Rassegna stampa 7 settembre

 

Sassari: si estende la protesta tra detenuti e agenti

 

L’Unione Sarda, 7 settembre 2004

 

Mogli di agenti penitenziari, genitori di detenuti, guardie carcerarie, esponenti politici di tutti gli schieramenti politici e tanta gente comune. Mogli di agenti penitenziari, genitori di detenuti, guardie carcerarie, esponenti politici di tutti gli schieramenti politici e tanta gente comune. Uniti per denunciare le gravi condizioni in cui si trova il carcere di San Sebastiano.

In tanti hanno espresso la loro solidarietà al consigliere provinciale del Gruppo misto, Antonello Unida che per due giorni ha presidiato il penitenziario cittadino, trascorrendo una notte intera davanti ad uno degli ingressi del penitenziario di via Roma. Nessuna firma da mettere, solo una stretta di mano per dirsi: non dimentichiamoci di queste persone.

"Si deve chiudere una volta per tutte questo triste capitolo - commenta Unida - La gente ha capito il mio intento: il tavolo che ho allestito dalle 10 del primo settembre alle 20 del giorno dopo si è trasformato in un vero e proprio confessionale. Sono venute madri di tossicodipendenti, detenuti a San Sebastiano, per infondermi coraggio e non desistere da questa azione di protesta. Alla fine si ribaltavano i ruoli ed ero io a confortare loro".

Per tutta la notte quel tratto di via Roma, dove Unida si è installato per due giorni, è stato un via vai continuo di persone: tutti hanno letto gli articoli dei giornali pubblicati nei mesi scorsi. "La città ha risposto compatta - ancora Unida - sono molto stanco ma anche soddisfatto. I commercianti di via Roma mi sono stati vicini e i sassaresi hanno dimostrato di sentire molto il problema di questo carcere cadente, in mezzo alla città. Speriamo che questa azione abbia un seguito nelle sedi del potere. Tutto infatti dipende dalle decisioni di Roma, ma se anche da qua riusciamo a far sentire la nostra voce, magari riusciamo a smuovere qualcosa".

Regina Coeli: colletta di 9000 euro per risarcire i danni

 

Ansa, 7 settembre 2004

 

In carcere qualcuno si ricorda ancora della rivolta con gli ostaggi, il volteggiare degli elicotteri e le raffiche di mitra nello "speciale" di Trani, era il 1980 a Natale. E dieci anni dopo lo Stato ancora inseguiva in giro per l’Italia i detenuti di allora, per il risarcimento dei danni di quella battaglia. Quegli anni di fuoco non torneranno, se è vero che oggi a Regina Coeli i detenuti stanno raccogliendo tutti insieme i novemila euro dei danni conteggiati tra le porte spaccate, le sedie rotte e le tubature sventrate nella IV sezione del carcere nella notte tra il 17 e il 18 agosto. Nel corso di una pacifica manifestazione di tre giorni di tutti i detenuti per rivendicare l’applicazione della legge Gozzini e chiedere nuovamente quel provvedimento d’indulto invocato dal Papa durante il Giubileo e negato dalla politica. Esagerando l’avevano chiamata rivolta, quella sera; dopo i trasferimenti di una quarantina di detenuti della IV, tutti gli altri hanno firmato una lettera "di rammarico" alla direzione. Un’assunzione di responsabilità e un’autocritica "per non aver saputo comunicare tra noi e organizzare bene la protesta pacifica".

Il dialogo al posto della violenza: nel carcere che per primo, a luglio del Duemila, ha indetto lo sciopero della fame per l’indulto e l’amnistia, i detenuti stanno annotando ciascuno il proprio nome, il numero di matricola e di conto corrente interno (nessuno può disporre di denaro liquido) e la somma da versare alla colletta per risarcire i danni. Chi offre dieci euro, chi 50, qualcuno di più, ma il carcere è dei poveri e novemila euro sono tanti. Saranno sacrifici per tutti; saranno tutti coerenti con l’ultima lettera, spedita sabato scorso al Pontefice, un appello in cui chiedono "una preghiera e una parola sulla nostra condizione.....perché ciò che sta succedendo in prigione è la perdita della speranza che cede sempre più il passo alla rassegnazione o alla disperazione".

Dicono a Regina Coeli che quello della IV sezione è stato un gesto di esasperazione, e che la colletta per risarcire i danni è un gesto di buona volontà e di chiara presa di distanza da qualunque gesto di violenza. Citano il Papa: "Ponti e non muri". Dopo le rivolte, le riforme, le promesse, le amarezze, i detenuti hanno sopportato anche le visite di solidarietà, le promesse di commissioni e sottocommissioni e nuove commissioni per sviscerare la questione carcere come se non fosse già chiara per tutti. Lo sarà ancora di più da metà ottobre, quando comincerà una mobilitazione nazionale dietro le sbarre, con uno sciopero della fame a scacchiera per ricordare ancora una volta, pacificamente, che le misure alternative previste dalla legge non sono pienamente applicate e che il gesto di clemenza invocato da Giovanni Paolo II per tutta la popolazione detenuta è stato disatteso.

Como: Sergio è morto, ma poteva capitare a noi

 

La Provincia di Como, 7 settembre 2004

 

Riceviamo e pubblichiamo la lettera degli amici di Sergio La Scala, il giovane deceduto al Bassone martedì mattina per un’embolia polmonare. Sul caso è in corso l’inchiesta della Procura di Como per accertare eventualità responsabilità, ma al momento non risultano indagati. I detenuti del carcere di Como "Bassone" accusano tutto il sistema sanitario interno, ritenendo lo stesso responsabile della morte del compagno Sergio La Scala, un giovane di appena 28 anni. Sergio era, ed è molto triste usare questo tempo verbale, un ragazzo nel pieno delle sue forze. Da circa una settimana, però, lamentava un malessere continuo, cali di pressione, colorito assente, cosa preoccupante vista la sua tonicità e i suoi anni. Per questo siamo ancora tutti increduli ed attoniti per il dramma che si è consumato tra queste mura. Può un ragazzo nel fiore della vita morire così, per l’indifferenza o per la mancanza di visite, cure specialistiche e ospedaliere quando manifesti sintomi evidenti e fuori dal normale? La tragedia avvenuta però non deve stupire più di tanto. È capitato purtroppo a Sergio, ma poteva accadere a ciascuno di noi. Medicinali specifici non esistono più, due prodotti di cui non vogliamo fare il nome sono le panacee di tutti i mali e dolori possibili. Come è possibile?

I detenuti sono "costretti" a subire rapporti e denunce proprio per queste carenze croniche ed ottenere magari così l’estrazione di un dente, dopo giorni senza poter dormire e impazzire per avere terapie salvavita. Il governo continua a tagliare i fondi della sanità pubblica e a rimetterci sono sempre le fasce più deboli. Noi siamo l’ultimo anello, non abbiamo alcuna possibilità di scelta riguardo alle cure, e per questo pretendiamo che uno stato civile (o sedicente tale) abbia nei riguardi della gente da esso ristretta, un’assistenza sanitaria conforme ai dettami stabiliti per Costituzione. Vivere nel disagio per sbagli commessi (sicuramente non da tutti) può essere anche giusto, ma vivere nell’angoscia e nella pena del dolore è barbarie.

Chi è preposto all’ufficio, in primis il ministro Castelli, dovrebbe soffermarsi prima di esternare i propri pensieri e di lodarsi per i risultati brillanti presso San Vittore, dovrebbe soffermarsi un secondo a meditare sul congestionamento di altri istituti "minori" che grazia alla sua politica sono impossibilitati a operare.

Nell’ormai lontano 1764 un certo Cesare Beccaria pubblicava (clandestinamente) un saggio storico, "Dei delitti e delle pene", Forse perché era il tempo dei lumi, ebbe un forte impatto sopra ogni nazione e ogni nazionalità. Si credeva che questi concetti fossero stati metabolizzati e stratificati nella cultura della società tutta, non è così. Il carcere del Bassone costruito negli anni Ottanta aveva celle adibite a ospitare una persona, dopo più o meno vent’anni tali spazi possono ospitarne quattro! Se questa è la nostra civiltà che avanza possiamo ripartire per le crociate. Denunciato questo, ci uniamo al profondo dolore della mamma di Sergio, dei parenti e degli amici tutti per la perdita della persona cara. Augurandoci che la sua scomparsa serva ad aprire gli occhi e a sensibilizzare riguardo la situazione vissuta. Sicuramente lo merita. Ciao Sergio. I detenuti del Bassone.

Manconi: accogliamo l’invito dei detenuti di Rebibbia

 

Redattore sociale, 7 settembre 2004

 

"Accogliamo con piacere e convinzione l’invito dei detenuti nella sezione di Alta Sorveglianza di Rebibbia ad un rapporto continuo e costruttivo con le istituzioni, i partiti, le associazioni e la società civile tutta". L’Ufficio del Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma, che segue con i mezzi a disposizione - tra enormi difficoltà e molte resistenze - la vita della popolazione detenuta, ritiene che le richieste contenute nella lettera dei detenuti della sezione di Alta Sorveglianza del penitenziario romano vadano considerate tutte "con grande attenzione".

"Rispondiamo positivamente alla proposta di incontro: l’attiva partecipazione degli stessi detenuti e il loro richiamo ad un coinvolgimento della società civile tutta sono un contributo indispensabile al nostro lavoro", conclude il Garante dei detenuti, Luigi Manconi.

Gorgona: un carcere a cielo aperto

 

Redattore sociale, 7 settembre 2004

 

Un’estensione che non raggiunge i tre chilometri quadrati, 200 ettari di macchia mediterranea. A 18 miglia da Livorno spunta dal mare come uno scoglio l’isola di Gorgona, la più piccola dell’arcipelago toscano. Gorgona è colonia penale agricola dal 1869. Oggi non più di 40 detenuti occupano il "carcere a cielo aperto", e sono davvero protagonisti e testimoni di un’esperienza – se così si può chiamare la detenzione – unica e senza dubbio significativa.

Gli ospiti di questo penitenziario non vivono in cella, hanno l’opportunità straordinaria di trascorrere le giornate tra i campi e tra gli animali. Lavorano, vengono retribuiti – e mandano così denaro alle famiglie – garantiscono la vita dell’isola provvedendo al proprio sostentamento e a quello degli agenti di Polizia penitenziaria e personale del Ministero della Giustizia, poco meno di cento persone. Lavorare qui significa allevare animali – mucche, pecore, galline – ricavare il latte e produrre formaggi, curare cavalli da lavoro e maiali.

La conformazione montuosa e scoscesa del territorio ha reso necessari terrazzamenti che ospitano distese di viti, olivi, piante officinali per cui è stato costruito un laboratorio. I detenuti si occupano anche di apicoltura, curano le delicate fasi dell’acquacoltura che consente l’allevamento di orate, spigole, ombrine (e a questo proposito è stata presentata proprio sull’isola una proposta di legge per la regolamentazione dell’acquacoltura biologica). Nel cortile che ospita la sezione "Le Capanne" – dove la maggioranza dei detenuti ha le proprie celle – c’è una grande voliera che accoglie varie specie di uccelli. Bisogna costruire e mantenere le gabbie, pensare all’alimentazione e alla pulizia.

Lavorare qui vuol dire specializzarsi in un’attività, dividersi le mansioni ma essere pronti all’occorrenza anche a fare quello di cui c’è bisogno. Questi detenuti sono uomini in maggioranza intorno ai 35 anni, quasi tutti in possesso della licenza media, qualcuno è straniero. Hanno tutti da scontare un residuo di pena non superiore ai 10 anni – limite necessario per essere trasferiti qui – godono di una buona salute e sono svincolati da legami con la criminalità organizzata. Per loro come per ogni detenuto rimane il problema di trovare un ruolo e un posto nella vita fuori, una volta scontata la pena.

Ma gli ospiti di Gorgona hanno in più la reale possibilità di vivere il carcere non solo come una punizione, di vedere i frutti di un lavoro che impegna e stanca, e che consente di esprimere creatività, di dare un senso alle giornate, di sentirsi forse meno reclusi. E di acquisire così strumenti, conoscenze, esperienze che possono essere preziose per un futuro migliore. Nei primi mesi di questo anno due fatti delittuosi – a conferma di quanto sia comunque difficile gestire i rapporti umani e incanalare lo sfogo delle tensioni – hanno messo in crisi le attività e la sopravvivenza del carcere.

Circa 70 detenuti – degli oltre 100 che occupavano il penitenziario – sono stati trasferiti alle strutture di Livorno, il direttore è stato temporaneamente sospeso dall’incarico. Subito dopo i fatti e durante lo svolgimento delle indagini le attività sull’isola sono proseguite grazie all’impegno degli agenti di polizia penitenziaria. Ora i detenuti hanno ripreso a lavorare, qualche settimana fa sono arrivati 10 nuovi ospiti, ma il numero limitato di presenze non consente di mantenere in vita ogni attività. Il futuro di Gorgona – la possibilità di realizzare progetti nuovi, ampliare le iniziative – è strettamente legato proprio alla presenza sull’isola di manodopera sufficiente per portare avanti il lavoro e garantire capacità produttiva.

Forse indicazioni più precise si avranno dal Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Massimo De Pascalis, che nella giornata di oggi dovrebbe recarsi sull’isola e che nei mesi scorsi aveva sostenuto la presentazione del progetto "Educazione alla sostenibilità e comunità penitenziaria", finanziato dalla Comunità Europea e promosso da Ministero della Giustizia, Regione Toscana, Arpat. L’idea centrale sarebbe quella di consentire sull’isola flussi programmati di turisti a numero chiuso, pensando ad attività gestite da cooperative sociali in cui siano impiegati i detenuti, parallelamente alle mansioni che svolgono ogni giorno.

Bologna: cinque immigrati evadono dal Cpt

 

Redattore sociale, 7 settembre 2004

 

Sono evasi in 5 questa notte dal centro di permanenza temporanea di Bologna: hanno divelto uno dei cancelli che chiudono i gabbioni e sono fuggiti. "Ciò dimostra il totale fallimento di queste strutture", hanno dichiarato l’onorevole diessina Katia Zanotti e la deputata di Rifondazione Comunista Titti De Simone, che questa mattina hanno visitato il cpt di via Mattei per controllare la conclusione dei lavori delle "gabbie", grate di acciaio a copertura dei reticolati esterni sui quali si affacciano i dormitori delle persone straniere trattenute nel cpt, completata nei giorni scorsi. "Ci sono grate molto strette che hanno chiuso tutti i gabbioni, compresi quelli dove opera la Croce Rossa – ha spiegato Zanotti -. Sono più di 1.000 metri di grate molto fitte, in acciaio massiccio, poste sopra le recinzioni".

Le due parlamentari sollevano in primo luogo il problema della sicurezza, perché "qualunque cosa succeda lì dentro, gli ospiti sono topi in gabbia". Tanto che nei prossimi giorni presenteranno alla Camera un’interpellanza al ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, in cui chiedono chi abbia proposto, e per quali ragioni, il potenziamento delle recinzioni all’interno del cpt di Bologna; chi lo abbia autorizzato e quali siano i suoi costi; se tale intervento sia legittimo sotto il profilo del rispetto della dignità delle persone e della tutela dei loro diritti; se sia stato predisposto un piano relativo alla sicurezza degli ospiti stranieri che vivono all’interno della struttura e se esista altresì un piano di evacuazione in caso di incendio o di eventuali gravi situazioni che dovessero determinarsi all’interno.

"Speriamo che il governo risponda con urgenza, perché questa è una situazione di intollerabile riduzione e restrizione delle libertà di movimento – ha commentato Zanotti -. Chiediamo al governo se questa struttura è conforme alla dignità delle persone ed è sensata rispetto ad un centro che non deve essere una struttura di detenzione, mentre oggi è un luogo di detenzione peggiore delle carceri". De Simone ha aggiunto invece che "chi non vuol vedere è complice" e si chiede chi ha visto questo progetto. "Comune e Regione hanno potuto verificare che tipo di modifiche stavano avvenendo dentro il cpt di Bologna? Gli enti locali devono venire a controllare questa struttura. Serve una presa di posizione politica e istituzionale seria e determinata per arrivare in tempi rapidi alla messa in discussione profonda di queste strutture e alla loro chiusura". Le due deputate bolognesi hanno fatto sapere che al momento la struttura ospita circa 40 cittadini immigrati, perché i lavori hanno richiesto di ridimensionare temporaneamente la capacità della struttura.

Gran Bretagna: ad agosto record di suicidi nelle carceri

 

Ansa, 7 settembre 2004

 

Le vacanze di agosto delle guardie carcerarie inglesi sarebbero una delle cause del numero record di suicidi tra i detenuti, almeno secondo l’interpretazione fornita dai responsabili dell’associazione di volontari Prison reform trust (Prt).

Sono 14 i decessi (tutti uomini) registrati nell’ultimo mese, il dato più elevato degli ultimi venti anni, da quando cioè si è cominciato a raccogliere sistematicamente i dati sul drammatico fenomeno. Secondo Enver Solomon, uno dei dirigenti di Prt, la carenza di personale di controllo nelle prigioni dovuto alla concentrazione delle ferie di agosto, ha reso la vita dei carcerati molto più difficile, diminuendo le ore d’aria a loro disposizione e costringendoli dentro le celle per periodi più lunghi del solito. L’isolamento prolungato sarebbe dunque responsabile della scelta estrema. Si tratta comunque soltanto di una delle cause dei 14 suicidi di agosto i quali si aggiungono agli altri già registrati nel corso di quest’anno per un numero complessivo di 70 (nel 2003 in totale erano stati 94 e nel 2002 95 segnando il record degli ultimi anni).

Le altre ragioni fornite dagli addetti ai lavori, sono il sovraffolamento delle carceri e le precarie condizioni psicologiche di gran parte dei detenuti. "Un numero elevato di persone richiuse in prigione ha svariati problemi mentali e di dipendenza da qualche sostanza stupefacente. Bisogna ricordare che il 20% dei carcerati di sesso maschile ha tentato il suicidio prima del carcere o durante la detenzione", ha sottolineato Solomon.

Al numero già di per sé elevato, va aggiunto il suicidio di un altro detenuto due giorni fa, che solo per una manciata di ore non è stato incluso nelle statistiche del mese precedente. Inoltre agli inizi dello stesso agosto il quattordicenne Adam Rickwood si è tolto la vita durante il periodo di custodia preventiva nel carcere minorile della contea di Durham, Inghilterra settentrionale. Si tratta del più giovane suicida carcerato nel Regno Unito. Anche la sua morte non è inclusa nei dati sulle prigioni, visto che gli istituti di rieducazione per minorenni non sono stati conteggiati. L’elevata percentuale di suicidi da parte di detenuti in attesa di giudizio è un altro dei dati più inquietanti che emergono dalle ultime statistiche. Dei 14, sei dovevano ricevere ancora una condanna definitiva. Se a questo si aggiunge che non tutti i suicidi sono classificati come tali, come ha sottolineato Solomon, il fenomeno assume contorni ancora più drammatici.

Nonostante ciò un portavoce del Ministero degli Interni ha cercato di gettare acqua sul fuoco ricordando che di fronte a un’ampia popolazione carceraria, 14 suicidi sono relativamente un fatto eccezionale. Nessuna giustificazione, invece, per il Ministro degli Interni ombra James Paice: "Il governo ha già dimostrato di non essere capace di badare alle vittime dei crimini. Adesso appare evidente che non è in grado di badare neppure ai carcerati. Le prigioni sono troppo affollate e non garantiscono ai carcerati né la riabilitazione né la rieducazione".

Castelli accusato di diffamazione dai Radicali

 

Corriere della Sera, 7 settembre 2004

 

Sarà il Tribunale dei ministri ad occuparsi della posizione del Guardasigilli, Roberto Castelli, denunciato per diffamazione dai radicali Daniele Capezzone e Rita Bernardini. L’iniziativa si riferisce alle dichiarazioni fatte il 19 agosto scorso dal ministro Castelli in relazione alla rivolta avvenuta nel carcere di Regina Coeli.

Nell’atto con cui il Guardasigilli è stato iscritto nel registro degli indagati, i due esponenti radicali si ritengono "offesi" nella reputazione dalle frasi che rivolse loro Castelli, il quale commentando la rivolta che esplose nel carcere romano disse: "Avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi". L’iscrizione sul registro degli indagati - è stato evidenziato - è un atto dovuto. "Delle due l’una - affermarono i Radicali quando preannunciarono la presentazione della querela - se Castelli parla della nostra visita a Regina Coeli per raccogliere le firme sul referendum sulla fecondazione assistita, è vittima di una grave topica". Se invece il Guardasigilli "si riferisce al nostro dossier sulla situazione carceraria - aggiunsero - viene da pensare al colpo di sole".

Così si vive (e si muore) in carcere

 

Donna Moderna, 7 settembre 2004

 

Cosa significa passare i giorni e le notti chiusi in una cella sovraffollata? E attendere anche per anni un processo? Mentre crescono le proteste negli istituti di pena, abbiamo voluto raccogliere tre racconti. Per capire se chi sta dietro le sbarre ha una possibilità di riscatto

Lavandini spaccati, impianti elettrici divelti, bombolette di gas fatte esplodere nelle celle: per un’ora, nella notte del 17 agosto, il malcontento dei detenuti del carcere di Regina Coeli, a Roma, si è trasformato in rivolta. E subito il tam tam della protesta ha raggiunto altri penitenziari: Rebibbia, Poggioreale, il Coroneo di Trieste, il supercarcere di Lanciano (Chieti). I reclusi hanno rifiutato il pasto, battendo con cucchiai e pentole il loro concerto della disperazione. Chiedono una commissione d’inchiesta sui tempi infiniti della carcerazione preventiva, un’amnistia per risolvere il sovraffollamento, l’estensione delle pene alternative in comunità o case famiglia, la possibilità di studiare e lavorare.

La situazione è drammatica: gli istituti di pena ospitano 54 mila detenuti contro una capienza prevista di 41 mila; la metà è costituita da tossicodipendenti. Dodicimila carcerati sono in attesa di primo giudizio, oltre 8 mila aspettano la sentenza di secondo o terzo grado. Solo il 25 per cento riesce a svolgere un lavoro. Il carcere è sofferenza, violenze, soprusi, suicidi (55 casi l’anno scorso), bambini che crescono in cella con le madri e poi vengono allontanati. Ma la galera non è solo inferno. Grazie a direttori in gamba, può diventare anche la palestra di una nuova esistenza. Noi abbiamo raccolto tre storie, per capire com’è la vita (e com’è anche la morte) dietro le sbarre.

 

Davide

 

Davide Benati aveva 20 anni, ed era nato a Udine. Chi lo ha incontrato lo racconta come un ragazzo bello, intelligente, gentile, ma ingobbito dalla disperazione di una vita sprecata tra droga e furti d’auto. L’hanno trovato la notte del 20 maggio, impiccato con un lenzuolo nel bagno della sua cella nel carcere di Gorizia. A dare l’allarme è stato un detenuto con cui Davide condivideva da tre mesi uno spazio squallido, di pochi metri quadrati. Dicono che gli agenti avessero gli occhi umidi quando hanno tirato giù il corpo. "Era un giovane chiuso ma tranquillo" ricorda Giovanni Attinà, il direttore del piccolo istituto di pena, cento detenuti in tutto. "Non sospettavamo che meditasse il suicidio". Attinà fa quel che può per rendere meno inutile la vita dietro le sbarre: il giornale dei detenuti, partite di pallavolo, qualche spettacolo d’estate. Ma la struttura è quella che è, una prigione fatiscente dell’epoca austroungarica, e i soldi sono pochi.

Chissà, forse Davide, figlio di una tossicodipendente, non ha mai avuto chance. A metterlo nei guai è stata un’altra droga, quella delle automobili: ne ha rubato un’infinità. Così, come gesto di ribellione. Ci faceva spericolate gite in città, poi le abbandonava. Era più forte di lui, non sapeva resistere. "Prima che morisse, ho chiesto e ottenuto due perizie psichiatriche per capire quale molla gli scattasse dentro" scuote la testa il suo avvocato, Pier Aurelio Cicuttini. "Ma la visita non è arrivata in tempo. Non so darmi pace. Forse se in prigione avesse incontrato un assistente sociale, un medico, in grado di aiutarlo... Invece è vissuto per mesi sdraiato su un letto, con il televisore acceso. Faceva quattro passi in un cortiletto, lavava i suoi panni, andava a pranzo e a cena. Come tutti i drogati, era stato sottoposto a un regime di disintossicazione forzata. L’unico rapporto umano lo aveva con i nonni, due persone straordinarie che l’avevano allevato e che andavano a trovarlo in carcere tutte le settimane. Lei, la nonna, amava Davide con tutto il cuore. È una sopravvissuta di Auschwitz: ha dovuto sopravvivere alla morte del nipote".

 

Isabela

 

Isabela pensava che le sarebbe bastato un viaggio con lo stomaco pieno di capsule di droga, da Caracas a Roma, per garantire un futuro a lei, al marito Hugo e alla loro piccola Orsolen, di appena tre mesi. Così, come altri venezuelani poveri, si era venduta ai narcotrafficanti. Ma quel sogno sporco è finito pochi minuti dopo l’atterraggio. Isabela si è trovata le manette ai polsi, catapultata in un mondo più buio di quello da cui era scappata: il carcere di Rebibbia. A 25 anni è diventata una mamma dietro le sbarre. Nella sua stessa condizione, a febbraio di quest’anno, erano 52 detenute in tutta Italia. "Isabela era cattolica, non legava con le altre, viveva per la sua bambina" ricorda Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma Insieme, che aiuta le madri carcerate. "Orsolen è cresciuta nella sezione Nido di Rebibbia. Ha conosciuto Roma grazie ai volontari che ogni sabato portano in gita i figli delle detenute: al mare, nelle ludoteche, a pranzo da qualche famiglia. Non era la vita degna di un bambino, la sua, ma almeno aveva l’amore della mamma".

Un rapporto privilegiato che è scaduto al compimento del terzo anno d’età, quando per legge il piccolo deve abbandonare il carcere ed essere cresciuto da una famiglia affidataria. "Per fortuna è un caso raro" spiega Francesca Cerreto, della cooperativa Pronto intervento detenuti per il reinserimento sociale dei carcerati. "Grazie alla legge 40 del 2001, oggi molte madri possono allevare i figli fuori dalla prigione, in una casa famiglia, fino al decimo anno d’età". Non Isabela, però. La giustizia italiana l’aveva dimenticata dietro le sbarre. "Dopo tre anni" dice Colombini "era ancora in attesa di giudizio e quindi non aveva diritto ai benefici. Era angosciata, sconvolta: non voleva separarsi dalla bambina. Così siamo riusciti a farle conoscere la famiglia affidataria che si sarebbe occupata di Orsolen. Isabela si è tranquillizzata, ha capito che non gliela avrebbero portata via. Un anno dopo, nel 2002, è stata condannata, ma ha deciso di scontare la pena in Venezuela. Ed è ripartita, con la sua Orsolen".

 

Free Opera Brera

 

Free Opera Brera è il nome di una squadra di calcio speciale. "C’è uno spazio quasi libero/tra le mura invisibili/un gruppo di cuori e gambe forti/si allena per un grande sogno..." dice l’inno di questo gruppo di detenuti che, con il timbro della Federazione, ha partecipato a un campionato ufficiale. Trenta ragazzi difficili, alle spalle furti, rapine, spaccio, qualcuno persino omicidio: messi assieme devono scontare 260 anni di galera e due ergastoli. Una storia, la loro, che sembra il copione di un film, se non si svolgesse in un carcere vero, quello di Opera, a sud di Milano, 1.400 reclusi tra cui il boss della mafia Totò Riina. Il primo sogno la squadra l’ha già realizzato a giugno, conquistando con grinta la promozione in seconda categoria. Il secondo comincia a settembre, con la ripresa del campionato. Per la prima volta, i ragazzi della Free Opera potranno giocare in trasferta, salire su un pullman, guardare la gente che cammina per strada, annusare il profumo della libertà.

Anche la tv si è occupata di loro: Sfide, il programma di Rai Tre, ha seguito tutte le partite e continuerà a farlo. "È stata una delle esperienze più coinvolgenti della mia vita" racconta la regista Simona Ercolani. "Ho visto detenuti impazziti di gioia per un goal, correre verso il pubblico e abbracciare per la prima volta i figli, la moglie, senza una guardia di mezzo". "La squadra ha cambiato molti di loro nel profondo" si emoziona il direttore del carcere Alberto Fragomeni. "Hanno scoperto cos’è un obiettivo comune, l’orgoglio di riuscire. In campo si sentono uomini liberi, con dignità. Persino il rapporto con gli agenti di custodia è migliorato". È successo a Carlo Zacco, il capitano, fine pena nel 2025. "Nessuno, prima che nascesse Free Opera, mi aveva offerto un’opportunità" dice. "Ho due bambine, voglio cambiare". A Christian Laplaca, attaccante, fine pena 2014, il pallone ha dato il coraggio di rivedere il figlio. Per due anni gli ha raccontato bugie, dicendo di essere all’estero per lavoro. Poi l’ha invitato all’ultima partita, il 13 giugno, e gli ha fatto vedere quant’è bravo il suo papà. Anche se è in galera.

Nieri: "personale sottoposto a turni troppo lunghi"

 

Adnkronos, 7 settembre 2004

 

Si è tenuto questo pomeriggio presso l’assessorato alle Politiche per le Periferie e per il Lavoro del Comune di Roma, l’incontro tra l’assessore Luigi Nieri, il Direttore dell’Ufficio del Garante per i Diritti e le Opportunità delle Persone Private della Libertà Personale del Comune di Roma, Stefano Anastasia e le rappresentanze sindacali della Polizia Penitenziaria "È stato un incontro proficuo ed interessante sotto molti punti di vista - ha dichiarato Nieri -.

Lo spunto per incontrarsi, anche a seguito degli avvenimenti di questa estate nel carcere di Regina Coeli, era stato l’annuncio della manifestazione sindacale proclamata dalle Oo.ss di categoria per il prossimo 8 settembre".

"Sebbene la manifestazione sia stata in seguito sospesa, le motivazioni alla base della protesta da parte degli agenti di Polizia Penitenziaria meritano di essere ascoltate con attenzione". "Il personale lamenta di essere sottoposto a turni di servizio giornalieri di oltre 12 ore - ha concluso Nieri - inoltre la costante carenza di organico degli agenti insieme con il cronico sovraffollamento della popolazione detenuta crea disagio sia alle forze di polizia che devono assicurare l’ordine all’interno degli istituti, sia ai detenuti stessi".

Bologna: ammanco dalle casse, prosciolti due direttori

 

Il Resto del Carlino, 7 settembre 2004

 

È stato prosciolto l’ex direttore del carcere bolognese della Dozza Giovanni Mazzone e l’ex vice direttore, Anna Paola Di Filippo. I due sono stati processati per il reato di omissione di atti ufficio nell’ ambito dell’ inchiesta sull’ ammanco di un miliardo e 450 milioni dalle casse dell’ istituto che aveva già portato nell’ agosto 2001 all’ arresto del cassiere, Giuseppe Fiore.

I due, in pratica, erano accusati di non aver vigilato sul cassiere. Ma lo stesso Pm Lucia Musti ha ritenuto che la posizione dei due, difesi dall’avv.Claudio Piccaglia, si fosse chiarita, e così aveva chiesto il prosciglimento in istruttoria, che poi è stato firmato dal Gip.

L’allora cassiere, che dopo un periodo passato agli arresti domiciliari era tornato libero, venne arrestato (fu fermato in una villa dell’esclusivo quartiere romano dell’Olgiata dove era ospite di amici) per peculato continuato dopo che dalla cassa del carcere era scomparso il denaro. Le indagini, comunque, avevano trovato tracce di movimenti di somme ingenti, un miliardo e 300 milioni in tre anni, sui conti correnti intestati a lui. Sul conto erano rimasti solo 10 milioni di saldo attivo.

Lazio: consiglieri centro-sinistra visitano carcere Viterbo

 

Asca, 7 settembre 2004

 

I consiglieri regionali dei Ds Giuseppe Parroncini e Loredana Mezzabotta e della Margherita Giovanni Hermanin, insieme al capogruppo dei Ds nel Comune di Viterbo, Giulia Arcangeli, hanno effettuato stamani una visita nel carcere viterbese di Mammagialla. Prosegue, da Viterbo, il giro di visite nelle carceri del Lazio dei consiglieri regionali del centro sinistra iniziato dai penitenziari romani.

Un’iniziativa decisa per rendersi conto dei problemi esistenti, a partire dal sovraffollamento, dalle carenze d’organico del personale, ma anche per analizzare le iniziative messe in campo dagli enti locali. "Anche a Viterbo - hanno spiegato i consiglieri - abbiamo proposto la creazione di una commissione mista, formata dagli enti locali, comune provincia e regione, dalla direzione del carcere, dagli operatori e dai volontari per monitorare la situazione, ma anche per stimolare gli enti locali stessi, che sono spesso latitanti, a cominciare dalla Regione per quanto riguarda la sanità carceraria.

Nel carcere di Mammagialla abbiamo trovato una situazione di sovraffollamento sostanzialmente in linea con gli altri penitenziari che abbiamo visitato, ma abbiamo trovato anche un clima tranquillo fra i detenuti, frutto anche alle iniziative messe in campo dalla nuova direzione che si sta dimostrando sensibile e attiva".

Cremona: lezioni in carcere sul codice della strada

 

La Provincia di Cremona, 7 settembre 2004

 

Domani mattina alle 11, nella sede del comando della polizia municipale, verrà presentato il progetto "guidare informati" realizzato appunto dalla polizia municipale in collaborazione con la casa circondariale e l’Associazione di volontariato Zona Franca.

Il progetto prende le mosse dall’opportunità di procedere ad un’attività di formazione-informazione rivolta alla popolazione carceraria dopo la recente riforma del codice della strada e nell’ambito della più generale attività di diffusione della cultura della legalità tra persone particolarmente svantaggiate. Iniziativa certamente nuova che vede insieme il Comune, che sarà rappresentato dall’assessore Caterina Ruggeri, la direzione del carcere, la polizia municipale, con il comandante Franco Chiari ed il vice comandante Pierluigi Sforza e l’Associazione Zona Franca. Un gruppo che da tempo lodevolmente svolge attività volontaria per rendere il carcere meno lontano dal resto della città.

Cina: pornografia in internet punita con carcere a vita

 

Reuters, 7 settembre 2004

 

La Cina ha intensificato la sua battaglia contro la pornografia su Internet e sui telefoni cellulari, minacciando i distributori di metterli in carcere a vita. Lo ha detto l’agenzia di stampa Xinhua. "A seconda della gravità dei casi, le sentenze vanno dal vivere sotto sorveglianza forzata, alla detenzione, dall’arresto da parte della polizia a vari periodi di carcerazione fino al carcere a vita", ha riferito la Xinhua.

Pechino ha lanciato la sua battaglia contro le oscenità nelle ultime settimane, dicendo di essere preoccupata che il facile accesso a questo genere di materiale su Internet e altrove possa avere un cattivo effetto sui giovani e sulla società. Durante l’ultimo giro di vite, iniziato a luglio, le autorità hanno chiuso centinaia di siti web ed hanno arrestato più di 300 persone. Le nuove pene sono state disposte ieri nelle linee guida diffuse dalla Corte Suprema del Popolo e dall’ufficio del procuratore capo del Paese, ha detto la Xinhua.

Un sito pornografico che sia stato cliccato più di 250.000 volte sarà considerato un caso "molto grave" che potrebbe costare ai suoi produttori una condanna al carcere a vita, ha detto la Xinhua, senza fornire ulteriori precisazioni.

Lazio: Prc chiede consiglio regionale straordinario su carceri

 

Corriere della Sera, 7 settembre 2004

 

Una seduta straordinaria del Consiglio regionale del Lazio per discutere dei problemi degli istituti penitenziari. È quanto chiederà domani durante la Conferenza dei capigruppo Salvatore Bonadonna, capogruppo del Prc alla Pisana, sollecitando che la discussione venga messa al più presto all’ordine del giorno del Consiglio.

"Dalle ultime visite nei vari istituti penitenziari del Lazio - afferma Bonadonna - ho avuto modo di rilevare che i problemi principali dei detenuti sono il sovraffollamento, il taglio dei fondi e l’accesso ai servizi sanitari". E Luca Malcotti, consigliere comunale di An, rilancia: "Per affrontare il problema delle carceri romane, sarebbe opportuno svolgere un consiglio straordinario congiunto di Comune e Regione. Si farebbe così il punto sugli impegni presi dal Campidoglio e non ancora onorati".

Lecco: in settimana riapre il carcere ristrutturato

 

La Provincia di Lecco, 7 settembre 2004

 

Venerdì riapre il carcere di Pescarenico. Prima arriveranno una decina di agenti della polizia penitenziaria con il comandante Vito Perrone. Da lunedì sarà la volta dei detenuti: ne arriveranno sei, per il momento. Tutti a fine pena e con un breve periodo da scontare.

Dalla prossima settimana tornerà ad essere occupato anche l’appartamento del direttore, ruolo che per otto anni è stato ricoperto da Caterina Zurlo fino alla vigilia dei lavori di ristrutturazione e della promozione in quel di Voghera.

Nelle ultimissime settimane il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria aveva individuato in Francesco Frontirrè, direttore del carcere di San Remo, il responsabile di Pescarenico fino al prossimo 30 settembre. Già dalla prossima settimana, tuttavia, il carcere di Lecco avrà un direttore tutto suo. Anzi, una direttrice come nella migliore tradizione cittadina. A Caterina Zurlo succederà la dottoressa Cristina Piantoni attuale vice direttore di San Vittore a Milano e con un recente passato da "vice" a Sondrio e di direttore a Trento.

È lo stesso Luigi Pagano storico direttore di San Vittore recentemente nominato provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, a confermare la promozione della sua ex diretta collaboratrice di cui elogia doti e capacità. Particolare curioso, la casa circondariale di Pescarenico riapre i battenti per soli detenuti uomini mentre in passato ha ospitato anche donne. Non negli ultimissimi anni prima della ristrutturazione, quando le condizioni dell’immobile hanno consigliato altre soluzioni. Ora la riapertura tanto attesa.

Con un inizio graduale, come ha confermato Giuseppe Magni, responsabile dell’edilizia carceraria del ministro Roberto Castelli. Di fatto il carcere sarà utilizzato per la detenzione di arrestati in attesa del processo. E i detenuti che lo occuperanno per primi arriveranno a Pescarenico sui cellulari della polizia penitenziaria e non via lago con le motovedette come ipotizzato in un primo momento. "Entro la fine di ottobre - ha detto Magni - contiamo di mettere a disposizione la struttura all’autorità giudiziaria lecchese.

Non significa e utilizzato per le detenzioni definitive: prima di quello contiamo di allestire tutti quegli spazi necessari per permettere una formazione lavorativa della popolazione carceraria". Il riferimento è all’acquisizione del capannone e del terreno a fianco del penitenziario che il ministero della giustizia vorrebbe acquisire per, appunto, realizzarvi i laboratori in cui i detenuti potrebbero imparare un lavoro. La proprietà avrebbe infatti contattato il ministero per raggiungere una intesa: l’ufficio tecnico erariale (Ute) sarebbe prossimo a formulare una stima del valore del capannone dismesso e del terreno adiacente al carcere di Pescarenico. Il carcere torna in città a distanza di oltre tre anni dall’inizio dei lavori di ristrutturazione che hanno praticamente rimesso a nuovo il vecchio edificio.

Ulivo: nel carcere di Viterbo grave sovraffollamento

 

Ansa, 7 settembre 2004

 

Sono 650 i detenuti reclusi nel carcere viterbese di Mammagialla, la metà dei quali stranieri, contro i 431 che la struttura potrebbe ospitare. Oltre duecento in più, quindi, spesso stipati in due in celle singole. Questi i dati diffusi oggi dai consiglieri regionali Ds Loredana Mazzabotta e Giuseppe Parroncini che, ieri mattina, accompagnati dal capogruppo della Margherita alla Regione Lazio Giovanni Hermanin, hanno compiuto una visita nella casa circondariale. Altre "note dolenti" segnalata dalla delegazione del centrosinistra sono la situazione sanitaria e quella dei reparti infermieristici.

"Nell’ospedale di Viterbo - ha detto Parroncini - è stata creata una struttura di 15 posti in fascia di sicurezza, annessa alla palazzina che ospita la divisione di malattie infettive. Una struttura all’avanguardia, unica nel Lazio, ma non è mai stata attivata".

A detta di Parroncini la responsabilità è della Regione, "che non trasferisce alle Asl i fondi necessari alla gestione". Pochi, secondo i tre consiglieri regionali, anche i 370 agenti di polizia penitenziaria impiegati a Mammagialla. "Lo dimostra hanno affermato il fatto che molti di loro sono costretti a turni massacranti e, spesso, a saltare i riposi. Una situazione esplosiva, alla quale, a Viterbo come nelle altre undici carceri del Lazio, devono far fronte direttori sempre più abbandonati a se stessi". La visita di Mezzabotta, Parroncini e Hermanin al carcere di Viterbo rientra nell’iniziativa intrapresa dal centrosinistra dopo la protesta scoppiata nel carcere romano di Regina Coeli. "Vogliamo capire - hanno concluso - le ragioni che hanno portato i detenuti a manifestare".

Cassazione: il detenuto è depresso? Può ottenere i domiciliari

 

Adnkronos, 7 settembre 2004

 

La depressione può essere "giustificato" motivo per fare aprire le porte del carcere. Lo ha sancito la Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un detenuto che chiedeva le misure alternative alla detenzione in carcere a causa della forte "depressione" determinata dalla reclusione nell’istituto penitenziario. Per la Suprema Corte, "la sindrome ansioso-depressiva può costituire causa di differimento della pena quando assuma aspetti di tale gravità da non essere fronteggiabile in ambiente carcerario".

Di diverso avviso il Tribunale di sorveglianza di Torino che, nel marzo scorso, aveva negato i domiciliari ad Antonio F., rilevando che "la sindrome depressiva, pure di significativa gravità, non era in grado di porre in pericolo di vita il detenuto" e che "ai sensi dell’art. 147 comma 1 n. 2 c.p. non sussisteva nessuna delle due condizioni che consentivano il differimento dell’esecuzione della pena (prognosi infausta per la vita o cure che non possono essere praticate in carcere)".

Contro il no agli arresti domiciliari, il detenuto ha presentato ricorso in Cassazione evidenziando come la "forte depressione" gli avesse provocato anche un calo di peso "oltre trenta chili". La Quinta sezione penale (sentenza 35741/04) ha accolto il ricorso del detenuto, sottolineando che "la sindrome ansioso-depressiva può costituire causa di differimento di pena quando assuma aspetti di tale gravità da non essere fronteggiabili in ambiente carcerario".

Sarà ora il Tribunale di sorveglianza torinese a rivalutare il caso, considerando se la "depressione" del detenuto sia tale da fare sì che "l’espiazione della pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti".

Gorgona: questo è un carcere modello

 

Elba Oggi, 7 settembre 2004

 

Il vice presidente della Regione Toscana, Angelo Passaleva, ha visitato nei giorni scorsi l’isola carcere della Gorgona. Ha parlato di un carcere che deve diventare un modello. Sull’isola infatti non vi sono sbarre e i reclusi escono liberamente e coltivano la terra. Costa meno, ha sottolineato Passaleva, e consente un miglior recupero dei detenuti. Se un ritorno del carcere a Pianosa fosse in questi termini, ha aggiunto, ben venga

"Quello della Gorgona è un modello carcerario che funziona, tanto che andrebbe esportato. Per lo meno utilizzato appieno". È il commento del vicepresidente ed assessore alle politiche sociali della Toscana, Angelo Passaleva, che, nei giorni scorsi, ha visitato l’istituto penitenziario della Gorgona, la più piccola isola dell’arcipelago, 200 ettari di verde e natura incontaminata.

L’isola viene anche da qualcuno definita "la prigione buona" essendo una colonia penale agricola, fin al 1869, dove si lavorano i campi e si fa anche acquacoltura e ricerca biologica. Nell’isola da qualche mese ci sono solo trentacinque detenuti, un quarto della capienza dell’istituto con il rischio di ridurne la capacità produttiva.

"Vale invece la pena - ha sottolineato Passaleva - di potenziare questo modello. I carcerati vivono e lavorano all’aria aperta: una detenzione con molti gradi di libertà, ampie possibilità di recuperato e una buona formazione. Il che riduce poi le recidive e consente di abbattere anche i costi di esercizio dell’istituto. Se un’esperienza simile alla Gorgona sarà realizzata anche a Pianosa ben venga anche lì il ritorno del carcere".

Della possibile imminente riapertura del penitenziario di Pianosa si era infatti parlato qualche settimana fa e su quest’isola una colonia penale agricola c’era, del resto, già prima che alla Gorgona, fin dal 1858. Poi l’isola, fino al 1998, ha ospitato mafiosi e terroristi in un carcere di massima sicurezza.

In visita alla Gorgona con Passaleva c’erano anche Alessandro Margara, già magistrato di sorveglianza ed ora presidente della Fondazione Michelucci, e il professore Nedo Baracani, responsabile per l’università di Firenze del polo universitario del carcere di Prato. Con loro inoltre quattro ricercatori, che per conto della Regione stanno analizzando l’impatto del cosiddetto "trattamento avanzato" e dei carceri aperti sotto il profilo economico e del recupero dei detenuti.

"La ricerca ancora non è pronta - ha spiegato Passaleva - ma la sensazione è che i costi rispetto ad un penitenziario classico siano notevolmente inferiori. Certo anche tra i detenuti che sono stati ospiti alla Gorgona ci sono i recidivi. A volte però dipende dalla comunità dove tornano a vivere, che non è pronta ad accoglierli per il loro reinserimento. Ed è qui che dovremo in futuro lavorare. Come Regione pensiamo infatti ad un carcere che sia una pena, ma anche un luogo dove si forniscono gli strumenti utili per reinserirsi nella società".

Roma: i detenuti di Rebibbia chiedono un confronto

 

Ansa, 7 settembre 2004

 

"L’applicazione delle misure alternative alla detenzione; il drastico ridimensionamento delle misure della custodia cautelare; Rebibbia: Detenuti chiedono un confronto "L’applicazione delle misure alternative alla detenzione; il drastico ridimensionamento delle misure della custodia cautelare; l’automatismo nell’usufruire dei benefici previsti dalla, seppur discutibilissima, legge Gozzini, sottraendola alla discrezionalità dei magistrati di sorveglianza; l’abolizione dell’ergastolo; l’automatica sospensione della custodia cautelare e della reclusione per le mamme con figli minori, per gli ultrasettantenni, per i malati terminali e i grandi invalidi". Sono gli argomenti su cui i detenuti del reparto G12 (alta sorveglianza) di Rebibbia vogliono confrontarsi con "le istituzioni, i partiti, le associazioni e la società civile tutta". Il documento è stato inviato, tra gli altri, al Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria).

Caltanissetta: nasce associazione Papillon - Caltanissetta

 

Associazione Papillon, 7 settembre 2004

 

Anche in Sicilia inizia ad estendersi, dentro e fuori le carceri, il lavoro della nostra associazione. In pochissimi giorni sono arrivate decine di telefonate e lettere di nuovi associati che vogliono fare qualcosa di utile per la difesa dei diritti e della dignità dei Cittadini detenuti ed ex detenuti Nasce l’associazione culturale Papillon - Caltanissetta onlus per la difesa dei diritti e della dignità dei cittadini detenuti e per aiutare gli ex detenuti a reinserirsi nella società e nel mondo del lavoro. Una nuova associazione che ha tra i suoi scopi quello di organizzare iniziative che possono facilitare l’avvicinamento di migliaia di detenuti alla formazione e lavoro e alla cultura.

È l’iniziativa di un nisseno, Alfredo Maffi, 53 anni, che ha deciso, insieme ad altri cittadini, di dare vita all’Associazione Papillon Onlus di Caltanissetta, sezione di quella nazionale che ha sede legale in Piazza Santa Maria Consolatrice 13, 00159 Roma. "Ho deciso di fare qualcosa per tanta gente che soffre - dice Maffi - perché conosco la realtà carceraria italiana e c’è tanto da fare con chi ha magari sbagliato solo una volta e ha bisogno di aiuto per reinserirsi nella società. È quanto ho anche provato sulla mia pelle, durante i 15 anni che ho trascorso in carcere".

Una associazione, la Papillon Onlus, che propone "uno spazio di comunicazione anche per soddisfare la curiosità di chi vuole saperne di più" sulle condizioni e i problemi dei detenuti in Italia, si legge nel volantino che propaganda l’iniziativa. "Presto avremo una sede in via G. B. dei Cosmi 98 - aggiunge Alfredo Maffi - e chi lo vuole, potrà contattarci telefonicamente al 347.6380984".

Nello statuto dell’associazione vengono spiegati i punti del programma: "Vogliamo facilitare lo sviluppo di una piena consapevolezza sulle profonde ragioni sociali che costituiscono la principale causa della continua reiterazione dei reati e sulle infondate argomentazioni che "giustificano" l’uso del carcere come strumento praticamente esclusivo della pena". E ancora: l’Associazione "si prefigge di aiutare i detenuti e gli ex detenuti a risocializzarsi attraverso un reale arricchimento delle loro relazioni, stabilendo a tal fine i migliori rapporti possibili con la società civile e con quanti nelle istituzioni pubbliche dimostrino concretamente di essere a loro vicini" e "fa affidamento su quell’enorme ricchezza costituita dai giovani e dalle donne e gli uomini di cultura che hanno già più volte manifestato l’intelligenza e la sensibilità necessarie per misurarsi con tutti i problemi inerenti la diffusione della cultura e della lotta nel pianeta carcere".

 

 

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