Io, donna tra le donne in carcere

 

"Io, donna tra le donne in carcere"

di Margherita Peroni

 

Brescia oggi, 09.03.2004

Il consigliere regionale Margherita Peroni ieri ha fatto visita alle detenute di Verziano "Ero già entrata in un penitenziario, ma ogni volta è come se fosse la prima"

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Al secondo piano è più bello: "Se guardi fuori, vedi una striscia di campagna"

 

Non è la prima volta che entro in un carcere. Ma ogni volta è come se fosse la prima. Prigioni diverse quelle di San Vittore, il Beccaria o Verziano, dove stamattina scelgo di andare a trovare le donne della sezione femminile. In tutte però è tangibile la sofferenza di cui l'aria è impregnata, sofferenza inflitta agli altri, che siano le vittime o i propri familiari, alla società e a se stesse. Oggi è l'8 marzo. Ho deciso di andare a trovare le detenute di Verziano: per loro sono forse un diversivo, in un ritmo di giornate che si susseguono una uguale all'altra; per me è il modo per capire se c'è qualcosa che da fuori si possa fare, perché la pena da scontare non sia solo punizione e dolore. Niente fiori, preferisco portare mimose sì, ma di pasticceria. Mi accompagna in questo giro il vicecomandante Domenico Brogna; gentile e disponibile, spiega che il numero delle detenute cambia di giorno in giorno. Verziano è un carcere circondariale, se c'è una retata qui entrano anche quattro, cinque, sei arrestate per volta, che poi il giorno dopo possono essere rilasciate o inviate altrove. Oggi, 8 marzo, festa della donna, alla periferia della città ci sono trentanove detenute: venti al primo piano e diciannove al secondo. Si entra. Dopo quelle dell'ingresso, ci sono ancora tre porte da passare; sarebbero quattro, perché si dovrebbe tenere chiusa quella che sta tra il femminile e il maschile, ma le guardie sono sempre meno di quello che servirebbe (l'organico è di ventidue donne e sessanta uomini che si dividono su turni, ferie, malattie e quant'altro), e così quella porta resta aperta, controllata dalla guardia del maschile. Le altre, del resto, bastano. Ci fermiamo al primo piano, c'è già qualcuna che ci guarda con curiosità. "E' l'8 marzo - azzardo - auguri a tutte", tanto basta perché sia tutto uno stringere di mani e auguri a te, a lei e anche a te. Il ghiaccio è rotto, adesso possiamo un po' parlare. Ci sono quasi tutte, qualcuna è ancora giù a lavorare nei laboratori, tre ore la mattina per cinque giorni la settimana; c'è chi lavora di assemblaggio per una cooperativa, chi rammenda lenzuola di ospedale. "Certo se si potesse tutte lavorare sarebbe bello - dice Maria (sono tutti nomi di fantasia) -. Io sono fortunata, il magistrato ha firmato il permesso e posso uscire di qui per fare qualche lavoro fuori". Tre ore volano, in una giornata ce ne sono ventiquattro... "Beh, dalle 7 e mezza di sera si deve stare in cella e il blindo lo chiudono a mezzanotte. Alle 7 di mattina sono già sveglia: si legge, si scrive, qualcuna studia". Accento veneto, Luisa ha una condanna definitiva: starà a Verziano fino al 2009. Le senti quelle che hanno condanne passate in giudicato, lo capisci dal modo di parlare; hanno nel tono della voce una sicurezza da destino compiuto. Niente più incertezze sul se, quanto, quando, ma certezze dell'"ormai è così, tiriamo avanti meglio che si può". Mentre parlano di quel che si dovrebbe o potrebbe fare, mi guardo in giro: almeno la metà viene da Paesi che non sono l’Italia. Le giovani sono tantissime: albanesi e rumene, soprattutto. "Sono qui per reati legati alla prostituzione - spiega una guardia -; molte di loro sanno che una volta fuori sarà difficile sfuggire ai loro aguzzini, e così stare qui magari è meno peggio".

Qualcuna parla di istruzione, di insegnare a leggere e scrivere alle extracomunitarie. Betti viene da Panama, aspetta il decreto di estradizione, l'italiano lo parla molto bene: "Sì, però le scuole italiane le ho fatte in carcere; è la terza volta che ci finisco. A Verziano la scuola per l'alfabetizzazione non c'è, e ti si stringe il cuore quando vedi una donna di trenta o quarant'anni che se deve firmare, fa una croce". Sulla scuola e l'istruzione chiedo anche alle altre se hanno studiato fuori o dentro, se è importante. Qualcuna sì, qualcuna no. Ce n'è una a testa bassa, lo sguardo assente, lo vedi subito che ha pensieri troppo pesanti da portare. "E lei - le chiedo -, che studi ha fatto?" "Giurisprudenza - risponde -, studio giurisprudenza". "E riesce a stare sui libri?". "No, non ho la testa": è un dire soffocato il suo, mentre gli occhi le diventano lucidi. Intuisco il recente dramma e ricordo lo stesso sguardo negli occhi di un'altra ragazza incontrata nella mia precedente visita. Quella era di Vallio, questa è di Brione. La reincontro, la giovane valsabbina, al secondo piano, e mi fa piacere vederla, la trovo più tranquilla, serena per quel che è possibile qui. "Sa - dice ancora Maria, la più anziana del gruppo - nessuno chiede niente a nessuno. Se vuoi raccontare, racconti e ti si ascolta, se non te la senti va bene lo stesso". L'imbarazzo dura un attimo, e via a raccontarmi dei corsi di teatro: "Non è venuta a vederci? Il ricavato va in beneficenza nel Burkina Faso, quest'anno gli compriamo l'autoambulanza". Queste donne hanno trovato la forza di mandare soldi a chi sta peggio, e penso a quanti, fuori, da questi pensieri non sono nemmeno sfiorati. Hanno anche fatto un'adozione a distanza, queste donne costrette a essere loro stesse madri a distanza. Quando chiedo se posso fare qualcosa per loro, scherzano: "Sì, un bell'indulto!", ma ridiventano subito serie. Ma qualcosa ci sarebbe: "L'estate scorsa abbiamo patito oltre il sopportabile: il caldo era tremendo e siamo state assaltate da mosche e zanzare. Non può mica chiedere che facciano una bella disinfestazione nei campi qui intorno, almeno che non si debba combattere anche con gli insetti? E poi, se quel blindo (la doppia porta in ferro che chiude ogni cella) si potesse tenere aperto un po' di più quando fa così caldo...". Non faccio promesse, ma state tranquille che ci proverò. "Va al secondo piano, adesso?". "Sì". "Quello è un bel posto. Qui dalle finestre vedi solo il muro; su, quando si guarda fuori, si vede una striscia di campagna".

 

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