Rassegna stampa 19 ottobre

 

Riforma del carcere dovrebbe essere un pezzo del programma

articolo di Stefano Anastasia

 

Liberazione, 19 ottobre 2004

 

Come in una sceneggiatura da B-movie, prevedibile quanto raffazzonata, l’estate carceraria ci ha lasciato il suo triste tributo di morti, proteste e polemiche. E da ieri i detenuti, per farsi sentire, per farsi vedere, hanno iniziato uno sciopero della fame. Servono idee, progettazione, risorse e un lavoro di lunga lena. Servirebbe un pezzo di programma in alternativa alla destra al governo. A mente fredda e pensando alle prossime scadenze politiche, ecco un piccolo pro-memoria per quanti non si limitino a com-patire più o meno frequentemente la sofferenza dei reclusi, ma ne vogliano fare un terreno di confronto politico per il futuro.

Chiunque abbia sentito dire delle carceri in Italia sa del loro sovraffollamento. Considerevole anche nel panorama continentale, esso pregiudica le condizioni di detenzione, i programmi per il reinserimento dei detenuti, le stesse condizioni di lavoro degli operatori dell’amministrazione penitenziaria.

Cosa si può fare per ridurre il sovraffollamento? Certo, occasionalmente e immediatamente sarebbe utile un provvedimento generale di clemenza, che metta fuori i lungodegenti a fine pena, i condannati a pene brevi, e ne cancelli i relativi processi pendenti; ma sappiamo che da quest’orecchio il Parlamento non ci sente e la Costituzione richiede maggioranze più qualificate per un provvedimento di amnistia-indulto che per la sua stessa revisione. Si tratterebbe, del resto, di un provvedimento eccezionale, che non muterebbe le condizioni di accumulazione del sovraffollamento e quindi, alla lunga, inefficace, se non accompagnato da una più complessiva politica di riforme, in campo penale e non. Proviamo allora a spostare il nostro sguardo. Nel campo della giustizia penale servirebbe una riforma del sistema delle pene: la riduzione dei massimi di pena a partire dall’abolizione dell’ergastolo e la riduzione della pena detentiva ad extrema ratio dell’intervento sanzionatorio penale, attraverso la massima diffusione - già in sede di giudizio - delle attuali misure alternative alla detenzione e di altre pene minori, come le pene accessorie interdittive dell’esercizio di professioni o funzioni pubbliche.

La sostenibilità sociale di una simile riforma è però strettamente legata a più ampie politiche di coesione sociale che non solo evitino il prodursi di aree di marginalità tanto vaste e tanto dure da essere naturalmente destinate al circuito criminalità-repressione, ma riducano quella domanda sociale di penalità che nella stagione neo-liberista è stato il vero volano del nuovo grande internamento prodottosi in Europa e negli Usa. Se per un attimo abbandoniamo la compassione per i detenuti tossicodipendenti o immigrati e della loro detenzione ne facciamo oggetto di valutazione delle politiche pubbliche, la dinamica dei sistemi di controllo sociale si fa evidente: politiche incapaci di coesione e che tendono alla clandestinizzazione producono marginalità, devianza, criminalità e repressione. Spirale tanto più inclemente, quanto più forte è la domanda di repressione che sale da aree sociali limitrofe, anch’esse vittime dello sfaldamento di un tessuto di coesione sociale e esposte alla fascinazione della rassicurazione simbolica data dalla repressione penale dei fantasmi della propria insicurezza.

Se e quando tale "grande riforma" dovesse essere compiuta, non sarà risolto il problema delle condizioni di detenzione e dell’incerto livello di civiltà che è proprio delle prigioni e di qualsiasi luogo di privazione della libertà, ivi compresi, ovviamente, i centri di detenzione amministrativa per immigrati. La cattiveria degli umani (che pure c’è, come in ogni ambito della vita sociale) viene dopo la logica autocentrata dell’istituzione totale: un carcere è innanzitutto funzionale alla sua quotidiana riproduzione, alla sua ottusa efficienza burocratica; i diritti dei detenuti, finanche la loro intima dignità, sono sempre inevitabilmente secondi al funzionamento della macchina che li governa. Vale la pena dunque lavorarci sulle condizioni di detenzione, senza aspettare che la grande riforma sia compiuta e tanto più se essa non dovesse compiersi.

Da anni siamo sostenitori della necessità di istituire una nuova figura di garanzia dei diritti dei detenuti, un ombudsman (garante o difensore civico che dir si voglia) che affianchi il magistrato di sorveglianza nella tutela dei diritti e lo preceda nella soluzione dei conflitti. In molte città si va sperimentando una figura di questo genere, con tutti i limiti del caso, di poteri e competenze. In Parlamento se ne discute. Una Convenzione internazionale (il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Onu contro la tortura) ci obbliga a istituirlo. Bene.

Intanto però bisogna dar seguito a una sentenza della Consulta del lontano 1999, con la quale fu giudicato incostituzionale l’ordinamento penitenziario nella misura in cui non prevedeva l’esame in forma giurisdizionale dei reclami dei detenuti. Sarebbe bene. Ma anche questo sarebbe poco. Per scardinare la logica istituzionale della prigione, bisognerebbe aprirla più di quanto non sia stato fatto fino ad ora. Così come si è tentato di fare attribuendo le competenze sanitarie alle Asl, bisognerebbe concepirla come un luogo in cui convivono e si incontrano diverse figure professionali e non, che non rispondono a un unico centro di decisione e al medesimo ordine di priorità nella gestione dell’istituto (in cui, per intenderci, salute e trattamento sono variabili dipendenti della sicurezza e dei turni di lavoro del personale).

Per far questo, per lavorare a una simile riforma del sistema penale e penitenziario, è necessario che entrino in campo altri attori e altri soggetti istituzionali. È necessario rompere il monopolio ministeriale della politica penale e penitenziaria. Le alternative alla detenzione, la sostenibilità sociale di una politica penale ispirata al diritto penale minimo e al principio del carcere come extrema ratio, l’apertura degli istituti ad altre professionalità e ad altre amministrazioni pubbliche passa attraverso la piena corresponsabilità delle Regioni e degli enti locali nella progettazione e nella gestione dell’esecuzione penale. Perché non discuterne, in vista delle regionali del 2005 e dopo?

Papillon: tam tam della protesta echeggia in 50 carceri

 

La Sicilia, 19 ottobre 2004

 

Dalle 21 di ieri i detenuti di oltre cinquanta carceri italiane sono mobilitati; una mobilitazione pacifica - battitura delle sbarre, scioperi della fame e altre iniziative - per protestare contro il sovraffollamento, la mala sanità e per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge Gozzini.

L’associazione di detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che un ulteriore obiettivo è sollecitare parlamentari e amministratori locali a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia.

Oltre alla battitura delle inferriate, gruppi di sette-otto detenuti, si alterneranno ogni settimana in uno sciopero della fame e mobilitazione a rotazione (sciopero dei carrelli, cioè il rifiuto del vitto dell’amministrazione, il prolungamento di 15 minuti e lo sciopero dei lavoranti). "Uno schema che vuole permettere – spiega Vittorio Antonini, coordinatore di Papillon – anche al carcere più sperduto di aggregarsi alla protesta".

"A Regina Coeli la protesta proseguirà finché i detenuti non avranno risposte" ha detto il presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma Lillo De Mauro che ieri ha incontrato una delegazione di quindici detenuti del carcere romano. De Mauro ha sottolineato che da agosto – quando i detenuti attuarono una rivolta che comportò seri danni – la piattaforma delle richieste dei detenuti è rimasta la stessa (indulto generalizzato contro il sovraffollamento e riduzione della carcerazione preventiva). I detenuti lamentano che da agosto "a parte le tante passeggiate di politici" che hanno visitato il carcere, non è cambiato nulla.

A Rebibbia anche questa volta "le più determinate sono le donne, sia della sezione normale sia di quella speciale" che chiedono con forza la possibilità di accudire meglio i loro figli.

La protesta dei detenuti ha trovato il sostegno di parlamentari, sindacati e associazioni. Laura Cima (Verdi) chiede al governo di non fare "orecchie da mercante" di fronte alle richieste dei reclusi sulle condizioni di vita nelle carceri e, in un’interrogazione al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sollecita interventi per affrontare la situazione.

"I detenuti sollevano un allarme forte e giustificato su questioni riguardanti il codice penale e nodi fondamentali per il funzionamento di uno stato che possa definirsi di diritto": lo afferma Graziella Mascia, vicepresidente del gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. La protesta "progettuale e non violenta" dei detenuti rappresenta, dice la deputata, "un monito a quelle forze politiche che, per giustizialismo o per facili consensi elettorali, stanno bloccando ogni atto legislativo che intervenga sulla condizione carceraria".

Proteste "sacrosante" le definisce Fabrizio Rossetti (Cgil Fp settore penitenziario), il quale chiede l’apertura di "un immediato confronto che si ponga come obiettivo quello di riportare il sistema carcerario quanto meno ad una situazione di normalità. Un primo segnale può essere l’immediata modifica della Finanziaria 2005: che si riportino i bilanci del Dap almeno alle stesse quantità del 2001".

Dell’avvio della protesta non sapevano nulla, invece, i detenuti del carcere bolognese della Dozza. Lo ha scoperto la delegazione di parlamentari e rappresentanti dell’associazione "Antigone" che ieri mattina è andata in visita nell’istituto dove nel 2004 ci sono stati tre casi di tubercolosi nel 2004 e molti reclusi da tempo non riescono a richiedere i benefici penitenziari per mancanza di educatori a fare da tramite.

Bisogna "costruire" integrazione sociale, non nuove carceri

 

Redattore Sociale, 19 ottobre 2004

 

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che si riunisce a Roma presso il carcere di Rebibbia) da giovedì 21 a sabato 23 ottobre, per la Terza Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia, dal titolo "Giustizia, diritti, solidarietà e gratuità nel nostro tempo".

La Conferenza nazionale volontariato giustizia rileva come nei 205 Istituti di pena attualmente in funzione sono recluse circa 57.000 persone, quasi 15.000 in più rispetto ai posti disponibili. "A questa situazione di drammatico affollamento - precisa la Conferenza - il Ministero della Giustizia risponde con un programma di edilizia penitenziaria che prevede, tra l’altro, la costruzione urgente di 13 nuove carceri: circa 2.500 posti-branda, per una spesa complessiva di circa 320 milioni di euro.

Cifra che si aggiunge ai quasi 3 miliardi di euro (2.967.045.195), vale a dire quasi 6.000 miliardi di lire, stanziati per il programma ordinario di edilizia penitenziaria dal 1971 sino alla finanziaria del dicembre 2001. Una somma enorme (vanno poi considerati i fondi speciali stanziati dalla legge 30.12.97, n. 458 "interventi urgenti per il potenziamento delle strutture, delle attrezzature e dei servizi dell’Amministrazione della giustizia", con cui si sono destinati al Dap, per la realizzazione di interventi di edilizia penitenziaria presso le strutture di Roma Rebibbia e la casa lavoro di Castelfranco Emilia, finanziamenti per complessivi 21 miliardi di lire.

Ulteriori fondi vengono dagli enti locali: i 2 nuovi istituti di Trento e Bolzano saranno realizzati con fondi e a cura delle rispettive Province Autonome. Altri finanziamenti arrivano con la modalità della locazione finanziaria: con i fondi stanziati dalla legge 259/2002 saranno realizzati, con il ricorso allo strumento della locazione finanziaria, i nuovi istituti di Varese e Pordenone) che tuttavia vede una situazione disastrosa: il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Antonino Caruso, dopo aver visitato l’80% degli istituti e registrando un sostanziale abbandono di quasi tutte le carceri della penisola negli ultimi 50 anni, ha recentemente dichiarato che: ‘In un panorama nazionale non proprio edificante (...) abbiamo trovato i penitenziari di costruzione più recente spesso in condizioni peggiori di quelli più antichi".

Peraltro, evidenzia la Conferenza nazionale volontariato giustizia, "i tempi previsti per l’edificazione e l’apertura delle nuove strutture sono, credibilmente, di 8-10 anni e, nel frattempo, sarà necessario assumere e preparare il personale per farle funzionare: almeno 2.000 agenti, alcune centinaia di operatori "civili".

Dal 1990 a oggi il numero dei detenuti è aumentato (mediamente) di mille unità all’anno. Quindi, se questo corso non si inverte, il problema del sovraffollamento diventerà sempre più grave… nonostante la realizzazione delle nuove carceri. La domanda che poniamo è: ha senso tutto ciò?"

Una domanda a cui la Conferenza prova a dare anche una risposta: "L’unico vero rimedio sta in una diversa politica penale, volta a evitare la recidiva (che porta, ovviamente, a riempire le carceri di persone che entrano ed escono senza prospettive) e a puntare a un effettivo re-inserimento (o inserimento, per chi inserito non lo è stato mai).

Per questo bisogna: creare le condizioni "materiali" affinché i condannati con pene inferiori a tre anni possano scontarle fuori dal carcere (le leggi che lo consentono ci sono già, ma sono migliaia i detenuti che non accedono alle misure alternative per mancanza di un lavoro o di un alloggio); sostenere effettivamente i percorsi di reinserimento dei condannati ammessi a misure alternative alla detenzione e degli ex detenuti, in modo da ridurre le recidive. Con quei 320 milioni di euro (o anche meno) si possono fare tante cose per la reintegrazione sociale dei detenuti ed ex detenuti, cominciando dal rafforzamento degli Uffici di Sorveglianza, dei C.S.S.A., degli educatori penitenziari (potrebbe anche essere l’occasione per riattivare i fantomatici Consigli di Aiuto Sociale, istituiti nel 1975 per garantire un minimo di assistenza penitenziaria e post-penitenziaria ma mai resi operativi per mancanza di risorse, ma ancor più per disattenzione sia dell’amministrazione che degli enti locali, al pari di tante altre parti della riforma carceraria)".

Per il presidente della Conferenza, Livio Ferrari, "spesso i percorsi di reinserimento sociale non riescono a partire, oppure falliscono, perché gli operatori dell’area trattamentale e i magistrati di sorveglianza sono pochi e oberati di lavoro: costruendo nuove carceri bisogna necessariamente assumere nuovi agenti, invece puntando alla decarcerizzazione e al reinserimento dei detenuti le stesse risorse economiche possono essere destinate all’assunzione di assistenti giudiziari e magistrati e, soprattutto, di assistenti sociali e educatori, da sempre la "cenerentola" degli operatori penitenziari".

"Sul versante del lavoro - continua - servono incentivi alle aziende che assumono detenuti ed ex detenuti (gli sgravi fiscali previsti dalla "Smuraglia", già di per sé assai ridotti, non si applicano per chi è finito in carcere dal luglio 2000 in poi e le cooperative sociali, che hanno delle particolari agevolazioni contributive, non possono offrire posti di lavoro a sufficienza per tutti).

L’altro problema su cui intervenire è quello dell’abitazione: servono strutture per la fruizione dei permessi premio, centri-diurni per i semiliberi, ma soprattutto alloggi per gli ex detenuti e per le detenute-madri, per la fruizione dell’affidamento e della detenzione domiciliare (da una recente ricerca, realizzata nella Casa di Reclusione di Padova, risulta che il 25% dei reclusi non ha un luogo dove andare ad abitare all’uscita dal carcere)".

"Utilizzando il budget previsto per il programma di edilizia penitenziaria - si conclude -, proviamo a stendere una proposta alternativa, quantificando la spesa per gli interventi sopra descritti. Per un carcere più umano e più rispondente alle leggi esistenti e alla Costituzione non c’è bisogno di grandi rivoluzioni: basterebbe cominciare con un diverso utilizzo delle risorse".

E questa è solo una delle proposte di cui si discuterà nel corso della Terza Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia, che, come detto, aprirà i battenti giovedì 21 ottobre alle ore 15.00 nel carcere romano di Rebibbia.

Lila: uomini stipati nelle celle, ma che società civile è questa?

 

Redattore Sociale, 19 ottobre 2004

 

"Uomini stipati nelle celle come in allevamenti intensivi, bambini imprigionati con le loro madri che invece potrebbero usufruire della detenzione domiciliare o del differimento della pena, malati in Aids conclamato che neppure possono essere ricoverati in ospedale. Ma che società civile è mai questa?"

È la denuncia della Lila che ha espresso solidarietà alle persone detenute in carcere e denuncia i gravi ritardi del sistema penitenziario in Italia e chiede un trattamento sanitario compatibile con la condizione di sieropositività. In particolare l’organizzazione ha sottolineato come la legge sull’incompatibilità tra Aids e carcere (legge 231/99) continua ad essere spesso ignorata. Molti detenuti riconosciuti come incompatibili con la detenzione vengono reclusi nei Centri Clinici interni alle carceri, dove però non ricevono l’assistenza sanitaria adeguata.

La Lila inoltre auspica che il trasferimento – attualmente in forma sperimentale e solo per poche Regioni - delle funzioni sanitarie svolte dall’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale passi dalla fase di monitoraggio, non ancora terminata per i ritardi regionali, a quella di una completa trasformazione in tale direzione per tutto il territorio nazionale.

"La decisione del ministro di Giustizia Roberto Castelli di abbassare (circa del 35% complessivo) l’esborso pubblico sanitario nei penitenziari va a colpire in modo drammatico soprattutto le persone Hiv+ e in Aids, già abbastanza penalizzate dalla malattia stessa e dalla reclusione" spiega la Lila che è tornata a chiedere a forze democratiche, associazionismo, autorità politiche che siano verificate al più presto le condizioni di vivibilità dei Centri Clinici interni ai penitenziari.

Cento: le carceri sono vera priorità, non riforma della giustizia

 

Ansa, 19 ottobre 2004

 

"Se si vuole intervenire sulla giustizia la priorità non è la riforma autoritaria dell’ ordinamento giudiziario proposta dal ministro Castelli ma invece l’emergenza carceri e con questo il sistema sanzionatorio penale". Il verde Paolo Cento, vicepresidente della Commissione giustizia della Camera.

"Non è un caso - prosegue Cento - che proprio domani riprenderanno le proteste pacifiche nelle carceri di tutta Italia lanciate dalle proposte dei detenuti di Regina Coeli e dell’associazione papillon di Rebibbia". "Da questa estate ad oggi - insiste l’esponente dei Verdi - la situazione nelle carceri è rimasta inalterata ossia drammatica, mentre la legge finanziaria taglia i fondi per l’assistenza sanitaria e le misure alternative al carcere rimangono inapplicate.

Se si vuole affrontare la riforma della giustizia in Parlamento si parta allora dal carcere e dalla capacità di dare una risposta positiva alle richieste di riforma che vengono dai detenuti - conclude cento - ma che sono condivise anche da tutti gli operatori penitenziari".

Proteste contro il sovraffollamento in 50 penitenziari

 

Corriere Canadese, 19 ottobre 2004

 

Dalle 21 di ieri i detenuti di oltre cinquanta carceri italiane hanno cominciato la mobilitazione pacifica - battitura delle sbarre, scioperi della fame e altre iniziative - per protestare contro il sovraffollamento, la mala sanità e per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge Gozzini.

L’associazione di detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che un ulteriore obiettivo è sollecitare parlamentari e amministratori locali a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia. Oltre alla battitura delle inferriate, gruppi di sette-otto detenuti, si alterneranno ogni settimana in uno sciopero della fame e mobilitazione a rotazione (sciopero dei carrelli, cioè il rifiuto del vitto dell’amministrazione, il prolungamento di 15 minuti e lo sciopero dei lavoranti).

"Uno schema che vuole permettere - spiega Vittorio Antonini, coordinatore di Papillon - anche al carcere più sperduto di aggregarsi alla protesta". "A Regina Coeli la protesta proseguirà finché i detenuti non avranno risposte", ha detto il presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma, Lillo De Mauro, che ieri ha incontrato una delegazione di quindici detenuti del carcere romano.

De Mauro ha sottolineato che da agosto - quando i detenuti attuarono una rivolta che comportò seri danni - la piattaforma delle richieste dei detenuti è rimasta la stessa (indulto generalizzato contro il sovraffollamento e riduzione della carcerazione preventiva). I detenuti lamentano che da agosto "a parte le tante passeggiate di politici" che hanno visitato il carcere, non è cambiato nulla. A Rebibbia anche questa volta "le più determinate sono le donne, sia della sezione normale sia di quella speciale", che chiedono con forza la possibilità di accudire meglio i loro figli

Sovraffollamento nelle carceri, situazione insostenibile

 

Gazzetta del Sud, 19 ottobre 2004

 

Dalle 21 di ieri i detenuti di oltre cinquanta carceri italiane hanno cominciato la mobilitazione pacifica – battitura delle sbarre, scioperi della fame e altre iniziative – per protestare contro il sovraffollamento, la malasanità e per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge Gozzini. L’associazione di detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che un ulteriore obiettivo è sollecitare parlamentari e amministratori locali a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia. Oltre alla battitura delle inferriate, gruppi di sette-otto detenuti, si alterneranno ogni settimana in uno sciopero della fame e mobilitazione a rotazione (sciopero dei carrelli, cioè il rifiuto del vitto dell’amministrazione, il prolungamento di 15 minuti e lo sciopero dei lavoranti).

"Uno schema che vuol permettere – spiega Vittorio Antonini, coordinatore di "Papillon" – anche al carcere più sperduto di aggregarsi alla protesta". "A Regina Coeli la protesta proseguirà finché i detenuti non avranno risposte" ha detto il presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma, Lillo De Mauro, che ieri ha incontrato una delegazione di quindici detenuti del carcere romano. De Mauro ha sottolineato che da agosto – quando i detenuti attuarono una rivolta che comportò seri danni – la piattaforma delle richieste dei detenuti è rimasta la stessa (indulto generalizzato contro il sovraffollamento e riduzione della carcerazione preventiva).

I detenuti lamentano che da agosto "a parte le tante passeggiate di politici" che hanno visitato il carcere, non è cambiato nulla. A Rebibbia anche questa volta "le più determinate sono le donne, sia della sezione normale sia di quella speciale" che chiedono con forza la possibilità di accudire meglio i loro figli. La protesta dei detenuti ha trovato il sostegno di parlamentari, sindacati e associazioni. Laura Cima (Verdi) chiede al governo di non fare "orecchie da mercante" di fronte alle richieste dei reclusi sulle condizioni di vita nelle carceri e, in un’interrogazione al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sollecita interventi per affrontare la situazione.

"I detenuti sollevano un allarme forte e giustificato su questioni riguardanti il codice penale e nodi fondamentali per il funzionamento di uno stato che possa definirsi di diritto", afferma Graziella Mascia, vicepresidente del Gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. La protesta "progettuale e non violenta" dei detenuti rappresenta – dice la deputata – "un monito a quelle forze politiche che, per giustizialismo o per facili consensi elettorali, stanno bloccando ogni atto legislativo che intervenga sulla condizione carceraria".

Proteste "sacrosante" le definisce Fabrizio Rossetti (Cgil Fp settore penitenziario), il quale chiede l’apertura di "un immediato confronto che si ponga come obiettivo quello di riportare il sistema carcerario quanto meno a una situazione di normalità. Un primo segnale può essere l’immediata modifica del disegno di legge Finanziaria 2005: che si riportino i bilanci del Dap almeno alle stesse quantità del 2001".

Dell’avvio della protesta non sapevano nulla, invece, i detenuti del carcere bolognese della Dozza. Lo ha scoperto la delegazione di parlamentari e rappresentanti dell’associazione "Antigone" che ieri mattina è andata in visita nell’istituto dove nel 2004 ci sono stati tre casi di tubercolosi nel 2004 e molti reclusi da tempo non riescono a richiedere i benefici penitenziari per mancanza di educatori a fare da tramite.

Bologna: alla Dozza 860 detenuti, capienza massima 600 unità

 

Adnkronos, 19 ottobre 2004

 

Il presidente del Consiglio Maurizio Cevenini ha spiegato oggi alla stampa di "aver fatto domanda al questore per poter visitare il carcere della Dozza". Tutti i capigruppo in Consiglio provinciale di Bologna uniti nell’impegno a migliorare la vivibilità nelle carceri. Il Consiglio ha, infatti, aderito alla richiesta dell’associazione nazionale di detenuti ‘Papillon’ di avviare una serie di iniziative per approfondire i gravi problemi che pesano sulle carceri italiane.

"Prima di tutto - ha spiegato il presidente del Consiglio Maurizio Cevenini, che questa mattina ha incontrato la stampa per illustrare l’iniziativa - abbiamo fatto domanda al questore per poter visitare il carcere della Dozza, cosa che avverrà nei primi giorni di novembre". Il fine della Provincia è quello di fare una ricognizione sulla situazione carceraria nel territorio bolognese.

"Attualmente - spiega Cevenini - alla Dozza vi sono circa 860 detenuti, quando la capienza non dovrebbe superare le 600 unità. Inoltre, in uno spazio di 11 mq sono rinchiusi dai 2 ai 3 detenuti, nonostante, per fare un paragone con le stanze degli ospedali, la normativa sanitaria prevede 9 mq a degente". Su questa situazione di sovraffollamento, ricorda la Provincia, manca anche il dato della concentrazione degli agenti di sorveglianza e degli infermieri. Tema quest’ultimo che sta a cuore a Cevenini poiché "in questo paese vi è carenza di infermieri - dice - e il primo a pagarne le conseguenze è proprio il carcere".

L’ordine del giorno, firmato da tutti i capigruppo, e che recita testualmente l’impegno "ad iniziare un percorso ricognitivo e di analisi sulle condizioni degli Istituti di pena della Provincia e del ruolo che questa Amministrazione può svolgere all’interno dei propri compiti istituzionali", verrà affrontato nella Quinta Commissione consigliare. "Non vogliamo creare nuove tensioni - conclude Cevenini - da aggiungersi a quelle che già sono in atto. Bensì vogliamo trovare insieme alle istituzioni e alla popolazione carceraria delle soluzioni che umanizzino i luoghi della detenzione".

Bologna: Antigone, alla Dozza tre casi di tubercolosi

 

Vita, 19 ottobre 2004

 

Tre casi di tubercolosi nel 2004 e detenuti che, da tempo, non riescono a richiedere i benefici penitenziari per mancanza di educatori a fare da tramite. Questa la situazione nel carcere bolognese della Dozza denunciata da un gruppo di parlamentari e rappresentanti di associazioni, che si battono per i diritti dei detenuti, che oggi ha visitato l’istituto.

Inoltre, "nonostante la grande mobilitazione di questi giorni - è stato sottolineato - i detenuti della Dozza non erano a conoscenza dello sciopero che è in atto in molte carceri italiane". La delegazione ha inoltre ribadito che i detenuti del carcere bolognese hanno denunciato il fatto che "da due anni non riescono a parlare con un educatore" e per questo non riescono a richiedere i benefici, come permessi premio, semilibertà e liberazione anticipata.

Della delegazione facevano parte Vincenzo Scalia, di ‘Antigonè, le parlamentari Ds, Katia Zanotti e Titti De Simone, il consigliere comunale Ds di Bologna, Sergio Lo Giudice, Rossella Giordano, consigliere del quartiere Navile di Bologna, e rappresentanti dell’associazione Papillon e del circolo Iqbal Masih.

Roma: l’assessore Nieri annuncia una visita a Rebibbia

 

Redattore Sociale, 19 ottobre 2004

 

In occasione delle proteste ricominciate da oggi all’interno degli istituti di pena italiani, l’Assessore alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale, per il Lavoro del Comune di Roma, Luigi Nieri, che già la scorsa settimana aveva preannunciato la sua solidarietà rispetto alle proteste pacifiche dei detenuti, ha dichiarato: "Mercoledì sarò in visita alla Casa di Reclusione e giovedì alla Casa Circondariale di Rebibbia, per partecipare ad iniziative già da tempo in calendario, che saranno l’occasione per portare di persona la mia solidarietà ai detenuti.

La situazione all’interno delle carceri continua ad essere estremamente delicata. Oltre ai problemi ormai cronici - ma non per questo tollerabili - di sovraffollamento, dei tagli all’assistenza sanitaria e alle risorse in generale, mi pare importante sottolineare come talvolta la mancata applicazione delle leggi in vigore, la Smuraglia, la Gozzini e la Simeone, sia un’occasione persa da parte dello Stato". Aggiunge Nieri: "Il Comune di Roma ha dedicato e continua a dedicare grande attenzione al carcere, a partire dal Consiglio Comunale Straordinario a Rebibbia, all’istituzione del Garante e ai tanti progetti di formazione e reinserimento occupazionale che ogni anno promuoviamo - conclude, infine - Mi auguro che la protesta rimanga pacifica e che sia utile affinché il Ministero della Giustizia faccia quanto di sua competenza per alleviare le difficili condizioni di vita dei detenuti".

Caltanissetta: dal Malaspina protesta s'estende a macchia d’olio

 

La Sicilia, 19 ottobre 2004

 

Molti detenuti rifiutano il cibo. Maffi (associazione Papillon): "In Italia la giustizia non è uguale per tutti" Sono stati numerosi i detenuti del carcere Malaspina di Caltanissetta, che ieri hanno rifiutato il cibo per sollecitare l’amnistia per tutti coloro che stanno scontando condanne per reati lievi. Proprio da Caltanissetta è partita la protesta in Sicilia, una manifestazione che rappresenta il seguito a quella messa in atto nei giorni scorsi nel carcere Regina Coeli di Roma.

A Caltanissetta è nata nei mesi scorsi una sezione di Papillon, associazione onlus nazionale che opera da tempo e qui guidata da Alfredo Maffi (un ex detenuto che ha finito di scontare di recente una condanna) e che si batte per la "rieducazione e risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi" e che invoca l’applicazione delle leggi in vigore (la "Gozzini" e la riforma della sanità penitenziaria") che "diventano sempre più un miraggio".

Alfredo Maffi parla anche del differente trattamento che lo Stato assicura ai collaboratori di giustizia, anche a quelli che si sono macchiati di gravissimi reati, come i fratelli Giovanni e Salvatore Brusca, autori e mandanti di centinaia di omicidi, tra cui la strage di Capaci e l’eliminazione del piccolo Giuseppe Di Matteo, segregato per due anni e poi sciolto nell’acido perché figlio di un pentito.

"Per noi dell’associazione culturale Papillon di Caltanissetta, la notizia che è stato concesso al collaboratore di giustizia Brusca il beneficio dei permessi premio, conferma quanto sia indifferibile l’esigenza di intervenire con profonde riforme nel pianeta giustizia e nel pianeta carcere - afferma Alfredo Maffi -. Comprendiamo l’esigenza di interventi della magistratura all’uso dei collaboratori di giustizia ma non comprendiamo i benefici concessi ad un collaboratore di giustizia come Brusca".

"Però il caso Brusca, con il suo essere un caso limite per la quantità di omicidi confessati e per l’efferatezza di molti di essi (come il piccolo Di Matteo e la strage di Capaci) rende quasi insopportabile la differenza di attenzione che intercorre tra lui e migliaia di detenuti, persone a cui, pur scontando pene ben più lievi, non viene riconosciuto il diritto dei benefici penitenziari previsti dalla legge Gozzini, legge Simeone-Saraceni e le misure alternative alla detenzione", continua il presidente dell’associazione Papillon.

"Infatti i magistrati di sorveglianza dei vari distretti - aggiunge -, nel vagliare le posizioni dei detenuti che fanno richiesta per poter usufruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, spesso le rigettano con motivazione surreali "perché non ha collaborato con la giustizia" o "per simulazione di buona condotta". Vogliamo ricordare che spesso dietro i detenuti ci sono situazioni personali e familiari veramente drammatiche sia dal punto di vista economico e sia dal punto effettivo".

I detenuti che stanno aderendo alla protesta dell’associazione Papillon, contestano intanto "l’eccessiva velocità della concessione e della dimensione di benefici concessi in relazione alla quantità e alla gravità dei crimini commessi, l’evidente uso di un doppio binario tra i detenuti che "servono" e quelli che, pur scontando la loro pena con dignità attenendosi alle regole dell’amministrazione penitenziaria e svolgendo attività lavorativa e di recupero sociale si vedono negati i benefici previsti dal nostro ordinamento penitenziario il quale, se la magistratura di sorveglianza applicasse loro tutti i benefici, molti detenuti potrebbero tornare dalle loro famiglie prima del previsto e invece gli viene negato il beneficio delle misure alternative al carcere"; inoltre i detenuti, usufruendo delle misure alternative al carcere, darebbero vita ad un loro pieno reinserimento nella società.

Agli ex detenuti, l’associazione Papillon ha lanciato un appello: "Non lasciate da soli i detenuti che in questi giorni portano avanti una manifestazione pacifica per l’applicazione dei diritti sanciti dalla Costituzione italiana, quindi passatevi la mano sulla coscienza: quando voi eravate detenuti nei cari istituti penali italiani protestavate per un vostro diritto e l’applicazione dei benefici penitenziari. Ci si augura che anche a Caltanissetta e tutta la Sicilia venga a cadere quel muro di indifferenza che esiste tra il carcere e la popolazione libera, in fin dei conti (4 famiglie su 5 hanno avuto problemi con la giustizia italiana). I detenuti sono parte della società". 

Parma: delegazione in visita, niente incontro con detenuti

 

Gazzetta di Parma, 19 ottobre 2004

 

Non sono riusciti a parlare con i detenuti, ma hanno avuto un lungo incontro con il direttore degli Istituti penitenziari di Parma Silvio di Gregorio. Una delegazione composta dalla parlamentare Carmen Motta, dal consigliere regionale Giovanni Ballarini e anche dall’assessore provinciale Tiziana Mozzoni e dal consigliere comunale Ennia Bertozzi (anche se alla Bertozzi e alla Mozzoni non è stato permesso muoversi per il carcere) non è mancata all’appuntamento per osservare da vicino la situazione del carcere di via Burla, proprio in occasione della protesta nazionale sui diritti in cella: "Siamo venuti in rappresentanza di diverse istituzioni in relazione alla protesta nazionale e pacifica di tutti i detenuti, che vogliono portare all’attenzione del Paese situazioni di sovraffollamento e del mancato utilizzo di servizi offerti dalle leggi - spiega la Motta -, come la possibilità di usufruire di pene alternative e di lavorare all’esterno del carcere".

Per cui è stato programmato nell’arco del mese un secondo incontro per parlare direttamente con i detenuti: "L’impressione generale - è intervenuto Giovanni Ballarini - è che le carceri oggi sono molto più isolate sia da un punto amministrativo sia politico, per cui mancano finanziamenti e manca una politica di sostegno per quella che è la missione fondamentale delle carceri e cioè il recupero delle persone. Oltre alla questione degli extra comunitari, che ad esempio nel carcere di Parma costituiscono un buon 30 per cento, con tutti i conseguenti problemi di convivenza".

"Insomma, una regressione - ha continuato Ballarini - rispetto a qualche anno fa. Intanto, il carcere di Parma non è escluso dal problema del sovraffollamento: basti pensare che ci sono oltre 600 detenuti in una struttura capace di contenerne la metà. Oltre al problema degli educatori: uno solo per tutto l’esercito dei carcerati". Anche se in realtà è in arrivo un concorso per altri tre educatori. Ma c’è un altro fatto che preoccupa Ballarini: "Su cento detenuti che avrebbero diritto alle pene alternative, solo cinquanta possono accedere perché mancano risorse".

Il carcere di Parma ha pertanto meno problemi di altre strutture, anche se "oltre al sovraffollamento - conclude Carmen Motta - c’è un problema di scarsità di personale, con turni massacranti di lavoro. In più, si sconta il fatto di quello che potrebbe essere uno dei motori risolutivi per depotenziare il sovraffollamento affinché si possano seguire misure alternative. E vorrei ricordare che noi, come consiglieri regionali di maggioranza e come parlamentari di minoranza abbiamo dedicato alle problematiche del carcere grandi attenzioni".

Cagliari: indulto per tutti, detenuti pronti a sciopero della fame

 

L’Unione Sarda, 19 ottobre 2004

 

È partita ieri anche a Buoncammino la mobilitazione non violenta dei detenuti in tutte le carceri italiane contro gli effetti della legge sul cosiddetto "indultino" della scorsa estate e per l’approvazione di un condono generalizzato di tre anni.

"L’unico modo - è detto in un comunicato dell’associazione detenuti non violenti inviato a tutti i membri delle commissioni giustizia della Camera e del Senato - per sfollare i luoghi di reclusione per un tempo necessario ad attuare tutte le riforme di cui si ha bisogno".

"La protesta - ha spiegato il presidente nazionale dei detenuti non violenti, Evelino Loi - deve essere pacifica: ricorreremo allo sciopero della fame e all’astensione dalle mansioni di tutti i lavoranti reclusi nei 205 istituti di pena italiani".

Secondo l’associazione "pochi reclusi hanno usufruito dell’indultino partorito dal governo la scorsa estate, per questo - ha sottolineato Loi - chiediamo un reale ed immediato provvedimento di amnistia ed un indulto generalizzato che ristabilisca un minimo di equilibrio e di stabilità nelle carceri italiane ed una serie di riforme che portino all’applicazione piena ed integrale della legge Gozzini".

L’attuazione del provvedimento acquista particolare significato nel carcere cagliaritano a causa dell’affollamento e la mancanza di servizi per la socializzazione dei detenuti. Soprattutto se si considera che i due terzi sono detenuti in carcere per reati legati alla droga. 

Civitavecchia: carcere Aurelia, giornata di visite e assemblee

 

Il Messaggero, 19 ottobre 2004

 

L’assessore alle Politiche del Lavoro e della Qualità della Vita della Provincia di Roma, Gloria Malaspina, in visita alle carceri della città. Una prima ricognizione nella Casa di Reclusione di via Tarquinia e un secondo sopralluogo, alle 12.00 circa, presso il Nuovo Complesso Penitenziario di via Aurelia Nord per verificare le necessità e i bisogni della popolazione detenuta.

"Cercheremo di conoscere da vicino le problematiche e di definire le linee di intervento adottate con il Piano Cittadino per il Carcere - dichiara l’assessore Malaspina - per contribuire a migliorare la vita delle persone recluse e le loro prospettive di inserimento socio-lavorativo". Al carcere di borgata Aurelia, intanto, prosegue lo stato d’agitazione sindacale dei 250 agenti di polizia penitenziaria in sit-in di protesta da circa dieci giorni nel cortile del complesso carcerario di via Aurelia Nord.

Per questo pomeriggio è infatti prevista una lunga staffetta di assemblee e consultazioni. Alle 14.30 l’Osapp presiederà l’assemblea con il personale iscritto all’interno del complesso carcerario di Borgata Aurelia. Alle 16.30, poi, sarà la Cgil-Fp a coordinare i lavori dell’assemblea aperta alla cittadinanza nell’aula consiliare Pucci di Palazzo del Pincio. 

Latina: struttura inadeguata, personale stanco e insufficiente

 

Il Messaggero, 19 ottobre 2004

 

Costruito a metà degli Anni 30, il carcere di Latina è stato gradualmente risucchiato dal centro della città. Oggi è praticamente circondato da case abitate, al di là del muro di recinzione. In tempi recenti, malgrado il sovraffollamento vi è stata istituita la sezione femminile di massima sicurezza. Ospita circa 120 detenuti e anche se di recente c’è stato uno "sfollamento" sono sempre pur troppi rispetto agli 80 previsti.

Ma la struttura carceraria mostra ormai le sue "crepe" che la rendono inadeguata rispetto agli standard di trattamento dei detenuti richiesti dal ministero. Gli spazi per il passeggio sono insufficienti per essere condivisi da una popolazione carceraria eterogenea che non deve frequentarsi, mancano spazi verdi, non ci sono locali per le attività lavorative e addirittura le sale per i colloqui sono inadeguate.

Per non parlare della situazione che riguarda la Polizia penitenziaria assolutamente insufficiente e costretta a turni massacranti (e spesso a saltare le ferie) per garantire quel minimo di sicurezza necessario. Il personale deve anche fronteggiare le esigenze delle traduzioni (anche ai processi) e del piantonamento dei detenuti ricoverati in ospedale. Insomma una situazione davvero al limite del collasso che impone una presa di posizione netta e decisa di tutte le istituzioni della provincia. 

Viterbo: cooperativa "La Zaffa", il detenuto fa l’agricoltore

 

Il Messaggero, 19 ottobre 2004

 

La Zaffa, che ieri ha compiuto il suo primo anno di vita, è una cooperativa speciale, molto speciale. I suoi soci infatti sono detenuti che vogliono poter contare su almeno una opportunità di lavoro quando usciranno da Mammagialla. O, comunque, impegnare il proprio tempo di reclusi in modo costruttivo nel tenimento agricolo della Palanzanella. Alla cerimonia di "compleanno" hanno presenziato, oltre al vescovo Lorenzo Chiarinelli, il sindaco Gabbianelli e il presidente della Provincia Marini con i rispettivi assessori ai servizi sociali, Rotelli e Gemini.

E in questa circostanza tra la casa circondariale, la Provincia e la cooperativa è stata firmata una convenzione per cui due dei detenuti verranno assunti dall’amministrazione provinciale come stradini. Il Comune invece sponsorizzerà (grazie a una legge speciale) un impianto per l’allevamento di conigli con cinquanta fattrici che, tra circa sei mesi, dovrebbero assicurare un guadagno corrispondente a un paio di stipendi.

Un compleanno da ricordare. "È vero, siamo molto soddisfatti di come vanno le cose per la cooperativa - dice Salvatore Zafarana, presidente del Gavac - e per i nostri detenuti che sono in fase trattamentale di recupero perché hanno scontato i due terzi della pena. Usufruiscono infatti dell’articolo 21 che permette di uscire alle 8.30 da Mammagialla e tornare dopo le 17, finita la giornata lavorativa alla Palanzanella dove c’è il tenimento agricolo".

L’idea della cooperativa fu suggerita dai volontari del Gavac che da anni operano nella casa circondariale di Viterbo e collaborano con gli educatori e gli assistenti sociali del penitenziario occupandosi dell’istruzione e del tempo libero dei reclusi.

Il terreno è stato dato 36 mesi fa in affitto quinquennale "benevolo" dal Comune e qui i detenuti si sono messi a lavorare subito di buona lena realizzando un pozzo, dopo aver dissodato il terreno, e risistemando una vecchia struttura fatiscente ora mini-alloggio con bagno, cucina, camera, riscaldamento autonomo. Vicino, un box-ricovero per gli attrezzi agricoli donato dalla Fondazione Carivit.

"E qui c’è anche il trattore - aggiunge il presidente - donato dall’associazione Viterbo con amore. È stato inoltre realizzato un impianto idraulico, indispensabile per le nostre colture. Ora, abbiamo una bella distesa di asparagi, ma c’è stato un ottimo raccolto di patate e pomodori, venduti in gran parte all’azienda che fornisce i pasti a Mammagialla e, alla spicciolata, ai nostri amici e soci. Ma, data la buona stagione per i pomodori, tanti ne abbiamo regalati alla mensa Caritas".

Casi d’ordinaria ingiustizia: lettera del detenuto Marco Medda

 

Carcere di Livorno, 19 ottobre 2004

 

Con questa mia missiva annuncio che ho iniziato uno sciopero di tipo gandhiano astenendomi dall’assumere qualsivoglia forma di nutrimento. Tale mio gesto non è diretto a ottenere alcunché né tanto meno contro persone o istituzioni statali in particolare.

È un atto di rinnovamento della mia vita, sperando di spontaneamente provocare qualche coscienza a riflettere sul destino di una persona, che nel momento in cui ha deciso di voltare definitivamente pagina con un passato vicino e lontano, si è preferito riportarlo nel girone infernale di coloro che non possono che rimanere dei dannati.

Dopo avere incontrato un gruppo di diligenti operatori penitenziari in quel di San Vittore che mi hanno indotto a voltare la pagina della mia travagliatissima vita sono stato improvvisamente trasferito a Monza e successivamente a Livorno. Ciò ha determinato il riapparire nella mia sofferta personalità di vecchi fantasmi non potendo neppure più incontrare la donna che ho sposato, e che quindi si suppone che ami, perché anche lei priva della libertà e rimasta a Milano.

Tutto quello che avevo costruito o che avevo iniziato a costruire nel carcere di San Vittore tutto svanito, volatilizzato. La pittura, gli affetti personali, gli interessi intellettuali che valenti operatori penitenziari milanesi erano riusciti a fare attecchire nella mia anima sono stati tutti improvvisamente e volutamente sradicati.

Perché, perché? Mi chiedo e vi chiedo! Allorché "qualcuno", manzoniano innominato, ha pensato che il celeberrimo recupero sociale del condannato previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione non poteva e non doveva realizzarsi anche per Marco Medda tutto e più di tutto sì è sprigionato in un crescendo di asserzioni spesso oniriche e francamente vaneggianti.

Sono stato addirittura accusato di pianificare una filmica evasione con elicotteri mai esistiti se non nella fervida fantasia di chi si è letteralmente inventata questa sceneggiatura hollywoodiana! Ciò sarebbe accaduto nell’istituto milanese di Opera. Cionostante ho ancora reagito positivamente ed una volta trasferito a San Vittore ,ove ho trascorso quattro anni in regime " normale ", il nuovo Marco Medda era giunto alla vigilia di concessione del cosiddetto art. 21 con lavoro esterno già pronto, il matrimonio e il sogno di una vita che avrebbe potuto approdare a una sembianza di normalità. Poi, improvvisamente, senza apparente motivo, nuovamente la mannaia!

Perché? Perché? È molto chiedere che quel nuovo Marco Medda sorto o risorto nel carcere di San Vittore possa, novella Fenice, risorgere ancora? Non sarebbe questa una innegabile soddisfazione proprio per il "sistema" che dimostrerebbe come si possa "recuperare" un "irrecuperabile" come me che tale viene erroneamente giudicato? Parafrasando uno dei padri fondatori di questa patria il mio è un grido di dolore che si leva da una sola parte d’Italia: il reparto Eiv, del carcere di Livorno.

Grazie per la vostra paziente attenzione e sono pronto a fornire ogni spiegazione, e documentarla, anche ad ispettori ministeriali. Non si abbia paura di Marco Medda perché tutto ciò che è accaduto dopo il 13 luglio 2003 è solo l’espressione di una disperazione esistenziale e reazione a una negazione di una giustizia spicciola fatta di piccole cose cui anche un detenuto ha diritto! E mi permetto di evocare come " testimone " di quanto evoco il Sig. Provveditore della Lombardia Dr. Felice Bocchino.

Roma: 2 giorni di riflessione verso l’abolizione del carcere

 

Radio Onda Rossa, 19 ottobre 2004

 

Roma, 30 - 31 ottobre. Abbiamo un sogno: abolire il carcere e con esso tutto l’armamentario che ruota intorno alla spirale repressione - punizione - pena - espiazione. Ma siamo anche realisti e siamo convinti e convinte che sia necessario un percorso fatto di numerose tappe per arrivarci.

Ne siamo convinti e convinte a maggior ragione oggi, quando sentiamo gridare troppo spesso "In galera! In galera!" anche in ambienti che vogliono/sperano/lottano per un altro mondo possibile. Dunque l’inizio di questo percorso non può che aver luogo dentro l’immaginario e la coscienza di ciascuna e ciascuno di noi. E da qui che vogliamo partire.

Sappiamo anche che, a fianco della scarsa coscienza sul superamento del carcere vi è anche una ricchezza assai vasta fatta di iniziative, esperienza, riflessioni, elaborazioni e attività che contrastano metro per metro l’espandersi della logica repressiva e forcaiola. Sono realtà spesso locali e poco conosciute ma interessanti e di grande spessore umano e culturale, a cui noi vorremmo proporre un terreno di confronto e possibili iniziative comuni, per valorizzare l’opera di ciascuna e ciascuno e di tutte e tutti.

Non intendiamo omogeneizzare le iniziative e le elaborazioni plurali e varie che ciascuna realtà ha costruito e propone: siamo convinti che questa pluralità e varietà sia ricchezza e vada mantenuta, ma crediamo anche che costruire un confronto continuo, permanente, costante sia utile a tutti e tutte e aumenti la visibilità e l’incisività di ciascuna iniziativa o elaborazione.

Queste considerazioni ci hanno spinto a proporre un incontro/convegno tra tutte le realtà grandi o piccole che si muovono sul e contro il carcere, siano pure singoli o individualità. Non poniamo nessuna discriminante se non quella di un?autentica cultura e interesse al superamento del carcere e di ogni altra privazione della libertà, così come di ogni retaggio di repressione, oppressione, coercizione e sfruttamento.

L’incontro/convegno si svolgerà nelle giornate del 30 e 31 ottobre presso il LOA Acrobax, a Roma. L’incontro, oltre a favorire la conoscenza reciproca e la comunicazione che speriamo continui, si propone due obiettivi: 1) la rimessa in piedi di un dibattito che abbia l?ambizione di contaminare tutto il movimento prima e poi tutta la società: abolizione della galera e di ogni sistema di privazione della libertà, riprendendo e rilanciando le elaborazioni degli anni 70 e 80 su abolizionismo, riduzionismo e depenalizzazione, poi purtroppo abbandonate; 2) la condivisione della piattaforma unitaria di lotta che i detenuti delle carceri si apprestano a rilanciare dal 18 ottobre su cui far partire una campagna di mobilitazione e di lotta. La partecipazione è aperta a tutte e tutti, in forme aggregate: gruppi, collettivi, associazioni eccetera, oppure persone singole.

 

Ordine dei lavori

 

Un primo momento sarà dedicato alla conoscenza reciproca, all’attività pratica o di elaborazione che ciascuna realtà ha realizzato; quindi verranno relazionati dati e informazioni sul carcere. A questi momenti informativi. Seguirà il dibattito su esperienze e dati, per avere un quadro della realtà carceraria.

Nella seconda parte del convegno si cercherà di analizzare la mancata centralità del carcere nelle rivendicazioni dei movimenti e, al contrario se vi sono esperienze di interesse e interazione tra i movimenti e le carceri in altre parti del mondo.

Nella terza parte dovremo iniziare ad individuare uno o più obiettivi su cui verificare se siamo in grado di far partire una mobilitazione (una prima proposta potrebbe essere l’accessibilità ad internet per detenuti e detenute).

Interverranno alcuni teorici e "pratici" della materia e invitiamo tutti i partecipanti e le partecipanti a preparare e inviare interventi che possano essere condivisi e messi in rete anche da prima, per facilitare la discussione ed arricchirla.

 

Odio il carcere

C/o Radio Onda Rossa

Via Dei Volsci 57, 00187 - Roma

 

 

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