Rassegna stampa 26 agosto

 

Giustizia: la ricetta Pera applicata al carcere, di Patrizio Gonnella

 

Liberazione, 26 agosto 2005

 

Da sempre, ogni agosto la questione carceraria riceve maggiore enfasi sui media rispetto a quanto non avvenga durante il resto dell’anno. Amnistie, indulti, indultini, sovraffollamento, proteste sacrosante: di questo si discuteva nelle scorse estati.

Poi è intervenuto il ministro della giustizia Roberto Castelli a rompere un simile trend, e tre estati fa ha invece parlato di galere paragonandoli a nuovi hotel a cinque stelle. Mai, però, nel clou della calura ferragostana, quando in galera si muore di caldo e di noia, era capitato che qualcuno ne sparasse di ancor più grosse. Lo ha fatto ieri il segretario del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ossia il più rappresentativo (quanto a numeri) sindacato italiano nel settore della giustizia. Dopo Pera, ecco Martinelli, novello teo-con carcerario. Lui ci ammonisce: "Attenzione!!! I settemila detenuti islamici ristretti nelle prigioni italiane sono lì pronti a fare proseliti tra i quarantamila detenuti italiani".

Il timore paventato è quello del meticciato carcerario, quasi a volere subito tradurre in ambito poliziesco e penitenziario le idee espresse dal Presidente del Senato Pera al Meeting di Comunione e Liberazione. Se il Presidente del Senato, in un’enfasi antirelativista, oppone irrimediabilmente e radicalmente "noi" a "loro", Martinelli va oltre, sostenendo un possibile rischio sino a ora neanche mai intravisto: ossia quello del detenuto italiano che, incazzato nero contro il suo (nostro) paese, per vendetta o per disperazione si converte all’Islam fondamentalista e quindi alla causa terrorista. È subito necessario sgomberare il campo da una simile baggianata. In primo luogo, neanche la più fertile immaginazione può partorire una idea così balsana; chiunque conosca le patrie galere sa che nessun rapinatore, scippatore o spacciatore di Napoli, Bari o Palermo potrebbe mai preferire il Corano alle sue ben più lucrose attività criminali.

Mai abbandonerebbe il suo Dio perdonista e clemente, mai accetterebbe la logica del sacrificio estremo. In secondo luogo, è molto più facile che nelle carceri italiane accada il contrario, ossia che la piccola manovalanza criminale straniera - marocchina, algerina, tunisina, nigeriana, albanese, rumena - venga assoggettata e sottomessa alla più solida e strutturata criminalità nostrana, mutuandone meccanismi e progetti.

In terzo luogo, purtroppo, è più probabile che un detenuto italiano prenda a pernacchie o a schiaffi un detenuto musulmano piuttosto che a modello di vita.

Detto questo, ci si chiede in che mani sia finita la sicurezza del nostro paese. Un vero e proprio ossimoro di Stato. Prima si creano le condizioni sociali, penali e normative per raggiungere quote record di affollamento penitenziario (mai, infatti, dall’immediato secondo dopoguerra si erano raggiunti ben sessantamila detenuti nelle 204 carceri italiane, con tassi di detenzione che hanno oramai superato la fatidica soglia dei cento detenuti ogni centomila abitanti); dopo si teme che quei detenuti - incarcerati principalmente per la loro condizione di marginalità sociale ed economica - possano trasformarsi in pericolosi fondamentalisti islamici e quindi in altrettanti pericolosi terroristi. Il meticciato, da opportunità viene evocato quale rischio. La conseguenza del pensiero Pera-Martinelli è di ventilare la falsa necessità di una ulteriore barriera dentro la prigione. Una sorta di prigione dentro la prigione, un muro che separi il musulmano dal cattolico, lo straniero dall’ italiano. In questo modo, il risultato finale potrebbe essere quello di creare tante piccole Guantanamo, o forse tante piccole Auschwitz.

Giustizia: don Spriano; "Le carceri sono canili. Serve l’amnistia"

 

Liberazione, 26 agosto 2005

 

Le carceri italiane sono uso schifo. Anzi "un canile". Si vive male, non ci sono diritti, nessuno fa niente per affrontare la situazione. E l’amnistia sembra sempre più una chimera. La denuncia viene da don Sandro Spriano, cappellamo da decenni nel carcere romano di Rebibbia. Spriano dice che i detenuti ancora aspettano l’amnistia ma "con più rassegnazione di prima. Continua qualche lotta, qualche sciopero del cibo e del lavoro per cercare di richiamare l’attenzione. Ma ci accorgiamo che queste iniziative non hanno effetto. Però la speranza in loro non è morta, come non è morta in me che pure vedo la vita nelle carceri ridotta a livelli di canile".

Poi don Spriano parla dei problemi della sanità e dice che sono sempre più grandi: "Il diritto alla salute in carcere non c’è. La sanità è l’aspetto della vita in prigione che più fa acqua. È gestita dal ministero della Giustizia che non ha i soldi per gestirla. In questi ultimi tre anni le finanziarie hanno tagliato più del 35 per cento dei fondi per la sanità in prigione. Quando si deve ricoverare un detenuto è un calvario, a causa della burocrazia, dei permessi: prima che si abbiano tutti i nulla-osta passa del tempo e il detenuto muore". Infine don Spriano se la prende coi politici che visitano il carcere. Dice che non mantengono gli impegni. Per esempio, racconta, il presidente della Camera Casini ha visitato, di recente, Rebibbia femminile e ha dichiarato "mai più bambini in carcere", ma poi non si fa niente e rimane così solo un’immagine molto scialba di un intervento che non c’è.

La scomparsa di Alberico Somma, trovato morto mercoledì in una cella del carcere di Porto Azzurro, sarebbe da attribuire a una lite improvvisa. È questa l’ipotesi attorno alla quale lavorano gli inquirenti dopo che il cadavere dell’uomo con la gola squarciata è stato trovato nella sua cella. "Credo - ha detto Domenico Zottola, responsabile dell’area trattamentale del carcere San Giacomo - che il delitto sia il frutto di una lite". In carcere per aver ucciso moglie e figlio per gelosia, Somma, secondo gli inquirenti, non aveva rapporti particolarmente stretti con gli altri detenuti. L’uomo lavorava nell’azienda agricola.

Un’altra morte in cella, in particolare quella di Marcello Lonzi avvenuta nel carcere di Livorno, è tornata ieri alla ribalta della cronaca. Una telefonata anonima all’Ansa di Genova ha annunciato la presenza di una bomba nella procura locale. "Per Marcello Lonzi" ha rivendicato la voce. L’allarme si è rivelato poi falso. Sulla sua morte si indaga ancora. Il caso era stato archiviato ma la madre che ritiene che il figlio sia morto a seguito di pestaggi, ha denunciato il magistrato che aveva disposto l’archiviazione ed ora un fascicolo è ancora aperto alla procura di Genova. Sul fronte carceri polemiche poi hanno suscitato in questi giorni le dichiarazioni del segretario del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. Ispirato dal discorso manicheista di Pera, il sindacalista ha lanciato l’allarme su un presunto proselitismo dei musulmani nelle carceri. Per Patrizio Gonnella si tratta di una "baggianata". Flash dal pianeta carcere che fanno luce su una realtà complessa e alle prese, specie in estate, con difficoltà crescenti. Un osservatore privilegiato è senz’altro don Sandro Spriano, cappellano da decenni del carcere romano di Rebibbia.

 

Don Spriano cosa pensa dell’allarme lanciato dal Sappe su un proselitsmo dei musulmani nelle carceri?

L’ipotesi non è realistica.

 

Bibbia e Corano convivono nelle carceri?

Convivono le persone, come si può convivere in una situazione di carcere e sovraffollamento. Non ci sono problemi di conflitti di fede. Molti musulmani vengono alla messa festiva. È per loro un modo per avere un contatto con Dio. Per alcuni detenuti, né più ne meno come accade fuori, la fede è viva per altri meno. Non mi risulta comunque che ci sia proselitismo. I litigi che si verificano non sono certo tra cristiani e musulmani.

 

In estate, per le ferie degli agenti, nelle carceri diminuiscono i servizi. Qual è la situazione?

Dal mio osservatorio vedo una cosa molto positiva che riguarda i detenuti. Si stanno comportando in maniera egregia nonostante le difficoltà. Io stesso mi chiedo come mai non ci siano reazioni ai tanti problemi che in estate aumentano, la scarsa igiene, i contatti con i familiari che si riducono. In estate poi si verificano episodi di autolesionismo. Ogni estate c’è sempre qualcuno che tra tutte le difficoltà decide di togliersi la vita. Finora, fortunatamente, qui a Rebibbia non abbiamo avuto alcun caso.

 

Fu lo stesso Giovanni Paolo II a parlare di amnistia ai detenuti. Ci sperano ancora?

Sì. L’aspettano sempre, con più rassegnazione di prima. Continua qualche lotta, qualche sciopero del cibo e del lavoro per cercare di richiamare l’attenzione. Ma ci accorgiamo che queste iniziative non hanno effetto. Ma la speranza in loro non è morta, come non è morta in me che pure vedo la vita nelle carceri ridotta a livelli di canile.

 

La questione tossicodipendenza in carcere è scottante. Lei come la vede?

Il problema è molto evidente. Non si vuole eliminare la droga dalla nostra società civile. Ormai è diffusissima. È un business troppo grande e così, mentre i tanti che hanno denaro la comprano e la assumono, si buttano in carcere coloro che non hanno i soldi per acquistarla, che sono poveri e sono costretti a fare rapine per trovare denaro per comprala. Vivono in carcere gli anelli più deboli di questa catena allucinante. Non c’è assolutamente volontà di affrontare il problema alla fonte. Ormai nessuno cerca di limitare la diffusione. Si dice che c’è droga nel mondo della politica, nel mondo dello spettacolo e quasi non ci si scandalizza più.

 

Ieri mattina rivendicando una bomba, poi rivelatasi un falso allarme, si è fatto riferimento ad un ragazzo morto in carcere, si sospetta per pestaggi da parte di agenti. Questi episodi sono frequenti?

Dal mio osservatorio nonostante sia critico rispetto a certi metodi devo dire che è aumentata la maturità e la professionalità degli agenti. I pestaggi, una volta più frequenti, oggi sono fenomeni abbastanza eccezionali. Si tratta più di piccoli regolamenti di conti reciproci. Non si verificano più pestaggi organizzati.

 

Il diritto alla salute in carcere spesso non è garantito. Qual è la situazione sanitaria?

La sanità in carcere è l’aspetto che più fa acqua. E gestita dal ministero della Giustizia che non ha i soldi per gestirla. In questi ultimi tre anni le finanziarie hanno tagliato più del 35 per cento dei fondi. Quando si deve ricoverare un detenuto è un calvario, a causa della burocrazia, dei permessi: prima che si abbiano tutti i nulla osta passa del tempo e il detenuto muore. Hanno creato poi nuove strutture negli ospedali, come al Pertini, che sono per lo più supercarceri. Il detenuto ricoverato vive in un grosso isolamento e le aspettative di guarigione diminuiscono perché viene a mancare l’aspetto della convivenza, del contatto umano

 

Come vivono i detenuti le visite di politici ed amministratori nelle carceri?

Dico la verità, con assoluta indifferenza. Da qualunque parte vengano. Si tratta delle solite visite con la maglia sulla schiena. Si viene a dire che le cose non vanno. Mancano poi gli interventi veri. Il presidente della Camera Casini ha visitato di recente, per esempio Rebibbia femminile e ha dichiarato "mai più bambini in carcere" ma poi non si fa niente e rimane così solo un’immagine molto scialba di un intervento che non c’é.

Livorno: delitto carcere di Porto Azzurro, sospetti su francese

 

Toscana TV, 26 agosto 2005

 

È francese l’uomo maggiormente sospettato per l’omicidio di Alberico Somma, il detenuto salernitano di 47 anni trovato due giorni fa con la gola squarciata nella sua cella del carcere elbano di Porto Azzurro. Avrebbe usato un taglierino artigianale in un momento di ira, una lite come spesso accade in prigione, forse per motivi futili, forse davanti agli occhi di altri compagni di cella che la polizia penitenziaria preferisce chiamare "camera".

I carabinieri hanno trovato delle tracce di sangue sugli abiti del detenuto francese e ora non rimane che attendere i risultati delle analisi. Tra gli investigatori vige comunque il massimo riserbo ma si sospetta che alcuni testimoni o complici del delitto possano essere arrestati o trasferiti. La tragica vicenda fa riflettere ancora una volta sulla situazione delle carceri toscane: anche il penitenziario della Gorgona ha visto casi di omicidio, due per l’esattezza, proprio quando direttore era Carlo Mazzerbo, attualmente alla direzione del carcere di Porto Azzurro.

Giustizia: Milano, si dimette Pm in polemica con la riforma

 

Adnkronos, 26 agosto 2005

 

Il pm di Milano Fabio De Siati ha presentato una lettera di dimissioni al Consiglio Superiore della magistratura e per conoscenza al procuratore capo di Milano Manlio Minale e ai procuratori aggiunti per protesta contro la riforma della giustizia. La lettera è stata presentata il 19 agosto scorso. "È una esigenza mia personale -dice all’adnkronos il magistrato che è stato uditore anche del pm Gherardo Colombo- sono così in disaccordo con questa riforma da volermi dimettere. Mi troverò un altro lavoro". "Ho scioperato, ho fatto tutto il possibile per dimostrare il mio dissenso -dichiara all’adnkronos De Siati - ho cominciato a studiare la riforma e ho capito che è incostituzionale. Io non mi sento disponibile a proseguire, caratterialmente non posso stare in un sistema organizzato a piramide". Secondo De Siati con la riforma voluta dal governo, e contro cui ci sono stati alcuni scioperi dei magistrati, "per progredire bisogna fare concorsini e concorsini e io non lo tollero". Il pm, che tra l’altro oggi è il magistrato di turno per le emergenze e per gli arresti a Milano, spiega che non tornerà indietro e non cambierà idea. "Non credo che sia un gesto da imitare. Non ho figli, non ho moglie, non tengo famiglia e posso permettermi di fare altro. Ci ho pensato parecchio, ho studiato tanto la legge. Sono deciso, non è una cosa su cui tornerò indietro". De Siati avrebbe festeggiato 4 anni nella magistratura il 13 ottobre prossimo. Prima di diventare pm era stato uditore del pm Gherardo Colombo e aveva lavorato con Pier Camillo Davigo. "Non mi sento più in grado di lottare con questi strumenti a disposizione, preferisco fare altro".

Giustizia: Buemi; dimissioni De Siati segnale malessere diffuso

 

Adnkronos, 26 agosto 2005

 

Dal pm De Siati arrivano "critiche condivisibili" e la sua "mi sembra una scelta estremamente coerente verso una riforma che non aiuta a migliorare l’azione della magistratura". Per Enrico Buemi, responsabile giustizia dello Sdi, le dimissioni del pm di Milano, Fabio De Siati, sono il "chiaro segnale di un malessere diffuso". "Le critiche del magistrato - spiega all’adnkronos - sono senza dubbio vere: non si può passare la vita a preparare concorsi, perché un magistrato deve essere messo nella condizione di svolgere in modo adeguato la propria funzione, e cioè occuparsi delle inchieste e dei processi".

Giustizia: Rizzo, anziché De Siati dovrebbe dimettersi Castelli

 

Adnkronos, 26 agosto 2005

 

"Tira davvero una brutta aria". Lo afferma l’europarlamentare del Pdci, Marco Rizzo, esprimendo la propria "sincera solidarietà per il coraggio dimostrato dal pm Fabio De Siati", ma anche "preoccupazione per lo stato della giustizia in Italia" dopo le dimissioni del pm di Milano per protesta contro la riforma dell’ordinamento giudiziario.

Giustizia: Di Pietro; da Pm De Siati arriva un allarme forte

 

Adnkronos, 26 agosto 2005

 

"Mi sono dimesso come lui e prima di lui, quando ho capito che il magistrato che fa il proprio dovere alla fine ne paga le conseguenze. Dal pm De Siati arriva un allarme forte e reale, mi auguro che le sue dimissioni servano a far aprire gli occhi sullo stato della giustizia in Italia". Così il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, commenta con l’adnkronos le dimissioni del pm milanese Fabio De Siati, per protesta contro la riforma dell’ordinamento giudiziario. "Una legge - spiega l’ex pm di Mani pulite - che è solo l’ultima goccia, uno dei tanti provvedimenti che sviliscono l’impegno civile e professionale dei magistrati".

Teramo: denuncia dei detenuti, poca igiene e nessuna assistenza

 

Il Messaggero, 26 agosto 2005

 

Due suicidi e due tentati suicidi in quattro mesi nel carcere di Castrogno possono essere la spia di un forte disagio oppure una semplice coincidenza. I moltissimi detenuti, che hanno firmato una lettera arrivata in redazione, non hanno alcun dubbio: "Qualcosa, evidentemente, non funziona. Denunciamo l’abbandono nel quale siamo lasciati, senza alcuna assistenza psicologica, senza assistenza sociale, senza un lavoro (cosa per pochissimi eletti). A nulla valgono le nostre proteste e le nostre richieste dei più elementari diritti umani. Siamo una voce nel nulla". I detenuti non chiedono la luna: "Solo un po’ di umanità. Vogliamo un’assistenza decente e la possibilità di un reinserimento nella vita civile. Alcuni di noi sono stati costretti a fare giorni e giorni di carcerazione in più per le lungaggini burocratiche". Anche l’igiene, a sentire i detenuti, è un optional. La lettera, negli intenti, non vuole essere soltanto una denuncia pubblica, "ma anche un appello alle autorità ed alla comunità civile, dalla quale ci siamo allontanati con i nostri reati, perché ci aiutino a vivere meglio le nostre mancanze, a reinserirci".

Saluzzo: gli agenti denunciano; "Ancora violenze in carcere"

 

Targato CN, 26 agosto 2005

 

Sarebbero avvenuti ieri e la scorsa notte i due nuovi episodi di violenza da parte dei detenuti ai danni degli agenti nel carcere della Felicina. Sono stati denunciati oggi dall’Osapp, uno dei sindacati autonomi delle guardie. Leo Beneduci, segretario generale Osapp: "Ieri, quattro italiani hanno tentato di aggredire un agente nella prima sezione. Nella notte, uno dei componenti di quel gruppo ha dato in escandescenza e ha colpito con alcune percosse un altro agente". A inizio mese, un carcerato in regime speciale del 14 bis si era scagliato contro una guardia ferendola al collo.

Droghe: l’America invasa da "crystal", droga preparata in cucina

 

Corriere della Sera, 26 agosto 2005

 

Da qualche mese era diventato un tipo paranoico Rick Roach, 55 anni (mica un ragazzino), procuratore distrettuale di Pampa (mica un signor nessuno), a casa la moglie Cindy (mica male). In ufficio, Roach non faceva che chiudere a chiave qualsiasi porta. Non rispondeva più al telefono. Faceva pedinare i collaboratori in ogni angolo del Texas, li sgridava per ogni cosa. Aveva le braccia bucherellate, ma sotto la giacca nessuno le vedeva.

Spariva spesso in bagno, ma nessuno ci faceva caso. Un giorno di gennaio, in tribunale sono comparsi due agenti Fbi della squadra narcotici, "procuratore, venga con noi", e tutti hanno capito. Togato e drogato. Nel garage di Roach c’erano sifoni, provette, un fornelletto da campo, efedrina, fosforo, pillole dimagranti Desoxyn sminuzzate, insomma tutto quel che occorre per rischiare cinquant’anni di carcere e per domandarsi che cosa stia succedendo nella profonda provincia americana, se anche un procuratore-Jekyll impazzisce e la sera, chiusi i fascicoli, si trasforma in un Hyde produttore, spacciatore e consumatore di "crystal meth".

È la droga fatta in cucina. O la droga del contadino, come la descrivono i pochi poliziotti che riescono a scovarne i "laboratori" nelle fattorie in mezzo ai boschi, nelle legnaie abbandonate, nei vivai di fiori e negli allevamenti di trote. Facile da preparare: una pentola sul fuoco, la ricetta sta su internet e gl’ingredienti si comprano in un qualunque supermercato Wal-Mart. Economica da produrre: con 260 dollari di spesa se ne fanno 12 grammi. Davvero stupefacente: qualche milligrammo di metamfetamina ingoiato o iniettato, mischiato all’additivo giusto, può dare euforia, ipereccitabilità, insonnia, potenza sessuale, facilità di parola anche per dieci giorni filati.

È il mercato fai-da-te, bellezza, e nessuno può farci nulla, neanche i potenti narcos della cocaina e dell’eroina che (unica buona notizia) non possono garantire tutta questa resa con questa poca spesa: la corsa ai "sassi" di metamfetamina cristallizzata, pepite per tutti i cercatori di piacere sintetico, è diventata il problema numero uno della Drug Administration di Bush. Si fanno e se la fanno tutti. Professionisti e camionisti. Casalinghe e studenti. Bianchi e neri. Anche i vecchietti: la polizia del Texas ha sorpreso un pensionato che rubava senza averne bisogno, "solo per scaricare l’irrequietezza e l’aggressività che la "crystal meth" provoca".

È la noia dei sassi, che qui non si buttano dal cavalcavia ma direttamente in corpo. È girato un questionario fra 500 agenzie di controllo sulla droga e la risposta è stata chiara: la meth, la speed, la crystal, la crank o come diavolo la chiamano nei 45 Stati che la combattono, da sballo rurale sta diventando a poco a poco una piaga metropolitana come lo fu il crack, da vecchia moda per eccentrici californiani anni ‘90 è ora un dramma sociale che trascina con sé i reati di spaccio (in province con tossicodipendenze al minimo, come l’Arizona o il Nevada, gli arresti sono raddoppiati dal 2003), i furti (+70%) e le violenze domestiche (+62%). Dà subito dipendenza, disidrata, porta alla depressione.

I bambini hanno imparato presto, pure loro: secondo la Us Drug Enforcement governativa, negli ultimi cinque anni sono stati trovati 15 mila minorenni che preparavano sassi. Una giornalista del Financial Times ha girato diverse scuole di provincia e ha raccontato comeil "mito-meth" sia un argomento quotidiano nei pomeriggi annoiati della campagna americana, quanto sia difficile per gl’insegnanti annullare la tentazione dell’ultimo tabù, del "viaggio" a poco prezzo o del guadagno facile. Reprimere, poi, è un’impresa: "appena arriviamo noi scatta l’allarme", ha raccontato uno sceriffo della contea di Houston, il popolo dei sassi s’avverte con gli sms e basta tirare uno sciacquone per fare sparire ogni traccia del laboratorio clandestino.

Il passato è più nero del presente, nella storia della metamfetamina. La usavano i nazisti di Von Paulus, per tenersi su a Stalingrado. La prendevano i kamikaze giapponesi, prima di schiantarsi sulle navi americane. Ariscoprirla dopo le anfetamine fu, manco a dirlo, la California "less than zero": piccolo affare della mala locale, poi tendenza nei party gay, infine accessorio (il Viagra non esisteva) nella vita quotidiana degl’impotenti. Dalla West all’East Coast, il ciclone Meth si sposta lento dalle campagne alle metropoli. Sul web, l’invito a unirsi a un gruppo di fans a Montrose, zona di vita notturna a Houston. Un vero annuncio pubblicitario: "È una droga perfetta per ogni momento della giornata. Ti leva le inibizioni, ti aiuta nella conversazione e... non ti lascia mai solo a letto". Quest’ultima frase è sicuramente una balla: Cindy Roach, la moglie del procuratore di Pampa, ha appena chiesto il divorzio. Francesco Battistini

Roma: gatto abbandonato muore, il padrone rischia il carcere

 

La Repubblica, 26 agosto 2005

 

Un gatto è morto dopo essere stato abbandonato per settimane senza cibo né acqua dal padrone, che aveva cambiato casa. A denunciare la vicenda è la Lega Antivivisezione, che intende costituirsi parte civile contro l’uomo, denunciato per maltrattamento di animali.

La vicenda ha inizio al principio di luglio quando il gatto, un persiano bianco di due anni, viene abbandonato in un appartamento dopo un trasloco. Nei giorni successivi i vicini vedono l’animale sul davanzale di una finestra della casa, sotto il sole cocente, in cattive condizioni fisiche, e allertano il padrone. L’uomo promette più volte di tornare a prendere il felino, ma non lo fa. Anche i carabinieri lo sollecitano senza risultato, finché il 2 agosto, in seguito all’esposto presentato alla stazione "Città Giardino" dalla proprietaria - l’appartamento era stato affittato - i militari entrano nella casa e soccorrono l’animale. Il persiano, ormai agonizzante, viene portato alla clinica veterinaria "Etiopia" dove muore per l’estrema disidratazione.

Il padrone del gatto, denunciato per maltrattamento di animali, rischia una pena dai tre ai dodici mesi di reclusione e una multa dai 3.000 a 15.000 euro. Sanzioni che, in caso di condanna, verranno aumentate della metà per l’aggravante della morte dell’animale.

Saharawi: liberati ultimi prigionieri, il commento di Vaccari

 

Associated Press, 26 agosto 2005

 

Primi spiragli di distensione nella vicenda del popolo Saharawi in favore del quale da alcuni anni gli enti locali modenesi promuovono iniziative di solidarietà e aiuto. Nei giorni scorsi, infatti, il Fronte Polisario ha consegnato alla Croce rossa internazionale gli ultimi 404 prigionieri di guerra marocchini rinchiusi nel campo profughi algerino di Tindouf. Per Stefano Vaccari, assessore provinciale che ha incontrato recentemente alcuni dei gruppi di bambini Saharawi ospiti di famiglie e centri di accoglienza modenesi, il gesto "rappresenta una tappa di fondamentale importanza nel lento ed estenuante processo di risoluzione della questione di questo popolo ed evidenzia la buona volontà del Fronte Polisario. Ora tocca al Marocco lanciare un segnale positivo".

L’assessore Vaccari, inoltre, auspica anche "una urgente e positiva soluzione per i circa 700 saharawi, tra militari e civili, detenuti da parte marocchina, di cui mancano notizie attendibili, non ultimo il caso di Ali Salem Tamek, militante Saharawi per i diritti umani, incarcerato alcune settimane fa nella prigione di Ait Melloul in Marocco, dopo essere stato anche in Italia e a Modena per iniziative di sensibilizzazione".

Questa iniziativa, per Vaccari, può rappresentare un’occasione per la riapertura del dialogo tra le parti e preparare la strada al referendum secondo quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Dopo l’invasione da parte del Marocco la maggior parte del popolo Saharawi da decenni è costretto a vivere in esilio in tendopoli nel deserto tra Algeria e Mauritania, in condizioni di vita al limite del sopportabile. Il patto di amicizia tra Provincia di Modena e Provincia di El Aayun, della Repubblica Araba Saharawi Democratica (Rasd), in atto da tempo, ha lo scopo di promuovere interventi di aiuto e solidarietà e iniziative socio-sanitarie e culturali, in particolare verso il campo profughi di Tindouf in Algeria che ospita oltre 160 mila persone.

In questi giorni sono 25 i bambini Saharawi (età media otto anni) ospiti fino al 30 agosto di famiglie o di centri di accoglienza a Modena, Campogallliano, Carpi, Formigine, Montese, Nonantola, Novi e Sassuolo, nell’ambito delle iniziative di solidarietà promosse dagli enti locali in favore del popolo Saharawi. Partecipano ai centri estivi dei Comuni e hanno trascorso una vacanza al mare a Riccione.

 

 

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