Rassegna stampa 10 agosto

 

Roma: condizioni delle carceri al limite della dignità umana

 

Roma One, 10 agosto 2005

 

Situazione preoccupante nelle carceri romane di "Regina Coeli" e Rebibbia. Denuncia delle condizioni al limite della dignità umana al loro interno. Chiesto anche un osservatorio permanente. Le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri romane di Rebibbia e "Regina Coeli" sono "precarie ed al limite della dignità umana". Così denunciano questa emergenza l’assessore regionale al Lavoro Alessandra Tibaldi e il consigliere regionale dei Verdi Giuseppe Mariani, che sono stati in visita nella giornata di oggi negli istituti penitenziari della Capitale.

"La situazione è grave, molto preoccupante e critica sotto ogni profilo" - sostengono gli esponenti della Regione Lazio, che elencano gli annosi problemi delle carceri in Italia e cercano di individuare delle soluzioni possibili - "Durante l’estate, la politica italiana non può permettersi di andare in vacanza e tanto meno di trascurare problemi sociali sempre più allarmanti, come la questione delle carceri". Nei penitenziari di Roma, affermano Tibaldi e Mariani, i problemi più urgenti sono il sovraffollamento, l’emergenza sanitaria e, soprattutto, la mancanza di fondi; tutti questi problemi determinano condizioni precarie di vita, al limite della dignità umana per i detenuti, mentre contemporaneamente peggiorano le condizioni di lavoro degli stessi operatori sociali e del personale penitenziario, "sempre più critiche e inaccettabili".

I due propongono la nascita di un osservatorio permanente sui problemi della detenzione - "considerato che la Regione ha competenze sia per la sanità penitenziaria che per la formazione all’interno degli istituti di pena". Mentre, aggiungono sempre i due rappresentanti della Regione, "le scarse risorse destinate alla formazione/lavoro per i detenuti ed ex detenuti potrebbero essere ottimizzate, evitando una distribuzione errata, inefficace e destinata a perdere dei finanziamenti".

Bologna: agenti di polizia penitenziaria in grande difficoltà

 

Adnkronos, 10 agosto 2005

 

"Gli agenti di polizia penitenziaria vivono a Bologna una condizione lavorativa difficilissima aggravata dal sovraffollamento del carcere della Dozza". È quanto sostiene il consigliere comunale del gruppo consiliare "Il Cantiere" Serafino D’Onofrio, sottolineando che "la presenza di circa 1.000 detenuti richiederebbe una disponibilità di 50 - 100 operatori in più". In particolare il consigliere punta il dito su "turni di lavoro pesanti, difficoltà a smaltire ferie e riposi, incremento delle malattie dovute allo stress, e l’abbassamento del tetto dei diritti contrattuali".

Bologna: costruire moschea alla Dozza, per favorire l’integrazione

 

Il Resto del Carlino, 10 agosto 2005

 

Serve una moschea al carcere della Dozza per i molti detenuti musulmani. Ne è convinto il capogruppo del Cantiere in Comune a Bologna, Serafino D’Onofrio, per il quale occorre favorire "l’integrazione culturale dei detenuti" anche, indirettamente, per agevolare il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria "che vivono a Bologna una condizione lavorativa difficilissima aggravata dal sovraffollamento dell’istituto". L’integrazione culturale, spiega D’Onofrio, "è ostacolata dal fatto che la costruzione di un luogo di culto, aperto anche alle centinaia di musulmani, è bloccata a metà. C’è una costruzione in grezzo che non è mai stata terminata. Oggi, è garantita soltanto l’uso di una cappella per i cattolici". Per il resto, il consigliere comunale si concentra sulla situazione degli agenti di polizia penitenziaria e spiega: "I tagli ai fondi assegnati dal ministero di Grazia e Giustizia portano a riduzioni nelle spese di pulizia, di manutenzione e sulle attività di formazione e intrattenimento. La presenza di circa mille detenuti richiederebbe una disponibilità di 50 - 100 operatori in più". La carenza d’organico alla Dozza, spiega D’Onofrio, "si riflette negativamente sull’organizzazione del lavoro e produce turni di lavoro pesanti, turnificazione stretta delle ferie, difficoltà di smaltire ferie e riposi, incremento delle malattie dovute allo stress, abbassamento del tetto dei diritti contrattuali". Infine, chiude il consigliere, "la scelta della costruzione di una sezione femminile di alta sicurezza distoglierà ulteriori risorse umane in una condizione già molto critica. Ora, con l’inizio dell’attività del garante dei diritti dei detenuti, alla Dozza, parte una nuova fase di collegamento tra il Comune di Bologna e l’istituzione penitenziaria".

Firenze: riparte in Toscana il progetto di "Informacarcere"

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2005

 

Un progetto che viene da lontano e che ha dato vita nel 1999 e nel 2001 a due convegni nazionali sull’informazione nelle carceri. Ora grazie ad un finanziamento di 15mila euro del Cesvot ed un cofinanziamento di 2.000 euro da parte del Comune di Firenze il progetto "Informacarcere" riparte su scala regionale. Avrà una durata di 10 mesi e prenderà vita a partire dal 1° settembre di quest’anno. "Informacarcere nasce dal bisogno di comunicare con l’esterno che è uno degli elementi che accomuna i circa 4000 detenuti e detenute che si trovano oggi nelle carceri toscane. – spiega l’associazione Pantagruel promotrice dell’iniziativa - La loro situazione socio culturale è chiara: alta presenza di immigrati, di tossicodipendenti, aumento del disagio psichico". Un contesto che richiede presenza e intervento per dare "una risposta concreta ai bisogni dei detenuti e delle detenute di far conoscere le loro storie, i loro problemi, le loro difficoltà, i loro talenti e di comunicare con la società esterna". "Il progetto prende vita dal prossimo settembre e sarà necessario andare nelle carceri per presentare questa iniziativa e valutare l’interesse dei detenuti a partecipare. - spiega Giuliano Capecchi, responsabile dell’associazione che opera prevalentemente nel carcere fiorentino di Sollicciano.

Una delle azioni previste dal progetto è quella di realizzare un sito internet che raccolga poesie, racconti, testimonianze, lettere, diari, storie di vita dei reclusi e dove sarà possibile avere uno spazio di scambio e dialogo tra lettori esterni e i detenuti. I contenuti di questo sito dovranno essere scritti da loro e dunque è chiaro che questo progetto ha un senso se incontra l’interesse dei reclusi stessi". Tra le priorità individuate c’è anche quella di coordinare le esperienze già esistenti nel territorio toscano di giornali del carcere e sul carcere; non poche se si pensa che più della metà degli istituti della regione ha un proprio periodico.

Ma sono previste anche nuove pubblicazioni e la prima, spiega Capecchi, dovrebbe nascere proprio nella sezione femminile di Sollicciano dove sono recluse circa 100 donne. Al femminile anche l’iniziativa prevista, nell’ambito del progetto, per la metà di novembre: una due giorni dedicata al lavoro creativo in carcere. L’idea parte proprio dall’esperienza del carcere fiorentino dove nella sezione femminile dal 2001 è stato attivato un laboratorio per la creazione di bambole, da cui è nato anche un negozio, "La poesia delle bambole". Il convegno metterà insieme esperienze di lavoro creativo nate in Italia, come ad esempio quelle della Giudecca a Venezia o San Vittore a Milano dove le detenute cuciono abiti per spettacoli teatrali e televisivi.

Pozzuoli: un libro in regalo, per far sognare le detenute…

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2005

 

Un libro nel giorno delle stelle, per far sognare chi il cielo può vederlo solo attraverso le sbarre: è quello che ha donato oggi l’associazione culturale Lux in Fabula alle donne italiane e straniere detenute nella casa circondariale femminile di Pozzuoli.

"Volevamo creare un’opportunità - spiega il presidente di Lux in Fabula, Claudio Correale - per esprimere interesse e volontà di comunicazione culturale da parte della comunità locale nei confronti delle detenute nei giorni intorno alla ricorrenza festiva dell’Assunta, quelli in cui forse è più sentita la solitudine da chi è privo della libertà. Il 10 agosto poi è la notte di San Lorenzo, in cui tutti hanno diritto di sognare, anche le persone che sono in carcere, perché sono prima di tutto esseri umani che soffrono, e devono essere trattati con considerazione e rispetto". Sono soprattutto romanzi e libri di poesie quelli regalati a ognuna delle 183 donne recluse nel carcere, in questi giorni sovraffollato rispetto alle sue normali capacità di accoglienza, che si aggirano sui 170 posti.

"Le detenute hanno apprezzato molto i libri di poesie - racconta Claudio Correale - perché possono utilizzarne i versi quando scrivono le lettere ai parenti. Ne terremo conto per Natale, quando intendiamo ripetere l’iniziativa". I libri sono stati messi a disposizione dall’editore napoletano Tullio Pironti, e l’iniziativa è stata realizzata con la collaborazione del Coordinamento Donne Area Flegrea, che da tempo fa attività di volontariato nel carcere puteolano.

"Organizziamo per le detenute varie attività di carattere culturale, come un laboratorio di ceramica e una rassegna di corti cinematografici tutti firmati da donne", spiega la presidente del Coordinamento, Anna Del Pezzo, un’insegnante in pensione che ne carcere segue personalmente alcune detenute affinché possano arrivare a conseguire un diploma di scuola media superiore. "Il nostro obiettivo non è fare della solidarietà fine a se stessa, ma adoperarci affinché le istituzioni funzionino meglio, soprattutto per quanto riguarda i servizi rivolti alle donne".

Saluzzo: un detenuto aggredisce agente con una lametta

 

Targato Cn, 10 agosto 2005

 

Un agente di polizia penitenziaria è stato ferito a un orecchio da un detenuto, all’interni del carcere della Felicina a Saluzzo. L’episodio si è verificato ieri mattina.

L’aggressore, un ergastolano sottoposto al regime di sorveglianza speciale 14 bis, ha chiesto di uscire di cella per ritirare alcuni oggetti. Una volta fuori ha aggredito l’agente, 37 anni, da cinque in servizio a Saluzzo, tagliandolo con una lametta da barba all’orecchio e al collo. Subito soccorso dai colleghi, è stato trasportato all’ospedale di Saluzzo dove gli sono stati applicati 28 punti di sutura.

Immigrati: su espulsioni collettive preoccupazione del C.i.r.

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2005

 

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) esprime in una nota "grande preoccupazione riguardo la sentenza della Corte di Cassazione n.16571 che potrebbe essere interpretata in modo tale da consentire di ‘legittimarè le espulsioni collettive di persone appartenenti ad uno specifico gruppo etnico attraverso l’adozione di provvedimenti ‘fotocopià".

Il riferimento è al pronunciamento della Cassazione che ieri ha accolto il ricorso della prefettura di Milano contro il decreto del Tribunale di Milano che, a giugno, aveva annullato i decreti di espulsione di 15 rumeni di etnia rom. Per i giudici della Cassazione, dunque, sono ammesse le espulsioni collettive adottate con atti "fotocopia" dopo il vaglio di ogni singola posizione. Dunque, deve esserci la motivazione per ogni singolo individuo senza documenti in regola, anche se con motivazioni identiche.

Afferma oggi il Cir: "L’articolo 4 del protocollo 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che prevede il divieto di espulsioni collettivo di stranieri è stato adottato proprio per contrastare le espulsioni di massa o di gruppi verificatesi in passato per motivi religiosi, etnici o di nazionalità, com’è accaduto del resto anche per i cittadini italiani dell’ Istria. Il rischio è che si venga ad istaurare una prassi in base alla quale non sia garantita un’adeguata valutazione delle istanze individuali e che vengano adottati provvedimenti standardizzati, ledendo quindi i diritti umani fondamentali dei destinatari di decreti di espulsioni, tra cui potrebbero esserci persone appartenenti a categorie particolarmente vulnerabili. Non è da considerarsi un’ipotesi remota se si tiene conto del numero di ricorsi già presentati in quest’ultimo periodo alla Corte Europea su tale questione". "Cosa succederebbe a quei gruppi di richiedenti asilo - si chiede il Cir -, non ancora qualificati come tali dalle autorità, costretti a raggrupparsi e a trovare riparo in luoghi che vengono occupati abusivamente - a causa di insufficiente capacità di accoglienza - e quindi soggetti a "legittimo sgombero" dopo essere casualmente identificati e poi espulsi sulla base di provvedimenti "fotocopia"? Il Cir si auspica che la sentenza della Corte di Cassazione non apra le porte a procedimenti espulsivi contrari alla lettera e alla filosofia della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

L’estate degli homeless: Bologna, Piazza Grande non va in vacanza

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2005

 

Per Stefano questi sono "Tempi di bilanci", come scrive nel suo blog. Tempi, anche, in cui gestisce, in una Bologna svuotata, il banchetto dell’associazione "Amici di Piazza Grande", allestito per la prima volta quest’estate nei dintorni di piazza Maggiore, ogni lunedì, mercoledì e venerdì sera. L’appuntamento è all’angolo tra via d’Azeglio e via IV Novembre, dalle 18 alle 24, fino al 25 agosto; a presenziare lo stand in veste di rappresentante ufficiale di Redazione di Strada c’è Stefano Bruccoleri, in arte Stefano "Bici", che per l’occasione ha anche realizzato delle magliette con il logo di Piazza Grande - omaggio a chiunque si abbonerà al giornale di strada - e altri suoi manufatti.

La storia di Stefano inizia un anno fa, ad Alessandria. Racimolati i risparmi, ha preso una bicicletta bianca, ci ha agganciato un carretto e quella è diventata la sua casa, la sua macchina, il suo armadio e la sua compagna di viaggio. Ha attraversato il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia-Romagna, macinando chilometri e chilometri sui quei pedali, per poi approdare a Bologna. Ha deciso di rimanere qui fino a settembre, come volontario di Piazza Grande. "Il primo giorno di viaggio – racconta – ho inaugurato il mio blog. Nessuna spesa. Accedevo a Internet dalle biblioteche e quando potevo aggiornavo il mio diario di viaggio virtuale". Stefano "Bici" ormai la strada la conosce, con tutti i suoi odori e i suoi problemi, le sue fatiche e le sue persone: "Il cosiddetto "povero" - dice - è cambiato. Il classico "barbone" non esiste più. Basta entrare in un qualsiasi dormitorio e te ne accorgi. C’è di tutto: giovani, extracomunitari, tossicodipendenti ma anche gente di mezza età che fino a poco tempo fa viveva una vita "normale". Poi magari ha perso il lavoro, la famiglia e tutta la sua vita è cambiata. Sto parlando di persone che, incrociandole al bar, non diresti mai che possano dormire in un dormitorio o mangiare alla mensa della Caritas".

Ma altrettanto bene Stefano ha imparato a conoscere anche "l’altro lato" della strada, quello istituzionale dell’assistenza sociale e delle strutture assistenziali. E anche di questi "grandi contenitori che accolgono le persone" (ovvero dormitori, bagni, mense per i poveri, centri diurni, centri per l’ascolto) conosce i pregi e i problemi. "A parte quella fascia di senza tetto - continua Stefano - che ha un cattivo rapporto con le istituzioni e non accetta alcun tipo di assistenza o di progetto di recupero, esiste un grosso problema d’accesso alle strutture assistenziali. Certo, c’è dormitorio e dormitorio, ognuno con la sua lista di regole più o meno lunga. Ma l’iter burocratico per entrare in una qualsiasi di queste strutture fa veramente opera di dissuasione. Per non parlare poi degli stranieri. Tra residenza, progetti di recupero, Bossi-Fini e quant’altro, alla maggior parte degli stranieri senza fissa dimora questi servizi non arrivano. Insomma, il sistema quando è già a pieno regime, è già insoddisfacente". Su http://alkolliker.splinder.com, sabato 6 agosto scorso Stefano ha intitolato la sua pagina di diario "Tempi di bilanci", scrivendo: "L’ultimo anno l’ho passato in bicicletta, pedalando a tratti felicemente ed a tratti da idiota, sono stato la cosa più simile a me stesso che mi è stato possibile essere e l’ultima immagine che mi resta è quella di uno Stefano tenero, ironico, maturato, a tratti ingenuo, ma informato".

Usa: oltre 80 detenuti coinvolti in una maxi-rissa a San Quintino

 

Apcom, 10 agosto 2005

 

È stata definita la più grande rissa tra detenuti degli ultimi 20 anni quella scoppiata ieri nel carcere di San Quintino, in California. In un dormitorio di media sicurezza che ospita 900 persone, una lite tra bianchi e ispanici è degenerata in una terribile sommossa. "Non accadeva nulla di simile da 23 anni - racconta Vernell Crittendon, una guardia del carcere - Ottanta detenuti lottavano ferocemente tra di loro e ci sono voluti circa 50 funzionari armati di bastoni e spray lacrimogeni per sedare i disordini". Secondo quanto riferito dalle autorità, tre detenuti sono stati trasportati d’urgenza all’ospedale, uno col volto squarciato da una ferita probabilmente provocata da una lametta da barba infilata in uno spazzolino da denti o in un pettine o in cima a una penna. I carcerati avevano fabbricato anche altre armi rudimentali, come saponette infilate nei calzini come oggetto contundente. Rivalità tra gruppi etnici e controllo del traffico della droga sono i motivi più probabili che hanno acceso lo scontro. Tuttavia le indagini sono ancora in corso per accertare l’esatta dinamica degli eventi. Una volta sedata la maxi-rissa, l’intera prigione è stata chiusa e centinaia di detenuti sono stati ammanettati mentre i funzionari cercavano di isolare i violenti. La sommossa era stata preceduta da piccoli scontri avvenuti il 2 agosto, quando gruppetti di bianchi e ispanici si erano affrontati nello stesso dormitorio. "È stato un susseguirsi di ostilità tra questi due gruppi", ha dichiarato Crittendon. Todd Slosek, del California Department of Correction and Rehabilitation, si è detto soddisfatto invece del lavoro svolto dal personale di sicurezza del carcere: "Sono riusciti a fermare gli scontri usando solamente spray al peperoncino".

Genova: per sfuggire alla cattura si getta dalla finestra e muore

 

La Repubblica, 10 agosto 2005

 

Clandestino, pregiudicato, spacciatore: quando la polizia ha fatto irruzione nell’appartamento in salita padre Umile che condivideva con altri tre extracomunitari, Riali Kaled ha tentato una fuga disperata per non finire in carcere. Per cercare una libertà impossibile. L’algerino, 33 anni, si è lanciato dalla finestra del secondo piano e si è sfracellato al suolo. Gli agenti hanno cercato di rianimarlo prima dell’arrivo del 118, ma non c’è stato nulla da fare. Gli altri stranieri, un algerino di 23 anni, un tunisino di 27 e un marocchino di 18, sono stati arrestati con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. I poliziotti della Quarta sezione criminalità diffusa, hanno sequestrato più di un etto di eroina, una ventina di grammi di cocaina e un paio di hashish.

Il blitz anti-droga nell’ex locali dell’Asl, trasformata in centrale dello spaccio e rifugio di sbandati, è scattato verso le 21.45. Era da tempo che in Questura giungevano voci su un continuo via vai di tossicodipendenti nella fatiscente palazzina di Cornigliano. Dopo una serie di appostamenti, gli agenti hanno organizzato l’operazione. Quando è arrivato il momento propizio, sono saliti fino al secondo piano e hanno sfondato la porta. I quattro extracomunitari sono stati sorpresi nel sonno. Il tunisino, il marocchino e l’algerino di 23 anni sono stati bloccati, mentre Riali Kaled è riuscito a scappare in un’altra stanza. Ha aperto la finestra e senza pensarci due volte si è buttato dal secondo piano, da un’altezza di almeno dieci metri. Nell’impatto al suolo ha battuto la testa procurandosi delle lesioni mortali. Gli agenti sono corsi subito in suo aiuto, hanno tentato di rianimarlo, ma l’uomo era morto sul colpo. Senza documenti, è stato identificato grazie alle impronte digitali perché aveva diversi precedenti per spaccio. In una tasca dei calzoni dell’algerino sono stati trovati più di 2500 euro, frutto dello smercio della droga nell’appartamento che condivideva con i tre amici. Nel corso di una prima perquisizione, la polizia ha recuperato un involucro di eroina (una decina di grammi) e due pezzi di hashish. In seguito a un più approfondito controllo, è saltato fuori anche un involucro del peso di quasi 110 grammi. Era nascosto in un armadio. Conteneva 13 confezioni tra eroina (91,60 grammi) e cocaina (17,45 grammi).

Immigrati: sentenza della Cassazione; sì alle espulsioni di gruppo

 

Il Manifesto, 10 agosto 2005

 

Non si può parlare di "espulsione collettiva" - vietata dalla Convenzione per i diritti dell’uomo - se gli stranieri cacciati dal territorio italiano sono tutti chiaramente privi di permesso di soggiorno. Neanche se i fogli di espulsione rilasciati dalla questura sono - sostanzialmente - delle fotocopie, neanche se il gruppo colpito appartiene a una stessa nazionalità, neanche se le persone espulse sono state protagoniste di una retata. In questo caso, bisogna parlare di espulsioni plurime. Lo dice la Corte di Cassazione, che ieri ha accolto il ricorso della Prefettura di Milano contro una sentenza del Tribunale di Milano risalente al 2004. La decisione del giudice Maria Teresa Zugaro fece grande scalpore all’epoca, tanto da guadagnare la prima pagina del Giornale ("Un giudice riporta a casa i clandestini"). Il caso riguarda quindici rom rumeni espulsi in seguito allo sgombero di uno stabile occupato il 17 maggio dello scorso anno. A tutti e quindici era stato messo in mano un foglio che diceva la stessa cosa: espulsi perché non avevano chiesto il permesso di soggiorno otto giorni dopo l’entrata in Italia. Non si può contestare infatti a un rumeno l’ingresso clandestino, visto che non è necessario un visto per arrivare da Bucarest all’Italia.

I difensori dei rom, Pietro Massarotto, Mario Ciccarelli e Enrico Belloli, avevano presentato ricorso appellandosi all’articolo 4 del IV Protocollo della Convenzione sui diritti umani, quello che vieta le espulsioni collettive. Nel ricorso, scrissero che in quell’operazione di polizia era riconoscibile un’unità di tempo, di luogo, di azione, un’unica nazionalità dei soggetti espulsi e un’unica motivazione. In sostanza, si trattava di un’espulsione collettiva. Il tribunale di Milano accolse le ragioni dei tre avvocati, sostenendo che la Convenzione sui diritti dell’uomo esige provvedimenti di espulsione che devono "sempre essere adottati individualmente e prendendo in considerazione, in modo reale e non fittizio e di mera forma, le singole e differenziate situazioni di ogni individuo".

Ora la Corte di Cassazione ribalta completamente la sentenza del giudice milanese. Secondo la prima sezione della Suprema Corte, il Tribunale è caduto in "errore" poiché non ha considerato i "dati oggettivi". E cioè: che la presenza di soli rom nell’edificio da sgomberare è stata casuale. In secondo luogo, che la verifica delle posizioni individuali ha accertato l’assenza di un permesso di soggiorno e la mancanza di ragioni ostative all’espulsione.

Secondo la Cassazione, infatti, l’articolo contro le espulsioni collettive va interpretato nel senso che se - paradossalmente - uno dei paesi aderenti alla convenzione decidesse di adottare l’espulsione in massa di un gruppo etnico dal proprio territorio, non potrebbe mai farlo prescindendo da una valutazione delle singole posizioni personali. Altra questione è l’espulsione di cittadini stranieri che, in violazione dell’ordinamento nazionale, non si muniscono di permesso di soggiorno.

"Ma la Corte di Cassazione avrebbe dovuto esprimersi soltanto sulla legittimità del provvedimento, senza entrare nel merito e senza avallare la ricostruzione dei fatti presentata dalla Prefettura", contesta l’avvocato Belloli. E per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 4 della Convenzione da parte della Suprema Corte dice Belloli: "A questo punto bisogna aspettare che la Corte di Strasburgo si esprima sui cinque ricorsi da noi presentati per fatti molto simili a quello dei quindici rom. Sarà così la Corte dei diritti umani a stabilire quali siano i confini della Convenzione". Un plauso alla decisione della Corte arriva dal leghista Dussin. Mentre la portavoce dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu in Italia, Laura Boldrini, fa notare che la sentenza "ribadisce l’importanza di verificare i casi singoli e le garanzie per ciascun immigrato in via di espulsione".

Verona: il cappellano del carcere di Montorio si è dimesso

 

L’Arena di Verona, 10 agosto 2005

 

Don Luciano Ferrari, lo storico cappellano del carcere non opera più a Montorio. Dopo sette anni di lavoro il contratto è stato rescisso. Colpa di un’indagine di polizia giudiziaria e di una amministrativa all’interno dell’istituto di detenzione di Montorio. Quella giudiziaria alla fine è stata consegnata al procuratore Guido Papalia. Quella amministrativa interna avrebbe portato al licenziamento. Ma poco prima, don Luciano aveva rassegnato le sue dimissioni per motivi di salute. Don Luciano, 50 anni, dall’eremo di San Rocchetto nega che ci siano stati problemi in carcere: "Sono stato all’interno per sette anni, credo che sia normale dopo tanto tempo che ci sia un’alternanza. Le energie si esauriscono. E poi ultimamente ho avuto problemi di salute. Un po’ di riposo mi farà bene".

E sul fatto che si dice che invece in carcere ci siano stati problemi seri: "No, niente di tutto questo. Adesso sono all’eremo in attesa che il vescovo mi chiami e mi dia un nuovo incarico. L’esperienza in carcere è stata positiva. Ma è un impegno molto faticoso. Mi rigenero e poi sono pronto a ricominciare in parrocchia".

Ma don Luciano è stato allontanato con una lettera dell’amministrazione come "persona sgradita in carcere". La sua colpa, quella di aver introdotto nell’istituto penitenziario pacchetti chiusi, senza a suo dire, una volta sentito come persona informata sui fatti, conoscerne il contenuto, consegnatigli dai familiari dei detenuti. Pacchetti che se fossero stati portati in carcere dai parenti sarebbero stati controllati, aperti, mentre con don Luciano passavano, perché nessuno degli agenti penitenziari sospettava che il prete si prestasse a simili favori. Intendiamoci anche portare dentro orologi da polso, non a cassa unica è vietato. Non necessariamente è necessario introdurre sostanze psicotrope. Ma un orologio che si apre potrebbe ipoteticamente contenere una dose di droga.

Don Luciano da tanti detenuti è descritto come una persona speciale, un brav’uomo, che probabilmente ha peccato di ingenuità. E del suo modo di essere potrebbe aver approfittato qualcuno molto meno in buona fede di lui. Il prete ha lasciato i suoi detenuti con una bella lettera in cui li ringrazia di avergli dato l’opportunità dell’esperienza in carcere e li invita a pregare per la sua salute. Al suo posto c’è un ritorno storico, don Sergio Pighi, della Comunità dei giovani, che in carcere c’era già stato dal 1972 al 1982. "Ci sono temporaneamente", ha detto don Sergio ieri, all’uscita dal carcere, "ma anche la volta precedente dovevo sostituire don Mario e ci sono rimasto dieci anni".

"L’altra volta" erano altri tempi. La popolazione carceraria era composta da gente che aveva commesso reati politici, d’opinione. C’erano i terroristi rossi, quelli neri. Adesso ci sono i magrebini, gli slavi, qualche spacciatore.

"Il carcere non va bene per tutti. E questo il legislatore lo dovrebbe capire. A Montorio ho trovato una situazione esasperata. 800 detenuti, ottocento. Io credo che molti di loro bisognerebbe portarli fuori, far fare loro lavori socialmente utili. A Milano qualche giorno fa hanno fatto uscire un centinaio di detenuti per ripulire il castello sforzesco. Dovremmo fare così. Un mio amico in Sudafrica ha visto un gruppo di persone che sistemavano un posto, tutti con un fazzoletto giallo al braccio. Erano detenuti. Se lo fanno in Sudafrica potremmo farlo anche in Italia, no?". E ancora: "Spesso la gente parla, dà giudizi ma è ignorante, non sa le cose, a partire dal ministro, che quando il papa, Giovanni Paolo II, aveva chiesto l’indulto l’ha negato. Sbagliato. le situazioni vanno valutate caso per caso. E ricordiamoci che in carcere non ci sono i grandi ladri della finanza".

Reggio Emilia: corsi per detenuti, tossicodipendenti e immigrati

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2005

 

Diciannove in tutto, tra cui tre per educatori interculturali: sono i nuovi corsi di formazione per adulti approvati dalla Provincia di Reggio Emilia, indirizzati alle fasce più deboli della popolazione. Impegnando 250.000 euro di risorse comunitarie, i corsi - che partiranno entro il primo ottobre prossimo - puntano soprattutto a rafforzare l’educazione degli adulti, e sono rivolti in particolare alle persone più svantaggiate sul piano culturale o sociale, a chi rischia l’emarginazione sociale o la discriminazione nel mercato del lavoro. L’obiettivo è favorire l’acquisizione, da parte dei corsisti, di competenze di base spendibili professionalmente.

Numerosi i progetti presentati in Provincia da parte di 16 enti di formazione accreditati, che avrebbero richiesto un finanziamento complessivo di oltre un milione di euro: "a causa della forte disparità tra budget provinciale e finanziamento richiesto, si è deciso di privilegiare - spiegano dalla Provincia - i percorsi rivolti ad accrescere le opportunità di persone più a rischio di emarginazione sociale e professionale come disabili, tossicodipendenti, detenuti, ospiti dell’Opg, l’Ospedale psichiatrico giudiziario, o cittadini immigrati disoccupati".

I percorsi formativi approvati sono dunque in tutto 19, tra cui tre corsi per educatori interculturali, che dovranno operare sia nell’ambito della scuola, sia in ambito formativo. Altri cinque progetti riguardano invece il miglioramento complessivo delle attività formative rivolte a fasce deboli, o azioni di informazione e orientamento sui temi dell’integrazione scuola - formazione - lavoro.

"Le iniziative di formazione permanente - dice l’assessore provinciale all’Istruzione Gianluca Chierici - se da una parte aumentano le competenze dei singoli, dall’altra contribuiscono a ridurre le disparità sociali, rientrando a pieno titolo nelle politiche d’inclusione sociale che la Provincia porta avanti. Anche quest’anno si è rilevato, inoltre, il buon livello di concertazione della proposta formativa degli enti con i Centri territoriali permanenti e il mondo del terzo settore, cosa che favorisce la strutturazione delle reti del partenariato istituzionale e sociale e a razionalizzare i costi". Ecco alcuni esempi: il corso di lingua bosniaca per consolidare la relazione tra famiglie affidatarie dell’associazione "Affido per affido" e i ragazzi profughi della Bosnia; i percorsi di inclusione sociale e lavorativa per sinti, in collaborazione con l’associazione Them romanò, la cooperativa sociale l’Ovile, lo sportello di orientamento Welcome, i Centri territoriali permanenti; infine, i percorsi di formazione per la Fa.Ce. (associazione Famiglie Cerebrolesi) sui nuovi alfabeti.

Caltanissetta: due disoccupati arrestati per un furto d’uva

 

La Sicilia, 10 agosto 2005

 

"Ripuliscono" dell’uva il vigneto di un imprenditore e, a raccolto ultimato, si trovano davanti i carabinieri che, cogliendoli con le mani nel sacco, li arrestano per furto aggravato. A finire in cella sono stati due disoccupati, uno dei quali noto alle forze dell’ordine per i suoi trascorsi con la giustizia. Si tratta di Francesco Giovane, sul cui capo pendono precedenti penali, e di Nicola Romano, rispettivamente di 19 e 21 anni.

A farli finire nella rete dei carabinieri è stata una segnalazione effettuata al centralino del 112 da un cittadino che li aveva notati mentre erano all’opera all’interno del vigneto di proprietà dell’imprenditore Giovanni Peretti. L’episodio è avvenuto l’altro ieri. Giovane e Romano, nel pomeriggio, avevano raggiunto il vigneto dell’imprenditore Peretti - lungo la Statale 117 bis Gela - Catania - a bordo delle loro autovetture, una Fiat Cinquecento e una Lancia Y10.

Parcheggiati i due mezzi all’ingresso del vigneto, avevano cominciato a raccogliere l’uva per portarla via. Ma il tentativo di furto non è passato inosservato e, come detto, un cittadino ha chiamato il 112. I militari dell’Arma, alla guida del capitano Bartolomeo Di Niso, hanno raggiunto la zona e hanno sorpreso i due ladri in flagranza di reato. Quando i carabinieri sono giunti in campagna, Giovane e Romano avevano già raccolto quasi 400 chili di uva da tavola e l’avevano sistemata in una quindicina di cassette, pronte per essere immesse sul mercato.

Il prodotto raccolto era destinato, verosimilmente, a essere venduto nelle bancarelle abusive a prezzi, ovviamente, concorrenziali. Quando Giovane e Romano hanno notato la presenza dei carabinieri in campagna, sono rimasti letteralmente scioccati. Non potevano fuggire, erano stati colti con le mani nel sacco, e di fronte all’evidenza non hanno potuto negare: così si sono lasciati ammanettare. In serata i due sono stati rinchiusi nel carcere di Caltagirone a disposizione dell’Autorità giudiziaria. Nelle prossime ore compariranno davanti al Gip del Tribunale di Gela che, verosimilmente, li processerà col rito della direttissima al termine dell’udienza di convalida dell’arresto. I 400 chili di uva sono stati restituiti al proprietario.

 

 

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