Rassegna stampa 27 settembre

 

Le galere del giustizialismo animalista

di Patrizio Gonnella (Antigone)

 

Fuoriluogo, settembre 2004

 

I detenuti di Regina Coeli ad agosto, col caldo e il sole sulla testa, lanciano, invano, la loro protesta contro il sovraffollamento. Chiedono: un’applicazione meno rigida della recidiva, più misure e sanzioni alternative, l’abrogazione della dichiarazione di abitualità a delinquere, un po’ più di clemenza. Richieste ragionevoli e tempestive visto che da un momento all’altro la Commissione presieduta dal giudice Nordio dovrebbe pubblicizzare il proprio progetto di riforma del codice penale. Un progetto, che in base alle indiscrezioni, non andrebbe nella direzione, auspicata e auspicabile, del diritto penale minimo, della depenalizzazione e della decarcerizzazione. Luigi Ferrajoli, di recente, ha sostenuto che l’unico reato per il quale ci dovrebbe essere l’obbligo costituzionale di previsione codicistica dovrebbe essere il crimine di tortura, visto quanto sancito nell’articolo 27 della Carta Costituzionale. Eppure la tortura non è reato. Invece, da un paio di mesi in qua, "colui che cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno". Galera, sempre galera. La fecondazione artificiale eterologa è punita con la galera. Il doping è punito con la galera. Si chiama Harris. È un bretone. Lui si fida molto dell’uomo. Ci vivo insieme da qualche mese. Non vorrei mai che qualcuno lo costringesse a lavori insopportabili. Non penso minimamente che questo risultato si ottenga brandendo l’arma della prigione, minacciando qualche mese o anno di carcere. In tal modo il sogno del diritto penale minimo diverrà sempre più un mito, irraggiungibile. Non si può sanzionare con il carcere tutto ciò che ci ripugna, tutto ciò che riteniamo moralmente illecito. Oggi il carcere a protezione degli animali, domani a protezione di cosa? E intanto l’ipertrofia del sistema penale si consolida. La riserva di codice è un ricordo oramai superato di qualche anno addietro. Il legislatore, di destra o di sinistra, pensa che il carcere sia l’unica sanzione possibile. Non ci prova neanche a ragionare come in una società post-moderna ci possano essere altre sanzioni, più utili, più efficaci dal punto di vista preventivo speciale e preventivo generale. "Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni". Il carcere, si pensa, fa più paura di tutto. Di una sanzione economica, di qualche proibizione pubblica, di un lavoro socialmente utile. Che società è quella che non riesce a proteggere i propri animali domestici indifesi se non auto-minacciandosi di qualche mese-anno di prigione. L’obiezione classica è la seguente: tanto poi in galera non ci vanno, hanno la sospensione condizionale, l’affidamento, la detenzione domiciliare. Intanto il diritto penale simbolico ha però raggiunto il suo obiettivo di finta rassicurazione. Questa volta degli animalisti. Domani di chi? Più galera per tutti. Se punisco con un anno chi maltratta un animale, dovrò dargliene almeno dieci a chi fa una rapina. Neanche le obiezioni di tipo eticoetologico reggono. La legge dello scorso luglio è a protezione dei soli animali domestici. Recita l’articolo 2, comma 1: "è vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale. La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con l’arresto da tre mesi ad un anno". E gli ermellini, i visoni? Ma allora mettiamo in galera anche i cacciatori. Se la legge vuole proteggere una vita, anche quella di un cinghiale è una vita. Oramai il diritto penale è nelle mani delle corporazioni. Questa volta ha vinto quella degli animalisti.

10 mila detenuti positivi al test per la tubercolosi

 

Gazzetta del Sud, 27 settembre 2004

 

I medici penitenziari lanciano l’allarme per il ritorno di malattie gravi tra i 56.532 reclusi. 10mila persone "positive al test per la tubercolosi". È allarme per il ritorno di malattie gravi tra i 56.532 reclusi che affollano le carceri italiane, dove si registrano ben 10 mila persone "positive al test per la tubercolosi" (quasi uno su cinque), un virus fino a poco tempo fa debellato.

L’allarme arriva dai medici penitenziari, che il 30 settembre si riuniranno a Vibo Valentia per il congresso nazionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria. E l’elenco delle patologie gravi tra i detenuti è nutrito: sono oltre 4mila i sieropositivi in carcere, 14.332 i tossicodipendenti (di cui solo 1.860 in cura con metadone) e 1.157 gli alcolisti. Le patologie psichiatriche, poi, sono in crescita "esponenziale" con 31.548 casi di disagio mentale e un tasso di suicidi "dieci volte superiore al mondo dei liberi".

I dati anticipati da Giulio Starnini, presidente della "Società di Medicina e Sanità penitenziaria", in vista del quinto congresso dell’associazione che collabora con l’Amministrazione carceraria, l’Istituto superiore di sanità e la Clinica universitaria per le malattie infettive di Sassari, sono allarmanti. "Questi numeri - sottolinea Starnini - svelano una verità sommersa: la diffusione di patologie gravi è molto più vasta rispetto ai dati ufficiali e occorre rilanciare l’idea del carcere come laboratorio di sanità pubblica", anche perché "le fasce sociali dei detenuti sono spesso quelle che hanno meno accesso alle cure e ad una informazione adeguata". Una lettura "logica" di questi dati, aggiunge Starnini, spiega che l’alto tasso di positività al test della Tbc - che non significa essere malato, ma essere entrato a contatto col virus (i casi di malattia sono, finora, poche decine l’anno) - è dovuto soprattutto alla presenza dei 17.007 detenuti stranieri che, il più delle volte, nemmeno sanno di essere dei potenziali bacini di infezione.

E questo vale anche per i sieropositivi. In proposito, il presidente di "Medicina e Sanità penitenziaria", sfata il luogo comune che vede il carcere come posto di trasmissione dell’Aids. La realtà è diversa: "contrariamente a quel che si crede - dice - la maggior parte dei detenuti è sieropositiva già all’ingresso e il loro stato sierologico è spesso identificato attraverso il test eseguito in carcere". Praticamente "il periodo di detenzione è, per molti, la prima occasione di contatto con una struttura pubblica e può rappresentare un ambiente relativamente più sicuro, per talune persone con Hiv, rispetto allo stile di vita caotico che conducevano fuori".

La situazione della sanità in carcere è, dunque, sempre più a rischio, tanto che già all’inizio di maggio - davanti alla Commissione Affari sociali e Giustizia della Camera - le associazioni del volontariato che operano nelle prigioni, avevano parlato di escalation di detenuti morti per "malasanità".

I dati forniti parlano di oltre 500 vittime dal 2001 al 2003, la metà delle quali al di sotto dei 40 anni. In quell’occasione fu reso noto che, nel 57,5% delle carceri, si sono registrati casi di Tbc, e nel 66% casi di scabbia, e anche la sifilide è tornata a lasciare la sua impronta. Adesso i dati forniti da Starnini non fanno che confermare, in maniera più circostanziata, la preoccupante situazione della salute di chi - a vario titolo e proveniente da vari paesi - si trova in cella.

Allarme per situazione sanitaria nelle carceri italiane

 

Viterbo News, 27 settembre 2004

 

"Oltre 4.000 sieropositivi, 10.000 positivi al test per la tubercolosi, un tasso di suicidi dieci volte superiore a quello della popolazione libera, un numero di patologie psichiatriche maggiori in crescita esponenziale". Sono i dati sulla situazione sanitaria nelle carceri italiane, dove sono rinchiusi 56.532 detenuti (53.872 uomini, 2.660 donne) snocciolati dal dottor Giulio Starnini, presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, in partenza per Vibo Valentia, dove dal 30 settembre al 2 ottobre si svolgerà il quinto congresso nazionale dell’organizzazione, in collaborazione con il Sidipe, il sindacato dei direttori degli istituti di pena.

"Questi numeri, che svelano una verità sommersa, cioè che la diffusione di patologie gravi è molto più vasta rispetto ai dati ufficiali - spiega Starnini scaturiscono da osservazioni condotte dall’Ufficio servizi sanitari del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria in collaborazione con la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, l’Istituto superiore di sanità e la Clinica di malattie infettive dell’ Università di Sassari".

Secondo lo stesso Starnini, tuttavia, tali numeri, almeno in relazione ad alcune patologia, hanno una loro "logica". "Gli stranieri presenti nelle carceri italiane - argomenta sono 17.007, i tossicodipendenti 14.332 (1.860 dei quali in terapia sostitutiva con il metadone), gli alcool-dipendenti 1.157. I nuovi sieropositivi accertati a tutto il 2003 sono stati 1056.

A questo proposito è importante notare che, contrariamente a quanto si crede, la maggior parte delle persone detenute sono sieropositive già all’ingresso e il loro stato sierologico è spesso identificato attraverso il test eseguito in carcere. La presenza di così tanti extracomunitari, inoltre, spiega il motivo dei circa 10.000 detenuti positivi ai test per la tubercolosi (mentre i casi di malattia sono numericamente riconducibili a poche decine l’anno).

Il penitenziario può quindi rappresentare un ambiente relativamente più sicuro per talune persone con Hiv rispetto allo stile di vita caotico che conducevano nel fuori. Inoltre, le fasce sociali rappresentate dai detenuti sono spesso quelle che hanno di meno accesso alle cure e soprattutto ad adeguati programmi di informazione. In particolare per questi soggetti, il periodo di detenzione è spesso la prima occasione di un contatto con una struttura pubblica.

Bisogna quindi rilanciare l’idea del carcere come risorsa - conclude Starnini - o, meglio ancora, come laboratorio di sanità pubblica, idea peraltro già radicata in Italia grazie alle iniziative intraprese dai sanitari impegnati nella medicina penitenziaria. E proprio questi argomenti faranno da filo conduttore al nostro congresso nazionale.

Situazione molto pesante anche per quanto riguarda la diffusione delle patologie psichiatriche maggiori che vengono trattate all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari. "Nel 2003 dice il dottor Andrea Franceschini, vice presidente della Società e dirigente sanitario del carcere di Regina Coeli di Roma - sono stati rilevati 2.491 casi.

I detenuti che hanno manifestato un disagio psichico - aggiunge - sono stati ben 31.548. C’è poi il delicatissimo tema dei suicidi in cella, che è 10 volte superiore a quello della popolazione libera e le cui motivazioni, pur disomogenee e distante tra loro, non possono essere ricercate in patologie mentali ma piuttosto in una disperata richiesta di aiuto.

Droghe: Carlesi, da 2005 risorse Fondo Nazionale Lotta

 

Ansa, 27 settembre 2004

 

"Le risorse del fondo nazionale per la lotta alla droga, stimato in 120 milioni di euro, a partire dall’anno prossimo dovranno entrare a regime". Lo ha detto Nicola Carlesi, capo del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, parlando a margine del convegno organizzato dalla Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche).

Tali risorse, ha spiegato, per il 75% sono trasferite alle Regioni e per il 25% "restano al Dipartimento, per i progetti relativi ai ministeri competenti e, all’interno dello stesso Dipartimento, per l’osservatorio epidemiologico, che ha lo scopo di avere un monitoraggio costante sul fenomeno della diffusione della droga e le caratteristiche dei soggetti che abusano di tali sostanze, con l’obiettivo di delineare le strategie di intervento".

Carlesi ha altresì sottolineato come il quadro delle tossicodipendenze in Italia sia "cambiato moltissimo. Da un lato - ha detto - il problema dell’eroina resta importante. Basti pensare che il 75% delle persone che si rivolge ai servizi pubblici o alle comunità terapeutiche è eroinomane e, in generale, il numero di quanti ne fanno uso è sostanzialmente stabile, anche se vi è un aumento del consumo e delle morti per overdose tra le donne".

Un problema che quindi si "è cronicizzato, mentre dall’altra parte cresce il consumo di altre sostanze e soprattutto di cocaina e hashish e quelle sintetiche. Nel 2003 - ha proseguito Carlesi, ricordando i dati della relazione annuale al Parlamento - c’è stato un aumento del 3% dei consumatori di cocaina e allo stesso tempo è emerso un approccio estremamente precoce, in media intorno ai 15 anni". Per quanto riguarda le comunità terapeutiche, rappresentano "una risorsa fondamentale di cui non si può fare a meno".

In generale, però, il numero dei tossicodipendenti che ricorrono alle comunità "è in diminuzione. Un dato che fa preoccupare", ha proseguito il capo del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, aggiungendo che per quanto riguarda il metadone, invece, "purtroppo è ancora percentualmente il sistema più usato nei servizi pubblici". Quanto, infine, alla IV Conferenza triennale sulla droga "che è in ritardo di un anno", Carlesi ha ribadito che "deve essere svolta nei primi mesi del 2005. Si cercano i fondi, ma credo che sia assolutamente opportuno farla".

Bologna: casa e diritti agli immigrati, no al Cpt

 

Il Manifesto, 27 settembre 2004

 

Hanno sfilato in circa cinquemila, ieri pomeriggio a Bologna, per chiedere "libertà per i migranti" e per protestare contro il "contratto di soggiorno", per la parità di diritti, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati e per la chiusura dei Cpt. In piazza immigrati con mogli e bambini, Bologna social forum e disobbedienti, Acli e Coordinamento migranti, esponenti di Cgil, Cisl e Uil, di provincia e comune (c’era la vicesindaco Adriana Scaramuzzino).

"La legge Bossi-Fini va riscritta, come va data una risposta anche ai temi della casa e dei diritti per queste persone", ha detto Alessandro Alberani, segretario della Cisl di Bologna. "La convivenza è il nostro futuro" era scritto sullo striscione d’apertura, tenuto da un cordone di bambini stranieri e preceduto da due piccoli marocchini, di 3 e 4 anni, che si tenevano per mano. Tante anche le bandiere della pace. Nella tarda mattinata, qualche centinaio di disobbedienti hanno tenuto un presidio davanti al Cpt di via Mattei, eludendo i divieti e i blocchi decisi dalla questura passando per un campo arato. Il corteo, aperto dallo striscione "Chiudere i Cpt, disobbedire alla Bossi-Fini", si è trovato la strada sbarrata da agenti in assetto antisommossa, per questo ha deviato per i campi riuscendo ad arrivare ad appena una ventina di metri dal muro di cinta, verso il quale sono stati lanciati fumogeni e qualche razzo. Dall’interno, i 40 immigrati detenuti (fra cui 15 donne) battevano su dei pezzi di ferro per farsi sentire dai manifestanti.

Nel frattempo i parlamentari Paolo Cento (Verdi) e Titti de Simone (Prc) sono entrati nel centro. "Neanche uno zoo è concepito in questa maniera", ha commentato De Simone, mentre Cento ha annunciato la presentazione di una mozione alla camera per la chiusura dei Cpt e l’abrogazione della Bossi-Fini. Luca Casarini ha invece invitato il sindaco Sergio Cofferati a "venire davanti al Cpt, incatenarsi e fare lo sciopero della fame, dato che si è detto ultrademocratico e contrario ai Cpt".

All’alba, invece, un gruppo che si è firmato "Fratelli di Semira Adamu" (una ragazza nigeriana morta nel 1998 sull’aereo che la rimpatriava dal Belgio alla Nigeria) ha rovesciato letame davanti alla porta della sede bolognese della Croce rossa e scritto con vernice rossa "Croce Rossa di vergogna" e "Chiudere i Cpt".

La rivendicazione, riportata dal sito www.globalproject.info, avverte che "le complicità, le ambiguità e le responsabilità dalla Croce Rossa italiana e di tutte le altre organizzazioni e aziende coinvolte nella carcerazione e deportazione dei migranti in questo paese, daranno luogo ad atti di boicottaggio e di sabotaggio fino a quando queste non abbandoneranno gli appalti e i Cpt verranno chiusi". Accuse vengono rivolte anche al direttore della Croce rossa di Bologna, del quale vengono chieste le dimissioni. Oggi gli immigrati scenderanno in piazza anche a Roma, per un corteo autorganizzato. L’appuntamento è alle 16 a piazza della Repubblica.

Milano: la squadra dei detenuti sconfitta per 3-0

 

Corriere della Sera, 27 settembre 2004

 

Sono uomini duri, non c’è dubbio, i detenuti-giocatori del Freeopera, la formazione di calcio che milita in II Categoria, ma ieri, anche a loro, l’emozione ha tagliato le gambe. Per la prima volta la squadra ha disputato un incontro al di fuori delle mura del carcere. Sceso in campo a punteggio pieno (due vittorie nelle prime due gare), il Freeopera è stato sconfitto per 3-0, a Mediglia, dalla Trigintese, formazione che aveva raccolto solo un punto nei precedenti incontri.

Il debutto esterno, alla presenza di un migliaio di tifosi, nella quasi totalità parenti e conoscenti dei carcerati, è finito dal punto di vista sportivo con una delusione. L’emozione e la tensione accumulate nei giorni scorsi hanno giocato un brutto scherzo ai calciatori allenati dall’algerino Nureddine Zekri. Chiuso il primo tempo sullo 0-0, all’inizio della ripresa la Trigintese è passata in vantaggio con Arcamone. Smanioso di recuperare il risultato, il Freeopera si è gettato in avanti aprendo ampi varchi nella sua difesa, battuta altre due volte nel giro di otto minuti da Putzolu e da Zucca.

Alberto Fragomeni, direttore del carcere e presidente della squadra, respinge però le giustificazioni emotivo-psicologiche. "Mancavamo di otto titolari - dice - perché non hanno il permesso di uscire". Per evitare che il problema si ripeta nelle prossime trasferte, ha già promesso che cercherà di recuperare almeno un paio di titolari, facendo loro ottenere il permesso di uscita. Inoltre, preannuncia una campagna acquisti di rafforzamento, che prevede il trasferimento ad Opera di qualche detenuto-calciatore.

"Una giornata storta - dice Alex, l’unico "uomo libero" della squadra - ci può stare. Ho deciso di fare questa esperienza e mi trovo benissimo. Sono orgoglioso di far parte della formazione". Ieri, ai calciatori-detenuti non era consentito incontrare parenti e conoscenti. Un po’ tutti però hanno chiuso un occhio. Così i congiunti hanno approfittato dei momenti in cui i calciatori entravano e uscivano dal campo ammassandosi accanto alla rete di recinzione. Poi, al tramonto, il pullman della polizia penitenziaria ha riportato in carcere la squadra. Un piccolo di quattro anni, biondo e con gli occhi azzurri, l’ha seguito finché è sparito dietro una curva. "Oggi il mio papà ha perso - ha detto con gli occhi lucidi - ma non importa. Io sono riuscito a vederlo e a dargli un bacio". Il 3-0 si dissolve. La vittoria più bella rimane la sua.

Il governo catalano scopre la violenza in carcere

di Roberto Bergalli (Osservatorio diritti umani)

 

Fuoriluogo, settembre 2004

 

Vorrei occuparmi ancora una volta della situazione penitenziaria in Catalogna, l’unica delle Comunità autonome dello Stato spagnolo a esercitare le competenze sulle carceri. Come si sa, in Spagna sono avvenute profonde trasformazioni tanto nel governo dello Stato quanto in quello catalano, dopo che in entrambi i sistemi politici si sono insediate le forze coalizzate della sinistra democratica, mettendo al bando a Madrid la destra conservatrice – che aveva voluto sfruttare la strage dell’11 marzo provocata da gruppi islamici radicali nelle elezioni legislative di tre giorni dopo – e defenestrando a Barcellona Pujol e i suoi seguaci della chiesa, tramite il cosiddetto tripartito composto da socialisti, repubblicani (in una monarchia costituzionale!) e la coppia comunisti-verdi.

Queste trasformazioni hanno avuto ovvie ripercussioni: in campo internazionale, il ritiro delle truppe spagnole dall’Irak che ha provocato esitazioni non solo nelle altre potenze occupanti – tra cui l’Italia – ma anche all’interno della società spagnola, come pure forti tensioni sul rapporto costituzionale dello Stato con le autonomie, al punto che dopo l’estate si parla già non solo di riforma degli Statuti delle differenti autonomie, ma anche della stessa Costituzione del 1978. All’interno del nuovo governo catalano, i rapporti del tripartito non sono ancora molto chiari e la distribuzione dei dicasteri ha dovuto soddisfare le richieste di ogni partito. La Giustizia, ivi comprese le competenze penitenziarie, è toccata a un piccolo gruppo (Ciutadans per il cambi) che pur essendo stato extra-parlamentare, aveva ruotato intorno al Partito dei socialisti di Catalogna (Psc), in appoggio all’allora candidato Maragall, divenuto Presidente della Generalitat con il successo elettorale alla fine del 2003.

È vero che c’era un forte bisogno di intervenire sulle carceri. L’amministrazione precedente, nelle mani del partito della Chiesa Unió Democrática, alleato di Convergencia de Catalunya allora guidato da Jordi Pujol, in vent’anni aveva stabilito dei regimi di privilegio all’interno delle carceri e favorito la corruzione alla stregua di un business penitenziario. I sindacati dei funzionari si sono sempre più induriti. Uno in particolare, di recente subentrato nella Unión General de Trabajadores (Ugt) vicino al Partito Socialista di governo, si è fatto forte e ha rafforzato atteggiamenti di estrema durezza verso i detenuti. Il numero di questi ultimi è aumentato continuamente negli ultimi anni, a seguito di una politica criminale e penale massima, ispirata dagli estremisti di destra insediati a Madrid per mano dell’ex presidente Aznar, l’inseparabile amico di Bush e Blair.

La politica del rigore (Law and Order, zero tollerance, ecc.) ha anche coperto tutte le attività carcerarie. Gli abusi, i maltrattamenti, perfino le torture sono stati accertati dai gruppi di avvocati democratici e, soprattutto, dall’Osservatorio del sistema penale e dei diritti umani (Ospdh) dell’Università di Barcellona, vicino all’associazione italiana Antigone e facente parte della rete europea di osservatori analoghi. All’inizio di questo anno, e cioè appena in Catalogna si è insediata la nuova amministrazione penitenziaria, questa è stata investita dalle polemiche successive all’omicidio di un detenuto a Can Brians, un penitenziario nelle vicinanze di Barcellona, con l’evidente sospetto di una responsabilità diretta dei funzionari carcerari.

Il caso è ancora sub judice, ma ha comunque evidenziato la mancanza di una chiara direzione delle carceri. Qualche mese dopo, sono scoppiati duri scontri tra poliziotti e detenuti all’istituto Quatre Camins a Roca del Vallès, in consequenza dei quali è rimasto gravemente ferito il vice-direttore del carcere. La verità sulla loro origine è raccontata in maniera diversa dai detenuti accusati di avere dato inizio agli scontri, e dai loro avvocati e familiari. Come succede di solito in tutte le carceri del pianeta terra, gli indiziati sono stati trasferiti in gran numero in altri istituti della Catalogna, tra cui quello di Can Brians sopra citato. Durante i trasferimenti si sono verificate sevizie e torture che l’Ospdh ha subito denunciato insieme agli avvocati delle vittime. I media si sono interessati alla vicenda e hanno denunciato ripetutamente quanto veniva alla luce.

Questo ha spinto infine la nuova amministrazione penitenziaria e il consigliere per la Giustizia a prendere provvedimenti nei confronti dei funzionari responsabili; intanto la giurisdizione penale continua l’indagine. In queste ultime settimane, nonostante la serietà della denuncia dell’Osservatorio sia dimostrata, continuano le ingiurie dei funzionari e dei poliziotti nei loro confronti. Intanto l’opinione pubblica catalana e quella spagnola sono al corrente di quanto sia difficile portare un discorso democratico nelle carceri e fino a quale punto gli interessi del sindacato possano favorire un carcere duro e corrotto, come è sempre stato in tante parti del mondo. Ora bisogna attendere che i politici catalani al governo possano trarre insegnamento dalle loro esperienze impedendo l’ulteriore verificarsi di violenze nelle carceri che la precedente amministrazione cattolica aveva permesso.

Reggio Emilia: Comune interviene sui problemi dell’Opg

 

Emilia Net, 27 settembre 2004

 

Nella seduta di venerdì scorso, il Consiglio comunale ha discusso e approvato una mozione sottoscritta da tutti i gruppi di maggioranza (primo firmatario il cons. Matteo Sassi, capogruppo di Rifondazione Comunista), che affronta la situazione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia.

Approvato con 25 voti a favore (Ds, Margherita, Pdci, Prc, Verdi, Laboratorio per Reggio), 5 contrari (An, Udc) e 4 astenuti (Fi, Gente di Reggio), il documento prende avvio da una disamina della problematica condizione dell’Opg, ad iniziare dal dato del sovraffollamento (220 detenuti anziché i 134 previsti dalla legge), che "rappresenta un segno d’inciviltà per un paese democratico e per una popolazione solidale come la nostra".

"Gli internati - è scritto nella mozione - vivono una particolare condizione di difficoltà e sofferenza umana, ulteriormente aggravate dal sovraffollamento e dalla scarsità di risorse per attività ricreative e riabilitative; dalla società civile, dal mondo del volontariato e dagli stessi operatori si è levata una forte denuncia nei confronti della carenza di servizi esterni in grado di assistere gli ex-internato nel processo di reinserimento sociale e relazionale; un internato dell’Opg non ha le stesse possibilità di usufruire delle misure alternative alla detenzione dei carcerati comuni; l’internamento in Opg può trasformarsi in una condanna a vita indipendentemente dal reato commesso o di cui si è accusati, infatti, la legge stabilisce solo la durata minima dell’internamento".

"Poiché per gli internati provenienti dalla regione Emilia Romagna - continua il documento - si sono potuti approntare progetti e percorsi di riabilitazione, risulta moralmente e politicamente inammissibile che persone internate provenienti da altre Regioni d’Italia siano sostanzialmente costrette a non poter uscire dall’Opg una volta stabilita la loro non pericolosità sociale. Un incremento qualitativo e quantitativo dei servizi esterni, concordato tra tutte le istituzioni competenti e la società civile, può essere un ulteriore ed importante elemento di garanzia nel riesame della misura di sicurezza comminata a ciascun internato, rendendo possibile soluzioni effettive al problema del sovraffollamento e dell’accoglienza.

Doveroso e necessario, quindi, intervenire localmente, individuando risorse, strutture e politiche volte ad ampliare i servizi esterni locali e fornire così un aiuto concreto al reinserimento sociale e relazionale degli internati e degli ex-internati, considerato che scopo principale di tali politiche deve essere l’inclusione sociale e relazionale delle persone."

Il documento impegna la Giunta "ad approfondire la tematica nella competente Commissione consiliare e a convocare immediatamente un tavolo di confronto orientato al monitoraggio e all’elaborazione di politiche che coinvolgano le istituzioni preposte al trattamento di queste tematiche, delle Regioni di provenienza degli internati ed anche i soggetti che regolarmente svolgono servizi d’assistenza e volontariato all’interno dell’Opg o che, già oggi, affiancano gli internati e gli ex-internati nel loro reinserimento sociale; a garantire, infine, l’eventuale e volontaria partecipazione al tavolo dei consiglieri e delle consigliere che credono di poter apportare un proprio importante contributo

Toscana: 2 milioni per l’assistenza ai malati di Aids

 

Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2004

 

Nuovi finanziamenti per assicurare l’assistenza domiciliare ai malati di Aids in Toscana. La Giunta regionale ha approvato infatti la ripartizione di oltre 2 milioni di euro stanziati dal ministero, che verranno destinati alle varie aziende ospedaliere e sanitarie, per finanziare le attività domiciliare assicurate dai reparti e dai servizi territoriali.

Circa la metà andranno ai reparti ospedalieri che, attualmente hanno in carico 990 pazienti. Oltre un milione di euro saranno invece suddivisi tra i servizi territoriali della Asl. "Sono risorse importanti - spiega l’assessore regionale per il Diritto alla salute Enrico Rossi - in un momento in cui sembra che nella pubblica opinione la percezione del pericolo rappresentato dall’Hiv si sia allentata".

L’assistenza domiciliare è una delle principali azioni finanziate dalla Regione, impegnata anche con investimenti per le strutture, per progetti di prevenzione e di assistenza farmacologica: test e farmaci, anche i più recenti e costosi, sono completamente gratuiti e assicurati a tutti, anche ai detenuti negli istituti penitenziari.

In Toscana in dieci anni (1993-2003) si contano 3.215 casi di Aids, che collocano la regione al quinto posto in Italia. La mappa della malattia conta in Toscana 86 nuovi casi nel 2003 (contro i 112 del 2002) di cui 25 a Firenze, 3 a Massa Carrara, 5 a Lucca, 6 a Pistoia, 21 a Livorno, 8 a Pisa, 5 ad Arezzo, 4 a Siena, 4 a Grosseto e 5 a Prato. Il tasso di incidenza (ossia il numero dei nuovi casi per 100mila abitanti) va da un minimo di 2,1 di Lucca a un massimo di 6,8 a Livorno. Dal 2001 in poi non si è registrato in Toscana nessun caso di Aids pediatrico.

Lotta alla mafia, il Governo approva nuove norme

 

Sesto Potere, 27 settembre 2004

 

Il Consiglio dei Ministri, fra i vari provvedimenti, ha approvato su proposta del Presidente del Consiglio, Berlusconi, del Ministro della giustizia, Castelli, del Ministro dell’interno, Pisanu, e del Ministro dell’economia, Siniscalco un disegno di legge che delega il Governo a provvedere al riordino dell’ attuale disciplina in materia di beni sequestrati o confiscati alle organizzazioni criminali.

Il Governo intende rafforzare e rendere più efficaci gli strumenti (in primo luogo sequestro e confisca) per contrastare l’arricchimento illecito della mafia e delle altre organizzazioni criminali, privandole dei beni acquisiti e devolvendoli all’erario in vista del loro riutilizzo.

Il sequestro e la confisca dei beni mafiosi, con il seguente rientro nell’economia legittima e il loro uso pubblico nonché per fini sociali, rappresentano uno dei modi più efficaci per combattere tutte le mafie, aggredendole in uno degli aspetti più sensibili.

Per il Governo significa evitare il mantenimento della manovalanza mafiosa, il reinvestimento in attività illecite, l’ingresso nell’economia sana di imprese a capitale mafioso. In luoghi ove la simbologia del potere e la sua espressione attraverso i beni accumulati sono ancora forti, sottrarre terreni, case, aziende ai mafiosi significa far venire meno la loro forza, che esercita una pericolosa attrazione; ancor più quando i beni vengono sfruttati per fini pubblici ( caserme delle forze dell’ordine, uffici) o per fini sociali attraverso cooperative in grado di recuperare i beni e farli rendere con la creazione di posti di lavoro.

Il Governo ritiene che la riforma sia necessaria per migliorare l’efficacia operativa della legge, rendere le procedure più rapide e snelle, gestire al meglio i beni. A quest’ultimo proposito, va segnalato come la gestione attraverso funzionari pubblici e con la partecipazione dei Prefetti e dei Procuratori distrettuali in sede periferica, nonché di un Comitato di Alta Vigilanza in sede centrale, con l’intervento anche del Procuratore nazionale antimafia, assicurerà maggior trasparenza ed eviterà condizionamenti sugli amministratori.

Infine, per il Governo c’è la possibilità di assicurare un fondo economico o garanzie a carico dello Stato permetterà alle imprese sequestrate o confiscate di proseguire la loro attività. I beni immobili non verranno venduti per evitare il rischio di acquisto da parte degli stessi mafiosi o di prestanome. Eventualmente, in assenza di qualsiasi uso, potranno essere demoliti.

Con queste riforme, frutto di lunghi e fruttuosi dibattiti e della costante collaborazione con il Presidente della Commissione Antimafia Senatore Centaro, nonché dell’esperienza acquisita sul campo attraverso l’associazionismo e l’attività degli uffici giudiziari, lo Stato potrà disporre di strumenti più efficaci nella lotta alle mafie. Si tratta dell’ennesima dimostrazione, dopo l’approvazione del nuovo articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, dell’indirizzo chiaro ed univoco del Governo.

Il Papa incontra Polizia penitenziaria femminile

 

Ansa, 27 settembre 2004

 

"Abbiate sempre cura della vostra vita spirituale perché il vostro lavoro nelle carceri richiede una solida maturità umana", dice il papa. Senza dimenticare, aggiunge, che il valore primario della persona umana deve essere alla base di ogni etica civile e professionale e della relativa formazione. Il papa ha ricevuto a Castel Gandolfo le 284 allieve delle scuole di Verbania e Parma della Polizia penitenziaria

 

Le agenti donne favoriscono l'umanizzazione delle carceri

 

Le carceri possono trarre un contributo alla loro umanizzazione dall’impiego di agenti donne. Lo ha detto oggi Giovanni Paolo II nel discorso rivolto ai funzionari del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e gli Agenti della Polizia Penitenziaria Femminile.

Il Pontefice ha pure proposto un modello cristiano nel trattamento dei carcerati: san Vincenzo De Paoli. Questo santo, divenuto celebre per l’aiuto ai poveri del suo tempo è stato ricordato come possibile modello anche per l’oggi. Il Papa ha posto in rilievo la figura femminile "in quanto richiede una solida maturità umana, che permette di coniugare la fermezza con l’attenzione alle persone.

A tale scopo - egli ha detto - giova l’essere donne, con qualità propriamente femminili che incidono positivamente sul rapporto interumano". Per una coincidenza, - ha poi aggiunto il pontefice - ricorre oggi, 27 settembre, la memoria liturgica di san Vincenzo de Paoli, grande santo della carità.

"Egli soffrì personalmente le durezze del carcere, e insegnò alle "Dame", poi Figlie della Carità, una speciale attenzione per quella categoria di poveri che sono i "forzati". Chiedeva di avere con loro comprensione e di esigere per essi un trattamento umano. "Il valore primario della persona umana e l’autentica promozione di giustizia - ha concluso Giovanni Paolo II – deve essere alla base di ogni etica civile e professionale e della relativa formazione".

Papa: carceri più umane e formazione del personale

 

Vita, 27 settembre 2004

 

 

Carceri più umane grazie anche ad una più adeguata formazione del personale. È quanto chiede Giovanni Paolo II ai dirigenti del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), ricevuti questa mattina a Castelgandolfo a conclusione di un corso di formazione riservato al personale femminile della polizia penitenziaria.

"La volontà di autentica promozione della giustizia si attui con successo in ogni settore dell’Amministrazione Penitenziaria italiana", ha auspicato Wojtyla, sottolineando che "il valore primario della persona umana deve essere alla base di ogni etica civile e professionale e della relativa formazione". Secondo il Papa, il modello da seguire nel rapporto con i detenuti deve essere quello del "grande santo della carità" Vincenzo de Paoli, che "soffrì personalmente le durezze del carcere, e insegnò alle dame figlie della carità, una speciale attenzione per quella categoria di poveri che sono i forzati".

"Chiedeva - ha ricordato - di avere con loro comprensione e di esigere per essi un trattamento umano". San Vincenzo, infatti, "era animato dall’amore di Cristo, che nel Vangelo si identifica anche con il carcerato". Salutando poi le 400 giovani agenti presenti all’incontro, il Papa ha ricordato che la loro funzione richiede "una solida maturità umana, che permetta di coniugare la fermezza con l’attenzione alle persone".

"A tale scopo - ha osservato - giova certamente il fatto di essere donne, con quelle qualità propriamente femminili che incidono positivamente sul rapporto interumano". "Soprattutto però - ha concluso rivolgendosi ancora la personale femminile della polizia penitenziaria - vi sarà necessaria la forza interiore che viene dalla preghiera, cioè dall’intima unione con Dio in ogni situazione della vita, anche nelle occupazioni quotidiane".

Vibo Valentia: congresso della medicina penitenziaria

 

Quotidiano di Calabria, 27 settembre 2004

 

Da giovedì 30 settembre al 2 ottobre prossimi, a Vibo, i medici e gli infermieri penitenziari italiani dibatteranno i temi etici e scientifici più caldi di questa giovane branca della medicina, che ormai si avvia al riconoscimento della sua autonomia culturale ed operativa nell’ambito della medicina di comunità.

"Carcere: la salute obbligata" è il tema significativo che la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria ha scelto per il suo V congresso. L’assise è stata assegnata alla Calabria anche come riconoscimento dell’intensa attività che nella regione è stata portata avanti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Provveditorato regionale, retto da Paolino Maria Quattrone.

Frosinone: la scuola superiore entra nel carcere

 

Il Messaggero, 27 settembre 2004

 

È nato a Frosinone il primo istituto scolastico statale per detenuti che vogliono raggiungere il diploma di scuola superiore. È un istituto professionale frequentato dai ragazzi del carcere ciociaro. E uno di loro, Marco Ferrari, verrà premiato oggi alle 16 durante il convegno organizzato nel palazzo della Provincia sul rapporto scuola-carcere.

"Finalmente la scuola pubblica ha deciso di entrare in carcere - dice Fausta Dumano, docente volontaria negli istituti di pena - Finora a Frosinone c’erano solo elementari e medie, ma solo le superiori possono far compiere al detenuto il necessario salto culturale per poter essere riaccolto nella società". Come ha deciso di fare volontariato?

"Nella mia vita sono passata dalle scuole degli operai a quelle dei disagiati ai corsi per immigrati fino ai carcerati. Una svolta avvenuta l’anno scorso, quando sono entrata per la prima volta nel carcere. Il giovane detenuto è come un bicchiere di carta esposto ad un vento arrogante: senza una politica di reinserimento serio finisce nella spazzatura".

Verona: Cgil Cisl e Uil, continua situazione di emergenza

 

Segreterie di Cgil Cisl Uil, 27 settembre 2004

 

Una delegazione delle segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil di Verona, ha effettuato, in questi giorni, una visita alla Casa Circondariale di Montorio, e – nell’occasione – ha incontrato il Direttore dott. Salvatore Erminio e una rappresentanza delle organizzazioni sindacali della Polizia Penitenziaria.

La delegazione (formata da Carla Pellegatta segretaria Cgil, Antonio Bova segretario Cisl e Mario De Amicis, segretario generale Uil) ha inteso – con questa visita – rimarcare l’attenzione forte del sindacato confederale sulle problematiche della struttura di Montorio, situazione più volte denunciata dai sindacati di categoria della Polizia Penitenziaria e che è stata oggetto, nel luglio scorso, di numerosi articoli di stampa e di interrogazioni parlamentari.

La situazione riscontrata nella struttura di Montorio ha assunto – ormai da tempo- le caratteristiche di una vera emergenza. Le sezioni detentive concepite per una capienza ottimale di un detenuto per ogni cella, per un totale di 243 uomini e 27 donne, e di una eventuale capienza tollerabile di 461 maschi e 60 femmine, ospitano attualmente più di 700 uomini e 65 donne. Praticamente tre persone devono convivere in uno spazio di 12 metri quadri, con una cubatura di circa 33 mc. (si consideri che la cubatura ottimale per persona non dovrebbe essere inferiore ai 30 mc., secondo le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità) in condizioni igienico sanitarie intollerabili, senza contare i rischi di malattie, e le conseguenze che un simile sovraffollamento può determinare sul piano dei rapporti interpersonali.

Questa situazione si è considerevolmente aggravata durante la stagione estiva, con la sospensione dell’erogazione dell’acqua per alcune ore al giorno in un contesto reso invivibile per l’eccesso di presenze e peggiorato dalla insufficiente ventilazione dei locali. Peraltro questo stato di cose rischia di protrarsi anche oltre la stagione estiva per carenze strutturali delle condutture idriche.

Molte celle e – più ancora – le docce, sono in condizioni pessime (infiltrazioni d’acqua, muri scrostati, cavi elettrici volanti, ecc.). Gli spazi comuni sono insufficienti e poco e male attrezzati per cui non consentono lo svolgimento di attività ricreative e, cosa ancora più grave, il sovraffollamento e la persistente carenza di risorse economiche non permettono di far svolgere attività lavorative se non per un esiguo numero di detenuti, ovviamente a rotazione. Nella scorsa primavera, infatti, il finanziamento ministeriale ai lavori interni ha subito una riduzione del 30% che potrebbe aggravarsi di un ulteriore 30% nei prossimi mesi.

Anche nella sezione femminile le donne possono lavorare solo a turno, perché l’eccessivo numero di presenze è del tutto incompatibile con i laboratori esistenti.

Siamo in presenza di una situazione potenzialmente esplosiva e che, già di per sé, può solo produrre abbrutimento e perdita della dignità.

Anche il diritto di telefonare ai familiari è oggettivamente ridotto, perché i telefoni disponibili e la trafila per mettere in contatto le persone detenute con i familiari richiedono (per oltre 700 persone) tempi assolutamente ingestibili.

Sul piano igienico sanitario è alto il rischio di epidemie. A seguito del verificarsi di un caso di Tbc tutti i detenuti e il personale di custodia sono stati sottoposti ai necessari test.

Le cose non vanno molto meglio per il personale della Polizia Penitenziaria, costretto a turni massacranti, e con un organico che risulta fortemente sottodimensionato.

Come Organizzazioni Sindacali pensiamo che il carcere di Montorio debba diventare una priorità per le forze sociali e politiche di questa città, e il senso della visita è stato proprio quello di dare continuità alla denuncia già lanciata dal personale interno e da alcuni parlamentari veronesi, per evitare che – come sempre accade in queste situazioni – l’"emergenza-carcere" torni nel dimenticatoio, magari fino al prossimo caso di Tbc.

Le priorità riguardano:

il ripristino della capienza numerica di massimo 2 persone per cella, operando prioritariamente, sul terreno delle misure alternative alla detenzione delle quali, attualmente, beneficiano pochissime persone;

interventi finalizzati a ripristinare condizioni igienico-sanitarie adeguate a partire dalla necessità di dotare ogni cella di una doccia propria;

interventi per attuare maggiori momenti di "scambio" fra il Carcere e la città, sostenendo quanti, da anni, operano attivamente e positivamente all’interno della struttura come nel caso del volontariato;

individuare la possibilità di costruire/ricavare spazi ulteriori da adibire ad attività lavorative, coinvolgendo, in progetti mirati, anche il mondo delle imprese (come si sta positivamente sperimentando in altre realtà, vedi il Carcere di S. Vittore a Milano);

sollecitare le istituzioni preposte a destinare maggiori risorse economiche (magari già a partire dalla prossima legge finanziaria) per interventi strutturali (compreso il completamento del progetto – tutt’ora fermo – di ricavare un’area verde all’interno del cortile);

chiedere alla Regione la disponibilità ad erogare ulteriori risorse per organizzare corsi di formazione/qualificazione professionale attivando, nel contempo, una seria verifica sulle modalità di impiego delle stesse;

colmare le carenze di organico della polizia penitenziaria.

A livello locale, poi, bisognerebbe migliorare l’accessibilità alla Struttura con l’impiego dei mezzi pubblici (la zona, attualmente, è servita pochissimo) e collocando un minimo di segnaletica stradale che consenta, a chi arriva da fuori città, di individuarla agevolmente.

La città di Verona può e deve farsi parte attiva per concorrere alla soluzione di questa emergenza.

 

Per le segreterie di Cgil Cisl Uil, Carla Pellegatta – Antonio Bova – Mario De Amicis

 

 

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