi fonti militari Usa secondo le quali nell’attacco sono rimasti feriti anche 12 detenuti, alcuni dei quali sono ricoverati in gravi condizioni in un ospedale militare in Germania. L’aggressione al carcere che ospita 3.500 persone, è stato condotto in modo coordinato da 40-60 insorti.

Giustizia: la storia di Daniele Barillà diventa una fiction

 

Quotidiano Nazionale, 3 aprile 2005

 

"Nel ‘95 ero in carcere a Bergamo. Stavano girando il film sul caso Tortora e un giorno dissi: lo faranno anche su di me. Sei esagerato, mi risposero. E invece è andata così". Daniele Barillà, protagonista di uno dei più clamorosi errori giudiziari degli ultimi anni, e riabilitato ora con la fiction ‘L’uomo sbagliatò, con Beppe Fiorello, su Raiuno il 4 e 5 aprile in prima serata.

Alla presentazione della fiction, oggi, era presente lo stesso Barillà, il quale ha posto l’accento sul valore di risarcimento morale di un prodotto televisivo rispetto a una storia giudiziaria in fondo non conclusa. Infatti, sta ancora battagliando per avere i 4 miliardi di vecchie lire di risarcimento che gli spettano.

La Rai e i produttori (la Albatros di Alessandro Jacchia) hanno avuto il coraggio di fare un film su una storia che nessuno, neanche i giornalisti hanno avuto il coraggio di raccontare, ha detto commosso Barillà. Nel film ho ritrovato tutto il mio percorso, soprattutto sul piano umano: sono arrivato perfino a chiedermi se il regista Stefano Reali fosse stato accanto a me durante la vicenda. Se credo nella giustizia? Ci ho sempre creduto, allora forse più che oggi. Sapevo che solo un giudice mi poteva tirare fuori, solo un carabiniere poteva scoprire cosa fosse realmente accaduto. E così è stato.

Barillà, imprenditore di Nova Milanese, cominciò il 13 febbraio del 1992: allora finì in manette a Milano nell’ambito dell’ operazione antidroga "Pantera", condotta dai carabinieri del Ros di Genova. I militari lo riconobbero mentre si trovava a bordo di una Fiat Tipo amaranto, simile a quella di un boss milanese. All’operazione collaborò anche il capitano "Ultimo". Barillà fu condannato, prima a 18, poi a 15 anni di reclusione. Fortunatamente la difesa ottenne la revisione del processo, dimostrando che si era verificato uno scambio di persona. Ma passarono molti anni, prima che, il 17 luglio del 2000, Barillà ottenne l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Dovettero passare 7 anni e mezzo di prigionia. Nel cast della miniserie, oltre a Beppe Fiorello, protagonista, anche Antonia Liskova (la pm che poi riapre il caso), Alberto Molinari, Lucia Sardo, Andrea Tidona, Rita Del Piano.

Rai: i condannati a morte raccontano il segreto della vita

 

Comunicato stampa, 3 aprile 2005

 

"Thou shalt not kill. Quinto: non uccidere". Un film documentario di Mario Marazziti sarà trasmesso domenica 3 aprile 2005, nello speciale Tg1 delle 22.45.

Pochi hanno mai attraversato il portone e le porte antiproiettile che conducono dentro un carcere. Pochissimi hanno attraversato la soglia di un braccio della morte. Quasi nessuno ha mai visto la camera della morte e quello che succede intorno a una esecuzione. La pena di morte come specchio dell’anima e di una società. Questo film-documentario conduce oltre il muro e conduce passo passo dentro i meccanismi della vita e della fine della vita.

È il risultato di un percorso di ascolto e di comprensione del sistema carcerario, della violenza che porta dentro al braccio della morte e di quella che si genera nel braccio della morte. È uno spaccato, dall’interno, anche del cuore umano, di come si può cambiare, delle responsabilità, di ciò che è umano e ciò che non lo è, degli errori umani e della forza della burocrazia della giustizia, delle contraddizioni di una società che per fermare la violenza amministra la violenza.

Cinque storie che si intrecciano, e alla fine un affresco sulla pena capitale in Texas, lo stato americano che amministra da solo metà delle esecuzioni in America. Un affresco per capire cosa è la pena di morte in ogni parte del mondo.Tre condannati a morte, Dominique Green, Eddie Johnson, John Paul Penry, e due figure-chiave del sistema: il reverendo Carroll Pickett, cappellano della camera della morte, e Jim Willett, warden di Walls Unit, Huntsville, dove avvengono le esecuzioni. E il mondo attorno, i valori, i sogni, i drammi, le speranze.

Un film sulla pena di morte e i suoi meccanismi. Al centro della vicenda la storia di Dominique Green, un giovane afro-americano, accusato di omicidio, rinchiuso da più di sette anni nel braccio della morte di Livingston, nel Texas. Il film segue, passo dopo passo, la tragica successione di eventi che ha portato alla morte di Dominique Green, giustiziato a Huntsville il 26 ottobre del 2004, nonostante si sia dichiarato innocente fino all’ultimo.

E segue la crescita umana e spirituale di un uomo molto diverso dal ragazzo coinvolto in una tragica rapina e in un processo gravato da molti pregiudizi razziali, assenza di difesa. Ne emerge la personalità ricca di un giovane uomo che scrive, dipinge, matura una filosofia della non-resistenza al sistema carcerario e ai meccanismi di dis-umanizzazione che precedono l’eliminazione di un essere umano. Unico condannato, a 18 anni, come responsabile di un omicidio senza testimoni oculari, con una giuria senza neri, un bianco parte della banda, confesso, lasciato fuori dal processo, e gli altri due neri che hanno scaricato sul più debole la responsabilità.

Accanto al protagonista si alternano figure di condannati a morte in attesa di esecuzione, come Eddie Johnson, minorenne al tempo del crimine per cui è stato condannato, e John Paul Penry, mentally challenged, da 25 anni nel braccio della morte, l’unico per cui due volte la Corte Suprema ha annullato la sentenza, e d nuovo condannato a morte da una corte texana. E persone di primo piano del sistema carcerario: Il reverendo Carroll Pickett, che ha accompagnato 95 condannati nell’ultimo giorno di vita e Jim Willett, warden,che è stato per molti anni il responsabile principale della macchina di reclusione, punizione e giustizia-esecuzione. Alla fine del viaggio nel profondo della pena capitale e del mistero della vita e della morte, molta saggezza su cosa conta e cosa non conta nella vita, e la scoperta che c’è molta vita là dove la vita è umiliata, svanisce e ne rimane poca (sembra agli sgoccioli).

Pisa: proiezione del documentario "Quintosole" per i detenuti

 

Comunicato stampa, 3 aprile 2005

 

Il 5 aprile 2005 alle 14.00, presso la casa di reclusione di Pisa, 30 detenuti assisteranno a una proiezione a porte chiuse di "Quintosole", il documentario che il regista Marcellino de Baggis ha dedicato a Freeopera Brera, la squadra di calcio formata da reclusi del carcere di massima sicurezza di Milano Opera vincitrice del campionato 2003/2004 di terza categoria della Federazione Italiana Giuoco Calcio. È la première assoluta del film di 52 minuti, girato fra il 2003 e il 2004 all’interno del carcere alle porte di Milano, che racconta la storia della squadra di calcio composta esclusivamente da detenuti che ha partecipato al campionato 2003/2004 di terza categoria, vincendolo e guadagnandosi la promozione al torneo F.I.G.C. 2004/2005 nella serie superiore.

In "Quintosole" Marcellino de Baggis utilizza il calcio come spunto per raccontare la condizione carceraria da un punto di vista nuovo e originale. La pratica di uno sport di squadra e il confronto con team "esterni", formati da giocatori liberi cittadini, offrono ai detenuti un’opportunità unica di riflessione sulla loro storia e sull’esperienza della reclusione. Riflessioni che i giocatori del Freeopera hanno consegnato alla videocamera di de Baggis con una sincerità e una naturalezza che soprendono e commuovono.

"Quintosole", inviato ai principali festival mondiali del settore, è in attesa di distribuzione. Il film è liberamente scaricabile da www.quintosole.com con licenza creative commons (http://creativecommons.org). Il sito dedicato al documentario è un blog che racconta la storia della produzione di "Quintosole" e presenta fotografie, lettere dei detenuti e considerazioni del regista. Presto saranno disponibili versioni del blog e del documentario con sottotitoli in inglese.

Nato a Taranto nel 1971, Marcellino de Baggis ha studiato cinema alla University of California di Los Angeles (Ucla). Sette anni fa ha iniziato l’attività di regista, dopo cinque anni di esperienza come montatore. Nel 1999 ha creato Onionskin (www.onionskin.net), casa di produzione indipendente con sede a Roma. Fra i suoi lavori più importanti, oltre a vari spot pubblicitari, figurano i documentari "Spotseeker" (sul kite surf), "Mumbai Masala" (sull’India) e "Ti Moun Haiti" (su Haiti). "Mumbai Masala" ha vinto il premio Chatwin 2003. Per informazioni: Marcellino de Baggis, info@onionskin.net, 335.6526971.

Roma: gli homeless avranno il loro difensore gratuito

 

Comunicato stampa, 3 aprile 2005

 

Il prossimo 5 aprile in Campidoglio viene presentato il progetto Giustizia di strada, promosso dall’associazione onlus Angels Roma e Lazio. Dal 10 aprile 2005 esperti civilisti e penalisti offriranno prestazioni gratuite a tutte le persone senza fissa dimora sulle problematiche relative alla famiglia e casa. L’opera dei volontari di svolgerà, oltre che presso un apposito sportello messo a disposizione dal Comune di Roma, anche per le strade, le stazioni, i luoghi dimenticati. Tra i volontari anche Angiolina Freda, già giudice del tribunale dei minori di Roma e attualmente garante per i diritti dell’infanzia del diciassettesimo Municipio della Capitale.

 

 

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