Rassegna stampa 8 ottobre

 

Genova: il carcere di Marassi sul filo dell’emergenza

 

Il Secolo XIX, 8 ottobre 2004

 

Ieri mattina, a Palazzo San Giorgio, è stata celebrata la festa della polizia penitenziaria, alla presenza del prefetto Giuseppe Romano e delle più importanti autorità civili, militari e religiose. Un’occasione per sollevare i problemi del disagio carcerario relativi alle condizioni di sovraffollamento e alla carenza di personale.

Il direttore della casa circondariale genovese Salvatore Mazzeo ha parlato dopo l’intervento del provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria Giovanni Salamone. Mazzeo ha spiegato: "L’emergenza per il carcere di Marassi è costituita dalla carenza del personale: nell’organico mancano cento agenti per la sorveglianza dei detenuti". Mazzeo, a Genova da un anno e mezzo, spiega: "La casa circondariale di Marassi soffre, come tutte le altre carceri, dei problemi connessi al sovraffollamento. La situazione è complessa e alle soglie della pericolosità. Oggi, a fronte di una capienza di 569 posti, i detenuti sono 670. Sempre troppi, nonostante i trasferimenti eseguiti in questi ultimi tempi. Quando sono arrivato a Genova i detenuti in cella a Marassi erano 850. Attualmente ci sono 115 detenuti in più rispetto alla capienza strutturale".

Le reazioni. I deputati Ds genovesi Grazia Labate, Claudio Burlando, Graziani Mazzarello, Carlo Rognoni e Roberta Pinotti hanno presentato una interrogazione urgente al ministro della Giustizia, affinché individui le soluzioni per offrire risposte concrete alla difficile situazione del carcere di Marassi.

"Il direttore della casa circondariale di Marassi - ha spiegato la parlamentare diessina Grazia Labate, prima firmataria dell’interrogazione - ha lanciato un serio allarme per lo stato in cui versa il carcere genovese. Esiste il preoccupante problema del sovraffollamento, che determina una situazione al limite della pericolosità. In pratica il rapporto guardie carcerarie/detenuti vede una mancanza di circa 100 agenti nella dotazione organica. E si continua a sopperire con l’abnegazione di chi lavora in carcere per tenere sotto controllo la situazione".

Nel frattempo il direttore del carcere di Marassi, parlando del difficile rapporto tra detenuti e i poliziotti penitenziari, aggiunge: "I detenuti difficilmente vedono nelle guardie carcerarie figure di educatori e solo l’efficienza di chi lavora in carcere permette di tenere la situazione sotto controllo".

Entrando nei particolari della "popolazione" detenuta nel carcere di Marassi, si viene a sapere che un terzo sono tossicodipendenti e un terzo extracomunitari. L’elenco tra questi ultimi vede al primo posto i marocchini, seguiti dagli algerini e dai tunisini (per lo più detenuti per reati collegati al consumo di stupefacenti). Poi ci sono gli albanesi e gli ecuadoriani, che nella maggioranza dei casi sono stati arrestati per reati contro il patrimonio.

Ancora un problema: all’esterno del carcere di Marassi si appostano parenti e amici che cercano di far arrivare ai detenuti pacchetti di droga. Le guardie tentano in tutti i modi di intercettarli.

Al termine della festa sono stati premiati gli agenti che nei primi sei mesi del 2004 hanno recuperato pacchetti lanciati dalla strada. Tra i premiati anche alcune guardie che hanno sventato il suicidio di detenuti.

Pisa: detenuto si toglie la vita impiccandosi in cella

 

Il Tirreno, 8 ottobre 2004

 

La procura indaga sul suicidio in carcere di un quarantenne pisano. L’uomo, che era seguito assiduamente dai servizi sociali proprio per la prostrazione psicologica in cui si trovava, si è ucciso impiccandosi nella sua cella martedì intorno alle 12. Ad accorgersi di quanto era avvenuto sono state le guardie, ma ogni tentativo di rianimare l’uomo è stato vano.

La tragedia si è consumata in pochi minuti. L’uomo, che aveva scelto di stare in cella da solo, ha eluso la sorveglianza delle guardie e si è impiccato usando delle lenzuola annodate fra loro. Una esistenza difficile, straziata dalla dipendenza dalla droga, che lo aveva visto spesso recluso al Don Bosco sempre per episodi della stessa natura.

Padre di una bambina di 4 anni, avrebbe voluto vederla più spesso, nonostante sia i familiari che gli operatori sociali che lo seguivano cercassero di spiegargli i motivi di opportunità che sconsigliavano le visite della bambina al Don Bosco. Negli ultimi tempi l’uomo era particolarmente depresso e per questo ancora più attentamente seguito.

Ma le attenzioni non sono bastate. Martedì sembrava tranquillo, ma, appena le guardie si sono allontanate ha messo in atto il suo piano con le lenzuola, evidentemente preparate durante la notte. La salma è stata composta all’istituto di medicina legale per l’autopsia, mentre sul suicidio è stata aperta un’inchiesta coordinata dal Pm Aldo Mantovani. I funerali si terranno non appena la salma sarà restituita, a spese dell’amministrazione comunale. Ad organizzare la cerimonia saranno gli operatori del carcere.

Firenze: over 40 sfidano a calcio i detenuti di Sollicciano

 

Il Tirreno, 8 ottobre 2004

 

I magnifici della partita over 40 - stavolta ne sono stati selezionati 53 - si ritroveranno il primo novembre. Non sarà un’altra sfida rossi contro bianchi. Quel giorno gli ex della polisportiva La Perla giocheranno insieme contro un avversario del tutto particolare: i detenuti del carcere di Sollicciano. La gara si disputerà a Montecalvoli.

Il ricavato, come successo il 21 luglio, andrà in beneficenza.

Alla chiamata ha risposto perfino uno di Forcoli a cui hanno messo quattro by pass. Lui farà soltanto una comparsata, ma visto lo spirito dell’iniziativa non se l’è sentita di dire di no. Massimo Nardi, ideatore dell’album fai da te, non ha ancora deciso se ripeterà lo scherzo fatto quest’estate. Probabilmente cambierà qualcosa: un album sì, ma che racchiuda le immagini più belle di una partita che lascerà un ricordo indelebile in tutti i partecipanti. Anche in questo caso verrà chiesta una piccola cifra per ripagare il lavoro fatto, perché l’ex portiere in qualche modo dovrà rifarsi delle spese sostenute per la realizzazione del libretto.

Porto Azzurro: progetto di formazione per i detenuti

 

Il Tirreno, 8 ottobre 2004

 

Un progetto di formazione per i detenuti. Verrà portato avanti dall’Università delle Tre Età che varcherà il cancello del Forte San Giacomo. Un altro segmento per il reinserimento dei reclusi, un altro passo in avanti grazie al convegno "Io non ci voglio tornare" promosso dall’associazione Dialogo proprio per cercare di far superare le difficoltà che molte persone detenute incontrano una volta scontata la pena. Un convegno che ha richiamato esperti, docenti, amministratori. Fra i relatori Nunzio Marotti, assessore alle politiche culturali, poi il presidente Seac (coordinamento di tutte le associazioni che operano sul territorio), Piergiorgio Licheri. E proprio Licheri ha sottolineato le carenze dei servizi all’interno delle carceri ed il lavoro che svolge il volontariato per coprire le carenze dell’amministrazione pubblica. Quiindi l’intervento di Franco Corleone Garante dei diritti dei detenuti del Comune d Firenze che ha sottolineato come "il carcerato è sempre un cittadino e come tale continua a mantenere i propri diritti come alla salute, al lavoro, allo studio. Anche l’affettività è un diritto che bisogna lottare fuori e dentro le carceri". Contenuti, percorsi ed una carellata di esperienze hanno stimolato il convegno. La testimonianza di Lucia Casalini, presidente Unitre di Porto Azzurro, promotrice del Premio letterario nazionale "Emanuele Casalini" riservato ai detenuti ha lanciato la sua proposta. "L’Università della Terza Età varcherà la porta del Forte di San Giacomo. Un progetto di formazione informale per riempire il vuoto del carcere. I corsi si distribuiranno con piccoli incontri in piccoli gruppi per responsabilizzare e dare un pò di sicurezza nei rapporti interpersonali".

Vanna Bechelli, responsabile per le carceri ha rappresentato la Regione. Ha detto: "Il ruolo della Regione e degli enti locali è di promuovere delle misure che consentano di sostenere la persona che esce dal carcere come ad esempio l’inserimento di figure come i tutor che svolgono un’attività di continuità".

Cpt di Lampedusa: entrano parlamentari e associazioni

 

Melting Pot, 8 ottobre 2004

 

Ieri, 7 ottobre 2004, alle 17 circa una seconda delegazione (dopo quella di ieri pomeriggio) ha visitato il CPT di Lampedusa. Sono entrate le Onorevoli Chiara Acciarini dei DS e Tana De Zulueta del Gruppo Misto, insieme a Barbara Grimaudo e Alessandra Sciurba (Laboratorio Zeta) della Rete Antirazzista Siciliana, nel ruolo di collaboratrici delle senatrici.

Rispetto alle condizioni denunciate dall’Onorevole Miccichè e da Ilaria Sposito (Laboratorio Zeta e R.A.S.) entrati il giorno prima, il centro è stato probabilmente ripulito, ma la puzza di fogna non si manda via in un giorno, e alcuni escrementi sono rimasti nel cortile.

Il maresciallo dei carabinieri ha scortato la delegazione durante tutta la visita, insieme ad almeno una decina di carabinieri e agli operatori della Misericordia e ha cercato di rispondere alle domande poste dalle senatrici. Ma quando la delegazione ha chiesto come venissero effettuate le identificazioni e se agli "ospiti" del centro venissero comunicati tutti i loro diritti (compresa la possibilità di chiedere asilo politico se vittime di persecuzioni) all’ingresso del campo, il capitano rispondeva che non era comunque compito loro.

Di chi allora? Si è infine compreso che ciò non avviene del tutto. Le Parlamentari sono state invitate a scegliere, per iniziare la visita, uno dei prefabbricati dove i migranti dormono e scelgono quella che dovrebbe essere una mensa, ma che è ancora adibita a dormitorio, nonostante la situazione di emergenza sia ormai terminata.

Una volta dentro, la delegazione si è trovata ad affrontare una situazione grottesca: uno dei migranti, cui non era stata posta alcuna domanda, essendo circondato da carabinieri e operatori della Misericordia, inizia a dire a gran voce che lì va tutto benissimo, che sono tutti gentili, che non hanno bisogno di nulla, e gli altri suoi compagni annuiscono. Mentre lui parla però, Alessandra scorge in mezzo al gruppo il viso di un ragazzo particolarmente giovane. "Ho sedici anni", dichiara quando gli viene chiesta l’età.

Nessuno si era occupato prima di verificare quanti anni avesse il ragazzino. È stata necessaria una delegazione parlamentare per farlo spostare nella parte del campo riservata ai minori e alle donne. A quel punto i ragazzi che stavano nel container iniziano a prender fiducia nei confronti delle donne che hanno davanti. In francese (non esiste un interprete di lingua inglese o francese nel campo), sottovoce, le stesse persone che avevano dichiarato le meraviglie del centro un istante prima, chiedono di potere parlare in privato con loro. Dopo alcune contrattazioni, i carabinieri non possono rifiutare questa richiesta.

"Sto malissimo. Qui è uno schifo. I bagni non hanno le porte e sono sporchissimi. Sono qui da sei giorni e non ho mai potuto telefonare. Non ti fanno telefonare. Ti insultano".. .

Questo dicono i migranti una volta lontani da polizia e operatori del centro. Alla domanda se qualcuno avesse mai spiegato ai "trattenuti" del centro quali diritti potessero esercitare loro rispondono "Mai, nessuno ci dice nulla". Qualcuno afferma: "da solo ho chiesto di fare domanda di asilo ma mi dicono sempre: domani".

Un altro prefabbricato, sempre la stessa scena. Tanti materassi sottilissimi di gommapiuma gialla, tutti rotti. Niente altro dentro i dormitori. Nessun mobile. Le senatrici chiedono se non esistano le lenzuola lì dentro. Viene loro risposto che ogni tanto vengono consegnati dei "monouso", ma che per il momento non ce ne sono.

Alcuni ragazzi non guardano neppure. Un ragazzino di 18 anni ha l’aria stremata, non sorride neppure quando gli si stringe la mano. Di nuovo fuori. Si continua a parlare. I "trattenuti" hanno molte cose da chiedere.

Alle domande dei migranti le senatrici confermano la notizia che alcuni voli per la Libia, carichi degli "ospiti"del centro di Lampedusa, sono partiti davvero. L’Onorevole De Zulueta mostra ai ragazzi un articolo di giornale, loro da dentro il campo non sanno nulla. Il diritto all’informazione lì dentro non esiste, non sanno niente neppure del naufragio di qualche giorno prima, a largo della Tunisia. Eppure molti di loro sono tunisini.

Alla conferma delle deportazioni in Libia si solleva un brusio, qualcuno ha alza un po' la voce, ma la reazione delle forze dell’ordine è spropositata. Come era successo durante la visita della delegazione del giorno prima, l’operazione "psicosi da rivolta" scatta di nuovo. Alla delegazione viene detto in modo concitato di uscire: "visto cosa avete fatto? Avete fatto abbastanza, ora basta". I carabinieri informano le delegate che se si scatenerà una rivolta la responsabilità sarà loro, delle cose che hanno detto. La rivolta non si scatena neppure stavolta. I ragazzi chiedono solo quale sia il loro destino, dove li porteranno, perché, se sono innocenti e non hanno commesso alcun reato si trovano in un carcere terribile come quello.

Le Parlamentari gli spiegano che torneranno il giorno dopo, è una promessa, ma intanto loro devono stare calmi, non devono dare un pretesto per vietare successivi ingressi.

Due portavoce, su richiesta delle senatrici, vengono scelti tra i migranti, la situazione è tranquilla. Si va a parlare con loro nello spazio tra il cancello del centro vero e proprio e il secondo cancello che separa il campo dall’esterno. Le delegate ripetono ai ragazzi di stare calmi, e che torneranno presto, ma loro chiedono in base a cosa possono ancora fidarsi di qualcuno visto che gli hanno detto solo menzogne, visto che nessuno gli dice neppure dove li portano quando vengono "trasportati" via. Alessandra chiede il permesso di accostarsi al cancello, i migranti rimasti dietro le sbarre la stanno chiamando. Riceve l’autorizzazione, ripete loro di stare calmi, di non dare la scusa ai poliziotti per dire che le visite nel campo sono dannose e creano solo disordine. Dice loro che tanta gente in Italia chiede loro scusa per quello che gli sta succedendo, che tanta gente disprezza i posti come quello, che si sta cercando di fare informazione, di bloccare le deportazioni. Ma loro chiedono ancora cosa li aspetti, qual è la soluzione per il loro futuro. Alla fine la applaudono solo perché ha spiegato con calma come stanno le cose, le chiedono di pregare Dio per loro. E nonostante questo tutti i carabinieri stanno lì attorno, con l’aria di chi si aspetta la rivoluzione da un attimo all’altro. Intanto le senatrici hanno portato fuori dal primo cancello il ragazzo minorenne con il cugino adulto, e in quel momento è sopraggiunto il responsabile dell’ufficio immigrazione della questura di Agrigento.

Risulta allora evidente che le procedure attraverso le quali si stabilisce la nazionalità e l’età dei migranti sono quanto meno approssimative, e si capisce che la posizione individuale di ognuno dei "detenuti" in realtà non esiste, non viene mai presa in considerazione. Detenzione per categorie, come in tempi tristemente noti, e deportazione per categorie. Nessuno ha saputo spiegare perché alcuni sono stati portati via e altri no, perché alcuni in Libia e altri a Crotone. Il maresciallo dei carabinieri risponde solo che chi arriva prima viene portato via prima. Come all’interno dei magazzini dove arrivano le merci. La delegazione, la stessa, rientrerà domattina.

Il Ministro Castelli: sulla giustizia sarò più flessibile

 

Repubblica, 8 ottobre 2004

 

Sta tutta in un aggettivo la sconfitta del Guardasigilli Castelli sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Sta in quel "flessibile", in quel "sarò flessibile", pronunciato dal ministro della Giustizia ieri sera a Montecitorio dov’era andato per "raccomandare" al presidente Casini quello che resterà della "sua" legge. Una giornata calvario.

La mattina, prima di partire per Milano dov’era in programma una conferenza stampa con Formigoni, ecco il colloquio a tu per tu con Berlusconi. Il premier conferma quanto aveva detto a Bossi: "Castelli, devi stare tranquillo, dobbiamo aspettare l’anno nuovo". Poi la notizia peggiore: "Gli emendamenti dell’Udc, a questo punto, li devi presentare tu".

Nel primo pomeriggio la voce si diffonde, diventa notizia: le 17 richieste di modifica dell’Udc che giacciono da due settimane al Senato, di cui Castelli aveva detto "se non le ritirano io darò parere contrario e le respingerò", passano di mano e saranno presentate dallo stesso governo sotto forma di un nuovo maxi-emendamento, il terzo della serie come ricordano subito quelli dell’Anm. Che fanno una battuta: "Questi maxi finora non hanno portato fortuna".

L’Udc ha vinto, Castelli e il falco aennino Bobbio (relatore della riforma al Senato) hanno perso. Il sottosegretario centrista alla Giustizia Vietti fa mostra di fair play: "È inutile andare a vedere chi ha vinto e chi ha perso. Ha vinto il buon senso di chi vuole una riforma meno vulnerabile". Ma l’Udc non può nascondere la sua grande soddisfazione, anche se Vietti la butta sul politico e ribadisce: "È la stessa storia del federalismo. Prima ci hanno criticato per le richieste di luglio, adesso ci danno ragione".

Il segretario centrista Follini è rimasto dietro le quinte, ma ha tenuto duro. Diceva dall’inizio di settembre che quella dell’ordinamento giudiziario sarebbe stata la battaglia dell’autunno, così è stato, e Berlusconi che vuole evitare a tutti i costi scontri con le toghe per via del suo processo (e di quello di Dell’Utri) lo ha assecondato. Diceva ieri in Transatlantico il forzista Cesare Previti con il suo inconfondibile accento romanesco: "Si fa, si fa, magari ci prendiamo un pò di tempo, ma si fa".

A questo punto tocca a Castelli caricarsi addosso la battaglia perduta: lui voleva che la riforma passasse immediatamente al Senato, pena la sua "morte" per via dei tempi. E ieri ha riparlato di morte di nuovo, con una frase sibillina: "Voglio dare prova di massima flessibilità. Non possono chiedermi di essere l’assassino della riforma".

"Loro" sono soprattutto quelli dell’Udc, ma anche i forzisti. Al responsabile Giustizia azzurro Gargani, che ancora ieri insisteva per un vertice dei saggi della giustizia (Castelli, Vietti, Gargani, La Russa), il ministro ha risposto: "No, voglio incontrare prima te. Vediamoci da me alle 14". Fresco delle audizioni del commissario Ue Buttiglione, Gargani oggi arriva da Bruxelles dove ha difeso l’esponente centrista dagli attacchi delle sinistre e vede Castelli. Ma già ieri Gargani anticipava la linea: "I magistrati con cui abbiamo parlato io e Bondi non si accontentano certo degli emendamenti dell’Udc, lo hanno detto chiaramente.

Hanno accettato il tavolo del confronto, ora bisogna dargli una risposta vera". Resta la battuta di Castelli che non vuole fare "l’assassino della riforma". Che vuol dire? Qualcuno (Berlusconi?) ieri gli ha chiesto di accantonarla definitivamente? O la battuta nasconde una velata minaccia di dimissioni? Castelli sarà "flessibile" nel gestire un prossimo maxi-emendamento, ma fermo nella richiesta di garantire un iter spedito alla Camera dopo l’approvazione al Senato. Per questo, al presidente Casini il ministro ha chiesto di dargli rassicurazioni sul futuro. Convinto com’è che i tempi giochino contro la riforma, il Guardasigilli vuole a tutti i costi approvarla entro l’anno per occuparsi poi dei decreti attuativi. Processi di Berlusconi permettendo.

Catanzaro: detenuto marocchino si evira con lametta

 

Quotidiano di Calabria, 8 ottobre 2004

 

Una lametta, del tipo usa e getta con astuccio, comunemente utilizzate per radersi è divenuta in pochi muniti di lucida follia l’arma letale utilizzata da un extracomunitario per evirarsi e procurarsi due profondi tagli ai lati della gola, fin quasi a ledere la carotide. Pochi minuti, dunque, per decidere di "autopunirsi", rigirandosi tra le mani quella lametta che, da lì a poco, avrebbe lui stesso affondato cinicamente nella carne, procedendo con un taglio netto dell’organo genitale.

Il dolore è lancinante, di quelli che svuotano la testa. Le mani tremano, tutto il corpo trema, è una convulsione totale, la tempia è come se scoppiasse, mentre il sangue scende copioso sul pavimento della cella nella quale lui, Zadi Seddik, trentottenne di origine marocchina e senza precedenti penali, si trova rinchiuso da quasi tre mesi per aver venduto merce col marchio contraffatto.

Ma non si ferma. Riesce a stringere ancora forte, tra le mani, la lametta. La "punizione" non è finita. E così, con la forza inverosimilmente rimastagli, alza la mano e colpisce ancora. Questa volta la lametta imbrattata di sangue si dirige verso la gola, prima da un lato e poi dall’altro. Ma quante volte, Zadi, l’avrà affondata nella carne? Il dolore sempre più forte e la lametta ormai "consumata" non gli impediscono di agire con forza, se alla fine i tagli arrivano ad interessare la carotide. Sono tagli profondi, anche se mai come quello che gli ha già provocato la recisione dell’organo genitale.

A trovarlo privo di sensi una guardia penitenziaria, o forse un altro detenuto, non lo ricorda questo Zadi. Il suo racconto è molto confuso. In pigiama, strascica i piedi nel corridoio dell’ospedale Pugliese, trascinandosi dietro il catetere che i medici del reparto di urologia gli hanno attaccato dopo essere intervenuti sulla parte del suo corpo dilaniata. Erano le 20 del 23 settembre quando l’uomo è arrivato al pronto soccorso, a bordo di un’autoambulanza, dopo aver ricevuto le prime cure nell’infermeria del carcere di Siano. Il suo referto medico parla di evirazione e di tagli alla gola. Ferite profonde, drammatici dettagli di un’esistenza tortuosa. Accanto a lui l’avvocato Francesco Di Lieto, determinato a capire cosa sia realmente accaduto dietro quelle sbarre che, per tre mesi, hanno fatto fermare l’orologio esistenziale di Zadi.

Tre mesi chiuso in una cella per aver venduto un cd ed alcuni capi di abbigliamento contraffatti. Una condanna riportata lo scorso anno a Cosenza, spiega l’uomo, contro il quale era stato anche emesso un decreto di espulsione che alcuni finanzieri della Tenenza di Soverato, durante un controllo attuato lo scorso mese di luglio, gli avevano trovato in tasca. Da lì il fermo ed il successivo trasferimento nel carcere di Siano, per espiare la condanna di cui l’avvocato che lo aveva difeso d’ufficio davanti ai giudici cosentini non aveva chiesto la sospensione, nonostante lo stato di incensuratezza dell’uomo.

Una "dimenticanza" che aveva rappresentato l’inizio dell’avventura giudiziaria di Zadi, i cui pensieri intanto continuavano ad essere rivolti alla moglie e al figlio lasciati in Marocco. "In dieci anni di permanenza in Calabria non sono riuscito a procurarmi un permesso di soggiorno", racconta l’uomo in un italiano stentato, con lo sguardo basso e il volto tirato. Ma non dal dolore. Il peggio è ormai passato. È altro quello che si legge nello sguardo di Zadi. Paura? "La verità è quella che ho raccontato", sostiene continuamente l’uomo, quasi a voler scongiurare il rischio di domande più "pericolose". Quelle domande che inevitabilmente riguardano le modalità e soprattutto i motivi di un gesto apparentemente inspiegabili. "La lametta l’ho trovata tra i panni contenuti in una busta al mio ritorno dall’ospedale due mesi fa", racconta ad un certo punto Zadi, spiegando che già una volta, dopo qualche giorno dal suo arrivo in carcere, in seguito ad un litigio con alcuni compagni di cella si era ferito al tendine del braccio sinistro. Anche quella volta con una lametta, che si era nascosto sotto un’unghia. Anche quella volta con una lametta "speciale", viene da commentare osservando la fasciatura ancora presente sulla ferita. E poi cos’è accaduto? "Nulla, mi hanno spostato al primo piano per allontanarmi da quei detenuti, ma lì dove mi hanno messo le finestre erano basse, non si vedevano le montagneŠ Ed io pensavo sempre alla mia vita, alla mia malattia (Zadi sostiene quasi con vergogna di essere omosessuale, ndr), ai soldi che non avevo e alla famiglia lontana. E poi avevo paura di non uscire più dal carcere".

Ma Zadi da quel carcere sarebbe uscito molto presto. La detenzione, infatti, terminava mercoledì 6 ottobre. E mercoledì mattina a Zadi è stato notificato il decreto di scarcerazione per decorrenza termini. "Esserti evirato perché non vedevi le montagne sembra pocoŠ" Zadi abbassa gli occhi, ribadisce che la verità è quella che ha detto, che nessuno gli ha fatto del male. Quel taglio se l’è fatto da solo, e sostiene ancora che si è prima evirato e poi colpito alla gola. Con quale forza? Zadi non risponde, dice di non ricordare bene cosa sia accaduto dopo essersi ferito. In cella, al momento dell’autopunizione, si trovava da solo. Lo ripete in ogni occasione. E ribadisce instancabilmente di aver utilizzato una lametta, di quelle per la barba.

Zadi è stanco, adesso spera solo di poter restare in Italia, ancora meglio di potersi fare raggiungere dalla moglie venticinquenne, Iamna, e dal figlio di due anni. L’avvocato Di Lieto promette di aiutarlo, seguirà il suo caso, ma per ora vuole capire come sono andate realmente le cose, come un uomo abbia potuto procurarsi da solo quelle ferite così profonde. Interrogativi girati dal legale al direttore del carcere, sollecitato con una nota scritta a comunicare un dettagliato resoconto di quanto accaduto al proprio assistito "poiché appaiono poco chiare le circostanze in cui avrebbe riportato le gravissime lesioni personali per le quali si trova tutt’ora ricoverato in ospedale". E decorsi infruttuosamente sette giorni l’avvocato avverte che sarà costretto a richiedere il presidio dell’Autorità giudiziaria che, al momento, non sembra abbia avviato alcun tipo di indagine. Come nessuna indagine è stata avviata all’interno del carcere, dove "farsi la barba è un diritto di ogni detenuto", proprio come in qualsiasi altra realtà carceraria del mondo.

 

"Era in cella con altri, ma poi è stato isolato"

 

"Zadi Seddik si trovava da solo in cella al momento in cui si è evirato". Su questo il direttore della Casa circondariale di Siano, Roberto Romaniello, è categorico. Pur declinando l’invito per un incontro e una intervista sul caso del detenuto marocchino ("Non ho l’esigenza di parlare di questo caso"), il dirigente della struttura accetta prontamente di dare notizie su quanto accaduto sabato scorso all’interno dell’istituto penitenziario catanzarese. "Per questo detenuto ­ afferma Romaniello ­ erano state adottate tutte le precauzioni possibili per salvaguardare la sua incolumità fisica".

Una incolumità che sarebbe stata messa a rischio da "qualche" problema che lo stesso detenuto avrebbe avuto con i suoi compagni di cella poco prima di evirarsi. "Non conosco fino in fondo i motivi, ma nei giorni scorsi ­ ricorda il direttore ­ credo abbia avuto problemi con i compagni di cella. Per questo abbiamo deciso di trasferirlo e di sottoporlo a sorveglianza di custodia, anche per evitare che potesse subire ritorsioni". Una decisione che avrebbe appunto portato il marocchino ad essere trasferito in una cella di un piano diverso da quello in cui si trovava, anche se sulla sua sistemazione rimangono versioni divergenti. Da una lato lo stesso detenuto che racconta di essere stato trasferito dal quarto al primo piano, quello in cui troverebbero posto i tossicodipendenti, mentre dalla Casa circondariale fanno sapere che si sarebbe trattato di una sistemazione diversa. "Quello che ha fatto ­ ci tiene a precisare Roberto Romaniello ­ lo ha fatto da solo. Quale sia il motivo non è di mia conoscenza".

Ma la scelta di evirarsi e di tagliarsi il collo fino ad interessare la carotide, sembra non sia stato l’unico gesto inspiegabile compiuto da Zadi Seddik. è lo stesso direttore della Casa circondariale di Siano ad aggiungere che nei giorni scorsi, circa due o tre giorni prima dell’ultimo episodio, il cittadino marocchino si sarebbe tagliato un avambraccio, utilizzando sempre una lametta che gli avrebbe tranciato di netto il tendine. Anche in questo caso, si tratterebbe di un gesto compiuto in assoluta solitudine, con una freddezza che fa venire i brividi, nonostante si trovasse ancora con i compagni di cella.

Una scelta di "autopunirsi" senza pensarci un solo attimo, ripetuta proprio per ben due volte in pochi giorni. Fino a quel sabato pomeriggio, quando, nonostante portasse ancora la fasciatura al braccio evidentemente debilitato, è riuscito a tranciare di netto l’organo genitale e a provocarsi due profondi tagli alla gola. "Gli extracomunitari, ad esempio quelli di nazionalità algerina o marocchina, sono inclini a compiere certi gesti autolesionistici ­ afferma il direttore Romaniello ­ così come risulta anche dai dati a livello nazionale". Per quanto riguarda il modo in cui l’uomo è riuscito a procurarsi in cella una lametta, lo stesso direttore non ha dubbi: "I detenuti hanno il diritto di farsi la barba e lui ha usato una normalissima bic usa e getta".

Dalla casa circondariale di Siano tutto sembra essere stato ricostruito senza possibilità che possano rimanere dubbi su cosa sia potuto accadere in quella cella, in un piano del carcere, dove Zadi Seddik, in perfetta solitudine, ha rischiato di morire con il dolore lancinante e la copiosa perdita di sangue.

Siracusa: "la buona condotta non apporta alcun beneficio"

 

La Sicilia, 8 ottobre 2004

 

Denunciando le presunte inadempienze del magistrato di sorveglianza del carcere di contrada Cavadonna, nonché "l’assenza" dei cancellieri, i detenuti rendono noto l’iniquo trattamento riservato ad essi, "privati" del godimento dei benefici previsti dalla legge. In un esposto, inviato al Consiglio superiore della magistratura, alla sezione "sorveglianza" del tribunale di Catania, all’associazione "Papillon" di Roma, ed al presidente del tribunale di Siracusa, i detenuti fanno notare che la concessione della liberazione anticipata è rimasta alla fase dei proclami.

La liberazione anticipata che, assieme all’affidamento in prova al servizio sociale, alla detenzione domiciliare, alla semilibertà, rientra tra le misure alternative alla detenzione, ossia la serie di pene sostitutive del carcere finalizzate a favorire il reinserimento sociale del condannato così statuisce: i detenuti che abbiano dimostrato di partecipare all’opera di rieducazione svolta in carcere possono beneficiare di una riduzione di 45 giorni di pena per ogni semestre scontato.

Nel carcere di contrada Cavadonna, scrivono ancora i detenuti, ci si "dimentica" di applicare anche il regime di semilibertà che consentirebbe al detenuto di trascorrere fuori dal carcere una parte del giorno allo scopo di lavorare e partecipare all’attività di reinserimento sociale. A tale regime possono esservi ammessi i condannati all’arresto o alla reclusione per un periodo inferiore ai 6 mesi o a una qualsiasi pena detentiva purché ne abbiano scontata metà (20 anni se si tratta di condanna all’ergastolo) e purché, per la buona condotta tenuta in carcere, abbiano dimostrato la volontà di reinserimento sociale. Nonostante, poi, gli ordinamenti legislativi contemplino l’indultino, nel carcere di contrada Cavadonna, aggiungono i detenuti, lo stesso non viene applicato.

Molti detenuti, così, fuoriescono dal carcere dopo aver scontato tutta la pena, e senza che sia stata loro riconosciuta la buona condotta, ossia il presupposto di una serie di benefici applicabili a quei detenuti che in carcere abbiano dato segni di ravvedimento. Il magistrato di sorveglianza non riconoscerebbe, poi, ai detenuti i permessi premio, né quelli attribuibili in circostanze particolari, quando, ad esempio, un familiare è in pericolo di vita.

Verona: il carcere scoppia, il direttore chiede rinforzi

 

L’Arena di Verona, 8 ottobre 2004

 

Fanno un lavoro difficile, poco pubblicizzato, spesso con scarse gratificazioni. Ma sono una delle realtà più solide delle forze dell’ordine. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno festeggiato ieri, nel carcere di Montorio, la tradizionale festa che coincide con la ricorrenza della Beata Vergine del Rosario. Un appuntamento che è servito al direttore della casa circondariale, Salvatore Erminio, per puntare l’accento sulla cronica carenza di personale e sul sovraffollamento della struttura, ma anche per rivolgere un ringraziamento agli agenti per la professionalità che dimostrano quotidianamente. Un evento a cui hanno partecipato le massime autorità cittadine: il prefetto, Francesco Giovannucci, il procuratore capo Guido Papalia, il giudice per le indagini preliminari, Sandro Sperandio, il comandante dei carabinieri, Georg Di Pauli, il questore, Luigi Merolla, il comandante della polstrada, Vincenzo Diaferia, il comandante dei vigili, Antonella Manzione, militari della guardia di finanza, l’assessore comunale Maria Luisa Albrigi, il presidente del consiglio Comunale Massimo Galli Righi.

La cerimonia è iniziata con la messa, celebrata dal cappellano del carcere don Luciano. Subito dopo sono stati premiati due agenti che si sono distinti in servizio per aver salvato un detenuto che stava tentando il suicidio. Infine, il direttore si è rivolto agli ospiti, agli agenti in servizio e a quelli in pensione, ricordando che l’anno appena trascorso è stato "intenso e difficile", ma anche ricco di "soddisfazioni".

Il problema del sovraffollamento, ha aggiunto Erminio, "non esenta Verona". Nell’ultimo anno le presenze nel carcere di Montorio sono aumentate del 10 per cento. Attualmente le strutture ospitano 676 uomini e 61 donne, a cui si aggiungono 28 persone in stato di semilibertà. "Permane la carenza di organico sia del contingente di reparto che del nucleo traduzioni e piantonamenti, carenza accompagnata alla deficitaria situazione delle risorse tecniche che ci obbliga a lavorare sempre nell’emergenza e precarietà".

Malgrado tali difficoltà i poliziotti penitenziari "hanno sempre garantito quelle condizioni di sicurezza e legalità necessarie per poter realizzare i compiti istituzionali". Erminio ha poi fornito altri numeri che fotografano la situazione carceraria veronese. Nell’ultimo anno sono entrati, a vario titolo, 1.498 detenuti e ne sono usciti 1.464, oltre otto al giorno; 2.154 sono stati portati davanti all’autorità giudiziaria, 793 in luoghi di cura, 56 agli arresti domiciliari e 295 trasferiti in altri istituti. I cinofili hanno compiuto 106 interventi in istituto penitenziari del Triveneto. Ma la polizia penitenziaria è anche "uscita" dal carcere per 34 interventi sul territorio e 107 sequestri di droga. Di particolare rilievo l’operazione con la polfer dello scorso agosto che ha portato all’arresto di sei persone e alla denuncia di due, oltre al sequestro di armi e tre etti di droga.

San Vincenzo: prevenire e recuperare è meglio, per tutti

 

Vita, 8 ottobre 2004

 

Investire sul fattore tempo e sul capitale umano rinchiuso dietro le sbarre, lavorando sul reinserimento dopo la pena. È il senso del progetto lanciato stamani dalla società San Vincenzo De Paoli nell’ambito della seconda giornata di solidarietà per i detenuti dal titolo "prevenire e recuperare è meglio. Per tutti".

L’iniziativa, in collaborazione con il dipartimento di amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia, intende portare istruzione di base e formazione artigianale all’interno delle celle attraverso laboratori specifici per falegnami, fabbri e altri mestieri, oltre a laboratori informatici. Duplice lo scopo: a lungo termine il progetto conta di ridurre il tasso di recidività; a breve termine punta a rendere meno "disumano e disumanizzante" l’ambiente carcerario, come spiega Marco Bersani presidente della società San Vincenzo, e a contenere l’emergenza suicidi.

"Basti pensare ai 6.353 atti di autolesionismo su 56.838 detenuti; ai 95 suicidi e 952 tentativi di suicidio nel 2003", precisa Bersani. La parola d’ordine è dunque prevenzione come insiste don Sandro Spriano cappellano di Rebibbia: "il carcere è un fallimento per la società, per la chiesa, per tutti noi come individui. Sta diventando solo il luogo per contenere l’80% dei poveri", aggiunge. "Bisogna convincere la società civile che prevenire è meglio per la nostra sicurezza", conclude Spriano.

Sulla stessa linea Claudio Marchiandi, direttore area pedagogica del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Giustizia), che auspica una maggiore collaborazione con le associazioni di volontariato nella prevenzione dei reati. "Il carcere rappresenta il fallimento di tutto ciò che dovrebbe essere posto in essere a monte nei confronti della povertà e dei disagi sociali", conclude.

Padova: sta per avviarsi il progetto "Avvocato di strada"

 

Redattore Sociale, 8 ottobre 2004

 

Sull’esempio di quanto già avvenuto a Bologna e a Verona, ora anche a Padova sta per prendere avvio il progetto "Avvocato di strada" per offrire assistenza giuridica a chi si trova in difficoltà.

.Consulenza e assistenza giuridica gratuita anche ai senza fissa dimora di Padova. Sull’esempio di quanto già avvenuto a Bologna e a Verona, ora anche a Padova sta per prendere avvio il progetto "Avvocato di strada" per offrire assistenza giuridica a chi si trova in difficoltà.

L’attenzione degli avvocati padovani sarà concentrata, in particolare, verso coloro che sono stati dimessi o stanno per uscire dagli istituti di pena e intendono avviare un percorso di inserimento sociale nel territorio padovano.

"Rispetto alle altre due realtà di Avvocato di strada, Bologna e Verona – specifica Francesco Morelli dell’associazione Granello di Senape - il nostro obiettivo è sostenere le persone che escono dal carcere. Insieme a Terre di Mezzo di Milano abbiamo infatti portato avanti una ricerca sulla situazione abitativa dei detenuti in prossimità della scarcerazione, e i numeri parlano chiaro: circa un terzo delle persone che escono dal carcere dopo una detenzione medio-lunga non hanno una casa dove andare ad abitare. In più, si sommano i problemi legati alla residenza: dopo 2,3 anni di carcere il Comune toglie la residenza ai detenuti, con tutto ciò che ne consegue a livello di servizi (medici e non solo)".

Ma come funzionerà il progetto? Sostanzialmente, "Avvocato di strada" prevede l’apertura di uno Sportello, la presa in carico degli utenti per la soluzione stragiudiziale delle questioni proposte, l’accompagnamento presso strutture già esistenti e in grado di risolvere i problemi (come ad esempio i patronati per le questioni pensionistiche), la difesa gratuita - anche in assenza dei requisiti per il gratuito patrocinio - per ogni eventuale controversia giudiziaria, lo studio e l’approfondimento dei diritti della povertà.

Lo Sportello avrà una articolazione interna al carcere, per offrire consulenze ai detenuti e affrontare i problemi di natura legale e pratica, prima che le persone rischino di diventare senza fissa dimora. "Lo Sportello spiega Francesco Morelli - sarà costituito prevalentemente da avvocati e laureati in giurisprudenza, che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale ai cittadini senza fissa dimora, anche recandosi in carcere. Ci sarà poi un detenuto semi-libero che lavorerà all’esterno". Verrà inoltre realizzato un opuscolo che contiene tutte le informazioni possibili (indirizzi e percorsi per raggiungerli, orari, recapiti telefonici) sui luoghi dove trovare alloggio, pasti, cure sanitarie, assistenza legale, etc., insieme a un giornale di strada – "Il Brontolo" - alla cui redazione e distribuzione partecipino anche homeless.

Qualche dato: a Padova sono circa 500 le persone senza fissa dimora; 200 alloggiate in dormitori e centri di accoglienza, mentre le restanti vivono per strada o in ricoveri di fortuna. Dalle carceri cittadine (Casa di Reclusione e Casa Circondariale) ogni anno vengono inoltre dimesse 500 - 600 persone e almeno il 10% di queste rimane a Padova andando a ingrossare le fila dei senza fissa dimora.

Recenti studi dell’Associazione "Amici di Piazza Grande" di Bologna, hanno infatti evidenziato che il 30% dei senza fissa dimora ha alle spalle una o più esperienze di detenzione in carcere e che il 50% ha procedimenti giudiziari aperti. L’iniziativa è promossa dall’Associazione "Gruppo Operatori Carcerari Volontari", dall’Associazione "Il Granello di Senape" e dalle Cooperative Sociali "Cosep" e "AltraCittà", è finanziata dal Centro di Servizio per il Volontariato di Padova e vede l’adesione di "Agorà - Agenzia Organizzazioni Associate Persone senza dimora".

Il progetto sarà presentato pubblicamente il prossimo 15 ottobre, con un Convegno nella "Sala Anziani" di Palazzo Moroni (Via Del Municipio n° 1), a partire dalle 10. Per saperne di più: Associazione Granello di Senape - Ristretti Orizzonti, www.ristretti.it.

Vicenza: gli Avvocati di strada, un servizio a favore degli ultimi

 

Il Giornale di Vicenza, 8 ottobre 2004

 

Avvocati di strada in aiuto alle persone in difficoltà: un servizio da tempo richiesto e che ora, grazie all’impegno congiunto di Caritas e legali, è diventato realtà. Ha aperto i battenti ieri sera lo sportello legale di informazioni e consulenze gratuite voluto dalla Caritas diocesana per aiutare da un punto di vista giuridico le persone in una situazione di particolare bisogno. Sarà aperto tutti i giovedì dalle ore 19 alle ore 21, grazie ad alcuni professionisti che si sono messi gratuitamente a disposizione e che allo scopo hanno seguito un corso di formazione che si è svolto nei mesi scorsi e al quale hanno partecipato una quindicina tra avvocati e praticanti della provincia di Vicenza.

Lo sportello - che fornirà utili informazioni su temi come l’immigrazione, le problematiche legate al carcere, il diritto di famiglia, la tutela dei diritti per chi non ha una dimora stabile, o di persone con handicap fisici o psichici - gode dell’approvazione del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Vicenza e di Bassano del Grappa.

"Sempre più spesso - spiega don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas diocesana -, per uscire da un bisogno che diventa disagio è fondamentale avere le informazioni giuste. Non solo perché viviamo in una società sempre più complessa, ma anche perché sempre più spesso l’affermazione dei propri diritti esige una adeguata conoscenza delle norme che li regolano, sia per quel che riguarda le strutture preposte all’erogazione dei servizi inerenti ai diritti di cittadinanza come la casa, il lavoro o la salute, sia per quel che riguarda le norme preposte alla difesa dei diritti delle persone. Da tempo abbiamo cercato una proposta percorribile di servizio, confrontandoci anche con altre esperienze, come quella degli avvocati di strada di Bologna".

Da tempo era attivo presso gli uffici di contrà Torretti un servizio di consulenza legale, ma esso non era ormai più sufficiente a rispondere alle crescenti richieste di informazione e di consulenza.

"Per questo abbiamo pensato - aggiunge don Sandonà - di chiedere ad alcuni avvocati di mettere a disposizione la loro professionalità e il loro tempo per un servizio di informazione legale gratuita. Le persone che si rivolgeranno allo sportello legale della Caritas riceveranno informazioni che permetteranno loro di affrontare in modo idoneo i problemi, se necessario saranno rinviati a una specifica tutela legale; in casi eccezionali la Caritas diocesana valuterà se assumerne la causa attraverso un percorso idoneo". Per informazioni ed appuntamenti, ci si può rivolgere alla segreteria della Caritas in Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986.

Lazio: 400mila euro per il reinserimento dei detenuti

 

Vita, 8 ottobre 2004

 

Lo ha annunciato l’assessore regionale agli Affari istituzionali, Donato Robilotta, durante il dibattito sulla situazione carceraria nel Lazio che si è svolto al Consiglio regionale.

"L’amministrazione regionale ha sempre guardato con grande attenzione alle problematiche inerenti la questione delle carceri, con particolare riguardo ai diritti dei detenuti e di tutte le persone che vi lavorano. Nel recente assestamento di bilancio, proprio per l’Area delle carceri, è stato previsto uno stanziamento di circa 400mila euro, da destinare a iniziative per la formazione e il reinserimento sociale dei detenuti e per garantire una migliore qualità della vita degli agenti che lavorano nei penitenziari". È quanto ha dichiarato l’assessore regionale agli Affari istituzionali, Donato Robilotta, intervenendo durante il dibattito sulla situazione carceraria nel Lazio che si è svolto al Consiglio regionale del Lazio.

"Quella del popolo carcerario resta, comunque, una situazione difficile, da tenere costantemente sotto controllo" ha aggiunto l’assessore. "Proprio per questo, l’amministrazione regionale ha adottato una serie di provvedimenti, quali l’istituzione dell’Area carceri nel Dipartimento sicurezza, l’approvazione della legge per il Garante per i detenuti con la nomina nominando di Angiolo Marroni, consigliere regionale stimato ed esperto della materia. Siamo inoltre in attesa di ottenere, mediante un Protocollo d’Intesa con il Ministero della Giustizia, l’autorizzazione per il Garante ad accedere liberamente nelle carceri".

"Per quel che concerne l’assistenza sanitaria, che è stata notevolmente rinforzata - ha proseguito Robilotta - la Regione Lazio ha stipulato una convenzione con lo Spallanzani per la distribuzione di farmaci antivirali ai detenuti e per la loro cura. Inoltre, parallelamente all’ospedale Belcolle di Viterbo, abbiamo inaugurato una palazzina nell’ospedale Sandro Pertini, che verrà attivata entro fine anno, destinata ai detenuti di Regina Coeli e Rebibbia".

Bologna: consiglieri di tutti i partiti visiteranno le carceri

 

Il Domani, 8 ottobre 2004

 

Nelle prossime settimane un gruppo di consiglieri della Provincia di Bologna potrebbe far visita ai detenuti del carcere della Dozza. I membri della quinta commissione hanno deciso di accettare l’invito rivolto dall’associazione Papillon a tutte le amministrazioni locali italiane affinché alcuni loro rappresentanti entrino negli istituti di pena dal prossimo 18 ottobre, quando riprenderanno in forma pacifica le proteste dei detenuti, per ascoltare le ragioni dei carcerati.

Un sì, quello espresso trasversalmente dai consiglieri di via Zamboni 13, legato a una condizione ben precisa: che non si tratti di un episodio isolato, ma di un’azione consapevole e programmata con il contributo delle associazioni che operano quotidianamente nelle carceri bolognesi.

"La proposta - osserva l’assessore all’istruzione e al lavoro Paolo Rebaudengo - è meritevole di essere accolta, ma dobbiamo garantire continuità al nostro intervento, prevedendo iniziative a lungo termine".

Un confronto con gli operatori del settore è fondamentale anche secondo Sergio Guidotti, capogruppo di Alleanza Nazionale in consiglio provinciale. "Prima informiamoci - precisa l’esponente del partito di Fini - così potremmo entrare portando qualche proposta". In tempi brevi, assicura Lorenzo Grandi, presidente della quinta commissione di Palazzo Malvezzi, verrà organizzata una nuova seduta alla quale saranno invitati a partecipare tutti gli operatori carcerari, dagli agenti carcerari ai volontari. "Dobbiamo aprire un canale di comunicazione che possa costituire da legame con l’esterno", propone Alfredo Vigarani dei Verdi, mentre per Fabrizio Castellari della Margherita prima di tutto è necessario capire quali competenze abbia la Provincia in ambito carcerario. "Dopo la Dozza, dovremmo visitare anche il CPT di via Mattei", rilancia infine Sergio Spina, capogruppo di Rifondazione Comunista.

Randazzo (UCPI): riforme tradite da politica e magistrati

 

Asca, 8 ottobre 2004

 

Finalmente ci si deve vergognare del nostro sistema carcerario, richiama il penalista "a proposito della cui efficienza e umanità basti ricordare i detenuti che in gran numero si tolgono la vita. Ci vergogneremo del sistema "ordinario", perché ordinariamente in spregio del rispetto della persona, prima ancora che della carta costituzionale" e di quello "speciale" perché contaminato dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario".

Il mandato di arresto europeo "va subordinato - dice Randazzo a una necessaria omologazione delle regole, che trovi un limite minimo invalicabile nel rispetto di quelle da noi vigenti a tutela della libertà personale. Vi è la esigenza di vigilare ed intervenire perché le garanzie processuali previste dalla nostra Costituzione e dalle leggi di attuazione del principio costituzionale del "giusto processo" vengano concretamente salvaguardate anche a livello europeo".

San Vincenzo De Paoli: la formazione professionale dei detenuti

 

Redattore sociale, 8 ottobre 2004

 

"Prevenire e recuperare è meglio. Per tutti": è lo slogan scelto dalla Società di San Vincenzo De Paoli per le iniziative in favore dei detenuti di tutta Italia, scelti per il secondo anno consecutivo e messi al centro della Giornata nazionale di solidarietà, celebrata il 26 settembre. Ma la Giornata - sotto l’Alto Patronato del Capo dello Stato e con il patrocinio del Senato, della Camera dei Deputati e del Ministero della Giustizia – continua attraverso una campagna di comunicazione, diffusione di manifesti e di materiale informativo, incontri pubblici, per dare voce alle povertà del carcere, in collaborazione con le Caritas diocesane, associazioni del volontariato e varie istituzioni locali.

Oggi, al Palazzo del Vicariato in Via della Pigna, sono stati illustrati i progetti (in parte già avviati) nel campo della formazione professionale dei carcerati e dell’assistenza alle loro famiglie: da "Oltre le parole" sulla mediazione culturale ad Ascoli Piceno" a "Un ponte per la vita" per l’integrazione dei detenuti a Cagliari; da "Ad ogni uomo una speranza" per l’accoglienza dei carcerati a Bergamo a "Una casa per le persone che vengono dal carcere" a Mestre, dal "Polo universitario" per i detenuti studenti a Padova a "Si può con il lavoro" per l’avvio di piccole imprese di ex detenuti a Torino e "Art-brico e Info-lab", per varie attività nel penitenziario di Porto Azzurro.

Nel dettaglio, il progetto promosso quest’anno dalla San Vincenzo prevede la creazione e il finanziamento di laboratori artigianali e informativi all’interno delle carceri, accompagnati da corsi di formazione e di tirocinio guidati da esperti: artigiani, professionisti, maestri d’arte. Obiettivo? Insegnare una professione ai detenuti, in vista del loro reinserimento lavorativo alla fine della pena; si cercherà di tramandare le attività tipiche di ogni regione, come la lavorazione del legno, del ferro, del vetro, dei pellami, della ceramica. Una sfida importante, visto che i detenuti impegnati nel lavoro "non sono mediamente più del 25-30%", osserva Claudio Messina, responsabile del settore "carcerati" della San Vincenzo.

La San Vincenzo opera in Italia attraverso 1.700 conferenze con circa 18mila soci. Attiva e impegnata a fianco dei deboli (malati, anziani, senza dimora, stranieri, famiglie, emarginati), per il secondo anno consecutivo ha voluto focalizzare l’attenzione sul carcere perché al suo interno si vive una "situazione disumana e disumanizzante", rileva Marco Bersani, presidente nazionale della San Vincenzo, aggiungendo: "Nel carcere c’è una povertà pressoché ignorata o che la gente vuole ignorare, una povertà che possiamo definire scomoda, di frontiera e difficile da far capire. Basti pensare ai 6.353 atti di autolesionismo su 56.838 detenuti (più del 10%); ai 95 suicidi e 952 tentativi di suicidio nel 2003; al sovraffollamento medio del 40%", con punte che raggiungono il 200%.

Un "ponte" fra dentro e fuori le sbarre è stato già gettato dalla terza edizione del premio letterario "Emanuele Casali", promosso dalla San Vincenzo e dall’Università delle Tre età, sul tema "Scrivo, dunque esisto". Riservato ai detenuti delle carceri di tutta Italia, il premio ha riscosso un ampio successo: 363 i partecipanti, di 229 istituti e sezioni penitenziarie; 800 le opere pervenute. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 12 novembre alle ore 16 presso il teatro della Casa circondariale di Rebibbia.

 

 

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