Rassegna stampa 22 aprile

 

Giustizia: Castelli presenta riforma del codice penale

 

Giornale di Brescia, 22 aprile 2005

 

Il ministro della Giustizia, Castelli, in piena crisi di governo, ieri ha presentato alla stampa i lavori della commissione di studio presieduta da Carlo Nordio sulla riforma del codice penale, che non ha fatto in tempo ad approdare in Consiglio dei ministri, viste le dimissioni di Berlusconi. Il progetto prevede una "rivisitazione profondissima delle pene": i reati saranno soltanto quelli per i quali la legge prevede la reclusione o l’ergastolo, tutti gli altri diventeranno illeciti amministrativi, quindi dal nuovo codice penale scompariranno le multe e le ammende) Nordio, pm di Venezia, ha coordinato gli esperti che hanno rivisitato il vecchio codice Rocco.

Nordio ha detto che la Commissione ha elaborato proposte "del tutto diverse" da quelle previste dalla "ex Cirielli" sulla recidiva ("abbiamo calcolato la prescrizione sul massimo della pena edittale aumentata della metà") e come sulla legittima difesa e sull’uso legittimo delle armi vi sia una differenza rispetto a una serie di proposte di legge, tra cui alcune della Lega. Nel progetto è previsto come non punibile "il fatto commesso da chi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che l’offesa sia proporzionata all’offesa, tenuto conto dei beni in conflitto, dei mezzi a disposizione delle vittime e delle modalità concrete dell’aggressione".

I reati, propone la commissione, saranno solo quelli per i quali la legge prevede la pena della reclusione e dell’ergastolo: tutti gli altri diventeranno illeciti amministrativi. "Il falso in bilancio ad esempio", ha illustrato Nordio, "verrà riportato a rango di delitto. La pena è prevista meno pesante, ma più seria e rigorosa". "La detenzione". ha aggunto Nordio, "è prevista solo per reati gravi mentre sono introdotte pene alternative finalizzate al recupero del condannato e al decongestionamento dei penitenziari".

In sostanza: "Depenalizzazione dei reati minori; accelerazione dei tempi della giustizia; conversione delle pene in lavori socialmente utili". L’ergastolo rimane, spiega Nordio, in rari casi e per reati di altissima gravità sociale come l’attentato alla vita del presidente della Repubblica. Tra le proposte: il perdono giudiziale in caso di reati piccoli e non offensivi. Ma Cento (Verdi) già critica la proposta: "Utilizza la sanzione penale per i reati tipici del disagio e della devianza sociale dando vie di uscita ai reati tipici dei poteri forti, economici e finanziari. Impostazione che rifiutiamo". Scettici anche gli avvocati penalisti.

Como: consigliere radicale dorme "vicino" ai detenuti

 

Agenzia Radicale, 22 aprile 2005

 

Dalle ore nove della sera di venerdì 22 alle ore sette del mattino di sabato 23 aprile il militante radicale Lucio Bertè, membro dell’Associazione "Il detenuto ignoto" e Consigliere regionale uscente dei Radicali - Lista Emma Bonino, sarà fuori dalla Casa Circondariale del Bassone a Como per dormire con i cittadini detenuti, molti dei quali all’ottavo giorno di sciopero della fame per il rispetto della legalità da parte delle Istituzioni, per il rispetto della dignità delle persone detenute, e per ottenere condizioni civili di trattamento per tutti i detenuti delle carceri italiane.

L’iniziativa è partita come sostegno all’azione nonviolenta di Marco Pannella, nove giorni di digiuno totale della fame e della sete, per ottenere un provvedimento generale di amnistia ed indulto, sia come omaggio agli auspici di Papa Giovanni Paolo II, sia come responsabile atto di governo di una situazione detentiva intollerabile e illegale.

Lucio Bertè ha dichiarato: "Lo scopo è quello di sfruttare le ore della "libertà uguale per tutti", quelle del sonno, per recarsi tutti insieme nei sogni dei parlamentari che dovranno decidere sull’amnistia e l’indulto, per convincerli a non aver paura, e a realizzare al loro risveglio questo atto iniziale di buon governo, per dare spazio e tempo alle riforme del sistema penale e della giustizia, perché non si riproduca l’attuale disastro incostituzionale e inumano. Spero che tanti cittadini liberi o "detenuti da svegli", vogliano unirsi in questa azione di "evasione notturna nonviolenta" dalle carceri italiane, a partire dal Bassone di Como, dalla sera di venerdì 22 aprile.

Conto di sollecitare la prossima Giunta regionale, non appena sarà insediata, perché dia seguito all’impegno preso prima delle elezioni dal Presidente Roberto Formigoni, ma anche dallo sfidante Riccardo Sarfatti, per la realizzazione di un concorso internazionale di architettura (e di un convegno ad esso propedeutico), per stimolare e raccogliere idee innovative sulla funzione del carcere (inteso come servizio pubblico aperto all’esterno, come luogo di studio e di lavoro), e sulle possibili tipologie organizzative alternative, basate sui principi affermati nelle costituzioni dei Paesi democratici e nelle convenzioni internazionali".

Immigrazione: al via i nuovi campi per richiedenti asilo

 

Il Manifesto, 22 aprile 2005

 

Da oggi si volta pagina in Italia sul diritto d’asilo. Entra ufficialmente in vigore il regolamento d’attuazione della legge Bossi-Fini che riscrive le procedure per accedere al riconoscimento dello status di rifugiato: una questione che riguarda ogni anno tra le dieci e le ventimila persone. Le novità principale è che, per la prima volta, i richiedenti asilo potranno essere trattenuti in centri chiusi - nonostante sia il Consiglio di stato che la Conferenza Stato-regioni abbiano dato un parere contrario su questo punto.

Inoltre le domande non verranno più esaminate dalla commissione nazionale - che ha sede a Roma - ma da sette Commissioni territoriali che si insedieranno a Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani. A farne parte saranno un rappresentante della Prefettura, uno della questura e uno della conferenza Stato-città e un rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (unico dato positivo). La Commissione nazionale rimane in piedi e avrà un compito di coordinamento.

Ed eccoci arrivati ai centri di identificazione e al loro funzionamento, su cui già aleggiano profili di incostituzionalità. Saranno sette, in prima battuta, e sorgeranno perlopiù nelle città in cui sarà insediata la Commissione. In alcuni casi, come a Roma e a Milano, sorgeranno all’interno del centro di permanenza. Ma chi sarà trattenuto, e per quanto tempo? Sicuramente, saranno trattenuti - per un massimo di venti giorni - tutti i richiedenti asilo che verranno fermati dalla polizia per avere "eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera".

Poi ci sono quelli che "possono" essere trattenuti "per il tempo strettamente necessario", ad esempio chi deve essere identificato perché non ha documenti con sé. Queste due categorie di persone vivranno in un centro a tutti gli effetti chiuso, molto simile ai centri di permanenza temporanea, con la sola eccezione che non ci sarà nemmeno la convalida del trattenimento da parte del giudice di pace. Inoltre, non avranno in mano un permesso di soggiorno, ma un mero attestato nominativo. E se un richiedente asilo entra irregolarmente ma si presenta spontaneamente in questura - come spesso avviene - sarà rinchiuso in un centro di identificazione? Teoricamente no, ma questa è una partita tutta da giocare. La domanda di asilo di chi viene trettenuto obbligatoriamente nei centri avverrà attraverso una "procedura semplificata", che dovrebbe durare in media diciotto giorni.

Per tutti gli altri la procedura sarà ordinaria, tempo previsto: trenta giorni. Per il resto, le due procedure sono identiche, a partire dal fatto che in caso di rigetto si può chiedere un riesame entro cinque giorni (tempo brevissimo) che abbia per oggetto "elementi sopravvenuti o preesistenti non adeguatamente valutati". A decidere è la stessa Commissione territoriale, con l’aggiunta di un membro della Commissione nazionale.

Oppure, entro quindici giorni, si può ricorrere al tribunale. In questo caso l’espulsione non è sospesa - un punto che le Nazioni unite hanno molto criticato - ma il prefetto può concedere di restare sul territorio. Al richiedente asilo non è concesso il gratuito patrocinio.

Le associazioni che si occupano di immigrazione esprimono perplessità. La Caritas ha parlato di "un regolamento in cui prevale la versione restrittiva della legge". Il Cir adombra profili di incostituzionalità. L’Arci parla di "criminalizzazione". L’Ics fa notare che l’Italia sarà l’unico paese europeo in cui i potenziali rifugiati verranno privati della loro libertà personale

Droghe: Frattini; davanti all’Onu l’Europa abbia una sola voce

 

Ansa, 22 aprile 2005

 

Il vicepresidente della Commissione Ue, Franco Frattini, si è augurato che l’Unione europea esprima una posizione coordinata in occasione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe nel 2008. "La Commissione lavorerà per giungere a una posizione coordinata" ha detto Frattini, intervenendo ad un’audizione pubblica del comitato della libertà civili sul piano d’azione europeo sulla droga.

"Il coordinamento sarà indispensabile per fare in modo che l’Unione e i suoi Stati membri parlino con una sola voce e che la coerenza della loro posizione sia garantita" ha aggiunto. "Un coordinamento rafforzato a livello dell’Unione è la conditio sine qua non per far in modo che l’Ue possa essere più visibile e presente sulla scena internazionale". Frattini ha rilevato nel corso del suo intervento che "le divergenze tra le politiche nazionali hanno indebolito l’azione e la visibilità dell’Ue" nella lotta alle droghe.

"Fino ad oggi l’Ue non è stata all’altezza delle aspettative dei suoi cittadini" ha osservato, lamentando la prevalenza, "troppo spesso, di un approccio ideologico". Secondo il commissario alla Giustizia "troppo spesso il dibattito è polarizzato tra un approccio più repressivo, focalizzato alla lotta contro il traffico, e un approccio più tollerante, concentrato piuttosto sulla prevenzione e la riduzione dei danni per la salute, legati all’uso di stupefacenti". Per Frattini è questa dicotomia, che si manifesta sia all’interno di ogni Stato membro, sia nei dibattiti a livello comunitario, che va superata per rafforzare l’efficacia della politica europea in questo settore.

Novara: detenuti "socialmente utili", giardinieri per un giorno

 

Ansa, 22 aprile 2005

 

Primo giorno da giardinieri per una ventina di detenuti del supercarcere di Novara. Nell’ambito dei lavori di utilità sociale organizzati dall’amministrazione penitenziaria, questa mattina i carcerati hanno ripristinato il parco di Villa Segu, che ospita un centro per handicappati. All’uscita di oggi, completata nel pomeriggio da un incontro con i disabili di Villa Segu, ne seguiranno altre.

Insieme al Comune di Novara, infatti, sono state già programmate diverse attività da effettuare nel corso del 2005. Alla giornata di lavoro dei detenuti di Novara hanno assistito il vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Emilio Di Somma, e il direttore regionale del dipartimento, Angelo Zaccagnino. Erano presenti anche Vicenzo Locascio e Marco Santoro, che coordinano le attività di recupero ambientale organizzate dall’ amministrazione penitenziaria.

Giustizia: Unione Camere Penali; delusi da riforma codice penale

 

Ansa, 22 aprile 2005

 

Penalisti insoddisfatti dalla riforma del codice penale messa a punto dalla Commissione Nordio. Agli avvocati non piace il sistema delle sanzioni, e in particolare il fatto che la pena principale resti la reclusione, ma anche il mantenimento dell’ergastolo e del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per questo si augurano che la Commissione abbia ora "un’impennata di orgoglio". "L’Unione della Camere penali ha grande attesa per la riforma del codice penale. Purtroppo, non possiamo evitare di sottolineare la nostra delusione sul sistema sanzionatorio che a nostro avviso non tiene conto adeguatamente del precetto costituzionale secondo cui la pena ha funzione rieducativa e non certo solo afflittiva per il condannato - spiega infatti il presidente dell’Unione delle Camere penali Ettore Randazzo -.

Qui al contrario le sanzioni alternative alla detenzione pur previste continuano a mantenere quale pena principale soltanto la reclusione, il che contrasta con un sistema penale moderno e aggiornato ai canoni costituzionali. Peraltro si mantiene addirittura l’ergastolo che seppur utile a saziare le aspettative forcaiole di cerca opinione pubblica costituisce proprio la contraddizione in termini con la funzione rieducativa della pena".

Ma non basta: secondo i penalisti "è doveroso un intervento del legislatore codicistico su quella fattispecie sanzionatoria inventata dalla giurisprudenza più repressiva che riguarda il concorso esterno nel reato associativo"; un intervento che invece nel testo messo a punto dalla Commissione "manca clamorosamente". "È pur vero il nostro è un giudizio parziale perchè si conosce solo la parte generale del codice, e qualche impennata d’orgoglio possiamo aspettarcela nella parte speciale - riconosce Randazzo - Tuttavia al momento non ci resta che confidare nell’orgoglio della Commissione".

Giustizia: Nordio; con nuovo codice pene meno severe ma certe

 

Ansa, 22 aprile 2005

 

"Abbiamo lavorato in assoluta indipendenza". Carlo Nordio, pm di Venezia e presidente della Commissione per la riforma del codice penale, esclude qualsiasi interferenza politica sugli esperti che hanno rivisitato il vecchio codice Rocco stendendo un progetto di legge delega (più un articolato) per la parte generale del codice, al quale si aggiungerà entro l’estate la modifica della parte speciale del codice. Seppure il lavoro sulla prima parte fosse concluso già dallo scorso luglio, il governo non l’ha sino ad ora presentato.

Nel corso della conferenza stampa al ministero della Giustizia, indetta dal Guardasigilli Roberto Castelli, Nordio ha fatto notare come la Commissione abbia elaborato proposte "del tutto diverse" da quelle previste dalla ex Cirielli sulla recidiva ("noi abbiamo calcolato la prescrizione sul massimo della pena edittale aumentata della metà"), e come anche sulla legittima difesa e sull’uso legittimo delle armi vi sia una sostanziale differenza rispetto a una serie di proposte di legge, tra cui alcune presentate dalla Lega.

Nel progetto Nordio, infatti, è previsto come scriminato (vale a dire non punibile) "il fatto commesso da chi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che l’offesa sia proporzionata all’offesa, tenuto conto dei beni in conflitto, dei mezzi a disposizione delle vittime e delle modalità concrete dell’aggressione". Nonostante queste differenze, la Commissione - ha aggiunto il magistrato di Venezia - "ha lavorato liberamente, perché noi siamo tecnici.

Spetta poi al Parlamento prendere le sue decisioni". La struttura della prima parte del codice (definizione del reato, della pena, le scriminanti...) è più snella rispetto a quella del codice Rocco: ci sono un centinaio di articoli in meno. I reati, secondo il lavoro della Commissione Nordio, saranno solo quelli per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo o della reclusione. Tutti gli altri diventeranno illeciti amministrativi. "Resteranno solo i delitti, anche se non verranno eliminato tutti i reati contravvenzionali. Il falso in bilancio ad esempio - ha precisato Nordio - verrà riportato a rango di delitto. La pena è prevista meno pesante, ma più seria e rigorosa nella sua applicazione pratica". L’obiettivo è quello di ottenere "una pena più mite ma effettivamente espiata, per cui le attenuanti generiche spariranno".

Venezia: alla Giudecca inaugurato sportello avviamento al lavoro

 

Il Gazzettino, 22 aprile 2005

 

Inaugurato nel carcere femminile della Giudecca DJ Donne Judeca, lo sportello di avviamento al lavoro destinato all’inserimento professionale delle detenute. Il progetto nasce da un protocollo sottoscritto dall’Assessorato al Lavoro e alla Formazione Professionale della Provincia (che ne è capofila), dalla Casa circondariale femminile della Giudecca , dal Centro Servizi Sociale per Adulti (Cssa) di Venezia, dall’Ente Veneto Lavoro e dal Cgm (Consorzio nazionale della cooperazione sociale Gino Mattarelli) - Capofila mandataria dell’Ati (composta da Cora Onlus, Obiettivo Lavoro Spa, Fondazione Emporio dei Lavori).

L’iniziativa prevede tra le altre - la costituzione di una cabina di regia istituzionale, la realizzazione di una indagine sulla domanda aziendale potenziale a supporto di azioni di politica del lavoro dentro e fuori del carcere nel territorio della provincia di Venezia, oltre al supporto ai Servizi per l’impiego territoriali per lo svolgimento di attività di orientamento e accompagnamento al lavoro indirizzata alle detenute della Giudecca attraverso la gestione di un servizio di sportello di consulenza orientativa all’interno della casa di reclusione. Lo sportello sarà aperto nella sua fase iniziale due volte al mese, da una orientatrice di Forcop-Rete Cora, uno de partner Ati.

"Lo sportello spiega Alessandro Sabiucciu, assessore al Lavoro e alla Formazione Professionale della Provincia di Venezia costituisce un passo decisivo verso delle reali forme di reinserimento sociale delle detenute, ricollocando l’istituto della pena carceraria all’interno di un meccanismo di rieducazione dell’individuo, e non di mera punizione, come purtroppo spesso capita di assistere. La Provincia si è messa in gioco nel favorire un progetto attraverso il quale il passaggio tra l’uscita dal carcere e il rientro nella società avvenga nel più breve tempo possibile". All’avvio delle attività e alla loro presentazione erano presenti una trentina di detenute. La direttrice del carcere, Gabriella Straffi, ha illustrato lo scopo di DJ e le modalità di accesso. Da questo momento partiranno i colloqui individuali, per accedere ai quali (e dunque iscriversi allo sportello) le donne dovranno compilare una scheda con i dati anagrafici, il campo di interesse e le opportunità formative.

Vietti: mettiamo da parte la legge salva-Previti...

 

Corriere della Sera, 22 aprile 2005

 

"Penso che la ex Cirielli diventerà ex e basta". Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera Michele Vietti, dimissionario sottosegretario alla Giustizia. L’ex Cirielli è conosciuta anche come legge Salva-Previti. "Le priorità sono prima di tutto gli interventi sull’economia - continua l’esponente dell’Udc -. Occorre abbandonare una volta per tutte l’idea di un ulteriore abbassamento dell’Irpef, dato che il progetto non ha incontrato il favore dei cittadini. Bisogna invece intervenire sull’Irap, operare in modo forte sulle regole economiche che possono penalizzare le imprese: occorre favorire in tutti i modi il rilancio. (...) Occorre togliere tutta quell’enfasi caricata sulle riforme dalla Lega, quell’insistenza sulla devolution. Quel testo in realtà è tante altre cose, ad esempio la correzione del bicameralismo perfetto sulla quale sono quasi tutti d’accordo. In altre parole: non possiamo far passare l’idea che quelle riforme siano solo devolution e solo una battaglia del Carroccio. Occorre passare dal governo del leader al governo della coalizione in cui il presidente del Consiglio garantisce l’equilibrio tra i diversi soggetti che compongono l’alleanza".

Papa: da Regina Coeli a Poggioreale, un'attenzione costante

 

Vita, 22 aprile 2005

 

La prima volta sembra che avvenga quasi in seconda battuta. Il Papa va nel carcere romano di Rebibbia per incontrare il suo attentatore, Alì Agca. È il 27 dicembre 1983. Ma se la "prima volta" dell’incontro con l’uomo che ha cercato di ucciderlo sarà storica, non meno storica diventerà, nel tempo, la prima visita di Giovanni Paolo II in un carcere (in realtà, la "prima volta" del Papa in un carcere risale al 6 gennaio 1980, quando visita il carcere minorile di Casal del Marmo, ma è la visita a Rebibbia l’inizio del rapporto speciale tra il Papa e i detenuti).

Alla presenza dell’allora ministro di Grazia e giustizia, Mino Martinazzoli, del direttore degli Istituti di prevenzione e pena, Nicola Amato, del cardinale Ugo Poletti, suo vicario per Roma, ma soprattutto davanti a un migliaio di detenuti emozionatissimi, il Pontefice celebra la liturgia della Parola. Quella di Rebibbia è la terza visita di un Papa in carcere, dopo quelle di Giovanni XXIII (1958) e di Paolo VI (1964), che però si recarono a Regina Coeli. La visita del Papa buono aveva fatto epoca. Giovanni XXIII aveva definito il carcere "la casa del Padre". Paolo VI aveva lasciato, dopo la messa, la pianeta e il calice ai detenuti. Per prepararsi alla visita, Giovanni Paolo II tempesta di domande i suoi collaboratori, invita in Vaticano i cappellani delle carceri e viene colto da "vivo sbigottimento" nell’apprendere che la carcerazione preventiva poteva durare anche 12 anni. Quando arriva a Rebibbia vuole salutare i detenuti scelti per l’incontro (400) uno a uno, stringe loro la mano, regala rosario e panettone. Nel suo discorso parla di "redenzione" e "riconciliazione", si dice "profondamente commosso", si rammarica "di non poter parlare a lungo con ognuno di voi, di non poter ascoltare quello che forse vorreste raccontarmi della vostra vicenda personale, della situazione della vostra famiglia, delle delusioni accumulate nel passato e delle aspettative con cui, nonostante tutto, vi proiettate verso l’avvenire. Sono certo", dice il Papa, "che un simile colloquio mi permetterebbe di misurare quale profondità di sentimenti e quale ricchezza di umanità ciascuno di voi nasconde dentro di sé".

Come a voler dare concretezza a queste parole, Wojtyla si ferma due ore a parlare con Alì Agca. Le immagini del Papa chinato ad ascoltare il suo attentatore faranno il giro del mondo. Poi va incontro alle detenute nella sezione femminile. "Qui mi sento specialmente commosso, vedendo voi e avendo una speciale stima per ogni donna, stima che mi proviene dalla mia devozione alla madre di Dio". Dopo tre ore saluta tutti così: "Arrivederci in libertà". I detenuti gli offrono una barca costruita con 5mila fiammiferi, un banjo e una croce fatti tutti allo stesso modo.

 

La prima volta in Cile

 

All’estero la sua prima visita in un carcere la effettua in Cile, dove incontra i detenuti di Antofagasta, l’8 aprile 1987, mentre il 10 maggio 1990 parla ai messicani del carcere di Durango. L’8 giugno 1991 saluta i detenuti di Plock, nella sua Polonia. Importanti anche i messaggi inviati dal Papa ai carcerati. Dal radio messaggio ai detenuti durante la visita pastorale in Francia (6 ottobre 1986) al messaggio televisivo alle carceri peruviane durante la visita a Lima (16 maggio 1985), a quello radiotelevisivo ai carcerati dell’Argentina (11 aprile 1987) o a quello, molto forte, per i detenuti dell’isola di Madagascar (1° maggio 1989).

 

L’applauso di Badu e Carros

 

Un’altra visita significativa Giovanni Paolo II la realizza a Viterbo, il 27 maggio 1984 (ma poi il 7 ottobre 1984 parlerà ai detenuti del carcere di Reggio Calabria e il 16 giugno 1985 farà visita al carcere femminile della Giudecca a Venezia). Nel cortile dell’istituto il Papa incontra i detenuti, cui dice: "Qualunque sia il passato e per quanto si preannunci difficile il futuro, sappiate che il Signore non vi abbandonerà, ma vi sta accanto e vi sostiene".

Il 20 ottobre 1985, in Sardegna, Giovanni Paolo II incontra i detenuti del carcere "Buon cammino" di Cagliari: il primo applauso lo strappa quando ricorda i reclusi del supercarcere di Badu e Carros, vicino Nuoro, che - spiega - "non ho potuto visitare nonostante il loro invito" e per i quali ha comunque parole di solidarietà. Poi sottolinea di identificarsi con le pene dei carcerati, ricordando che finirono in prigione apostoli e profeti, oltre che Gesù: "Qualunque sia il nostro passato", aggiunge, "Cristo ci ama e offre a tutti la possibilità di redimersi e salvarsi". Infine, infrange i divieti e scende tra i reclusi. Per abbracciarli. Riceve in dono una navicella costruita con pezzetti di legno e chiamata dagli stessi detenuti "buon cammino", come il nome del carcere. Il Papa la definisce "una scialuppa della speranza, come la barca di Pietro".

 

"Fratello tra fratelli"

 

Il 19 marzo 1987 il Papa va nel carcere di Civitavecchia, dove i detenuti gli regalano una coperta di lana, bianca e gialla, fatta da loro stessi. Giovanni Paolo II vuole testimoniare "l’affetto e la sollecitudine della Chiesa" verso persone "non di rado più sfortunate che colpevoli". Il 23 settembre 1989 è in quello di Volterra, dove un ergastolano polacco gli dona una statua di bronzo raffigurante il Papa. Davanti a loro si definisce "fratello tra fratelli".

Il 17 giugno 1990 è a Orvieto, per la solenne festa del Corpus Domini. Giovanni Paolo II, alla fine della processione, vuole incontrare i carcerati: "Anche nei momenti di grande trionfo, come nella solenne processione di stamani", dice, "Cristo vive in questa sua ostia come prigioniero. Non so se l’analogia con la vostra condizione sia perfettamente teologica ma sul piano umano mi sembra molto adeguata".

 

L’attacco alla mafia

 

Da quel momento in poi le visite del Papa in carcere sono un crescendo: l’11 novembre 1990 Giovanni Paolo II è a Poggioreale, a Napoli, dove ancora non hanno dimenticato il suo abbraccio a un detenuto sieropositivo. A tutti loro, ma soprattutto alle istituzioni, il Papa dice: "Tutti ugualmente, pubblici poteri e private organizzazioni, sono chiamati a offrire a chi attraversa momenti difficili un appoggio concreto. In modo speciale è necessario che chi si trova in carcere sia aiutato soprattutto nella delicata fase del suo reinserimento sociale".

Il 14 maggio 1992 va a Santa Maria Capua Vetere (carcere minorile di Anguilli, dove si commuove di fronte a Giuseppe, che gli grida "non siamo criminali"), il 10 maggio 1993 a Caltanissetta, casa circondariale Malaspina. Dopo aver invitato i mafiosi a pentirsi e attaccato frontalmente la mafia ("La mafia è il contrario di Dio e lo offende"), è proprio in Sicilia che il pontefice parla di "itinerario della confessione, un cammino costante di abbandono del male e di ricerca sincera del bene". Ai detenuti che lo acclamano parla di speranza, di recupero. "La vostra condizione", dice, "non è certo felice. Separati dalla società, rischiate di sentirvi abbandonati e immersi in una solitudine piena di sofferenza e di inquietudine. Vorrei allora dirvi: non cedete mai alla tentazione dello scoraggiamento, aggrappatevi alla vita e alla speranza. Sì, speranza. È questa la strada per aprirsi a un futuro di riscatto e vera redenzione".

 

L’evento di Regina Coeli

 

Il 9 luglio 2000, per celebrare il Giubileo dei detenuti, il Papa va a Regina Coeli. La prima novità è il messaggio stesso: è la prima volta che il Papa si rivolge solo ed esclusivamente al mondo delle carceri. La forma è dottrinale, ma il linguaggio è discorsivo, pacato, giubilare. Parla di riconciliazione e rinnovamento e si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, non solo a detenuti, operatori delle carceri, giuristi. Contiene idee, indicazioni, espone valori cristiani, mette in risalto difficoltà, ingiustizie, violenze, sofferenze e bisogni dei carcerati, stimola a revisionare comportamenti e atteggiamenti, a valutare alla luce dei valori evangelici la realtà e i problemi connessi al carcere e alla pena. Richiama alla responsabilità e stimola all’impegno.

Ma cosa dice esattamente il Papa? Chiede "un segno di clemenza" per i detenuti. La classe politica discute di amnistia e indulto. Le polemiche non mancano e sono pesanti.

Dopo la messa - durante la quale il Papa ricorda che anche Cristo fu carcerato - Wojtyla aggiunge queste parole: "Nell’accomiatarmi da voi, cari detenuti, desidero rinnovarvi il mio saluto, che estendo anche ai vostri familiari. So bene che ognuno di voi vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà e tornare nella propria famiglia. Consapevole di ciò, nel messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei predecessori e nello spirito dell’Anno Santo, ho invocato per voi un "segno di clemenza" attraverso una riduzione della pena. L’ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisce un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare l’impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento. In questa prospettiva, rivolgo a ciascuno il mio augurio più cordiale". Nelle parole di Giovanni Paolo II, certo, ciò che più conta è la liberazione dal peccato, quel peccato che "ha turbato il disegno di Dio" ma - aggiunge - la pena non può essere vendetta sociale e ha senso solo se offre "a chi ha sbagliato" la possibilità di "rifarsi una vita e reinserirsi nella società".

 

Lo schiaffo del Parlamento

 

Quando, il 14 novembre 2002, per la prima volta dall’unità d’Italia, un pontefice fa visita al parlamento italiano, tutti credono che il "miracolo" dell’amnistia o indulto sia a un passo. Nel suo discorso il Papa tocca molteplici argomenti, a volte anche in modo un po’ generico, per non urtare le sensibilità di nessuno, ma sulla necessità che lo Stato faccia un indulto nei confronti dei detenuti le sue parole sono chiare e inequivocabili. E così si fa nuovamente portavoce, come nel 2000 a Regina Coeli, delle istanze che vengono dalle carceri italiane: i detenuti, dice il pontefice, meriterebbero "un segno di clemenza" . E ancora: "Una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità" nei loro confronti. Alla fine del discorso, i politici e parlamentari vanno a rendergli omaggio: molti s’inchinano, qualcuno gli bacia la mano, tutti lo salutano in modo deferente e commosso. Da allora a oggi il parlamento italiano non ha preso nessun provvedimento generale di grazia o di clemenza. L’indulto chiesto dal Papa e è rimasto lettera morta, l’indultino non è servito a nulla. Il Papa? Vox clamans in deserto, almeno per quanto riguarda la politica. Non per i carcerati.

 

Ma poi nessuno l’aveva ascoltato

 

Non solo Regina Coeli. Non solo preghiere, canti e omaggi. La presenza viva e tangibile di Giovanni Paolo II nelle carceri italiane prorompe immediata dalle parole dei cappellani, intermediari diretti di quell’umanità sofferente che è la popolazione dei detenuti e non solo la figura di Giovanni Paolo II, i suoi interventi a favore di un "gesto di clemenza" per i detenuti ma anche verso la fede cristiana in quanto tale.

Don Luigi Spriano, cappellano del carcere romano di Rebibbia, lo fa capire subito: "Il messaggio che il Papa ha inviato ai detenuti nella sua visita a Regina Coeli nel 2000 in occasione del Giubileo ancora lo meditiamo oggi, a distanza di anni. Perché ci ha detto cose che nessuno ci aveva mai detto prima. La sua forte e ripetuta richiesta di un gesto di clemenza per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario non è stata ascoltata dalla politica ma nel cuore dei detenuti è entrata nel profondo, lo ha fatto stimare e amare".

Don Spriano racconta di come, anche a Rebibbia, si stiano vivendo giorni speciali: "Le televisioni, di solito sempre accese sui programmi più disparati, non si ascoltano o vengono tenute a volume bassissimo. Si moltiplicano invece i pensieri, le preghiere, le messe". E la forza del messaggio sulle carceri di Giovanni Paolo II sulle carceri sta, secondo don Spriano, proprio nell’aver saputo affrontare "uno dei problemi più drammatici della vita di chi sta qui dentro, quello del tempo. Nessuno si ritenga signore del tempo del detenuto, ha detto il Papa. Aggiungendo altri due concetti: quello che vede ripercorrere, dentro il carcere, i sentieri della violenza della società, provocando guasti come il sovraffollamento, e quello che è rivolto invece ai detenuti stessi e a chi vigila su di loro, chiedendo di rispettare la loro dignità di persone umane".

Durissimo, invece, è il giudizio sulle non risposte della classe politica: "Hanno steso un velo di pietosa indifferenza sulla richiesta di clemenza avanzata dal Papa e poi si sono rifugiati in una misura modesta e priva di effetti reali, il cosiddetto indultino: il Papa ha cercato di aprire le porte del carcere, loro hanno buttato via la chiave". Per il cappellano di Rebibbia, però, quel messaggio inviato in occasione del Giubileo non fu un atto isolato ed estemporaneo ma "s’incastra in una vera riflessione del Papa sul carcere che, ad esempio in occasione della Giornata della pace, ha detto che i concetti di misericordia e perdono vanno inseriti all’interno dell’amministrazione della giustizia e non devono restare solo patrimonio del pensiero cristiano. Lo stesso cardinal Ruini ha ripreso questo tema, ultimamente".

I detenuti di Rebibbia, peraltro, hanno anche scritto al Papa morente una toccante lettera, il cui contenuto è in sostanza questo: "Da te abbiamo ricevuto molto. Non sei riuscito a ottenere un atto di clemenza ma ci hai dato la forza di affrontare con il sorriso la delusione che ne è seguita. Non usiamo la parola sofferenza perché tu ci hai fatto vedere che cos’è la vera sofferenza".

Anche padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli, dove il Papa è stato in occasione del Giubileo, torna sui due più importanti concetti sviluppati in quell’incontro: la valorizzazione, in carcere, del tempo e della vita stessa del detenuto, per evitarne "l’immiserimento nell’ozio" e per facilitarne la rieducazione, attraverso la formazione e il lavoro, "in vista del loro reinserimento nella vita pubblica". Un Papa che commosse per la difficoltà che aveva nel salire i gradini della Rotonda e che volle salutare tutti i detenuti, stringendo loro la mano, "con uno straordinario fuori programma" sono i ricordi più vividi e impressi nella memoria di don Trani, riandando al giorno dell’incontro con i detenuti a Regina Coeli, che in quel carcere sta da 26 anni, "quasi un pontificato…", ci scherza su. Don Trani ricorda anche un’altra eccezionalità, nei testi, quello di un Papa che, nel documento finale sul Giubileo, ha ricordato un solo incontro, tra i tantissimi di quell’Anno Santo, quello con i carcerati di Regina Coeli.

Speranze, appunto, andate deluse quando, dopo la visita in parlamento, i detenuti credevano che il gesto di clemenza così fortemente richiesto dal Papa sarebbe arrivato. "Lo seguirono incollati alla tv, sapevano che non li avrebbe traditi, poi scattò fragoroso l’applauso. Oggi per loro è solo il tempo delle preghiere e delle riflessioni, non delle polemiche, ma hanno creduto a lungo che la politica lo avrebbe ascoltato". Non è stato così e oggi, che anche dalle carceri si prega per la sua anima, la sofferenza è solo doppia.

Privacy: banca Dna; sei un criminale? … dammi la tua saliva

 

Aprile, 22 aprile 2005

 

Il 18 aprile Francesco Pizzetti - professore ordinario di diritto costituzionale a Torino, ex direttore della scuola superiore della Pubblica amministrazione - è stato nominato presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali con decisione unanime. Insieme a lui si sono insediati al posto del collegio prima presieduto da Stefano Rodotà, i consiglieri Giuseppe Chiaravalloti già presidente della Giunta regionale della Calabria, magistrato, il contestatissimo Mauro Fortunato che ha ricoperto la funzione di difensore civico della Regione Campania e Mauro Paissan già componente dell’ufficio del garante dal 2001. Il 20 aprile invece anche Giovanni Buttarelli è stato riconfermato segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali con una decisione all’unanimità. Nella sua prima dichiarazione Pizzetti ha elogiato l’attività precedente del Garante e si è detto consapevole dell’eredità impegnativa consegnatagli dal recente collegio, e da un’Autorità che, "guidata per due mandati dal presidente Rodotà ha acquistato autorevolezza e stima in Italia e all’estero" - ed ha sottolineto che - "mantenere l’Autorità allo stesso livello è un impegno molto gravoso". Parole profetiche.

Infatti lo stesso giorno della nomina del Garante è stato infatti reso noto un documento approvato dal comitato per le biotecnologie e la biosicurezza (Cnbb) per l’Archivio Centrale dei profili del Dna secondo il quale chi sarà condannato per un reato la cui pena sia superiore a tre anni, o arrestato in flagranza di reato, dovrà lasciare un campione della propria saliva in modo che il proprio Dna possa confluire in un archivio che dovrebbe essere gestito da un comitato interforze per almeno 40 anni e distrutto solo in caso di proscioglimento o morte del soggetto.

Il presidente del comitato Leonardo Santi, ha dichiarato per l’occasione di aver dato risposta "ad un invito della corte costituzionale che aveva cancellato un articolo di legge che prevedeva, in maniera non ottimale, la possibilità di togliere anche in modo coatto il Dna. La Corte Costituzionale aveva cancellato questa norma e aveva chiesto una riformulazione più corretta". Il fine del prelievo sarebbe solo quello dell’identificazione della persona ma non per altre utilizzazioni e "come le analisi sullo stato di salute" ha chiosato Santi, secondo cui tutti i problemi legati alla privacy sarebbero risolti.

Un punto importante per evitare discriminazioni in campo lavorativo e assicurativo che ad esempio negli Usa viene ad essere regolato dal "Genetic Information Non Discrimination Act" approvato dal Senato Usa all’unanimità lo scorso 17 febbraio che impedisce l’utilizzazione dei dati genetici nei contratti assicurativi in materia sanitaria e nel rapporto di lavoro. In entrambi i casi esso stabilisce il divieto di utilizzare i dati genetici a fini discriminatori nei confronti, rispettivamente, del richiedente la polizza o del dipendente (o candidato all’impiego). Invero, anche se per il momento la Banca Dati del Dna resta solo un progetto che il Consiglio dei ministri dovrebbe trasformare in decreto, molte sono le perplessità che hanno accompagnato l’iniziativa.

Intanto per qualcuno viene meno il principio dell’inviolabilità del corpo, che era uno dei punti centrali dell’ultima relazione del Garante Rodotà. Non solo, per i garantisti, nonostante le rassicurazioni del comitato, sarebbe troppo ampia la gamma delle fattispecie di reato che giustificano il prelievo. Infatti specificatamente nell’archivio, finiranno i profili genetici di coloro che sono sottoposti a misure di custodia cautelare in carcere, delle persone sottoposte a fermo di indiziato di delitto, dei detenuti o internati "a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale, ai sensi dell’articolo 381 del codice di procedura penale o di altre disposizioni di legge, è consentito l’arresto in flagranza". Reati numerosi, insomma, che comprendono quelli contro il patrimonio dello Stato, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento della prostituzione minorile. E per questo sarà importante vigilare particolarmente sulla loro conservazione e sul loro corretto utilizzo.

Pescara: falsi certificati a detenuti e agenti, medico arrestato

 

Ansa, 22 aprile 2005

 

Rilasciava falsi certificati medici ai detenuti per fargli evitare la permanenza in cella e permettere loro permessi fuori dal carcere. Con questa accusa è stato arrestato il medico del carcere di Pescara che ora si trova agli arresti domiciliari. L’uomo riservava gli stessi favori, ripagati da alcuni lavori privati, anche agli agenti di custodia per giustificare l’assenza dal lavoro.

Il medico indagato si chiama Vincenzo Felice Giuliani, 45 anni, originario di Foggia. L’ordinanza di custodia cautelare a carico di Giuliani, che prevede gli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Pescara, è stata eseguita dagli agenti della Squadra Mobile con l’ausilio di quelli del Reparto Prevenzione Crimine, e contempla i reati di falsità ideologica e materiale, falsità in atti destinati all’autorità giudiziaria, truffa ai danni dello Stato e corruzione. Contestualmente è stata eseguita una serie di perquisizioni nei confronti di tutti gli indagati, che sono complessivamente nove.

Le indagini, avviate dal settembre scorso, hanno preso spunto dalle dichiarazioni rese in carcere da un detenuto al dirigente della Squadra Mobile, Nicola Zupo, e si sono incentrate su intercettazioni telefoniche e riscontri documentali. Si è appurato così che Giuliani, medico penitenziario in servizio presso la casa circondariale pescarese di San Donato, si era sistematicamente prestato al rilascio di false certificazioni mediche.

Nel caso dei detenuti, i falsi certificati supportavano richieste di benefici ai destinatari di misure cautelari o di esecuzione penale, al fine di evitare la detenzione in carcere. Nell’ambito di questo filone d’indagine, oltre a Giuliani, risulta indagato in concorso, per falsità materiale, un infermiere del carcere, oltre a quattro pregiudicati locali che hanno usufruito delle false attestazioni. Nel caso degli agenti, invece, i certificati servivano a giustificare il mancato svolgimento dell’attività di servizio, con conseguente truffa ai danni dello Stato: in compenso il medico si faceva fare lavori privati, aspetto che ricade nell’ipotesi della corruzione. In questo secondo filone d’indagine, tra gli indagati figurano anche tre guardie carcerarie del San Donato.

Cagliari: amnistia necessaria per restituire dignità al carcere

 

Alguer.it, 22 aprile 2005

 

"L’amnistia rappresenta un’occasione unica in Sardegna per rendere la vita in carcere meno drammatica. Una riduzione del sovraffollamento, principale causa dell’inefficacia dei trattamenti di rieducazione, permetterebbe di restituire dignità ai detenuti, agli Agenti di Polizia e ai diversi operatori penitenziari". Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, consigliere regionale dello Sdi-Su, con riferimento alle iniziative in atto per chiedere l’amnistia organizzate dal Comitato Popolare di Base. "Non mi sorprende - ha aggiunto Caligaris, componente della Commissione "Diritti Civili" del Consiglio regionale - che il Governo Berlusconi resti in silenzio, nonostante l’atto di clemenza sia stato sollecitato dal compianto Giovanni Paolo II e della questione se ne parli dall’anno del Giubileo. Il generale indirizzo di giustizialismo "a senso unico" che anima il Governo nazionale appare infatti in contrasto con il rispetto delle leggi vigenti e in linea con un sistema giudiziario che troppo spesso dimentica i cittadini "qualunque" dentro le carceri".

In attesa dell’amnistia, che mi auguro possa infine essere concessa, ha concluso al Ministro della Giustizia un intervento autorevole affinché si ponga termine al continuo trasferimento in Sardegna di detenuti, soprattutto extracomunitari, provenienti dalla Penisola. "Mi risulta che insieme alle persone arrivino nelle carceri isolane anche altre malattie non compatibili con celle sovraffollate, docce insufficienti e disturbi di vario genere".

Como: arrivati 23 nuovi agenti; detenuti sospendono sciopero fame

 

Provincia di Como, 22 aprile 2005

 

Polizia penitenziaria di Como, arrivano i rinforzi. Ieri mattina, mentre nelle celle del Bassone, dopo una settimana, si concludeva lo sciopero della fame adottato come forma di protesta per sollecitare al Governo il provvedimento dell’amnistia e dell’indulto - sono stati in quattro a tenere duro fino all’ultimo in uno dei primi carceri italiani a rinunciare al cibo - che ha registrato un’adesione superiore al 60% dei detenuti, ai piedi del monumento ai Caduti 23 neo agenti penitenziari hanno giurato la loro fedeltà alla Repubblica e al popolo italiano. Ventitré ragazzi sull’"attenti" in uniforme blu e con il basco azzurro: questo l’insolito spettacolo che ieri mattina, dopo le 10, è apparso davanti al monumento ai Caduti agli occhi del signore di corsa che faceva jogging, della signora che spingeva il passeggino e del pensionato durante il giretto in bicicletta. Ventitré unità che vanno a infoltire l’organico del Bassone.

Testimoni di questo loro momento così importante volti noti - quelli della direttrice della casa circondariale comasca, la dottoressa Francesca Fabrizi, il coordinatore dei volontari e degli psicologi Mauro Imperiale e il cappellano padre Giovanni Milani, che ha officiato la cerimonia - misti a quelli delle autorità: il sindaco di Como Stefano Bruni, l’assessore Alberto Frigerio, il prefetto Giuseppe Castelnuovo, il vicequestore forestale Paolo Moizi e altri.

Ma, soprattutto, quelli dei familiari, delle ragazze e degli amici che non hanno voluto perdere la cerimonia. Una cerimonia con il sole che è filata via liscia: lo schieramento degli agenti in 5 file da 4 e 1 da 3 (mancava un 24°), la deposizione di una corona al monumento, la breve ma sentita omelia di padre Giovanni, la lettura della preghiera a San Basilide, patrono della polizia penitenziaria, infine il discorso beneaugurale della dottoressa Fabrizi, gli applausi del pubblico intervenuto - oltre un centinaio di persone - e l’hurrà finale dei neo agenti con il lancio dei baschi. Quindi, gli abbracci, una sigaretta e il simpatico quanto gradito rinfresco per tutti allo Yacht Club.

 

In carcere? Pazienza e saper parlare chiaro

 

Sono stati quasi due ore sull’"attenti": è giusto che, dopo l’abbraccio di parenti e amici, si rilassino finalmente al rinfresco da loro offerto nella vicina sede dello Yacht Club. Poco più che ventenni, tutti da Roma in giù, i 23 neo agenti penitenziari, dopo un anno da ausiliari, potranno ora svolgere il loro servizio all’interno della struttura carceraria.

Tra i più alti, c’è un azzurro di judo - campione Kg 90 Seniores - impeccabile nell’uniforme blu. "Sono un atleta delle Fiamme Azzurre e svolgo gli allenamenti con la nazionale. In servizio a Como, sono però distaccato a Roma per motivi sportivi. Ma tenevo a giurare qui a Como" spiega il capitolino Claudio Pellino, 22 anni. "Sono stato ausiliario per un anno al Bassone: ora potrò lavorare dentro" ribadisce uno dei più giovani, Luke Santuccio, 20 anni, di Noto (Siracusa). Ma è Nilo Bello, 21 anni, cosentino di Rossano, a sintetizzare la filosofia dell’agente penitenziario: "È un lavoro molto impegnativo, si ha a che fare con persone. Bisogna aver pazienza e saper parlare chiaro". In bocca al lupo, ragazzi. Andrea Cavalcanti

Firenze: i detenuti imparano a conoscere la civiltà etrusca

 

Asca, 22 aprile 2005

 

Corsi di etruscologia in carcere. È il progetto messo a punto nel carcere "Mario Gozzini" di Firenze, dalla direttrice Maria Grazia Grazioso. Il programma, spiega una nota, coinvolge circa 50 reclusi che parteciperanno sia alla prima fase teorica del corso che alle visite guidate dei siti archeologici di Artimino e Fiesole. Lo stesso programma è destinato anche alle donne detenute nel Casa circondariale femminile di Empoli ed ai detenuti nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo.

Tempio: metà degli agenti in malattia, indagine della procura

 

L’Unione Sarda, 22 aprile 2005

 

È proprio una fine ingloriosa quella della Rotonda, con i carabinieri in carcere a verificare se i dieci agenti della polizia penitenziaria in malattia hanno veramente dei problemi di salute. L’amministrazione del ministero guidato da Roberto Castelli ha chiesto alla Procura di Tempio di avviare un’inchiesta sul personale dell’istituto, ridotto ormai a pochissime unità. Dei 19 agenti sui quali può contare la direttrice Patrizia Incollu per i servizi giornalieri, soltanto nove sono regolarmente inseriti nei turni.

Gli altri hanno marcato visita, in pratica più della metà del personale. Un vero disastro che però non convince l’amministrazione, sono troppi i concedi per malattia e il provveditore regionale vuole vederci chiaro. Ma non è finita, perché proprio in queste ore è maturata la decisione di trasformare lo storico carcere tempiese in una struttura di transito per i detenuti. In pratica alla Rotonda resteranno per qualche giorno gli indagati sottoposti a provvedimenti di custodia cautelare.

Buona parte dei detenuti è stata già trasferita in altri istituti, le celle sono quasi tutte vuote. Sono i risultati del braccio di ferro che dura ormai da diversi anni tra i sindacati e l’amministrazione carceraria. Cisl e Sappe proprio di recente avevano per l’ennesima volta denunciato le condizioni inaccettabili di lavoro degli agenti della polizia penitenziaria, costretti a rinunciare a permessi e ferie per garantire i normali servizi di sorveglianza. In pochi però avrebbero potuto prevedere che alla fine la questione sarebbe arrivata sul tavolo del Procuratore della Repubblica, anche se in passato situazioni di questo tipo si sono già verificate.

Ora verranno disposti degli accertamenti, affidati ai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura gallurese, attraverso i quali saranno prese in considerazione le posizioni degli agenti in malattia. Alcuni di loro si sono sottoposti alle visite delle commissioni dell’ospedale militare di Cagliari. Di sicuro, a questo punto, si può parlare di un conflitto dagli esiti imprevedibili per il carcere di Tempio. "Non sappiamo ? spiega Marco Porcheddu, responsabile locale della Cisl per il settore carcerario, ? se effettivamente le decisioni dell’amministrazione possano essere interpretate come l’anticamera della chiusura della Rotonda. Siamo però convinti che i provvedimenti presi di recente non aiutano il personale dell’Istituto, né la città di Tempio e la Gallura.

Per questo come sindacato stiamo tentando di avviare un percorso che possa evitare il peggio. Ci sono tutte le condizioni per poter ottenere questo risultato". La Cisl qualche settimana fa è riuscita a ricucire i suoi rapporti con il provveditore regionale del carcere Francesco Massidda, mentre per l’altra sigla sindacale, il Sappe, che conta diversi iscritti tra gli agenti, si può parlare di un muro contro muro nei rapporti con l’amministrazione. É vero che i permessi per malattia che hanno dimezzato il personale, sono un problema per la direttrice Patrizia Incollu e il comandante della Polizia penitenziaria. Ma nessuno può negare i problemi di agenti che devono anche rinunciare ai riposi in modo da riempire i vuoti nell’organico.

Soltanto qualche mese fa i detenuti della Rotonda erano 34, mentre i poliziotti penitenziari venticinque. Di questi, però, sei sono adibiti alle attività negli uffici, gli altri invece si occupano del lavoro nei vari settori dell’istituto. Il carcere tempiese di fatto non ha educatori e l’unico medico in servizio, Domenico Bacchi, può contare sulla collaborazione di una sola infermiera. Per garantire tutti i servizi e il rispetto dei diritti dei detenuti, alla Rotonda si devono fare i salti mortali. Negli ultimi anni si sono susseguite decine di iniziative e manifestazioni di protesta organizzate dai sindacati. Il Sappe qualche settimana fa ha stilato una sorta di cronistoria del penitenziario, mettendo in evidenza che negli ultimi dieci anni il personale è passato da 50 a 25 unità. Alla fine, evidentemente, per qualcuno la malattia di dieci degli agenti in servizio, può essere interpretata come un forte segnale di protesta e di malessere, l’unico consentito. Andrea Busia

Iglesias: detenuto morì in carcere, scagionati i medici

 

L’Unione Sarda, 22 aprile 2005

 

Gli elementi a disposizione sono pochi, ma da quei pochi non si riscontra alcuna colpa da parte dei medici. È questo l’esito dell’incidente probatorio con una perizia affidata a due periti (Rita Celli e Enrico Zanalda) nominati dal tribunale per fare luce sulla morte di Stefano Pinna, 31 anni, detenuto nel carcere di Iglesias. E sulla base di questo risultato il pubblico ministero avrà ora il compito di decidere se chiedere l’archiviazione del caso oppure il rinvio a giudizio dei due medici che avevano in cura il ragazzo, ovvero Laura Magnano e Daniela Mughini, rappresentati dagli avvocati Patrizio Rovelli e Roberto Rocca.

Gli interessi della parte offesa (i parenti del ragazzo) sono invece curati dall’avvocato Stefano Piras. L’indagine per fare luce sulla morte del giovane, avvenuta il 15 ottobre del 2001, era stata disposta d’ufficio poiché in quel periodo, nel giro di poco tempo, morirono altri due detenuti nel carcere di Buoncammino.

I familiari di una delle vittime, seguita dagli stessi medici che avevano in cura il detenuto morto a Iglesias, presentarono una denuncia e partì l’indagine. Il fatto che ci fosse l’avvicendamento dei due medici determinò l’apertura dell’indagine anche per Iglesias. Per valutare, ad esempio, se il tipo e la quantità di farmaci usati fosse compatibile con il metadone. (c.s.)

Vibo V.: appello dei detenuti per un provvedimento di clemenza

 

Asca, 22 aprile 2005

 

Nei giorni scorsi, 67 detenuti dell’alta sicurezza di Vibo Valentia hanno inviato ai parlamentari calabresi una lettera/appello per sollecitarli a sostegno di un provvedimento di clemenza nei confronti di quanti sono in espiazione della pena. Lo rende noto il Sen. Nuccio Iovene, uno dei destinatari della lettera-appello. Nell’appello, i detenuti della Casa Circondariale di Vibo Valentia, oltre a ricordare il sollecito fatto al Presidente della Repubblica affinchè intervenga presso le Camere, segnalano alcuni buoni motivi a sostegno di un provvedimento generalizzato.

Tra i principali motivi a sostegno di un tale provvedimento, ricordati nella missiva, i detenuti sottolineano il sovraffollamento delle carceri (58.000 detenuti), la carenza di risorse umane (563 educatori contro i 1376 previsti in pianta organica e 180 magistrati di sorveglianza a fronte di migliaia di procedimenti pendenti); risorse finanziarie inadeguate.

Il Sen. Iovene, rispondendo alla missiva dei detenuti di Vibo Valentia, ha ricordato come, già in occasione della visita di Giovanni Paolo II al Parlamento Italiano, il tema di un atto di clemenza nei confronti dei detenuti era emerso con molta forza. Purtroppo, prosegue Iovene, il Governo italiano, ed, in particolare, il Ministro Castelli, non hanno ritenuto, anche se a parole si erano espressi in maniera differente, dare corso a quanto richiesto in quella sede.

Nel corso di questi anni, ricorda Iovene, il tema dell’indulto e dell’amnistia per i detenuti è stato al centro di tanti dibattiti fino alle diverse iniziative nelle carceri italiane. Proprio in questi giorni L’Unione ha presentato, prosegue Iovene, di fronte alla permanente inerzia del Governo, al Senato un disegno di legge per un’amnistia per i reati fino a quattro anni di carcere e un indulto per le pene fino a due anni. Con la presentazione di tale disegno di legge si è voluto riprende l’appello lanciato dal Pontefice in occasione della sua visita al Parlamento, rispondere alla drammatica situazione delle carceri e affrontare questa situazione che rischia, conclude Iovene, giorno dopo giorno, di diventare sempre più di difficile governo.

Parma: denuncia dei sindacati degli agenti, il carcere è al collasso

 

Gazzetta di Parma, 22 aprile 2005

 

C’è davvero ogni comfort: dalla piscina per la riabilitazione alle celle climatizzate. Ma non è una clinica privata. Pochi giorni ancora e nel carcere di via Burla verrà aperta una nuova sezione per disabili. Una struttura costata diversi milioni di euro che ospiterà venti detenuti. Fra questi, anche carcerati di forte spessore criminale, assoggettati al regime del famoso 41 bis: camorristi e mafiosi di rango, ma non solo. Il fatto è dicono in coro i sindacati della Polizia penitenziaria che per aprire una struttura come questa (la data fissata è quella del 30 aprile, ndr) occorrerebbe una forte "iniezione" di nuovo personale visto che quello in servizio risulta già numericamente sottostimato rispetto alla pianta organica.

"Siamo al collasso" è la frase che risuona più volte nella sala riunioni del carcere cittadino dove i rappresentanti sindacali hanno convocato la stampa. "Un campanello d’allarme per l’intera città perché in questa situazione le condizioni minime di sicurezza, anche all’esterno del penitenziario, diminuiscono drasticamente", taglia corto Tammaro Ucciero della Fsa Cnpp.

I numeri sono questi: oggi nel carcere di via Burla sono in servizio circa 360 agenti contro i 479 previsti in pianta organica. I detenuti, invece, sono circa 650. "In questo modo quello che dovrebbe essere il rapporto ottimale di due agenti per ogni detenuto viene ribaltato. Ci sono, insomma, due detenuti per ogni agente" è il commento di Filippo Santoro della Uil. Pa. In questo contesto, anche i carichi di lavoro diventano sproporzionati. Rocco Mele, della Cisl, fotografa così il disagio della categoria: "Ci sono colleghi, ad esempio quelli del Nucleo traduzioni, che si accollano turni che durano anche 18 ore.

Ma spesso non è possibile nemmeno andare in ferie. Abbiamo accumulato complessivamente quasi cinquemila giornate di ferie arretrate, 30 per ogni agente". Altro nodo spinoso. Le frequenti trasferte dal carcere all’ospedale Maggiore per sottoporre i detenuti a visite specialistiche o interventi. "Non possiamo effettuare le scorte con tre agenti quando ne occorrerebbero almeno sei. Per questo, molto spesso, chiediamo la collaborazione di polizia e carabinieri che, in questo modo, vengono sottratti ai loro impegni istituzionali di ordine pubblico e di controllo del territorio", dice Amato Casimiro del Sinappe. Carenza di risorse economiche, mezzi e personale non idonei per far fronte all’apertura della nuova sezione, superlavoro. Angelo De Marianis, del Sappe, sgrana il rosario del malcontento: "Siamo abituati a lavorare in silenzio e a non pubblicizzare i nostri interventi così come i nostri problemi. Ma al punto in cui siamo arrivati è bene che la città sappia che la situazione all’interno del carcere rischia di diventare molto difficile". E Carmine Riccio, dell’Osapp, chiude così: "Abbiamo proclamato lo stato di agitazione e chiediamo con forza che il nuovo reparto non venga aperto se non dopo un significativo incremento del personale" . C.B.

 

Tutti i giorni a fianco di cinquanta detenuti

 

"Tutti i giorni devo lavorare a fianco di cinquanta detenuti. Garantire la sicurezza all’interno di un carcere sovraffollato come quello di Parma non è facile anche perché con la carenza di personale ormai cronica per il penitenziario di via Burla i carcerati si sentono quasi legittimati a prendersi delle libertà". A parlare è un agente di polizia penitenziaria che preferisce mantenere l’anonimato ma che nel carcere cittadino presta servizio da molti anni.

"Guadagno, in media, 1.200 1.300 euro al mese, un salario non adeguato ai rischi che corro ogni giorno. D’altronde, solo pochi anni fa proprio a Parma un nostro collega era stato preso in ostaggio da alcuni detenuti. Per fortuna quella vicenda si concluse positivamente ma un episodio del genere potrebbe riproporsi in qualsiasi momento". Turni di sei o otto ore con il pericolo incombente che possa succedere sempre qualcosa. E con le difficoltà legate alla massiccia componente di stranieri detenuti, il 40 per cento circa dell’intera popolazione carceraria: "Spesso facciamo fatica a farci capire dai detenuti extracomunitari e questi problemi si aggiungono a quelli legati al sovraffollamento". C’è poi un altro aspetto del lavoro dell’agente di polizia penitenziaria ed è quello che deriva dalle pressioni alle quali può essere sottoposto non solo all’interno ma anche fuori dal carcere. "Personalmente non mi è mai capitato di ricevere intimidazioni o minacce dice il nostro interlocutore ma non escludo che episodi come questi possano accadere. Da quando lavoro a Parma, comunque, non ho mai saputo di episodi del genere" .

 

 

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