Rassegna stampa 10 settembre

 

Mauro Palma: tagli per 55 milioni di euro alla giustizia

 

Redattore sociale, 10 settembre 2004

 

"Per il comparto giustizia, nella recente Finanziaria, c’è stato un taglio di 55 milioni di euro": lo ha rilevato Mauro Palma, rappresentante italiano per il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, al 37° convegno nazionale del Seac, Coordinamento degli enti ed associazioni di volontariato penitenziario, in corso da ieri presso il centro congressi della Fraterna Domus a Sacrofano (Roma).

Sul tema "L’Europa e il carcere" si confronteranno fino a domani esperti e volontari. Ieri sul tavolo dei relatori si sono avvicendati succeduti Emilio Di Somma (Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), Mauro Palma (rappresentante Italiano per il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura), Giancarlo Perego in rappresentanza della Caritas Italiana, Livio Pepino (Presidente di Magistratura Democratica) e Salvatore Palidda (sociologo all’Università di Genova), affrontando il tema "Migrazioni e politiche penitenziarie europee".

Il sociologo Palidda ha evidenziato: "Dei 100 milioni di euro destinati dallo Stato per educare le donne straniere, il 90% viene speso per rimpatriare quelle sfruttate nel campo della prostituzione: ma nei paesi d’origine vengono arrestate, scatenando il fenomeno del riscatto da parte dei protettori che le riportano all’estero sotto altri nomi. Un circolo vizioso che non ha mai fine". Inoltre Palidda ha evidenziato "il paradosso determinato dalla voglia di integrazione e dalla ossessione della sicurezza", rimarcando la necessità della figura dell’educatore di strada.

Il Vice-Capo del Dap, Di Somma, ha ribadito come "nel contesto Europa il sistema penitenziario italiano continua ad essere un modello preso ad esempio da molti paesi stranieri e l’attenzione costante rivolta dall’Amministrazione al fenomeno della migrazione è stata riconosciuta anche dalla Commissione Europea contro l’intolleranza e il razzismo".

Se Palma ha rilevato la necessità di far emergere "i problemi dei maltrattamenti nei confronti dei detenuti", don Giancarlo Perego, in rappresentanza della Caritas Italiana, si è soffermato invece "sul luogo comune ‘immigrazione uguale a illegalità e criminalità, concetto che ha determinato la trasformazione del fenomeno migrazione da sociale a problema criminale". Pepino, invece, ha sottolineato l’aumento della popolazione detenuta: in Italia si conta 1 detenuto ogni 1.000 abitanti. Una percentuale che, rapportata a quella degli Stati Uniti (7 ogni 1.000 abitanti) "è ancora da considerarsi a livelli accettabili". Per il presidente di "Magistratura Democratica la presenza massiccia degli stranieri in Italia comporta "la necessità di un cambiamento del sistema carcerario e il cominciare a porsi il problema rappresentato dalla seconda generazione degli immigrati, ovvero i figli dei detenuti stranieri".

Oggi e domani è prevista la partecipazione - tra gli altri - di Adolfo Ceretti (criminologo dell’Università Bicocca di Milano), Livio Ferrari (Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia), mons. Domenico Mogavero (Sottosegretario Cei), mons. Vittorio Nozza (Direttore di Caritas Italiana), Carmelo Cantone (Direttore di Rebibbia Nuovo Complesso), padre Vittorio Trani (cappellano di Regina Coeli), Rocco Canosa (Direttore del Dipartimento Salute Mentale di Matera), Elisabetta Laganà (Vicepresidente Seac), Pier Giorgio Licheri (Presidente Seac).

Sergio D’Elia: condizioni disperate per detenuto in 41 bis

 

Agenzia Radicale, 10 settembre 2004

 

Salvatore Bottaro, 46 anni, condannato all’ergastolo per reati di mafia e in 41 bis da circa 10 anni, versa in condizioni disperate nel centro clinico di Pisa dove è stato ricoverato un mese fa proveniente dal supercarcere di Novara. In quattro mesi, il detenuto ha perso quasi quaranta chili di peso passando da 82 a 44 chili.

Secondo i medici, che hanno diagnosticato un cancro al pancreas con interessamento anche del fondo stomaco, dell’esofago e del retro peritoneo, il detenuto sarebbe in una situazione tale da ritenere un palliativo la stessa chemioterapia. In tre relazioni cliniche inviate ai magistrati competenti, i responsabili del carcere di Pisa hanno affermato l’assoluta incompatibilità con il carcere delle condizioni sanitarie del detenuto al quale rimarrebbero pochi mesi di vita.

Mentre il Magistrato di Sorveglianza di Torino, competente per le sentenze passate in giudicato - quattro, tutte all’ergastolo - ha disposto la sospensione della pena per motivi di salute, il Giudice delle Indagini Preliminari di Catania, competente per un procedimento in corso nel quale Bottaro è indagato per associazione mafiosa, ha preso tempo disponendo nuove analisi cliniche.

Nonostante i referti dei responsabili sanitari del carcere, basati su TAC ed endoscopia, non lasciassero adito a dubbi, il GIP di Catania ha chiesto che il detenuto venisse sottoposto anche a biopsia, esame che il detenuto ha comunque rifiutato.

"Non so se sia un caso di accanimento diagnostico o piuttosto di accanimento giudiziario," ha commentato Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino e membro della Direzione di Radicali Italiani, al quale si sono rivolti i familiari di Salvatore Bottaro. "In ogni caso, è inaccettabile che dal carcere duro si possa uscire solo o da collaboranti o da morti." "Non ho nulla da ridire sui responsabili sanitari del carcere di Pisa, apprezzo la tempestività dell’intervento del Magistrato di Sorveglianza di Torino; mancano all’appello due assunzioni di responsabilità: quella del Ministro della Giustizia che deve decidere se ha ancora senso la permanenza del detenuto in 41 bis e quella del GIP di Catania che deve decidere se le condizioni di Salvatore Bottaro siano compatibili con lo stato di detenzione."

Sulmona: caso Valentini, scatta l’inchiesta del Csm

 

Il Messaggero, 10 settembre 2004

 

La drammatica vicenda di Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso che si tolse la vita dopo due giorni di detenzione nel carcere di via Lamaccio a Sulmona, dove era stato ristretto per un ordine di custodia cautelare in relazione ad una vicenda che lo vedeva indagato per un’ipotesi di reato di concussione e calunnia, è stata affidata ieri mattina alla prima Commissione del Consiglio superiore della Magistratura.

L’iniziativa di richiedere l’apertura di un fascicolo sull’annosa questione dell’uso della custodia cautelare in carcere era stata assunta dai consiglieri della Casa delle libertà, Nicola Buccico, Antonio Marotta, Giorgio Spangher e Mariella Ventura Sarno, nonché dal laico dei Socialisti democratici italiani Gianfranco Schietroma. L’obiettivo dell’inchiesta aperta a palazzo dei Marescialli è quello di "accertare le condotte dei magistrati interessati, sia del Pm, sia del Gip" così come è stato richiesto dai firmatari dell’iniziativa; in particolare è stato chiesto di verificare se era proprio inevitabile il ricorso alla custodia cautelare in carcere.

Due sono soprattutto gli aspetti che i promotori hanno messo in risalto e su cui hanno richiamato l’attenzione: "la rinnovata richiesta, inevasa, dell’indagato di essere ascoltato; la conclamata volontà di autosospendersi dalla carica di amministratore". Relatore sarà Ernesto Aghina, togato del Movimento per la giustizia, che è stato indicato oggi dalla Commissione. L’obiettivo comune è far luce quanto prima sulla vicenda, come spiega il presidente Luigi Riello, di Unità per la Costituzione. "Daremo - ha assicurato - doverosa e tempestiva attenzione a questo caso doloroso con rigore ma anche con serenità. Cercheremo di fare tutto quanto è necessario in tempi abbastanza stretti. E cominceremo a parlarne forse già dalla prossima settimana".

Di tutta questa brutta storia si era interessato anche il Comitato di presidenza del Consiglio superiore della Magistratura che aveva chiesto "una dettagliata informativa" alla Procura generale dell’Aquila; alla Procura generale di Campobasso aveva chiesto notizie sulla pendenza di un procedimento penale a carico del procuratore della Repubblica di Sulmona.

Venezia: cooperativa Rio Terà cerca nuovi spazi in carcere

 

Il Gazzettino, 10 settembre 2004

 

L’idea era quella di festeggiare i dieci anni di attività della cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri in maniera originale. E così ieri gli educatori e gli operatori di cooperative ed associazioni che lavorano dentro le carceri del Triveneto si sono incontrati nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore per raccontarsi le proprie esperienze, scambiarsi delle opinioni, suggerire delle soluzioni, individuare dei miglioramenti da apportare al sistema carcerario per "non marcire su una branda per ozio forzato". Una giornata tra addetti ai lavori con l’intervento degli ospiti delle carceri veneziane, coordinata dal giornalista Alberto Laggia, che è stata anche l’occasione per presentare il libro - testimonianza "Lavori in corso", sui primi dieci anni di attività della cooperativa. Sul tavolo dei relatori erano presenti il presidente della cooperativa Gabriele Millino, l’ex presidente e fondatore Raffaele Levorato, il direttore degli Istituti penitenziari veneziani Gabriella Straffi, il direttore dei centri sociali per adulti Chiara Ghetti.

Dopo i saluti formali la discussione si è accesa. Millino ha infatti ribadito la necessità per la cooperativa di volontariato di trasformarsi in una vera e propria "azienda" per divenire competitiva sul mercato e lanciare i propri prodotti, specie di pelletteria e cosmesi che ormai hanno raggiunto una certa affermazione. Levorato, dopo aver pubblicamente dichiarato il suo affetto per la direttrice Straffi, non l’ha risparmiata dalle critiche per le ristrettezze imposte per la sicurezza che rendono difficoltoso ai volontari lo svolgimento di corsi di formazione e dei laboratori. Inoltre si sente la mancanza di nuovi spazi per consentire una maggiore partecipazione dei detenuti (finora gli iscritti sono solo il 20 per cento), magari utilizzando l’ex chiesa di Santa Maria Maggiore, ora ridotta a magazzino abbandonato. Straffi ha però bocciato l’idea, destinata a rimanere un sogno.

"Ho cercato io stessa di individuare nuovi luoghi per i laboratori - ha spiegato - ma sono certa che la mia proposta non verrà accettata perché le carceri sono stracolme e servono spazi per ospitare i detenuti. Si riscontra un costante aumento del numero degli arrestati e siamo in difficoltà anche con il personale: il lavoro in carcere è pesante e sono stati assegnati nuovi compiti senza aumentare le unità. Le attività in carcere possono essere fatte solo se non c’è pregiudizio per la sicurezza". 

Salerno: serve un lavoro per gli ex detenuti

 

Il Mattino, 10 settembre 2004

 

Il carcere come luogo di pena, ma anche di recupero deve offrire ai detenuti, dopo il periodo di reclusione, la possibilità di integrazione nel sociale. Con questo messaggio, in occasione dei festeggiamenti per San Matteo, il 7 settembre scorso l’arcivescovo Gerardo Pierro ha visitato la casa circondariale, trasmettendo ai carcerati la preghiera per un futuro diverso.

Incisivo il discorso che padre Riccardo, cappellano del carcere da 37 anni, ha rivolto al vescovo, evidenziando l’opera insostituibile del volontariato tra le celle di Fuorni. Una struttura dove, grazie alla sensibilità del direttore Alfredo Stendardo, vengono offerte attività ricreative come il teatro e l’artigianato. Ma impegnare i detenuti nella manualità non può bastare. In carcere chi è colpevole paga il suo errore, ma ha diritto poi, come tutti gli uomini, ad essere accolto nella vita comune. Spesso, invece, quando la cella si chiude alle sue spalle, davanti si presenta uno scenario non meno dolente. Quello di una società chiusa nel pregiudizio, che rifiuta all’ex detenuto fiducia e inserimento, considerandolo con l’orribile termine di "pregiudicato".

Allora non resta che tornare alla vita di sempre, o scegliere il buio, talvolta con un gesto estremo di rinuncia alla vita. A questa condizione, senza via d’uscita, ha pensato padre Riccardo, lanciando un appello al Comune per assicurare lavoro agli ex carcerati.

"Si tratta di fondare una cooperativa che si occupi della raccolta differenziata di oggetti usati - spiega il cappellano - con la collaborazione degli assistenti sociali del carcere stiamo cercando di realizzare quest’iniziativa che potrebbe dare lavoro a tanti giovani che hanno sbagliato, ma hanno diritto al perdono e alla redenzione".

Padre Riccardo rivela di essere, ogni giorno, sommerso di telefonate di ex detenuti privi di un’occupazione che consenta loro di sopravvivere: soli, abbandonati dalle istituzioni e isolati da una società che li rifiuta.

"Di recente una ragazza, disperata, ha lasciato la carrozzina con il suo bambino al centro di una carreggiata - racconta il parroco - voleva essere vista, ascoltata. Far comprendere agli altri la sua sofferenza. Per fortuna ero di passaggio su quella strada, l’ho accolta ed assistitita. Ma per questi giovani servono risposte concrete, serve la speranza nel domani".

L’iniziativa di padre Riccardo è stata resa nota all’arcivescovo, e accompagnata da una poesia in vernacolo scritta e recitata da un detenuto.

Gli applausi e la commozione della platea hanno destato un barlume di speranza in quanti attendono un aiuto dal sindaco, Mario De Biase, e dall’amministrazione comunale. "Assicurare un lavoro a questi giovani significa anche ridurre il tasso di criminalità, fornire alternative allo smercio di droga - conclude padre Riccardo - in una parola pensare a una società più pulita e più giusta".

I tanti episodi di suicidi all’interno del carcere testimoniano che neanche la speranza di tornare in libertà allevia la sofferenza di chi è rinchiuso in una cella, qualche volta solo per errore.

Presidente Codacons: l’altra verità su Roccaraso

 

Panorama, 10 settembre 2004

 

Gli speculatori non si illudano: la vicenda del palazzo abusivo di Roccaraso non finirà con la morte del sindaco Camillo Valentini. Quel mostro edilizio è un nuovo Fuenti e il Codacons farà di tutto perché sia abbattuto". Carlo Rienzi, avvocato e presidente del Codacons, è infuriato. Per anni è stato il consigliere più ascoltato del primo cittadino di Roccaraso, suicida in carcere lo scorso 16 agosto, 48 ore dopo l’arresto per concussione. Ora, dopo il dolore per la perdita di un amico, l’ombra di un comportamento scorretto: nell’ordine di custodia cautelare l’intercettazione di una telefonata attribuisce a Rienzi la richiesta, per conto di Valentini, di 500 milioni di lire a Federico Tironese, amministratore unico della Immobiliare D’Aurora, proprietaria del palazzo abusivo che il sindaco non ha mai voluto condonare.

 

Rienzi, li ha chiesti o no i 500 milioni?

Appena ho saputo di questa intercettazione, un colloquio telefonico tra due persone interessate al condono dell’abuso edilizio, ho presentato querela per diffamazione contro Tironese. È prassi che chi tenta di corrompere accusi altri di volerlo corrompere.

 

Ma lei come e quando è entrato in questa vicenda?

Nel 1990 una mia parente, che aveva un monolocale di 25 metri quadrati sopra il vallone San Rocco, mi segnalò che stavano costruendo un palazzone lì vicino, sotto un costone franoso. Fu allora che il Codacons fece il primo ricorso contro la strana concessione del 1986, rilasciata dall’ex sindaco Mario Liberatore, poi condannato per abuso d’ufficio. Quel palazzo, 42 appartamenti su cinque piani fuori terra e uno interrato, non poteva essere costruito per l’esistenza di un vincolo idrogeologico non condonabile, né allora né mai. Lo hanno ribadito a chiare lettere ben tre sentenze, emesse tra il 1996 e il 1999 dal tribunale di Sulmona, dalla Corte d’appello dell’Aquila e dalla Cassazione. Purtroppo non si è ancora proceduto alla demolizione, come aveva sentenziato in primo grado il tribunale di Sulmona.

 

L’amministratore unico della D’Aurora si è dichiarato danneggiato dal sindaco Valentini perché non può vendere gli appartamenti.

E il danno dove sarebbe? Quattro anni fa Tironese ha acquistato con appena 101 milioni il capitale sociale della società costruttrice del palazzo abusivo. Da allora non ha fatto altro che girare per uffici giudiziari e frequentare lo Sco (un servizio di polizia, ndr) dell’Aquila per ottenere a ogni costo il condono di un edificio incondonabile. Se l’impresa dovesse riuscirgli, si metterebbe in tasca circa 10 milioni di euro.

 

Lo Sco dell’Aquila che cosa c’entra?

Ufficialmente è quello che ha svolto le indagini su Valentini. In realtà per mesi Tironese ha compiuto da solo molte intercettazioni, girando per Roccaraso con in tasca un registratore dello Sco.

 

Una cosa lecita?

Per la Consulta è legittimo. Evidentemente Tironese era ben "ammanicato", soprattutto ben consigliato. Forse non è un caso se qualche tempo fa è stato chiesto a un alto magistrato pescarese in pensione di smentire personali interessi economici nel palazzo abusivo. Ma non ha mai risposto.

 

Il nome di questo magistrato?

Lo farò ai Pm competenti, se mai si degneranno di ascoltarmi.

 

Lei dice che Valentini era "onesto e pulito". È stato arrestato per concussione aggravata. Qualcosa non quadra…

L’aggravante che ha spinto il pm a chiedere l’arresto del sindaco sarebbe costituita dal danno dichiarato da Tironese per la mancata vendita del palazzo. Ma è un danno inesistente, visto che ha pagato 101 milioni di lire un edificio abusivo costruito su un terreno che da solo valeva almeno 700 milioni di lire. Sarebbe bastata una perizia in più, con i valori aggiornati, per accertarlo. Quanto alla concussione, il pm e il gip la individuano soprattutto nell’enfasi, a loro parere eccessiva, che le perizie volute dal sindaco pongono sul pericolo di crollo della montagna sul palazzo abusivo. Nel merito, sarebbe bastato leggere la perizia super partes della Protezione civile, che la Cassazione ritenne decisiva per confermare l’abuso edilizio.

 

Come spiega queste lacune?

Può darsi che dei magistrati in buona fede siano stati tratti in errore da prove costruite ad arte da alcuni speculatori. Un errore che ha ucciso Valentini e che ora potrebbe legittimare una speculazione di 10 milioni di euro. Ma farò di tutto per impedirla. 

Bossi-Fini: il governo cerca soldi per finanziare il decreto

 

Corriere della Sera, 10 settembre 2004

 

Rush finale per il decreto correttivo alla Bossi-Fini. Al Consiglio dei ministri di oggi il governo dovrà indicare dove reperire i 4,1 milioni di euro per i giudici di pace, che dovrebbero diventare competenti della convalida delle espulsioni, e per i centri di accoglienza. Per tutto il pomeriggio di ieri si sono avvicendate riunioni tecniche sulla copertura finanziaria: 2,4 milioni di euro sono di competenza del ministero dell’Interno e altri 1,7 del ministero della Giustizia. Una ripartizione degli oneri che tiene conto del fatto che il Viminale dovrà finanziare i centri di permanenza temporanea per i clandestini in attesa di comparire di fronte al giudice di pace per l’udienza di convalida dell’espulsione e per l’eventuale discussione del ricorso. Mentre il dicastero di via Arenula dovrà provvedere ai compensi dei magistrati onorari.

In attesa che si arrivi a una soluzione il provvedimento resta bloccato. Non è ancora stato portato alla firma del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Ieri la soluzione era apparsa a portata di mano. Nel primo pomeriggio al ministero della Giustizia si era pensato di aver trovato i soldi attingendo all’accantonamento fondi di un capitolo di spesa del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. Ma col passare delle ore dal palazzo di via Arenula è giunta l’eco di una situazione ancora tutta aperta. Che finirà per essere dibattuta proprio al Consiglio dei ministri.

Intanto c’è già chi lancia un referendum abrogativo contro la Bossi-Fini. Franco Piperno, sindaco di Cosenza, che fa parte della Rete nuovo municipio, annuncia che "lo promuoverà a breve termine per eliminare le disposizioni vessatorie e proporre una politica dell’accoglienza che abbia i Comuni quale punto di riferimento". Sia dal punto di vista informativo delle possibilità che hanno gli immigrati per restare legalmente nel nostro Paese e per l’opera di ospitalità che i Comuni potrebbero svolgere, sostituendosi ai Cpt. 

Frosinone: troppo grasso per cella, chiede arresti domiciliari

 

Agi, 10 settembre 2004

 

Grasso anzi obeso con un peso che supera di parecchio il quintale, un detenuto del carcere di Cassino pensa di non poter proprio rimanere e chiede gli arresti domiciliari. Il letto è troppo stretto, la cella inadeguata alla sua mole così come lo sono anche sedie, sgabelli e qualche porta.

Per questo motivo, stanco di non poter muoversi nemmeno per il minimo indispensabile, il detenuto-super, attraverso il suo avvocato difensore, ha chiesto gli arresti domiciliari presentando l’istanza al giudice per le indagini preliminari che dovrebbe pronunciarsi tra qualche giorno. 

Mantova: arriva Edward Bunker, lo scrittore galeotto

 

Corriere della Sera, 10 settembre 2004

 

Metà della sua vita l’ha passata in carcere, l’altra metà a scrivere del carcere. Faccia da Gengis Khan, modi da perfetto gentiluomo, sguardo blu, conversazione impeccabile dove però può infilare a sorpresa il racconto di un bricolage su come usare uno spazzolino da denti per far fuori una persona, Edward Bunker potrebbe sbucare da un film noir interpretato da James Cagney. La sua esistenza, con gli andirivieni da San Quintino e la redenzione accompagnata dal successo, sembra una sceneggiatura. I suoi libri (in Italia pubblicati da Einaudi), Cane mangia cane, Come una bestia feroce, Educazione di una canaglia, Little boy Blue, Animal factory, parlano di criminali e di galere e sono tutte storie vere. Diciotto anni dietro le sbarre, a nove già in riformatorio malgrado un quoziente d’intelligenza strepitoso, Bunker è stato uno dei most wanted dell’Fbi.

Nato a Hollywood settant’anni fa, padre attrezzista teatrale, madre ballerina di fila, racconta: "Ero violento perché lo erano i miei genitori. A tre anni in un accesso d’ira distrussi l’inceneritore dei vicini. Quando i miei si separarono venni affidato a una famiglia con sette figli. Fui costretto a lottare per far valere la mia identità, lo stesso accadde poi nei riformatori".

 

Lei sostiene che in carcere si entra uomini e si esce bestie. Il suo caso però la smentisce.

"È un caso unico. Oggi sono invitato a cena da questo e quel senatore ma tutti gli altri ex detenuti non hanno alcuna possibilità se non tornare a rubare".

 

Quando venne rinchiuso per la prima volta in galera i detenuti in California erano 6 mila, ora sono 190 mila. Che è successo?

"È aumentata la popolazione, ma anche il crack e i conflitti razziali. I bianchi ormai a Los Angeles sono una minoranza e hanno abbandonato l’idea della riabilitazione, si punisce e basta".

 

La scrittura per lei è stata salvifica.

"Non ho studiato, ma fin da bambino sono stato un lettore famelico. Poi la svolta con la notizia di un libro di Caryl Chessman, chiuso nel braccio della morte. Iniziò una corrispondenza e lui mi mandò le bozze del suo libro. Di notte mi aggrappavo alle sbarre e mi ripetevo: ce la farò anch’io".

Bunker spiega divertito che il suo cognome ha un’origine francese: "Deriva da Bon Coeur , buon cuore. Non male come etichetta per chi ha truffato, rapinato, accoltellato".

 

Sabato è l’anniversario dell’11 settembre. Un commento?

"Da allora Bush ha sbagliato tutto. Ha buttato inutilmente miliardi in spese militari. Troppo tardi. In carcere lo sanno tutti: si salva solo chi è pronto e veloce".

Bunker ha ottimi rapporti col mondo del cinema. Tarantino lo ha voluto attore in Le iene, Robert De Niro lo ha scelto come maestro per imparare a fare la parte del duro in Heat, Animal factory è diventato un film con Willem Dafoe, tra i suoi migliori amici ci sono Jeff Bridges e Koncialowski. La sceneggiatura della vita vera di Eddie Bunker regala un definitivo happy end: l’ex detenuto abita in un villino bianco da commedia, ha sposato Jennifer, il suo avvocato, ha un figlio di dieci anni, Brandon, di cui esibisce le foto con espressione adorante.

E ieri sera il pubblico di Mantova si è lasciato incantare da questo marziano dagli occhi blu impegnato nell’elogio della perseveranza: "Ho impiegato diciassette anni e sei romanzi prima di farmi prendere sul serio da un editore. Ma non mi sono arreso. La perseveranza conta più del talento, più della fortuna, più dell’intelligenza. Per me è stata la salvezza".

Reggio Calabria: master su criminologia e psicologia

 

Quotidiano di Calabria, 10 settembre 2004

 

Criminologia applicata e psicologia giuridica: questo l’indirizzo del master che partirà dal prossimo ottobre a Reggio Calabria. Organizzato dall’Istituto di ricerca e formazione integrata "Esperide", il corso sarà diretto dal professor Carlo Serra, docente presso l’Università degli studi "La Sapienza" di Roma di criminologia e sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale, nonché di psicopatologia generale e criminologia minorile presso l’Università "Roma Tre".

La criminologia si caratterizza per essere una materia a metà strada tra l’ambito medico, quello sociale e quello giuridico: il corso che si terrà a Reggio durerà ottanta ore e sarà articolato in lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche, tra cui si prevedono anche simulazioni, predisposizioni di progetti, visione di filmati ed analisi di perizie; si concluderà con un esame finale e la presentazione di una tesi concordata con il direttore scientifico.

Saranno approfonditi i temi della devianza (con riferimento agli aspetti della stigmatizzazione, dell’emarginazione e del sistema penitenziario) e gli aspetti giuridici e psicologici dell’approccio di rete nel settore delle tossicodipendenze e del trattamento dei soggetti detenuti. Ampio spazio sarà dedicato a temi di forte attualità: il mobbing quale forma di terrorismo psicologico e gli abusi e le violenze sessuali sui minori (saranno esaminati casi clinici in perizie criminologiche e sarà affrontato il tema della pedofilia in rete).

Inoltre si tratteranno argomenti come la consulenza tecnico-psicologica in tema di separazione e divorzio per l’affidamento dei minori (con esame di perizie d’ufficio e di parte), i problemi giuridici e psicologici dell’adozione nazionale ed internazionale, le strategie di prevenzione ed intervento del "bullismo" nell’ambito della devianza minorile, la mediazione familiare.

Interverranno anche i rappresentanti del centro di giustizia minorile per la Calabria per gli approfondimenti. Sono previsti uno o due incontri mensili, che si terranno il sabato e la domenica per un totale di otto ore giornaliere ed al termine del corso sarà rilasciato un attestato di competenza. Il master in criminologia, dato il suo taglio interdisciplinare, è aperto a studenti universitari o laureati in psicologia, pedagogia, scienze dell’educazione, giurisprudenza, sociologia, lettere, filosofia, scienze politiche, ed anche ad assistenti sociali ed educatori.

 

 

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