Rassegna stampa 18 ottobre

 

I detenuti in protesta: "basta morire di carcere!"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 18 ottobre 2004

 

Stop sovraffollamento e mala sanità penitenziaria, sì alla Legge Gozzini: a partire da domani mobilitazione nazionale e pacifica con scioperi della fame e altre forme di protesta.

Stop alle carceri sovraffollate e alla mala sanità penitenziaria, sì alla piena applicazione della Legge Gozzini: i detenuti italiani chiedono condizioni detentive più umane e per questo, a partire da domani, protesteranno tutti insieme, in decine di carceri, con una mobilitazione nazionale e pacifica che si snoderà per settimane con scioperi della fame e altre forme di protesta. L’associazione culturale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che scopo della manifestazione è anche sollecitare le istituzioni - parlamentari e amministratori locali - a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia oltre a provvedimenti che rendano obbligatoria l’applicazione "piena e integrale della legge Gozzini in tutti i tribunali di Sorveglianza per tutti i detenuti" e la limitazione dell’uso e l’abuso della custodia preventiva.

Sulla legge Gozzini i detenuti hanno anche chiesto che sia indetta anche una Conferenza nazionale, promossa dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato. E proprio oggi l’associazione in una lettera ai parlamentari che suona come implicita risposta alle recenti dichiarazioni di Berlusconi, sostiene che "la prima riforma della Giustizia è quella che riguarda il sistema penale e penitenziario italiano". Di fronte alla gravità della situazione, "prodotto di oltre 13 anni di lento degrado", invita perciò tutti i partiti a mettere da parte "sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un’unità di intenti".

"Non si può far finta - denuncia Papillon - di non vedere che in tutte le carceri viene ridotto ogni giorno il diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis e alla liberazione anticipata". Tutto questo, spiega l’associazione "non fa che moltiplicare gli effetti di un sovraffollamento".

Nella capitale oltre a Rebibbia si mobiliteranno anche i 940 detenuti del carcere di Regina Coeli riprendendo la loro protesta con la battitura delle grate dalle 21 alle 22 in tutte le sezioni, nessuna esclusa. Durerà quattro o cinque giorni,e proseguirà con lo sciopero ad oltranza dal vitto dell’amministrazione e dai lavori e, probabilmente, con il rifiuto dei colloqui con gli avvocati difensori.

Lavorare dentro o fuori dal carcere. È quello che chiedono, dal sud d’Italia, i detenuti del carcere di San Severo, che hanno fatto un appello - affidato nelle mani del cappellano dell’istituto di pena - alle autorità locali e agli imprenditori affinché si apra un dibattito sul tema della funzione riabilitativa del lavoro all’interno del percorso carcerario."Siamo consapevoli - spiegano i detenuti- degli errori che abbiamo commesso; accettiamo la pena che ci è stata assegnata. Ma la funzione del carcere è quella di riabilitarci, di darci nuove possibilità per un nuovo futuro. Potremmo impiegare il nostro tempo - concludono i detenuti - lavorando in carcere o fuori dall’istituto. Le leggi dello stato italiano lo consentono, e in modo particolare la legge 193/2000 cd. Legge Smuraglia lo favorisce, assicurando notevoli sgravi fiscali alle aziende e alle cooperative che offrono ai detenuti lavoro fuori e dentro il carcere".

Da domani sciopero della fame, tra gli altri, anche dei detenuti del "Malaspina" a Caltanissetta. Ad un mese dalla plateale protesta dei detenuti di Regina Coeli per sollecitare l’amnistia per coloro che si trovano in cella per reati considerati non gravi,i detenuti siciliani spiegano: "vogliamo evitare che sulla questione scenda nuovamente il silenzio".

"La decisione di protestare, tutti insieme e pacificamente - è scritto in una nota diffusa da Alfredo Maffi, responsabile dell’associazione culturale Onlus ‘Papillon’di Caltanissetta - è un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre 200 carceri italiane il diritto è stato in un certo senso sospeso a tempo indeterminato, poiché tutto si può dire tranne che dentro le carceri siano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi".

Roma: detenuti in sciopero, "è urgente una riforma"

 

Roma One, 18 ottobre 2004

 

L’associazione dei reclusi a Rebibbia "Papillon": "Cambiare la giustizia partendo dal sistema penitenziario". Affollamento, malasanità, permessi, amnistia: su questi e altri temi al via una "mobilitazione pacifica"

Riforma della Giustizia? Bisogna iniziare dal sistema penale e penitenziario italiano. A dettare la priorità in una lettera ai parlamentari è l’associazione dei detenuti di Rebibbia Papillon, che annuncia "una pacifica mobilitazione nazionale dei detenuti", che si snoderà da domani e per più settimane, in decine di carceri, con scioperi della fame e altre forme di protesta perché "il limite di guardia è ormai raggiunto".

"Egregi parlamentari - scrive l’associazione dei detenuti - noi sappiamo bene che l’attuale difficile situazione è il prodotto di oltre 13 anni di lento degrado, e quindi non comprendiamo affatto le banalizzazioni di quanti sembrano interessati unicamente ad attribuirne ad altri le responsabilità". E proprio perché, continua Papillon, nessun partito può dirsi esente da responsabilità, i detenuti italiani chiedono al Parlamento di guardare avanti e di mettere la riforma del sistema penitenziario come la priorità della riforma Giustizia.

E le proteste negli istituti di pena "vogliono quindi - continua l’associazione - essere anche un invito a mettere da parte sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un’unità di intenti almeno sulle più urgenti misure che possono appunto ristabilire un equilibrio minimamente accettabile nelle carceri". Nuove proposte di legge su indulto/amnistia, applicazione integrale della legge Gozzini, misure contro l’affollamento carcerario e la malasanità, limitare l’abuso della custodia preventiva: queste alcune delle richieste di Papillon.

E, pur ammettendo che "una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile", Papillon giudica "intollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità". A meno che, conclude l’associazione di detenuti, "per puri fini di speculazione elettorale non si voglia continuare a vendere ai cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi fuorilegge è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto diritto alla sicurezza quotidiana"

"Non si può far finta - denuncia infine Papillon - di non vedere che in tutte le carceri viene ridotto ogni giorno il diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis e alla liberazione anticipata". Tutto questo, spiega l’associazione "non fa che moltiplicare gli effetti di un sovraffollamento". Nella Capitale oltre a Rebibbia si mobiliteranno anche i 940 detenuti del carcere di Regina Coeli riprendendo la loro protesta con la battitura delle grate dalle 21 alle 22 in tutte le sezioni, nessuna esclusa. Durerà quattro o cinque giorni, e proseguirà con lo sciopero ad oltranza dal vitto dell’amministrazione e dai lavori e, probabilmente, con il rifiuto dei colloqui con gli avvocati difensori.

Papillon: i detenuti protestano, da Roma a Caltanissetta

 

Centomovimenti, 18 ottobre 2004

 

Iniziano oggi le nuove proteste dei detenuti del carcere di Roma "Regina Coeli" e di quelli del "Malaspina" di Caltanissetta. Nel penitenziario romano è stata organizzata una mobilitazione molto rumorosa: dalle 21 alle 22 i prigionieri batteranno le grate per denunciare la poca perseveranza con la quale la maggior parte del mondo politico sta trattando questioni come l’amnistia, l’indulto e la legge destinata a rendere meno facile l’uso della custodia cautelare preventiva.

Tutte misure che potrebbero portare a una forte riduzione dall’affollamento dei penitenziari, migliorando quindi le condizioni di vita negli stessi. La protesta sarà ripetuta con le stesse modalità per cinque giorni. Se non verrà riscontrata una presa di posizione da parte delle Istituzioni, i detenuti provvederanno a realizzare ben più clamorose iniziative.

Sempre oggi, nel carcere "Malaspina" di Caltanissetta inizia uno sciopero della fame, anche questo con lo scopo di attirare l’attenzione dei politici sulla questione dell’amnistia.

"La decisione di protestare, tutti insieme e pacificamente - si legge in un comunicato dell’associazione culturale Onlus Papillon - è un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre duecento carceri italiane il diritto è stato in un certo senso sospeso a tempo indeterminato, poichè tutto si può dire tranne che dentro le carceri vengono davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi".

Milano: 7 giudici sorveglianza per 6 mila reclusi, è paralisi

 

Corriere della Sera, 18 ottobre 2004

 

Il 50 per cento in meno di cancellieri in organico rispetto alla copertura teorica, 7 giudici in servizio invece dei 10 previsti (peraltro con un turn-over frenetico, che ne ha visti ruotare addirittura 21 dal 2003 a oggi), l’ufficio decapitato da un anno e mezzo (il Csm non nomina ancora il nuovo presidente), udienze da 70 fascicoli al giorno su quattro turni orari scanditi da un microfono in corridoio, perché mancano pure gli ufficiali giudiziari.

È in questo stato che il Tribunale di sorveglianza del distretto della Corte d’Appello di Milano, quello con il più grande bacino d’utenza in Italia e competenza su ben tredici carceri, dichiara di rispondere ai 6.447 detenuti (dei quali 3.353 condannati definitivi) che domandano affidamenti in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, liberazione condizionale, differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute, permessi premio.

Attività che, da parte sempre degli stessi trenta cancellieri e sette giudici (di cui oltretutto due a mezzo servizio), presupporrebbe un lavoro di tutela e controllo della vita detentiva, e cioè colloqui in carcere, visite ispettive, rapporti con gli operatori penitenziari, contatti con i servizi sociali, studio delle relazioni comportamentali.

Stavolta non è il "solito" grido d’allarme di circostanza. Stavolta, in un documento inviato al ministero e a tutte le autorità competenti, oltre che richiamato nella relazione per la prossima inaugurazione dell’anno giudiziario, il giudice di sorveglianza che dall’aprile 2003 svolge anche la funzioni di supplente dell’ultimo presidente Patrone, scrive a chiare lettere che, di questo passo, non ci sono più le condizioni per continuare a "fare veramente l’impossibile" e garantire "una risposta dignitosa alla popolazione condannata in via definitiva" negli istituti di San Vittore, Opera, Bollate, Monza, Lodi, Como, Lecco, Varese, Busto Arsizio, Pavia, Voghera, Vigevano e Sondrio.

Quasi una messa a verbale a futura memoria, insomma, prima che qualche evento tragico o disfunzione clamorosa riaccendano l’intermittente e spesso non disinteressata attenzione sull’universo delle carceri. L’avvertimento che "l’abnegazione" non basta più. Neppure macinando le statistiche del 2003 (19.214 fascicoli definiti) e dei primi nove mesi del 2004 (11.716 fascicoli definiti). Neppure riuscendo a calendarizzare entro il giugno 2005 tutti i vecchi 4.901 procedimenti pendenti. Nemmeno rispettando, pur in questa situazione, il termine di trenta giorni per il deposito delle risposte a 4.100 ordinanze tra il giugno 2003 e il giugno 2004.

Il segno più evidente che "la situazione appare veramente al limite del collasso", come scrive appunto il giudice Maria Rosaria Sodano, sta nell’ultima spiaggia alla quale si è arrivati per tamponare gli spaventosi vuoti nell’organico delle cancellerie, cruciali in un’attività di questo genere: chiamare a lavorare in cancelleria persino gli agenti di polizia penitenziaria, chiedendo cioè "il distacco presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di persone della polizia penitenziaria. Al momento ne sono presenti sei, che, integrate adeguatamente nella compagine dell’Ufficio, hanno permesso ai giudici di arginare le carenze più gravi".

E se nel carcere di Opera "tre soli educatori sono presenti a fronte di 1.100 detenuti, strutturalmente "strabici" sono gli "occhiali" con i quali i giudici di sorveglianza "vedono" i loro detenuti". Specie in materia di salute: "Il giudizio sulla compatibilità delle condizioni di salute con la detenzione - rimarcano - viene espresso dal giudice in via provvisoria sulla base della sola relazione sanitaria del carcere, chiamato a riferire sia sulla diagnosi che sulla terapia offerta, non essendo possibile in tale fase l’intervento di una perizia medico-legale".

Ma "il vero punto dolente della materia" è che spesso mancano proprio le notizie fondamentali per decidere: "Si riscontrano, infatti, casi ricorrenti di cure non offerte o di terapie non distribuite, che causano aggravamenti o impongono decisioni che potrebbero essere evitate".

Roma: torna protesta nelle carceri, troppi diritti sospesi

 

Gazzetta del Sud, 18 ottobre 2004

 

Stop alle carceri sovraffollate e alla mala sanità penitenziaria, sì alla piena applicazione della Legge Gozzini: i detenuti italiani chiedono condizioni detentive più umane e per questo, a partire da domani, protesteranno tutti insieme, in decine di carceri, con una mobilitazione nazionale e pacifica che si snoderà per settimane con scioperi della fame e altre forme di protesta.

L’associazione culturale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che scopo della manifestazione è anche sollecitare le istituzioni - parlamentari e amministratori locali - a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia oltre a provvedimenti che rendano obbligatoria l’applicazione "piena e integrale della legge Gozzini in tutti i tribunali di Sorveglianza per tutti i detenuti" e la limitazione dell’"uso e l’abuso" della custodia preventiva. Sulla legge Gozzini i detenuti hanno anche chiesto che sia indetta anche una Conferenza nazionale, promossa dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato.

E proprio ieri l’associazione in una lettera ai parlamentari che suona come implicita risposta alle recenti dichiarazioni di Berlusconi, sostiene che "la prima riforma della Giustizia è quella che riguarda il sistema penale e penitenziario italiano".Di fronte alla gravità della situazione, "prodotto di oltre 13 anni di lento degrado", invita perciò tutti i partiti a mettere da parte "sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un’unità di intenti".

"Non si può far finta – denuncia Papillon – di non vedere che in tutte le carceri viene ridotto ogni giorno il diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis e alla liberazione anticipata". Tutto questo, spiega l’associazione "non fa che moltiplicare gli effetti di un sovraffollamento". Nella capitale oltre a Rebibbia si mobiliteranno anche i 940 detenuti del carcere di Regina Coeli riprendendo la loro protesta con la battitura delle grate dalle 21 alle 22 in tutte le sezioni, nessuna esclusa.

Durerà quattro o cinque giorni,e proseguirà con lo sciopero ad oltranza dal vitto dell’amministrazione e dai lavori e, probabilmente, con il rifiuto dei colloqui con gli avvocati difensori. Lavorare dentro o fuori dal carcere. È quello che chiedono, dal sud d’Italia, i detenuti del carcere di San Severo, che hanno fatto un appello - affidato nelle mani del cappellano dell’istituto di pena – alle autorità locali e agli imprenditori affinché si apra un dibattito sul tema della funzione riabilitativa del lavoro all’interno del percorso carcerario.

"Siamo consapevoli - spiegano i detenuti – degli errori che abbiamo commesso; accettiamo la pena che ci è stata assegnata. Ma la funzione del carcere è quella di riabilitarci, di darci nuove possibilità per un nuovo futuro. Potremmo impiegare il nostro tempo - concludono i detenuti - lavorando in carcere o fuori dall’istituto".

La disoccupazione è in aumento, anche tra i detenuti…

 

La Provincia di Como, 18 ottobre 2004

 

Detenuti sempre più disoccupati. All’aumento della popolazione carceraria, negli ultimi anni è corrisposto un netto calo della quota di prigionieri che lavorano: si è passati dal 43,5% del 1990 al 24% attuale. Nello stesso periodo, la popolazione carceraria è quasi quintuplicata, passando da 12.272 a 54.237 persone.

Un dato - contenuto nel rapporto ancora inedito dell’associazione Antigone su "L’inserimento lavorativo di persone provenienti da percorsi penali" - coerente con l’appello lanciato dai detenuti del carcere di San Severo (Foggia). L’aumento vertiginoso della popolazione detenuta ed i conseguenti problemi di sovraffollamento, secondo Antigone, "influiscono notevolmente sulle possibilità lavorative di chi si trova recluso, poiché i posti di lavoro non sono aumentati di pari passo con l’incremento dei detenuti e, al contrario, per effetto di recenti tagli al bilancio degli istituti penitenziari, le attività lavorative cosiddette "domestiche", cioè svolte alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, hanno subito ulteriori ridimensionamenti".

L’ultimo dato disponibile (30 giugno 2003) indica in 13.630 il numero dei detenuti che lavorano. Di questi, 11.198 sono impiegati in servizi alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e solo 2.432 lavorano in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Tra i primi, la stragrande maggioranza (83,1%) risulta impegnata nelle cosiddette attività "domestiche" (pulizie, mensa, cucina, segretariato, ecc). La prevalenza delle attività domestiche è più netta tra le donne, dove simili impieghi occupano il 93,7% delle detenute.

Complessivamente, le lavorazioni portate all’interno del carcere da enti esterni occupano solo 350 detenuti su tutto il territorio nazionale, pari allo 0,6% dell’intera popolazione detenuta. Si tratta quasi esclusivamente di lavori organizzati e gestiti da cooperative sociali.

Le cause delle difficoltà lavorative dei detenuti, secondo il rapporto, diventano più chiare se si esaminano le caratteristiche della popolazione carceraria. Un terzo (17.007) è costituito da cittadini stranieri. Si tratta, nella grande maggioranza, di emigranti, spesso privi di regolari documenti di soggiorno: sono quindi esclusi da qualsiasi ragionamento sull’inserimento lavorativo alla fine della pena.

San Severo (FG): appello dei detenuti "fateci lavorare!"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 18 ottobre 2004

 

L’appello consegnato al cappellano da presentare agli imprenditori locali. Si cerca un dibattito sul tema della funzione riabilitativa del lavoro all’interno del percorso carcerario. Lavorare: dentro o fuori dal carcere. È quello che chiedono i detenuti del carcere di San Severo, che hanno fatto un appello - affidato nelle mani del cappellano dell’istituto di pena - alle autorità locali e agli imprenditori affinché si apra un dibattito sul tema della funzione riabilitativa del lavoro all’interno del percorso carcerario.

È una decisione presa - affermano - "dopo ampia discussione" all’interno del carcere e l’appello oltre agli imprenditori è rivolto, in particolare, al vescovo di San Severo, Michele Seccia, al Sindaco, Michele Santarelli, al provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, Rosario Cardillo, alla Magistratura di Sorveglianza presso il Tribunale Ordinario di Foggia, al direttore dell’istituto di pena, Davide Di Florio.

I detenuti fanno una premessa: "siamo consapevoli - affermano - degli errori che abbiamo commesso e dell’entità pesante dei danni che abbiamo provocato a persone innocenti. Nel nostro caso è stata quasi sempre la droga ciò che ci ha spinto a commettere reati. Accettiamo la pena che ci è stata assegnata. Ci interroghiamo però sul senso che essa debba avere perché sia costruttiva ed efficace".

"Il tempo del carcere - scrivono - dovrebbe servire ad aiutarci a prendere coscienza degli errori fatti e a provare le vie per non ricadere nel nostro passato negativo. La funzione del carcere è quella di riabilitarci, di darci nuove possibilità per un nuovo futuro". "Molte persone - si legge nell’appello - purtroppo vedono il carcere come una specie di luogo di supplizio in cui siamo stati rinchiusi per soffrire e così pagare per i nostri sbagli e ripagare la società che con quegli sbagli abbiamo danneggiato". "A queste persone noi possiamo garantire - si legge ancora - che la sofferenza non ci manca affatto, ma chiediamo se stiano desiderando soltanto di vendicarsi o di favorire nei modi migliori il nostro recupero". "Infatti la sofferenza, l’esclusione dai legami familiari e sociali, l’inattività, da sole - spiegano i detenuti - non sono i rimedi migliori per venir fuori dai nostri problemi. Questo periodo della nostra vita deve essere invece tempo di recupero, di guarigione e non di amarezza e di ulteriore perdita di fiducia in noi stessi". "Alla stessa società che ci aspetta fuori, ai fini di una sua maggiore sicurezza sociale, deve interessare - sostengono ancora i detenuti di San Severo - che noi siamo recuperati e non semplicemente avviliti".

"Il nostro carcere di San Severo, di fatto, - scrivono - già ci propone delle attività utili al recupero: corsi scolastici, sostegno psicologico, sport, momenti di spiritualità. Tutto questo ci è molto di aiuto". "Tuttavia si può fare ancora di più. Occorre aiutarci ad inserirci nel mondo che è fuori e superare la situazione attuale in cui il carcere è come un’isola, completamente distante dal resto della società. Questo non va bene e non è civile. In modo particolare potremmo essere aiutati - affermano i detenuti - ad entrare nel mondo del lavoro. Spesso ci troviamo per lunghe interminabili ore a perdere tempo, schiacciati dalla noia, dalla depressione e da un forte senso di inutilità". "Potremmo invece impiegare il nostro tempo - continuano i detenuti - lavorando in carcere o fuori dall’istituto. Le leggi dello stato italiano lo consentono, e in modo particolare la legge 193/2000 cd. Legge Smuraglia lo favorisce, assicurando notevoli sgravi fiscali alle aziende e alle cooperative che offrono ai detenuti lavoro fuori e dentro il carcere".

Como: inaugurata Casa di accoglienza per gli ex detenuti

 

Corriere di Como, 18 ottobre 2004

 

La struttura inaugurata ieri. Il vescovo Maggiolini: "I frati condivideranno anche il cibo con chi è stato in carcere". Visibilmente provato dalla malattia e dalle recenti degenze in ospedale, ma chiaro e incisivo nelle parole. Com’è del resto nel suo stile. Così è apparso ieri il vescovo, Alessandro Maggiolini, alla sua prima uscita dopo i due ricoveri al Fatebenefratelli di Milano e al Valduce di Como. Il presule ha presieduto la messa nella chiesa di Sant’Antonio, ad Albate, per l’inaugurazione di "Casamica", struttura realizzata a fianco del santuario tramite cui i frati della comunità accoglieranno gli ex detenuti della casa circondariale lariana del Bassone.

All’omelìa, dopo aver ricordato la centralità della preghiera e dell’umiltà, monsignor Maggiolini ha sottolineato l’importanza di questa missione, con un simpatico riferimento al Giro di Lombardia. "Dovevano chiudere le strade per questa inaugurazione, non per la corsa ciclistica", ha detto. Poi ha aggiunto: "Qui c’è di più, una comunità di religiosi che condivide casa e cibo con chi esce dal carcere e non trova un modo per reinserirsi nel sociale. Voglio evidenziare il fatto che i frati condivideranno la mensa con gli ex detenuti. Di fronte a questo gesto, tutti dovremmo toglierci il cappello. È a tavola che si mette in comune ciò che si ha".

"Casamica Sant’Antonio", realizzata dall’architetto Gandolfi, mette a disposizione otto piccoli monolocali e una cucina comune. Accoglierà gli ex detenuti e li aiuterà a trovare una casa e un lavoro e a reintegrarsi nel tessuto sociale.

Presenti alla cerimonia anche il prefetto, Guido Palazzo Adriano, il sindaco Stefano Bruni e Francesca Fabrizi, direttrice del Bassone, che ha definito la struttura "un sogno".

Cagliari: detenuto-poeta premiato per i versi scritti in cella

 

L’Unione Sarda, 18 ottobre 2004

 

La luce in fondo al tunnel è una poesia. Un testo struggente che è valso ad A. S., attualmente detenuto nel carcere minorile di Quartucciu, il primo premio in un concorso letterario organizzato a Pisa e intitolato quest’anno ad Antonio Zinzula, un ragazzo ospitato tempo fa nella comunità La Collina di don Ettore Cannavera e morto tragicamente dopo aver scontato la sua pena ed essersi rifatto una vita. Partito ieri sera per la città toscana accompagnato da don Ettore, A. S. ritirerà oggi il premio. Un’occasione per evadere dalla routine e dalla monotonia del penitenziario e ritrovare la luce. La stessa "luce" che dà il titolo alla sua poesia.

"Sono contento ed emozionato di questa occasione che mi è stata offerta", dice il ragazzo. "È per rompere il silenzio e la tristezza del carcere che ho iniziato a scrivere poesie e a leggere testi".

A. è di Quartu, è entrato in prigione nel 1999 per vari reati tra cui spaccio e furto. Uscito e rientrato varie volte dal penitenziario, attualmente sta scontando la pena di tre anni. "La vita in prigione è dura, inutile negarlo. Bisogna stare sempre attenti e comportarsi bene con tutti. L’unico aspetto positivo sono i rapporti con gli assistenti e il direttore, che in ogni caso fanno di tutto per cercare di farti venire fuori da questi momenti".

In questi giorni il giovane è in permesso premio, ma già domani tornerà a Quartucciu. Prima della partenza è stato ospitato nella comunità di don Ettore, cappellano del carcere. "La poesia", spiega il religioso, "e la salutare evasione dalla prigione. L’arte è uno dei mezzi più efficaci per lenire la sofferenza della reclusione". Il premio letterario Fair Book di Pisa è rivolto ai ragazzi in area penale ed è l’unico nel suo genere in Italia. Quest’anno gli scritti pervenuti alla giuria sono stati tantissimi ma alla fine il premio di 500 euro è andato al giovane quartese.

Sono attualmente venti i ragazzi reclusi nel carcere minorile di Quartucciu. Di questi il trenta per cento è imputato di omicidio. Gli altri reati: rapine, furti, spacci. Il penitenziario è l’unico in Sardegna che accoglie anche ragazzi stranieri come cinesi, albanesi, tunisini e slavi. All’interno della struttura i giovani svolgono varie attività come giardinieri, manovali, imbianchini. Tutti vivono in celle abbastanza spaziose con il bagno. L’unico contatto con l’esterno sono i colloqui con i familiari, una volta la settimana, e una telefonata a settimana della durata massima di dieci minuti. "Per comunicare con i ragazzi stranieri", spiega il direttore Giuseppe Zoccheddu, "abbiamo attivato la mediazione culturale con mediatori di lingua araba, albanese, cinese e slava: ci aiutano nei colloqui. Una volta all’anno, tutti insieme, organizziamo il pranzo multietnico". All’interno del penitenziario lavorano una novantina di persone, divise tra agenti di polizia penitenziaria, educatori, medici, infermieri, psicologi, psichiatri, insegnanti e allenatori sportivi.

Pecorella (FI): difficile accontentare i detenuti su sconti di pena

 

Corriere della Sera, 18 ottobre 2004

 

Per farsi un’idea basta rileggere il dossier presentato quest’estate dai Radicali: su 53.780 detenuti presenti nelle carceri italiane solo uno su dieci vive in condizioni regolari. Il problema principale è il sovraffollamento. E la protesta che parte stasera (andrà avanti ad oltranza) punta a risolverlo chiedendo due cose: la corretta applicazione dei benefici carcerari, come i permessi premio o il lavoro esterno, e uno sconto di pena di tre anni.

Se sulla prima richiesta c’è la massima apertura, sulla seconda i tempi politici non sembrano maturi: "Probabilmente bisogna aspettare la riforma del Codice penale", spiega il presidente della commissione Giustizia della Camera, Gaetano Pecorella (FI). "Di fronte al silenzio del Governo e del Parlamento - avverte il deputato dei Verdi Paolo Cento - la situazione si fa ogni giorno più drammatica".

 

Protesta

 

Già stasera dovrebbero aderire una cinquantina di penitenziari, ognuno a suo modo. Al Malaspina di Caltanissetta hanno scelto lo sciopero della fame, nella capitale i detenuti di Regina Coeli e Rebibbia batteranno le sbarre delle celle dalle 21 alle 22. In altre carceri saranno rifiutati i pasti distribuiti dall’amministrazione oppure i colloqui con gli avvocati.

"Non si può far finta - scrive Papillon, l’associazione culturale dei detenuti di Rebibbia, tra i promotori della protesta - di non vedere che in tutti i penitenziari viene ogni giorno ridotto il diritto ai permessi premio, alle misure alternative e al differimento della pena"

 

Domande

 

Ed è proprio per questo che si chiede un controllo sull’applicazione della legge sui benefici: una conferenza promossa dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato che aiuti a "rendere piena e integrale l’applicazione della legge Gozzini in tutti i tribunali di sorveglianza e per tutti i detenuti".

La richiesta di uno sconto di pena di 3 anni arriva dopo il fallimento dell’indultino dell’estate scorsa: 5.600 detenuti usciti, la metà del previsto. E si aggiunge a quella di un aumento degli stanziamenti per le spese sanitarie dei penitenziari: "La Finanziaria - dice ancora Cento - ha previsto un taglio dei fondi di circa il 10%. E dietro le sbarre si continua a morire".

 

Soluzioni

 

Sul controllo dell’applicazione dei benefici si dice "pienamente disponibile" il presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Pecorella. "Naturalmente - aggiunge - la raccolta dei dati spetta al ministero, noi ne potremo discutere per trovare difetti e soluzioni". Sull’indulto il discorso è più complesso. Di un provvedimento di clemenza si è parlato tante volte senza arrivare ad un risultato concreto. Solo due mesi fa era stata l’Udc a parlare di amnistia, con Lega e An che avevano subito sbarrato la strada.

"Credo che per vincere le resistenze non solo nella maggioranza ma anche nell’opposizione - dice ancora Pecorella - bisogna collegare sia l’amnistia che l’indulto ad un momento di grande cambiamento come la riforma del Codice penale. I lavori della commissione ministeriale sono praticamente finiti, faremo di tutto per approvarla entro la fine della legislatura. Confidiamo nel grande senso di responsabilità che i detenuti hanno finora dimostrato".

Agrigento: penitenziario "retrocesso", governo penalizza la città

 

La Sicilia, 18 ottobre 2004

 

"Le scelte politiche del governo in tema di edilizia penitenziaria penalizzano Sciacca ed il sud". Duro attacco dei Democratici di Sinistra alle notizie riguardanti il programma di edilizia penitenziaria varato dal Ministero della Giustizia.

È il parlamentare saccense della quercia, Accursio Montalbano, nel corso di una conferenza stampa convocata per illustrare un’interrogazione al riguardo, ad attaccare con particolare decisione le scelte fatte dal governo in ordine ai criteri con i quali si è proceduto alla definizione di un ordine di priorità nel programma di edilizia penitenziaria che con fondi stanziati dal Ministero Infrastrutture e con fondi prelevati attraverso la legge 259/2000, individua la realizzazione di nuove strutture penitenziarie, tra le quali non è previsto il carcere di Sciacca, che in un precedente decreto era invece inserito tra gli interventi previsti.

Tenendo conto che nell’elenco stilato in base alle priorità d’intervento, riformulato in data 19 febbraio 2003 dal Comitato paritetico per l’edilizia penitenziaria e poi previsto nel decreto del 19 luglio 2004, il carcere di Sciacca è stato declassato - dice Montalbano - mentre prima era invece inserito tra le priorità nel decreto del 26 ottobre 2001, sembra chiaro che il governo intenda privilegiare decisamente istituti penitenziari del centro-nord invece che far fronte a situazioni critiche come quelle del Mezzogiorno e fra queste certamente Sciacca".

Rispetto all’ordine di priorità del programma di edilizia penitenziaria precedente, il recente decreto in effetti "retrocede" Sciacca al 15° posto e promuove ad esempio Forlì dal 19° all’8° posto e Oristano dal 22° al 9° posto.

Nello stesso decreto del 19 luglio 2004 altri 11 istituti, fra i quali Sciacca, dovrebbero essere realizzati con il ricavato della vendita dei penitenziari dismessi dalla società "Dike Aedifica", costituita ad hoc e con una partecipazione privata oltre che pubblica. "È un iter aleatorio - dice - in quanto l’alienazione della casa circondariale di Sciacca, attualmente ospitata nel prezioso ex convento dei carmelitani, può essere effettuata attraverso una verifica della Soprintendenza circa la sussistenza dell’interesse artistico e non è lontanamente immaginabile che tale verifica possa avere esito negativo vista l’importanza storica dell’immobile. L’ordine di priorità smentisce clamorosamente decisioni precedenti e garantisce la realizzazione di istituti di pena in alcune realtà che prima non erano comprese tra le priorità mentre per quanto riguarda l’iniziativa della Dike Aedifica, è opportuno sapere se nel programma d’intervento si tiene conto delle norme riguardanti la tutela del patrimonio culturale.

Ritengo si debbano chiarire alcuni aspetti - ha concluso Montalbano - tenuto conto che anche i parlamentari del Collegio di Sciacca del Polo delle Libertà evidentemente manifestano qualche perplessità, se è vero che hanno chiesto un incontro al Ministro Castelli per approfondire la questione". Del carcere di Sciacca hanno in effetti parlato nei giorni scorsi l’onorevole Giuseppe Marinello di Forza Italia e il senatore Giuseppe Ruvolo dell’Udc, i quali hanno annunciato un imminente incontro a Roma con il ministro della Giustizia.

Protestano detenuti in tutta Italia: "dateci carceri più umane"

 

Il Mattino, 18 ottobre 2004

 

Roma. Stop alle carceri sovraffollate e alla mala sanità penitenziaria, sì alla piena applicazione della Legge Gozzini: i detenuti italiani chiedono condizioni detentive più umane e per questo, a partire da oggi, protesteranno tutti insieme, in decine di carceri, con una mobilitazione nazionale e pacifica che si snoderà per settimane con scioperi della fame e altre forme di protesta.

L’associazione culturale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia, "Papillon", tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che scopo della manifestazione è anche sollecitare le istituzioni - parlamentari e amministratori locali - a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia oltre a provvedimenti che rendano obbligatoria l’applicazione "piena e integrale della legge Gozzini in tutti i tribunali di Sorveglianza per tutti i detenuti" e la limitazione dell’"uso e l’abuso" della custodia preventiva.

Sulla legge Gozzini i detenuti hanno anche chiesto che sia indetta anche una Conferenza nazionale, promossa dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato. Nella capitale oltre a Rebibbia si mobiliteranno anche i 940 detenuti del carcere di Regina Coeli riprendendo la loro protesta con la battitura delle grate dalle 21 alle 22 in tutte le sezioni. Lavorare dentro o fuori dal carcere è invece quello che chiedono, dal sud d’Italia, i detenuti del carcere di San Severo: "Le leggi lo consentono, e in modo particolare la Smuraglia, assicurando notevoli sgravi fiscali alle aziende e alle cooperative che offrono ai detenuti lavoro fuori e dentro il carcere".

Cuneo: commissione provinciale per occupazione dei detenuti

 

La Sentinella del Canavese, 18 ottobre 2004

 

Una commissione provinciale per studiare la possibilità concreta di offrire ai detenuti un lavoro interno produttivo e remunerativo: è quanto proposto dal presidente della Provincia di Cuneo, Raffaele Costa, in risposta alla notizia dell’appello dei detenuti del Carcere di San Severo di Foggia, ricordando che anche molti dei mille detenuti nelle quattro carceri della Provincia di Cuneo (nei comuni di Alba, Fossano, Saluzzo e Cuneo) avevano in più occasioni manifestato la stessa volontà.

"Credo - ha commentato l’on. Costa - che favorire il recupero del detenuto attraverso il lavoro sia utile e per certi versi doveroso". La commissione, della quale saranno chiamati a far parte operatori del settore, imprenditori, rappresentanti delle amministrazioni provinciali e comunali, sindacalisti, dovrà studiare le modalità con le quali saranno proposte agli amministratori delle carceri alcune forme di collaborazione, nel rispetto delle norme recentemente varate dal Parlamento.

"Ad oggi nelle carceri cuneesi si lavora soltanto per servizi interni (cuochi, addetti alle pulizie) e alcuni detenuti sono ammessi al lavoro esterno. Sono anche attivi dei corsi formativi", ha riferito il presidente della Provincia, che ha aggiunto: "lavorare in carcere ed essere retribuiti, sia pure con diverse modalità rispetto all’esterno, significa per il detenuto prepararsi al reinserimento, disporre di un po' di denaro per sé e per la propria famiglia ed in qualche caso perfino risarcire il danno conseguente al reato commesso".

Detenuti contro sovraffollamento e tagli all’assistenza sanitaria

 

Redattore Sociale, 18 ottobre 2004

 

Da stasera comincia la mobilitazione pacifica dei detenuti di molte carceri italiane. Lo annuncia Luigi Manconi, Garante dei diritti dei detenuti, del Comune di Roma, precisando che i reclusi "protesteranno contro il sovraffollamento che non accenna a diminuire, contro i continui tagli all’assistenza sanitaria e alle risorse per l’Area educativa, contro la mancata applicazione della Legge Gozzini, della Legge Simeone e della Legge Smuraglia, contro l’uso eccessivo della custodia cautelare". Una mobilitazione, quindi, per richieste condivisibili, afferma ancora Manconi: "La piattaforma alla base della mobilitazione contiene proposte condivisibili che mi auguro vengano prese in seria considerazione da tutte le autorità competenti: Amministrazione penitenziaria e istituzioni politiche e rappresentative". "L’applicazione delle leggi vigenti - conclude il Garante - dovrebbe essere il punto di partenza per garantire condizioni umane di detenzione e rispetto della dignità di ogni persona".

Bologna: una ricognizione su situazione istituti di pena

 

Redattore Sociale, 18 ottobre 2004

 

Carceri sovraffollate ed emergenza sanitaria. Una situazione grave, a livello nazionale, che ha spinto tutti i capigruppo del Consiglio provinciale di Bologna a sottoscrivere un ordine del giorno che verrà presentato domani. "Da parte di tutti – ha esordito stamani Maurizio Cevenini, presidente del Consiglio provinciale – c’è la volontà di impegnarsi sul tema della ‘vivibilità’nelle carceri. In particolare, vogliamo fare una ricognizione sulla situazione degli istituti di pena nella nostra provincia, a partire dal carcere bolognese della Dozza.

Abbiamo già inoltrato domanda per la visita". Secondo i dati diffusi oggi nel corso della conferenza stampa, sarebbero 3680 i detenuti nelle carceri di tutta l’Emilia-Romagna, a fronte di 2.370 posti. L’intenzione è di valutare con quest’iniziativa "come vive non solo la popolazione carceraria - alla Dozza dovrebbero essere circa 680 i detenuti, a fronte di una capienza di 600 posti - , ma anche gli agenti, gli operatori, e vedere cosa si può fare. Non vogliamo creare nuove tensioni rispetto a quelle che già ci sono: l’idea - aggiunge Cevenini - è di capire la situazione, e trovare possibilmente insieme alle istituzioni competenti delle soluzioni".

Un’iniziativa, questa, presa autonomamente dal Consiglio, ma stimolata senz’altro dall’associazione "Papillon", che ha invitato ripetutamente le istituzioni ad avviare una serie di iniziative per far luce sui gravi problemi che da tempo pesano sulle carceri italiane: sovraffollamento, fatiscenza delle strutture, carenze di ordine sanitario. Altri istituti che verranno prossimamente visitati? "Al momento - rispondono Cevenini e il vicepresidente del Consiglio provinciale, Giuseppe Sabbioni - la Dozza, che contiamo di visitare a novembre, e il carcere minorile del Pratello. Poi si vedrà".

Roma: noi, guardie carcerarie, prigioniere della giustizia

 

Roma One, 18 ottobre 2004

 

Fuori dalle mura di Regina Coeli si leva la protesta del sindacato di polizia penitenziaria: "Siamo 350 agenti su oltre mille detenuti. Lo Stato aveva promesso nuove assunzioni, da 2 anni allo sbando".

Turni di lavoro prolungati per decine di ore. Poliziotti costretti a scortare detenuti ad alto rischio in condizioni di scarsa sicurezza. Uno stato di forte tensione psicologica, quello vissuto dagli agenti carcerari, che si aggiunge ad un lavoro di per sé già delicato. Gli agenti della polizia penitenziaria hanno le mani legate, "prigionieri" di un sistema da cui non possono sfuggire ma contro cui oggi hanno deciso di protestare.

A scendere in strada, su via della Lungara, proprio davanti alla Casa Circondariale di Regina Coeli, sono stati proprio loro. Fischietti tra le labbra, volantini alla mano, e polsi uniti da catene di protesta, i portavoce del Sappe, il sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, hanno manifestato contro il Governo rivendicando un ruolo di primo piano nella riforma del sistema giudiziario.

" Contestiamo - spiega uno dei portavoce, Nicola Maselli, guardia carceraria da 13 anni - la mancanza di personale: a Regina Coeli ci sono mille detenuti e 350 agenti. Siamo divisi in tre turni: di giorno la proporzione è di 9 detenuti per ciascun agente, di notte il rapporto sale fino a 100 contro uno. Siamo allo sbando. Si continua a distaccare i poliziotti presso i ministeri".

La protesta delle guardie carcerarie arriva casualmente nello stesso giorno in cui anche i detenuti hanno deciso di manifestare contro la situazione delle carceri e il sovraffollamento.

"Ma i problemi - prosegue il portavoce del Sappe - li abbiamo anche noi e sono enormi". Turni di lavoro massacranti sono alla base della protesta. Dopo le normali 8 ore notturne quasi sempre lo straordinario è un obbligo, tanto che il periodo di lavoro extra supera le 75 ore mensili, anche 100 ad agosto.

Lo stipendio base di 1.300 euro percepito non sembra colmare lacune ormai profonde come voragini: "Gli straordinari - spiega Nicola Maselli - vengono pagati fino a 40 ore settimanali. Quelle in eccesso sono considerate recupero". Ma con questi turni permettersi un periodo di riposo sembra davvero proibitivo.

Difficile il mestiere del poliziotto penitenziario: "È un lavoro faticoso. Ogni giorno - aggiunge Maselli - abbiamo a che fare con persone. I detenuti vanno considerati esseri umani. Bisogna stare attenti a non fare distinzioni di razza, ma anche a prevenire atti di violenza o autolesionistici. Le responsabilità sono mille. Se accade una rivolta un agente di polizia penitenziaria da solo con 100 detenuti che cosa può fare?".

Prende in parte le distanze dagli agenti il direttore di Regina Coeli Mauro Mariani: "Hanno il diritto di manifestare le loro opinioni. In effetti il personale manca. Il problema va risolto a livello di ministero, ma la carenza degli agenti è sentita a livello nazionale. Stiamo cercando di aprire un reparto anche all’Ospedale Sandro Pertini per il piantonamento dei detenuti cercando di recuperare un centinaio di uomini".

Antonello, 36 anni, capelli rasati e occhi di ghiaccio, è una guardia carceraria dal 1991. Questo lavoro lo ha scelto per passione, perché ci crede. Il suo compito è quello di trasportare i detenuti da un carcere all’altro o da un istituto penitenziario al tribunale: "Il cambio per noi autisti deve avvenire dopo 400 km. A volte ne devo fare 800 prima di scendere. Può accadere che tre agenti debbano scortare altrettanti detenuti ad alta sicurezza. Il rapporto dovrebbero essere di due poliziotti a uno". Antonello confessa di avere paura il più delle volte: "Durante i trasferimenti può accadere di tutto. Lavoriamo in condizioni di altissimo rischio. Servono centinaia di poliziotti. Il problema è del blocco delle assunzioni. Sono due anni che aspettiamo l’uscita del bando per il nuovo concorso".

Su via della Lungara, di fronte al carcere di Regina Coeli, i poliziotti fermano i passanti, distribuiscono i volantini, invitano a partecipare ai loro slogan. Dal megafono si leva la voce di protesta: " Se approveranno la legge sulla clonazione forse alla fine ci cloneranno".

Bologna: la Dozza scoppia, la Provincia si mobilita

 

Il Resto del Carlino, 18 ottobre 2004

 

La visita di una delegazione di consiglieri provinciali al carcere della Dozza non è più solo un’ipotesi su cui lavorare. Nel giorno in cui in tutti i penitenziari italiani riprende la mobilitazione pacifica dei detenuti, i capigruppo in consiglio provinciale hanno sottoscritto un odg con il quale impegnano l’intera assemblea di Palazzo Malvezzi a iniziare, attraverso la quinta commissione, un percorso ricognitivo sul tema della vivibilità negli istituti di pena locali che tenga conto delle competenze dell’ente in materia (in particolare, formazione e scuola).

Percorso che dovrebbe culminare proprio con le visite al carcere della Dozza e al carcere minorile di via del Pratello. A questo scopo è stata già inoltrata domanda informale alla prefettura. "speriamo- ha annunciato Maurizio Cevenini, presidente del consiglio provinciale - di poter effettuare la visita entro novembre. È importante dare un segno della vicinanza delle istituzioni, non solo ai detenuti, ma anche a quanti operano all’interno dei nostri istituti di pena".

Tanti i problemi sottoposti all’attenzione delle istituzioni da parte delle associazioni dei carcerati, a partire dal sovraffollamento e dalle difficoltà nel fornire un’adeguata assistenza sanitaria. Secondo i dati a disposizione della provincia, a fronte di una capienza di circa 450-500 posti, la Dozza ospiterebbe al momento 860 detenuti.

"Si parte dalle due, tre persone - ha spiegato Cevenini - in 11 metri quadrati". L’ordine del giorno, che verrà presentato già domani in consiglio provinciale (la votazione potrebbe invece slittare alla seduta successiva), non è che la prima di una lunga serie di iniziative con le quali i capigruppo hanno voluto raccogliere l’invito rivolto agli enti locali dall’Associazione Papillon affinché nei giorni della mobilitazione si attivassero per incontrare i detenuti e ascoltare le loro ragioni.

"Vogliamo farci un’idea in maniera autonoma", precisa Giuseppe Sabbioni di Forza Italia. Il primo contatto con la realtà carceraria avverrà attraverso la direttrice della Dozza. "Sarà lei a indicare - aggiunge Cevenini - chi ritiene opportuno farci incontrare". I primi a entrare in contatto con i carcerati della Dozza sono stati questa mattina i membri di una delegazione composta da alcuni consiglieri comunali e dalle parlamentari elette nei collegi bolognesi Katia Zanotti (ds) e Titti de Simone (prc).

Cagliari: detenuti in sciopero della fame, chiedono l’indulto

 

Repubblica, 18 ottobre 2004

 

Comincia oggi la mobilitazione non violenta in tutte le carceri italiane contro gli effetti della legge sul cosiddetto "indultino" della scorsa estate e per l’approvazione di un provvedimento di indulto generalizzato. "È l’unico modo - si legge in un comunicato dell’Associazione detenuti non violenti inviato a tutti i membri delle commissioni giustizia della Camera e del Senato - per sfollare i luoghi di reclusione per un tempo necessario ad attuare tutte le riforme di cui si ha bisogno".

Le forme nonviolente di protesta saranno lo sciopero della fame e l’astensione dai lavori da parte di tutti i reclusi nei 205 istituti di pena italiani. Secondo l’Associazione "pochi reclusi hanno usufruito dell’indultino partorito dal governo la scorsa estate". È questo il motivo per cui si chiede "un reale ed immediato provvedimento di amnistia ed un indulto generalizzato che ristabilisca un minimo di equilibrio e di stabilità nelle carceri italiane ed una serie di riforme che portino all’applicazione piena ed integrale della legge Gozzini".

Roma: Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia in assemblea

 

Ansa, 18 ottobre 2004

 

La Terza Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia "Giustizia, diritti, solidarietà e gratuità nel nostro tempo" si aprirà giovedì 21 ottobre nel carcere romano di Rebibbia. A parlare dei problemi del carcere non ci saranno gli "esperti" ma saranno i detenuti stessi delle sezioni maschili e femminili, dell’alta sicurezza, degli ospedali psichiatrici giudiziari, delle case lavoro, degli istituti minorili, dei centri di permanenza temporanea a far udire la loro voce.

Le centinaia di volontari delle associazioni aderenti alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia che arriveranno a Roma, vogliono accendere i riflettori su temi caldi come la legge sul volontariato e la gratuità, sui drammi che continua a vivere il carcere per l’assenza di politiche reali di recupero, sui clandestini incarcerati nei cpt, sull’aumento di contiguità tra i poteri politici ed economici e le mafie, sul calpestare quotidiano dei diritti dei più fragili. Le associazioni di volontariato che operano nella giustizia: carceri, diritti, legalità, contro la tratta, pace, sono testimoni della portata e delle conseguenze di tutte queste leggi.

L’assemblea, oltre a fare il punto su quattro anni di attività del volontariato giustizia, intende richiamare l’attenzione del pubblico su temi dibattuti a livello politico parlamentare senza coinvolgere quelli che in questi campi operano volontariamente e a titolo gratuito. Nella prima giornata a Rebibbia dove si parlerà di "Giustizia e diritti" porteranno la loro testimonianza detenuti, uomini e donne, e minori.

Nella seconda giornata, "Giustizia e solidarietà del nostro tempo" che si terrà a palazzo Marino alle presenza di autorità tra cui il sindaco Veltroni e il presidente della provincia Gasbarra, i presidenti di Amnesty (Bertotto) – Emergency (Sarti) – Gruppo Abele (Ciotti) – Un ponte per (Alberti) – Beati Costruttori di Pace (Bizzotto) – Eapn (Morhard) – e il presidente della Conferenza Livio Ferrari indicheranno le proprie strategie e i percorsi da alimentare per contrapporsi ad una involuzione tragica sul fronte della giustizia; nel pomeriggio le conferenze regionali porteranno in assemblea la voce e i risultati del lavoro svolto sul territorio.

Nella terza giornata alla Sala di Porta Castello si discuterà di "Giustizia e gratuità del futuro" con Eusebi e Nervo, mentre, a conclusione dei tre giorni, verranno delineate le "Politiche e prospettive del Volontariato Giustizia" per tutti gli operatori impegnati.

Pisa: Adriano Sofri ribadisce "non chiederò la grazia"

 

Adnkronos, 18 ottobre 2004

 

Adriano Sofri conferma l’intenzione di non chiedere la grazia. "Ho detto anni fa che non l’avrei chiesta, mantengo la parola", dice in un’intervista al Radiocorriere l’ex leader di Lotta Continua. Incontrato dal settimanale nel carcere di Pisa, dove sta scontando la condanna a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, Sofri ammette di avere "probabilmente traviato molte persone", ma rivendica la "totale buona fede".

"Non ho mai avuto la minima debolezza nei confronti del terrorismo, anzi ne sono stato fieramente nemico", afferma ancora. Sofri torna a negare l’accusa di essere il mandante dell’omicidio Calabresi e giudica "bizzarra" la "sequela di processi" che negli anni si sono celebrati, "parecchi" conclusi con "sentenze opposte".

In ogni caso, spiega l’ex leader di Lc chiarendo i motivi che lo hanno spinto ad accettare il carcere, "la legge, anche quando è applicata iniquamente, deve essere rispettata". "Un mondo senza legge -osserva- sarebbe peggiore di un mondo con leggi applicate qualche volta malvagiamente".

A don Santino Spartà, autore dell’intervista, Sofri spiega di avere un rapporto "molto buono" con gli altri detenuti, "paterno", visto che molti di loro sono giovani. "Ascolto le loro storie o li aiuto a scrivere istanze o lettere d’amore", aggiunge.

"Continuo a guardare, dalla mia cella di due metri e mezzo, il mondo intero con gran passione", dice ancora l’ex leader di Lotta Continua. Ma cosa le manca di ciò che sta fuori? "Le persone, gli animali, le piante e le stelle della notte", confida. E, alla domanda su come si definirebbe, Sofri risponde: "Come un uomo di 62 anni, la cui esistenza a un certo punto ha preso una piega ingiusta, da lui stesso imprevista, e che per fortuna era sufficientemente coriaceo e attento alle cose del prossimo per riuscire a piegarsi secondo il senso della sua vita".

Como: isolato da diciotto anni, negati anche permessi-premio

 

L’Unione Sarda, 18 ottobre 2004

 

A 18 anni dal suo arresto oltre 15 mila sardi hanno riscoperto Annino Mele. Tanti sono, infatti, i lettori de "L’Unione Sarda" che hanno acquistato la sua autobiografia pubblicata nel 1996 e riproposta recentemente nella collana dedicata a "Dieci incredibili storie di banditismo".

Voleva parlare di questo suo lavoro Annino Mele, invece la burocrazia ministeriale lo ha impedito. Cambiando radicalmente linea, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria nega ogni permesso, anche una giornalista di origine sarda, Gabriella Angheleddu si è vista bloccare due mesi fa l’autorizzazione.

Eppure la Angheleddu ha più volte intervistato in carcere il detenuto, raccogliendo la sua testimonianza in un documentario sulla faida di Mamoiada girato per la rete televisiva franco-tedesca Arte insieme al collega Ernst August Zurborn. Perché, stando alle ufficiose motivazioni del Dap, Annino Mele è tornato ad essere "un carcerato ad alta pericolosità", "elemento di spicco della malavità sarda", "elemento di spicco del terrorismo di sinistra".

Come rimane difficilmente penetrabile il muro di silenzio innalzato (diventa persino difficile scrivergli), aggirato sotto forma di domande scritte a cui il detenuto ha risposto per iscritto dal carcere di Como dove, trasferito tre anni fa da Busto Arsizio, è rinchiuso in una cella singola nella sezione di massima sicurezza (fino a poco tempo fa non poteva parlare con nessuno nemmeno nell’ora d’aria).

Il suo caso è seguito ora da alcune volontarie, mentre ha un rapporto di forte collaborazione con l’associazione "Sensibili alle foglie" fondata tra gli altri dall’ex capo delle Brigate Rosse Renato Curcio. Anche i pochi amici esterni stanno cercando di capire la ragione di tanto accanimento che, almeno per quanto è stato possibile appurare, non sarebbe giustificato dal comportamento durante i suoi ultimi 18 anni di detenzione che non hanno fiaccato la voglia di combattere come dimostra proprio l’intervista pubblicata in questa stessa pagina.

Un’intervista minata dall’impossibilità del confronto diretto (sarebbe stato interessante chiedergli conto anche delle perplessità sollevate dal suo libro), ma comunque importante per inquadrare un personaggio che, guardando al passato, non vuole parlare né di episodi specifici né dei fatti personali di ieri e di oggi. Annino Mele aveva 25 anni quando nel 1976 venne arrestato una prima volta per l’omicidio di Giovanni Maria Mulas e Antonio Farina, uccisi il primo giorno di quell’anno a Nuoro. Si è sempre dichiarato innocente ma quella vicenda, intrecciata con la faida di Mamoiada, segnò per sempre la sua vita: al termine di un lunga serie di processi è stato definitivamente condannato all’ergastolo. Nel 1980, dopo una prima assoluzione per quel delitto, Annino Mele venne scarcerato e lasciò Mamoiada.

In carcere però era entrato in contatto con alcuni esponenti delle Brigate Rosse, rafforzando le sue idee politiche anche dopo l’incontro con la svizzera Francesca Fa. Proprio in Svizzera il 27 settembre del 1982, lo raggiunse la notizia del mandato di cattura per la partecipazione all’Anonima Gallurese, la banda sgominata dal sostituto procuratore Luigi Lombardini grazie soprattutto al pentito Salvatore Contini.

Catturato nelle campagne di San Cosimo il 30 gennaio del 1987, Annino Mele è stato condannato anche per la partecipazione ad alcuni sequestri di persona, ma nella guerra che in quel periodo ha sconvolto Mamoiada ha sempre rifiutato con sdegno il ruolo di capo del Movimento armato sardo (Mas ) che condusse una campagna di sterminio contro chi collaborava con la giustizia. Proprio per prendere le distanze dal Mas e difendere la madre arrestata insieme allo zio, da latitante, il 30 luglio 1984, concesse una clamorosa intervista a "L’Unione Sarda".

 

 

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