Rassegna stampa 23 settembre

 

Firenze: crescere i figli delle detenute in ambiente idoneo

 

Nove da Firenze, 23 settembre 2004

 

"Sarà nostra volontà ampliare i servizi attualmente esistenti per i detenuti". E’ il commento dell’assessore alla marginalità Lucia De Siervo, che questa mattina ha visitato il carcere di Sollicciano. I servizi in questione sono quelli riguardanti le attività di formazione e insediamento nel mondo del lavoro, come la formazione informatica, i lavori di falegnameria e di riparatore di biciclette, oltre alle attività sportive e culturali.

"Di particolare importanza - ha detto l’assessore De Siervo - è l’avvio del progetto Theo, che ha l’obiettivo di eliminare i bambini dal carcere. Attualmente a Sollicciano si trovano 3 bambini (in media il numero dei presenti va da 3 a 8) sotto i tre anni". "Per quanto i bambini si trovino in una sezione apposita - ha proseguito l’assessore - e siano seguiti da volontari e trattati con particolare riguardo dalle agenti, il carcere non è un luogo idoneo alla loro crescita".

Il progetto Theo, che fa parte della "Rete Regionale dell’alloggio sociale" finanziato dal Cesvot, è promosso dal Comune, e consiste nella creazione di un centro d’accoglienza esterno al carcere, idoneo alla crescita dei piccoli, e che consenta alle madri di scontare la pena. L’Assessore ha poi visitato il cantiere del "Giardino degli incontri", luogo dove i detenuti riceveranno le visite, progettato dall’ architetto Giovanni Michelucci, ormai prossimo alla conclusione. Infine, la De Siervo, ha ribadito che "il vero problema di Sollicciano rimane quello del sovraffollamento, dal momento che Sollicciano è un luogo nato per ospitare 500 persone, ma oggi detiene più di 950 persone".

Cagliari: centro servizi per l’integrazione emarginati

 

L’Unione sarda, 23 settembre 2004

 

Un centro servizi a Sinnai per l’inserimento e il reinserimento dei soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro. L’obiettivo è quello di fornire agli interessati, alle famiglie, alle scuole e alle associazioni un’adeguata rete di informazione su un problema particolarmente attuale. Ma anche di informare e orientare le imprese sulle opportunità e sulle agevolazioni per facilitare l’assunzione di portatori di handicap. L’obiettivo è creare una rete sociale di sostegno tra soggetti datoriali, sociali, sindacali, del volontariato, dell’impresa sociale isitituzionale.

Ma anche a creare una prima banca dati per realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e di orientare e avviare alla formazione o alla riqualificazione professionale. Le attività del Centro sono rivolte a persone in condizioni di estrema povertà, disabili, tossicodipendenti, immigrati, ex detenuti. Per questo anche di recente si sono tenuti in Municipio incontri e seminari formulati in maniera tale da creare una rete sociale nella popolazione locale proprio per sensibilizzare gli imprenditori a dare spazio a chi ne ha veramente bisogno.

Un obiettivo non facile da raggiungere ma che con una apertura generale, potrebbe anche dare i risultati sperati. Sono tanti anche a Sinnai e dintorni i giovani svantaggiati in lista d’attesa per un lavoro. Con spazi purtroppo limitati. La cooperativa Amaltea che si occupa in prima persona del servizio, si è già mossa presentando il problema e cercando soluzioni. Creare lavoro non è facile. Le imprese non mancano ma in parte sono a conduzione familiare. Un problema da affrontare sicuramente anche a livello zonale. Tra Settimo e Selargius sono oltre trecento le attività imprenditoriali già operative o da realizzare. Con la speranza che vi trovino spazio anche i cosidetti svantaggiati.

Spagna: l’ex terrorista che vince sempre l’oro

 

Corriere della Sera, 23 settembre 2004

 

Sebastian l’irriducibile ha vinto ancora ma al ricevimento con re Juan Carlos non ci andrà neppure questa volta. Altri due ori, 100 e 200 stile libero, sommati ai cinque di Sydney fanno sette. Sono Paralimpiadi, i cinque cerchi dei disabili. Nessun spagnolo può vantare un medagliere del genere. La sua infermità è dovuta a un "tragico incidente d’auto", così dicono le note biografiche. Sarebbe una bella storia, e lui, con la sua sedia a rotelle, potrebbe essere un eroe nazionale.

Potrebbe. Ma non lo è, né vuole esserlo. Il suo è un lieto fine, ma senza redenzione e pentimento. Meglio lasciar stare il figliol prodigo, e anche l’incidente stradale, che non esiste. "Cosa dovrei fare, darmi dei colpi sul petto, e dire che sono pentito? La mia storia è questa, e le persone vanno giudicate per la loro parabola, non soltanto per una parte del viaggio".

Il suo passato è questo: "A tanto cinismo, a tanta crudeltà fascista si può rispondere soltanto con la giustizia popolare, con la pistola in pugno, si può sparare senza alcun rimorso". Parlava così, nel 1988, quando era in carcere. Sebastian "Chano" Rodriguez, che oggi ha 48 anni, ai poliziotti, quelli veri, sparava in testa. E metteva bombe che uccidevano i passanti. E sequestrava la gente. Era un terrorista, uno dei capi dei "Grapo", acronimo di "Gruppi della resistenza antifascista primo di ottobre". Una organizzazione che stranamente non ha mai avuto la fama internazionale delle "gemelle" Brigate rosse o della tedesca Raf. Ottantadue morti, dal 1975 al 1994, trenta soltanto nel 1979, poliziotti o militari, ma ci sono anche diciannove civili uccisi. Nel 1982 Sebastian entra in clandestinità, quando lo arrestano nel 1985 si dichiara prigioniero politico. Lo condannano a 84 anni di carcere, per una lunga serie di attentati e per l’omicidio dell’industriale andaluso Rafael Padura.

L’"incidente di macchina", ovvero il fatto che riduce Rodriguez su una sedia a rotella avviene nel 1990. Dal carcere di Madrid, con altri 43 compagni chiede che tutti i detenuti appartenenti ai Grapo vengano portati in un unico penitenziario. E’ una strategia per ottenere il riconoscimento "politico" dell’organizzazione. La richiesta viene respinta. Sciopero della fame ad oltranza, come fecero i nordirlandesi di Bobby Sands nel 1981. Rodriguez diventa il simbolo di quella protesta. La sua posizione è ferrea. Ordina agli avvocati (e alla famiglia) di smetterla con le richieste di scarcerazione per motivi di salute. Ordina l’uccisione (mai eseguita) del medico che gli pratica l’alimentazione forzata. Uno strazio che dura 432 giorni. Avanti e indietro dal carcere all’ospedale, dal coma alle endovene che gli iniettano zuccheri, mentre a Vigo, la sua città, per due volte appendono ai muri i cartelli funerari che lo danno per morto.

Le biografie ufficiali, anche quella delle Paralimpiadi di Atene dicono che l’infermità di Rodriguez è dovuta a un incidente d’auto avvenuto dopo la sua uscita dal carcere. Non è così, è una bugia nel nome del politicamente corretto, di un passato ingombrante da nascondere sotto allo zerbino olimpico. La verità è un’altra. Il suo corpo non ha retto a quegli atroci 432 giorni, e ha sviluppato una incapacità ad assimilare proteine che ben presto è diventata cronica, ha portato Rodriguez su una sedia a rotelle e nel 1996 fuori dal carcere per "invalidità permanente e totale".

Torna a Vigo, divide un monolocale con Xosè Luis Fernandez, suo amico ed ex militante dei Grapo, paralizzato dal 1980 dopo che un colpo di pistola sparato da un poliziotto gli spezzò la colonna vertebrale. Ancora la biografia ufficiale dice che Rodriguez oggi fa il "commerciante", e questa almeno è soltanto una mezza bugia. Sta in un baracchino, vende i biglietti della Once, la lotteria nazionale spagnola, come fanno tutti i disabili in Spagna.

E’ stato il suo amico Xosè a convincerlo a fare sport. Era un grande nuotatore, lo è ancora adesso. Gioca anche a basket in carrozzina, è il pivot del Vigo. A Sydney scoprirono il suo passato a gare finite. Alcuni membri del Comitato organizzatore chiesero di toglierli quei cinque ori. Lui disse che non aveva niente da dire: "La mia storia è questa. Fate voi".

Del passato non parla, non lo ha mai fatto. "Sono qui per lo sport. La gente crede che le Olimpiadi per disabili siano un modo per mandarci in vacanza. Non è così. E’ allenamento duro, fatica che chiede rispetto". A Vigo tiene corsi per bambini disabili. Quello che guadagna, lo devolve alla associazione di cui fa parte. Si chiama "Asemblea para Ceibar os Presos Politicos Galegos", è una associazione che aiuta i detenuti dei Grapo. Rodriguez fa anche raccolta di fondi, chiede alle aziende di aiutare i suoi ex compagni, usa le medaglie paralimpiche e la poca pubblicità che portano per convincere la gente a fare offerte. Nella sua città, lo rispettano per quello che è. Anche i politici conservatori fanno il tifo per lui. Un ex terrorista che nei fine settimana vede la figlia diciannovenne e non si è mai pentito. Ha pagato quello che doveva pagare e ha vinto sette ori olimpici. Non è un eroe nazionale, mai lo diventerà. E gli va bene così.

Napoli: quale diritto alla salute?, le cure nei penitenziari

 

Il Denaro, 23 settembre 2004

 

II convegno internazionale "Chirurgia Oggi" si è chiuso ieri nel teatro dell’hotel Quisisana di Capri, con un dibattito sul tema "Quale diritto alla salute?". Intorno ad un tavolo a discutere di salute pubblica e di assistenza in Campania i giornalisti Carlo Gambalonga, Antonello Velardi, Alfonso Ruffo e Nino Femiani hanno tenuto un faccia a faccia con Antonio Grella, Rettore della II Università degli Studi, Angelo Montemarano, direttore dell’Asl Napoli 1, Franco Tancredi dell’Arsan, Vincenzo Schiavone dell’Associazione ospedalità privata e Angelica Di Giovanni, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli.

Ad affrontare questo tema, posto da Antonello Velardi, è Angelica Di Giovanni, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Nei penitenziari, ricorda, si vivono "situazioni al limite dell’immaginabile, che privano il cittadino in stato di detenzione dei basilari diritti all’assistenza. Prima in alcuni ospedali c’era a disposizione una percentuale di posti letto destinati ai detenuti. Oggi tali posti sono stati aboliti e nemmeno all’interno della struttura carceraria sono stati adibiti spazi idonei per una assistenza ospedaliera e per la degenza". Nel carcere di Secondigliano, ricorda il magistrato, dovevano essere addirittura essere costruite sale operatorie ma, a dieci anni dall’inaugurazione del penitenziario, "di queste strutture non esiste nessuna traccia".

Milano: FreeOpera Calcio giocherà anche in trasferta

 

Vita, 23 settembre 2004

 

La squadra di calcio Free Opera del carcere milanese composta da detenuti quest’anno parteciperà a 15 trasferte. La prima delle quali si terrà domenica prossima allo stadio di Triginto di Mediglia. La settimana successiva, invece, i detenuti giocheranno a Segrate. L’esperimento della squadra composta da detenuti e’ stato avviato lo scorso anno dal carcere di Opera.

I buoni risultati del 2003, e il secondo posto nella terza categoria con il conseguente passaggio in quella superiore, hanno garantito alla squadra di poter continuare a giocare: il direttore, infatti, aveva concesso ai carcerati di formare la squadra ma, nel caso in cui non avessero vinto il campionato, avrebbe smantellato la squadra. Oggi, dopo due vittorie consecutive, il Free-Opera è al comando della classifica del proprio girone.

San Vincenzo De Paoli: 26 settembre giornata-carcere

 

Ansa, 23 settembre 2004

 

"Prevenire e recuperare è meglio. Per tutti": è lo slogan della Società di San Vincenzo De Paoli che promuove per il 26 settembre la seconda Giornata nazionale di solidarietà per i detenuti. Nell’occasione sarà avviata una campagna tv (realizzata gratuitamente dall’Armando Testa Spa) e promossi incontri oltre che diffondere materiali informativi. È anche prevista la presenza dei Vincenziani, presso le Chiese, di messaggi di solidarietà e di sostegno alle attività nelle carceri. L’iniziativa della San Vincenzo - rende noto un comunicato - non si esaurirà il 26 settembre ma continuerà con iniziative, in parte già avviate.

Come, ad esempio, Oltre le parole sulla mediazione culturale ad Ascoli Piceno, Ad ogni uomo una speranza, per l’accoglienza dei detenuti a Bergamo, ‘Un ponte per la vita’ per l’integrazione dei detenuti a Cagliari, Si può col lavoro, per l’avvio di piccole imprese di ex detenuti a Torino. In particolare, il progetto 2004 prevede la creazione ed il finanziamento di laboratori artigianali ed informatici all’interno delle carceri, con corsi di formazione e tirocinio guidati da qualificati esperti per insegnare una professione ai detenuti da utilizzare al momento del loro reinserimento nella vita civile.

Il presidente della San Vincenzo, Marco Bersani, ha riaffermato "l’impegno a operare anche nei confronti della diffusa indifferenza, che a volte è aperta ostilità, del mondo civile verso i detenuti, come se l’istituzione ‘carcere’ fosse sufficiente a rimuovere dalla coscienza la consapevolezza dell’esistenza di un mondo di grande sofferenza". Bersani ha ricordato anche gli appelli in materia di Papa Giovanni Paolo II.

Immigrazione: Gazeta dei rumeni, come vivere in Italia

 

Ansa, 23 settembre 2004

 

Per ora quindicinale, ma presto settimanale, "Gazeta Romaneasca" è il periodico per immigrati più venduto in Italia. Ventimila copie ad ogni uscita (di cui 5 mila vendute; costa un euro), almeno 40 mila lettori, il giornale per la comunità rumena è in edicola da tre anni. A dirigerla, Sorin Cehan, 38 anni e da 11 in Italia, corrispondente di un quotidiano rumeno il cui nome, tradotto in italiano, è "L’evento del giorno". Ventiquattro pagine, in lingua rumena, "Gazeta Romaneasca" dà spazio alla cronaca bianca e nera (anche italiana ma soprattutto della comunità), agli esteri, alla politica.

Tema prioritario: l’immigrazione. E quindi tutto ciò che è circolari e novità di interesse dei cittadini extracomunitari. Nel giornale si parla molto della legge Bossi-Fini. Ad esempio, l’apertura dell’ultimo numero è stata dedicata al coinvolgimento dei giudici di pace per la convalida dei decreti di espulsione.

Servizi corredati da foto di Giuseppe Pisanu, Roberto Castelli e Livia Turco. "L’informazione sulle disposizioni sulla permanenza in Italia - aggiunge Cehan - è la più letta. Come ad esempio la rubrica su consigli legali dove le richieste più frequenti riguardano come avere il permesso, come sottoscrivere un contratto di lavoro e così via.

La nostra vita è molto condizionata da queste questioni". Sempre nell’ultimo numero si è dato conto della strage di Beslan e del rapimento di Simona Pari e Simona Torretta. Per Cehan, "dare notizie su argomenti anche italiani ed internazionali è un passo verso l’integrazione". Quattro persone in redazione e qualche collaboratore per l’Italia, il giornale ha un progetto ambizioso: "a mesi - annuncia il direttore - diventerà un settimanale. Vogliamo raggiungere il maggior numero di rumeni, stimati in Italia in un milione".

Rita Borsellino vince il Premio "Nonsolochiacchiere"

 

Vita, 23 settembre 2004

 

 

Andrà a Rita Borsellino, la sorella del magistrato ucciso dalla mafia, il premio che ogni anno il periodico carcerario "Nonsolochiacchiere" assegna a chi si è particolarmente impegnato per il miglioramento del sistema della giustizia.

L’attività spontanea, senza alcun fine pretestuoso di Rita Borsellino, condotta sin nell’immediatezza della morte del fratello Paolo, ha provocato in molti detenuti dei sinceri e reali momenti di riflessione suggerendo loro un’autocritica interiore - ha reso noto Giancarlo Trovato, direttore del periodico, precisando che ‘‘la scelta di considerare Rita Borsellino la vincitrice della seconda edizione vuole non solo puntualizzare una stima nei suoi confronti, ma anche offrire una testimonianza di come i colpevoli sappiano accettare l’operato dei magistrati, quando questo e’ caratterizzato dalla correttezza.

Alla premiazione, che avverrà il 1 ottobre presso il teatro di Rebibbia sono stati invitati rappresentanti del mondo politico, dell’amministrazione penitenziaria, del mondo della cultura. Il premio consiste in una riproduzione in ceramica della "Bocca della verità" eseguita dal detenuto Vincenzo Biondo.

Ascoli: due iniziative per recuperare i detenuti

 

Corriere Adriatico, 23 settembre 2004

 

Domenica prossima la Società di San Vincenzo De Paoli di Ascoli, così come avverrà in tutte le città italiane, celebrerà la propria giornata nazionale. Lo scopo è di sensibilizzare la gente, in particolare, sulla povertà della solitudine del carcerato con due iniziative: "Prevenire e recuperare è meglio. Per tutti" e lanciare il progetto "Laboratori artigianali ed informatici" da realizzare nelle carceri. Nell’occasione in Piazza del Popolo verrà allestito un gazebo, verrà distribuito un pieghevole con notizie dettagliate ed un libretto di 48 pagine dal titolo: "La città segreta, breve viaggio nella solitudine del carcere che contiene i lavori letterali dei carcerati premiati al concorso "Emanuele Casalini".

Con questa iniziativa si cerca di superare l’indifferenza della gente sollecitandola a riflettere su quanto sia importante aiutare a prevenire e recuperare che sbaglia e finisce in carcere. Inoltre è importante dare attuazione al progetto avviato lo scorso anno finanziando i laboratori all’interno delle carceri. Gli obiettivi da raggiungere sono aiutare i familiari in difficoltà economica e recuperare chi si trova in carcere insegnando loro un mestiere in modo che possa essere autosufficiente una volta che tornerà in libertà, Recuperare i carcerati apporta grossi vantaggi alla società civile.

Catanzaro: gli impegni del prefetto per il carcere

 

Quotidiano di Calabria, 23 settembre 2004

 

Turni di lavoro massacranti, carenze infrastrutturali tali da mettere a repentaglio la propria sicurezza, una generale disorganizzazione del comparto. Con questo bagaglio di criticità e di questioni aperte da risolvere ieri mattina, i rappresentanti sindacali del personale penitenziario del carcere di Siano si sono presentati all’appuntamento con il prefetto Alberto Di Pace. Un incontro atteso, per aprire un varco alla speranza di poter lavorare tra le anguste mura del carcere in condizioni dignitose, sicure, a dimensione d’uomo, per quanto mai sia possibile recuperare una dimensione umana all’interno di una casa circondariale. Volevano risposte, rassicurazioni, punti di riferimento certi e inequivocabili, e li hanno trovati nel prefetto.

Si è chiuso sicuramente nel segno positivo l’incontro di ieri in Prefettura, un momento di confronto atteso con trepidazione e che non ha riservato bocconi amari o incertezze, al contrario ha rappresentato per il personale del carcere di Siano un inizio da cui ripartire nella loro lunga battaglia. Soddisfatti tutti gli esponenti delle sigle presenti ­ per la Cgil, il segretario generale Alfredo Iorno e la coordinatrice regionale del comparto, per la Cisl il segretario generale Walter Scarpino e il coordinatore regionale del comparto Antonio Calzone, per la Uil Pa, il segretario generale Enzo Cantaffa e quello nazionale Gennarino De Fazio, per la Siappe, il segretario nazionale Tommaso Praganò, e per la Sappe il segretario provinciale Angelo Talarico ­ che hanno trovato in Di Pace precise risposte alle loro rivendicazioni.

Un impegno quello del prefetto preciso, chiaro e che va nella direzione di un pronto miglioramento delle condizioni di lavoro del personale penitenziario. Nel particolare il prefetto ha assicurato un potenziamento dei rapporti sindacali all’interno del carcere e nei confronti di Paolo Quattrone, direttore generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della Calabria. Presto, inoltre, sarà rivisto il carico di lavoro distribuito tra il personale che, ad oggi, si trova a dover gestire circa 600 detenuti con 368 unità lavorative, attraverso una "pezza emergenziale", cioè attraverso il distaccamento di parte del personale, al momento in servizio al carcere di Cosenza chiuso. Di Pace ha assicurato, inoltre, che investirà della problematica il ministero dell’Interno e della Giustizia, e il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con l’obiettivo di allargare le maglie della collaborazione istituzionale e stringere i tempi di intervento sulle disfunzioni croniche denunciate dai sindacati.

A far scattare l’allarme non solo e non tanto le carenze d’organico, che hanno imposto al personale turni massacranti di servizio, ma anche le carenze infrastrutturali della struttura penitenziaria, rispetto alle quali il prefetto ha assicurato che a breve verrà sollecitata al ministero il trasferimento di fondi da destinare al potenziamento tecnologico e alla messa in sicurezza dell’istituto. Prossimo incontro alla fine del mese di ottobre per verificare l’effettivo miglioramento delle condizioni di lavoro del personale penitenziario.

Vibo Valentia: i mancati diritti della polizia carceraria

 

Quotidiano di Calabria, 23 settembre 2004

 

Riconoscimento del lavoro svolto dal personale della polizia penitenziaria del carcere di località Castelluccio e dei diritti previsti dal contratto. Questo in sostanza quanto chiede il segretario della Uilpa Penitenziari, Gennarino De Fazio, con una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Castelli, a vari parlamentari, ai sindacati e alla stessa direttrice della Casa circondariale, Rachele Catalano, alla quale chiede un incontro immediato "per un sereno e, si spera, costruttivo confronto complessivo che favorisca un’inversione di tendenza rispetto alle involuzioni degli ultimi mesi".

Ma quali i problemi che riguarderebbero la polizia penitenziaria e, di conseguenza, i detenuti? "Da alcuni mesi - scrive De Fazio - pare che la spinta propulsiva che animava l’interesse per le condizioni e la qualità del lavoro sia assolutamente svanita e, anche per effetto di diverse altre vicende, si assiste ormai ad un costante e progressivo arretramento nelle politiche organizzative e nei sistemi e nelle logiche gestionali".

Nella lettera si parla, quindi, di eccessivi carichi di lavoro ("al limite del sostenibile") a cui sarebbe sottoposto il personale di polizia carceraria e che si manifesterebbe "in tutti i settori organizzativi, dagli uffici amministrativi al nucleo traduzioni e piantonamenti, dove vengono per di più segnalate alcune parzialità nella gestione de servizio". De Fazio aggiunge a ciò le "interpretazioni restrittive" di precipui diritti contrattuali ("mancato pagamento di buoni pasto, inapplicazione degli accordi decentrati, immotivata rimozione di personale dagli incarichi"). Un capitolo a parte viene riservato alle assenze per infermità ed ai relativi controlli fiscali "le cui specifiche disposizioni normative - prosegue la nota - vengono utilizzate con modalità che appaiono in alcuni casi persino vessatorie e persecutorie nei confronti del personale". Anche in merito agli interventi per adeguare la struttura alle norme di sicurezza, a giudizio della Uilpa "si registra un sostanziale immobilismo, nonostante le rassicurazioni dipartimentali del luglio 2003".

Nel comunicato non vengono risparmiate critiche a quei parlamentari "il cui impegno è venuto meno e che fanno sorgere il dubbio che il reale obiettivo fosse solo il ridimensionamento di qualche funzionario scomodo".

Né le relazioni sindacali soddisfano il segretario della Uilpa penitenziari. "Esse - conclude il comunicato - sono pressoché inesistenti, caratterizzate dalla sistematica violazione degli accordi contrattuali nazionali e decentrati e dal mancato riscontro della quasi totalità delle note prodotte, perlomeno da questo coordinamento".

Sulmona: Valentini, una vicenda con troppe anomalie

 

Il Messaggero, 23 settembre 2004

 

Il senatore Andrea Pastore di Forza Italia, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sulla morte in carcere del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, peraltro annunciata già il 17 agosto a ridosso dell’evento.

Il Sen. Pastore riprende il discorso e mette in luce quelle che ritiene siano le presunte anomalie della vicenda, sia per come si è proceduto all’arresto che sulle condizioni di vita nel supercarcere di Sulmona; vuole anche conoscere se l’inchiesta ordinata dal ministro Castelli, "abbia accertato che tutte le procedure previste dalla normativa in vigore sono state rispettate".

Andrea Pastore si chiede anche se non sarebbe il caso di immaginare per una struttura carceraria "una regolamentazione che tenga conto delle oggettive, traumatiche condizioni morali e psicologiche che un detenuto, senza precedenti penali e arrestato per la prima volta, vive entrando in un carcere". Pastore pensa anche se sarebbe utile verificare, eventualmente attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, "la sussistenza degli elementi previsti per la concessione delle misure cautelari, visto il tempo trascorso dalla richiesta di esse e la loro applicazione, in considerazione del fatto che già da tempo il sindaco Valentini si fosse autosospeso dalle proprie funzioni".

Pastore vuole che si faccia luce anche sull’applicazione delle misure cautelari e, soprattutto, sulle modalità dell’esecuzione dell’arresto e sul "ripetuto diniego a un colloquio chiarificatore con il magistrato, non ipotizzi un uso quanto meno superficiale della privazione della libertà personale". Infine nell’interrogazione si chiede di conoscere "come possa essere accaduto che quel detenuto, già di per sé certamente atipico, rinchiuso in una cella d’isolamento di un carcere di massima sicurezza, sia riuscito a eludere la sorveglianza che avrebbe dovuto essere predisposta, e a suicidarsi". Infine, Pastore rileva quelle circostanze che definisce "singolari" "che hanno portato almeno cinque Pubblici Ministeri a occuparsi dell’inchiesta e/o ad abbandonarla immediatamente".

Dal cilindro di Castelli esce la grazia per Dorigo

 

Il Manifesto, 23 settembre 2004

 

Il ministro leghista Roberto Castelli sfida persino il Capo dello stato pur di negare la grazia ad Adriano Sofri. Ma intanto, negli uffici del suo ministero, pensano proprio alla grazia per risolvere l’annosa e imbarazzante controversia con un altro condannato per reati di terrorismo, uno che ha ben poco a che vedere con l’ex leader di Lotta continua.

È Paolo Dorigo, veneziano 45enne, in carcere dal `93 per l’attentato del 3 settembre di quell’anno alla base Usa di Aviano (Pordenone). "L’attacco antimperialista" fu poco più che un gesto dimostrativo: un vetro rotto e un muro di cinta sbrecciato. Da un’auto in corso, nella notte, partirono sette colpi di pistola e una bomba a mano, che fecero molta impressione solo perché firmati con la stella a cinque punte e la sigla "Brigate rosse".

Dorigo prese tredici anni e mezzo. A differenza di Sofri, il cui ricorso è stato respinto, Dorigo ha avuto soddisfazione davanti alla Commissione di Strasburgo (organo preliminare rispetto alla corte). I giudici del Consiglio d’Europa, cinque anni fa, hanno riconosciuto la violazione del principio del "giusto processo": il pentito che accusato Dorigo, infatti, non si era mai presentato in aula (come era permesso dal vecchio articolo 513 del codice di procedura penale, poi modificato).

Ma per Dorigo c’è un problema. La legge italiana non consente la riapertura del processo (revisione) in base alle pronunce della corte europea. E il ddl approvato alla camera (ma non ancora al senato) esclude in ogni caso la revisione per i fatti di mafia e terrorismo. Per Dorigo, insomma, non ci sarebbe nulla da fare: dovrebbe restare in galera (attualmente a Spoleto) in base a un processo illegittimo.

Tra Strasburgo e Roma, fin dal `99, è iniziato un ping-pong estenuante. Tutte le volte che si riunisce, su istanza dell’avvocato di Dorigo Vittorio Trupiano, il comitato dei ministri invita l’Italia a dotarsi di una legge sulla revisione dei processi. E l’Italia, più volte l’anno, risponde picche. E’ andata così fino al 9 agosto scorso, quando il Consiglio d’Europa ha comunicato all’avvocato Trupiano che "la delegazione italiana, alla riunione del 6 e 7 luglio, ha indicato che una grazia presidenziale, se accordata, potrebbe permettere, in termini più rapidi, di rimediare almeno parzialmente alle conseguenze della violazione subita dal signor Dorigo". A quanto si apprende a Roma, l’ipotesi è nata alla direzione degli Affari penali del ministero. La condizione è che Dorigo, come si pretende anche da Sofri, chieda umilmente la grazia, perché lo stato non rinuncia all’ipocrisia e quindi, pur potendo, non istruisce pratiche d’ufficio.

Dorigo, come Sofri, non chiederà nulla. Nel suo caso è scontato. Perché Dorigo si definisce "militante comunista prigioniero" e dal carcere scrive lettere e comunicati con i profili di Marx, Lenin e Mao stampati sul frontespizio. Nega ogni responsabilità nell’attentato ma nessuno potrebbe strappargli mezza parola contro la lotta armata. Per lo stato, anche se la sua pericolosità è tutta da dimostrare, è un "irriducibile". E viene da dieci anni di galera che sono stati un calvario: si è scontrato con le guardie, le ha denunciate per tortura, nel `96 ha dato fuoco alla cella rimanendo ustionato e parla da due anni di un microchip che gli avrebbero inserito nel cervello. Ha appena ricominciato lo sciopero della fame. Ma non è pazzo, così dicono le perizie psichiatriche. Semmai, dice la mamma, "Paolo è sempre stato troppo solo, in carcere ne ha passate tante". Fratello di Martino, ex deputato Prc, ha avuto rapporti tormentati con gli stessi suoi compagni di Aviano, a loro volta snobbati dagli irriducibili Br-Pcc e - secondo la pentita Cinzia Banelli - evitati come la peste da Nadia Lioce e compagni. E’ un tipo difficile, Dorigo, che in passato non attirava simpatie. Non è un caso se il suo avvocato è Trupiano, battagliero napoletano con vecchi trascorsi d’estrema destra e qualche guaio giudiziario, peraltro brillantemente superato. Oggi Trupiano ha parecchi amici nell’ultrasinistra.

Da qualche tempo Dorigo è meno solo, al di là delle visite dei parlamentari (Cento, Mascia, Russo Spena). Collettivi e attivisti di area m-l, autonoma e anarchica manifestano per lui, hanno creato un sito (www.paolodorigo.it) una newsletter con i suoi comunicati. Per il "comunista prigioniero" l’appoggio militante è una ragione in più per non piegarsi: "Il signor Dorigo - ha risposto Trupiano al Consiglio d’Europa - non è affatto interessato a una domanda di grazia, ma solo all’esecuzione della sentenza della corte europea (cioè alla revisione del processo, ndr). Mi ha inoltre pregato di evidenziare che non ha mai richiesto i benefici di legge che gli avrebbero consentito di tornare in libertà, in quanto ciò avrebbe comportato un riconoscimento della propria colpevolezza".

 

 

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