In carcere si pulisce e si cucina

 

In carcere si pulisce e si cucina

 

 

Corriere Adriatico, 03.03.2004

 

Sono otto i carcerati reclusi a Fermo che salderanno il conto con la giustizia nel corso del 2004. A questi si aggiungono quelli che incasseranno sconti di pena e che avranno la possibilità di tornare liberi prima della scadenza prefissata. Tutti uomini che torneranno ad essere cittadini di un mondo che li accetta a fatica, che frequentemente li guarda con sospetto e con timore. Troppo spesso fuori non hanno nessuno ad attenderli, nessuno che possa aiutarli a imboccare la via del reinserimento socio-lavorativo.

Il carcere di Fermo è finito sull’altare delle cronache nazionali dopo quella clamorosa evasione di due detenuti extracomunitari (un kossovaro e un albanese di cui peraltro non si sono avute più notizie) ma a conti fatti, è una struttura come molte altre in Italia. Piccola, è vero (ci sono 59 detenuti, la capienza è di 62), ma dignitosa. I detenuti di Fermo possono avere sei colloqui mensili con i propri familiari e possono fare una telefonata della durata di 10 minuti alla settimana. Certo, è poca cosa e per questo molti di loro si disabituano alle relazioni umane. È lo stesso cappellano del carcere, don Damiano a confermarlo: “Il problema più grande che hanno è quello della mancanza e lontananza degli affetti”.

Il carcere dovrebbe servire alla rieducazione dei detenuti ma troppo spesso mancano gli spazi per offrire delle reali alternative di vita una volta che queste persone escono. Certo, in carcere si lavora. Ma si tratta di un impiego lontano anni luce da quelli che “normali”. “I detenuti da noi - spiega il direttore del carcere Maurizio Pennelli - svolgono lavori domestici: per lo più pulizie e cucina. Per la prestazione che svolgono percepiscono un piccolo stipendio che possono conservare, mandare ai loro familiari o spendere per comprare quel che vogliono scegliendolo da una lista che forniamo noi”. Vengono impiegati nel lavoro per un mese e poi per i tre mesi successivi restano a guardare. Di qui la difficoltà di reinserirsi nel mondo lavorativo all’esterno.

“Quando i detenuti terminano di scontare la pena e lasciano il carcere - spiega Pennelli - noi non abbiamo più notizie di loro”. Ultimamente sono state avviate, grazie alla collaborazione con il centro territoriale permanente, corsi di lingua inglese e di teatro. “Sono stati molto apprezzati e sono ben partecipati”, fa sapere Pennelli. Ma è solo un altro modo per impiegare il tempo in attesa del ritorno alla libertà. Che non tutti vedono come un giorno felice. “Mi è capitato anche di vedere persone che avevano sempre tenuto una buona condotta che cambiavano radicalmente in vista dell’uscita - conclude il direttore - proprio per non essere lasciati liberi”. Per non dover riaffrontare il mondo là fuori, così lontano da quello dietro le sbarre.

 

 

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