Rassegna stampa 15 maggio

 

Medici penitenziari: si pensa di più alle carceri dell’Iraq...

 

Il Messaggero, 15 maggio 2004

 

In Italia ci si indigna e ci si scandalizza (giustamente) per alcuni episodi riguardanti torture su prigionieri iracheni ma agli italiani non importa niente di ciò che da tempo accade ai detenuti reclusi nei penitenziari della penisola. Oltre alle lamentele e alle mortificazioni che hanno più volte inutilmente sollevato (senza successo) soprattutto i detenuti al carcere duro (41 bis), i medici dell’amministrazione penitenziaria in convegno a Bologna tracciano un quadro drammatico dei penitenziari nostrani.

All’"inferno" (parola loro) oltre la libertà, si rischia di perdere anche la salute. È l’allarme lanciato dall’associazione dei medici dell’amministrazione penitenziaria (Amapi), riuniti in occasione del XXVII congresso nazionale a Bazzano, a pochi chilometri da Bologna.

"Le istituzioni politiche hanno completamente dimenticato il carcere - ha attaccato Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi - e vogliamo denunciare la situazione prima che questa pattumiera esploda con conseguenze che non possiamo prevedere". "Il carcere si configura sempre più come una sorta di pattumiera sociale dove ci si getta di tutto pur di non vedere e non sentire". Continua a crescere il numero dei detenuti, ma calano (o restano invariati) i finanziamenti, è il primo capo d’accusa. "Nel 1998 - ha spiegato Cerando - gli stanziamenti per l’assistenza sanitaria nelle carceri erano di circa 230 miliardi di lire (circa 115 milioni di euro), e nel 2004 siamo arrivati a 81 milioni di euro. Un salto di circa 35 milioni di euro".

Le carceri però continuano a essere "sovraffollate: 56.000 detenuti (2.000 donne), dei quali 21.000 extracomunitari". Con la condizione sanitaria da tempo in allarme rosso: "20.000 detenuti sono tossicodipendenti, 9.500 affetti da epatite virale cronica, 5.000 sieropositivi per Hiv e 7.500 affetti da turbe psichiche". Ma anche "all’inferno" - parola stampata nella tabella Amapi - c’ è chi sta peggio degli altri: "Come in Sicilia - ha commentato Antonino Levita, responsabile dell’area sanitaria dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) - dove rischiamo l’obsolescenza farmacologica, rischiando di non poter più assistere i pazienti. Perché la regione non compartecipa, come previsto dalla normativa, alle spese per l’acquisto dei farmaci, come invece fanno altre amministrazione regionali". Inevitabili i tagli: "Del 30% sulle guardia mediche, del 20% quelle infermieristiche".

Racconta una situazione critica pure Carmelo Crisicelli, direttore sanitario nel centro diagnostico terapeutico del carcere di Messina: "Abbiamo 32 posti letto medici, e 18 chirurgici: in servizio ci possiamo permettere solo due infermieri, quando dovrebbero essere almeno uno ogni otto pazienti. Infatti erano sei per turno: ora sono due". Per questo il 28 maggio l’Amapi - che conta circa 3.000 associati, fra medici e infermieri - ha organizzato una protesta davanti all’assessorato alla Sanità della regione Sicilia, a Palermo.

Si sta meglio in Emilia - Romagna: "Grazie alla lungimiranza del governo regionale - ha detto Pasquale Paolillo, responsabile medico nel carcere di Bologna - del provveditore regionale e dell’amministrazione provinciale, sono in essere convenzioni che tendono a migliorare la sanità in carcere". Pure nell’istituto di pena bolognese si registra il sovraffollamento: "Ci sono 960 detenuti, contro una capienza di 450". "Non possiamo fare altro che denunciare e protestare perché il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia si rendano conto di questi bisogni: per far sì che la tutela della salute non sia solo una parola inutile, ma sia l’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione".

La soluzione per ridurre l’affollamento per l’Amapi sarebbe a portata di mano: "I soggetti gravemente malati non dovrebbero stare in carcere: ci sono persone affette da Hiv con valori di linfociti tali che la legge ne prevede la scarcerazione: invece sono dentro. Così come i tossicodipendenti non dovrebbero seguire un percorso carcerario". La fiducia però è pochina: "Forse - ha aggiunto Cerando - non siamo tanto bravi come altri da poter mettere a disposizione dei pacchetti di voti. Anche se il Governo di centrosinistra ci sembrava più sensibile, per noi vediamo sempre correre i soliti: Pannella e Rifondazione".

Viterbo: i detenuti preparano azioni di protesta

 

Associazione Papillon, 14 maggio 2004

 

L’associazione culturale Papillon - Rebibbia ha ricevuto da alcuni suoi iscritti il documento sotto riportato e lo fornisce ai mezzi d’informazione e ad alcuni esponenti politici e istituzionali affinché le ragioni della pacifica protesta preannunciata dai detenuti del carcere di Viterbo non cadano nel silenzio.

 

Premessa

 

La nostra protesta è causata da tutte le promesse fatteci e mai mantenute da governi irresponsabili che hanno continuato a sottovalutare la situazione precaria nelle carceri Italiane. Sono state disattese anche tutte le promesse che vari parlamentari di diverso colore politico hanno fatto, sulla concessione di un indulto e amnistia.

Sono 15 anni che non si concede ai detenuti un provvedimento valido a risolvere il dramma quotidiano del sovraffollamento e della scarsa o inesistente Sanità, fatta eccezione per l’indultino, o meglio l’insultino, che è servito soltanto a pacificare la coscienza dei politici, aumentando il livello di frustrazione e facendo capire ai detenuti: che questo Governo e i governi che lo hanno preceduto, non sono in grado, o non vogliono risolvere il problema carcere.

Non si è ancora raggiunta tra le forze politiche e l’opinione pubblica, bombardata quotidianamente dai mas media, con notizie non vere sui detenuti, la maturità nel capire che sfoltendo le carceri e mettendo in essere un reale percorso di reinserimento, oggi inesistente, si garantirebbe la sicurezza dei cittadini e si restituirebbe alla società uomini e donne diversi da quelli che hanno commesso il reato.
Purtroppo ancora oggi siamo costretti a vivere quotidianamente l’umiliazione di essere trattati come oggetti e ancor più grave subire maltrattamenti corporali, che farebbero inorridire anche i regimi totalitari. L’applicazione permanente dei regimi del 14 bis e del 41 bis è la prova provata del clima medioevale che c’è nelle carceri Italiane.

Siamo stufi di assistere alla inottemperanza alle leggi ed alla Costituzione, violate impunemente da coloro che dovrebbero applicarle. Per questo ed altro siamo costretti a chiedere:

amnistia e indulto generalizzato;

che i detenuti in 14 bis e 41 bis vengano declassificati in sezioni normali e che anche in isolamento siano rispettati i loro più elementari diritti, come il diritto alla parola, l’uso del televisore, l’uso dei prodotti necessari all’igiene e alla cucina;

che i detenuti abbiano la possibilità di usufruire delle docce non solo nell’ora d’aria e passeggi, ma anche nell’orario di chiusura, non dovendo così rinunciare al diritto all’aria, escludendo l’orario di conta 15/16;

che le socialità siano libere con la possibilità di incontrarsi non solamente in altre stanze chiuse;

che gli educatori psicologi e servizio Ser.T. siano presenti e non fantasmi;

che i detenuti del D1 si possano incontrare per le attività sportive al campo per i vari trofei;

che ai detenuti di altre religioni (non cattoliche) venga concessa la possibilità di pregare con un ministro del loro culto in ambienti adeguati;

che nei colloqui famiglia si possano portare più generi alimentari e bevande, in particolare ai minori, all’area verde, non escludendo i colloqui famiglia normali;

che i rapporti disciplinari non vengano effettuati con la solita estrema facilità, con punizioni altrettanto facili e il più delle volte ingiuste;

Affinché vi accorgiate di noi, come uomini che stanno già scontando la pena della privazione della libertà, tra l’altro ci sono tanti in attesa di giudizio e quindi possibili innocenti, cominceremo una protesta pacifica coordinata.

Lo faremo in questo modo:

ogni atto di non partecipazione o partecipazione impropria sarà atto personale e non di tutti. Per dimostrazione di buona volontà e non fiducia di alcuni agenti penitenziari, ogni detenuto non parlerà con essi salvo problemi urgenti e gravi, così facendo non si darà modo di fare parlare di sommosse o comportamento offensivi ma protesta pacifica.

che ogni detenuto è responsabile delle proprie azioni e che coordinate in maniera pacifica non ha nulla da temere.

che lo sciopero pacifico non si fermerà fino al raggiungimento delle richieste dalla lettera B alla I.
una volta raggiunti gli obiettivi si deciderà con un lasso di tempo da uno a tre giorni la sospensione dello sciopero.

che le richieste da noi avanzate siano prese in seria considerazione da Direttore e dai mass media e che venga segnalato loro lo sciopero e le modalità.


Modalità

11 maggio 2004: battitura dalle ore 11 alle ore 12 e dalle 19 alla ore 20

12 maggio 2004: rifiuto passeggio e battitura dalle ore 10 alle ore 12 e dalle 19 alle 21;

13 maggio 2004: rifiuto passeggio, rifiuto vitto dell’amministrazione e battitura dalle ore 10 alle 12 e dalle 19 alle 22;

14 - 15 maggio 2004: rifiuto passeggio sciopero della fame e battitura continua;

16 maggio 2004: rifiuto passeggio sciopero della fame e della seta chiusura tutti i lavoranti, battitura continua di notte e non solo di notte.


I giorni seguenti faremo tutto come giorno 16 sino ad un accordo.

 

Importante


Chi non ha possibilità economiche sarà aiutato da chi le ha. Gli ammalati sono esentati, per loro insindacabile decisione, dallo scioperare. Una volta iniziata la protesta, chiediamo a tutti i detenuti di non mollare.

 

Roma, maggio 2004


I detenuti di Viterbo

Difendere i diritti degli stranieri, fuori e dentro il carcere…

 

Melting Pot, 14 maggio 2004

 

Il numero dei migranti nelle carceri italiane sta aumentando progressivamente, su 55.000 detenuti un terzo sono stranieri (una cifra che sfiora quota 17.000).


Quali sono le principali ragioni di questo incremento?

 

Essenzialmente due. La prima sicuramente è determinata dalla conformazione e strutturazione della nostra società che non permette l’inserimento di tutti quei soggetti emarginati che essa produce ma ne fa un nemico sociale, alimentando così le discriminazioni, l’isolamento e l’intolleranza. Questi meccanismi di "esclusione" aumentano il degrado sociale e umano, diffondendo pratiche criminali e illegali.

Tant’è che nei "gironi" inferiori della criminalità, i marginali (migranti, tossicodipendenti) sostituiscono con il passare del tempo i cosiddetti locali. La seconda causa dell’incremento dei detenuti stranieri, forse più determinante della precedente, è rappresentata dalle leggi proibizioniste in materia di immigrazione che si sono succedute negli anni dalla legge Martelli in poi.

Queste leggi proibizioniste hanno avuto la funzione di moltiplicare ed implementare il costante aumento dei detenuti stranieri nelle carceri italiane. Infatti l’attuale legge sull’immigrazione Bossi Fini - impedendo di fatto la possibilità di un percorso migratorio regolare e sanzionando penalmente e con l’arresto in fragranza la violazione dell’ordine di espulsione dal territorio dello Stato - configura il carcere come uno stop fisso e "normale" per tutti quei migranti che sono indotti dalla stessa legge a vivere clandestinamente.

In più un altro dato sconcertante è rappresentato dal fatto che il carcere, istituzione totale - come denunciano numerose ricerche - diviene un luogo in cui il migrante che ha commesso un qualche reato, anche se in possesso del permesso di soggiorno, è trattenuto in attesa dell’espulsione. In questo emerge la totale incostituzionalità e disumanità della legge Bossi Fini poiché essa rende praticamente impossibile ad un migrante detenuto misure alternative alla detenzione e ad un migrante passato dal carcere, progetti di reinserimento (sociale e lavorativo) quindi l’impossibilità di riprendere normalmente la sua vita sul territorio nazionale.

In buona sostanza si configura un trattamento di disparità tra stranieri cosiddetti clandestini o regolari e i cittadini italiani, per cui di fatto "la legge non è uguale per tutti". Un’indagine effettuata su 174 istituti penitenziari ha cercato di mettere in evidenza il trattamento dei detenuti stranieri. Dai dati emerge che al di là di progetti specifici sono pochissimi (circa 1/6) gli istituti che prevedono la presenza di mediatori culturali o che allocano i detenuti in apposite sezioni e sono altrettanto pochi i progetti di formazione per il personale che si occupa della gestione o del rapporto con i detenuti stranieri. A tutto ciò, fatta eccezione per  ed alcuni Progetti regionali, va aggiunto una seconda problematica: il sovraffollamento.

Attualmente i dati confermano un’eccedenza di 10.000-15.000 presenze in più rispetto ai posti disponibili. Ciò significa un peggioramento delle condizioni di vita all’interno del carcere di due tipi:

più sofferenza per i detenuti (già condannati, in termine di legge, alla privazione della libertà);

una pena accessoria alla precedente (non prevista dalla legge) il sovraffollamento, che non comporta solo i letti a castello, i materassi per terra ma anche avere meno stanze e locali per i laboratori, il recupero scolastico e etc.

Quest’ultimo aspetto è preoccupante, unito poi al diffondersi sempre più forte del "business del sicuritarismo" che si fonda sul postulato di creare "sempre più paure e conseguentemente maggiori risposte forti".

Uno Stato civile ha il dovere, ed è anche un obiettivo socialmente utile, del reinserimento sociale e umano di tutti i cittadini detenuti stranieri e non. Lo strumento dell’amministrazione della giustizia non può essere, quindi, la repressione e la criminalizzazione ma semmai l’attivazione di processi di tutela e di inclusione per tutti quei soggetti che hanno avuto soltanto esperienze di forza e prevaricazione, di doveri e soggezioni ma non di diritti.

In Italia come nel resto della "civile" Europa le politiche restrittive basate su provvedimenti paranoico/polizieschi, su provvedimenti confinali sono destinate a fallire perché aumentano il degrado, la marginalità, l’esclusione e di conseguenza la criminalità. È necessario capovolgere questa ottica nella direzione di politiche inclusive, di accoglienza e di cittadinanza, solo così si sottrarrà manodopera "clandestina" al giogo dei padroni delle economie criminali e "occulte".

È necessario perciò trovare altre soluzioni, altre strade da percorrere nel tentativo di costruire moltitudinariamente una comunità europea come luogo di inclusione/accoglienza ricco di alterità, e fondato sul fatto che ogni individuo è titolare del proprio diritto di essere umano dovunque esso si trovi, fuori o dentro il carcere.

Manconi: "Saremo l’orecchio che ascolta la voce dei detenuti"

 

Redattore sociale, 14 maggio 2004

 

"Saremo l’orecchio che ascolta la voce dei detenuti e la cerniera istituzionale tra amministrazione penitenziaria, amministrazione comunale e popolazione carceraria". Così Luigi Manconi, nominato dal sindaco di Roma, Walter Veltroni, Garante dei diritti e delle opportunità delle persone private della libertà personale, ha descritto il ruolo destinato a essere ricoperto dal suo ufficio, la cui costituzione rappresenta una novità assoluta per il nostro paese.

 L’ufficio, operante a livello comunale, dovrà svolgere un lavoro di mediazione e persuasione nei confronti dell’amministrazione penitenziaria e delle altre amministrazioni pubbliche ogni volta che saranno segnalate, a qualsiasi titolo e con qualsiasi modalità, violazioni dei diritti dei detenuti. "Vogliamo intervenire per allentare le tensioni – ha precisato Manconi – e farci carico di quei diritti che con difficoltà vengono riconosciuti alla popolazione reclusa, che soffre di mille carenze e vive in condizioni materiali pessime. La prima ragione di sofferenza dei detenuti, senza alcuna distinzione, è però quella che deriva dall’assenza di comunicazione con chi sta al di là delle sbarre. Ed è di questa sofferenza che ci faremo innanzitutto carico".

 Per il momento la promozione delle attività del nuovo ufficio del Garante dei detenuti è stata affidata a manifesti affissi nelle strade della capitale, ma nei prossimi giorni verrà estesa anche alle carceri, attraverso la distribuzione di un volantino. "Da parte delle direzioni degli istituti di pena – ha riconosciuto Manconi – ci è già stata espressa piena disponibilità, a dimostrazione del fatto che il nostro ufficio non viene considerato un contropotere, ma una struttura utile di mediazione. Attualmente è in corso anche una discussione tra amministrazione comunale e ministero della Giustizia per valutare come possano essere regolamentati i rapporti tra l’ufficio e le carceri, e un disegno di legge prevede l’istituzione su tutto il territorio italiano della figura del Garante, che disporrebbe così di poteri chiari e riconosciuti. Per il momento, comunque, ci limitiamo a portare avanti questo esperimento".

 Dopo aver assicurato che "prenderemo in considerazione tutte le richieste dei detenuti", Manconi ha precisato che "vogliamo anche scegliere su cosa concentrare le nostre energie, e una delle questioni che affronteremo per prime sarà quella sanitaria". Ciò non significa, comunque, che i detenuti verranno aiutati solo su questo versante, "anche perché a Roma esiste già una straordinaria rete di assistenza formata da associazioni, e il Garante è solo l’ultimo arrivato". Una delle categorie più a rischio è quella dei detenuti stranieri, la cui presenza nelle carceri è sempre più numerosa, tanto da raggiungere in alcuni istituti di pena il 20-30 per cento del totale dei reclusi. "Non perché gli stranieri delinquono di più – ha spiegato Manconi – ma perché il sistema di tutele di cui godono è molto inferiore rispetto a quelle a disposizione degli italiani".

 Dall’ottobre del 2002, inoltre, lo sportello comunale di orientamento al lavoro in carcere, Col Carceri, è presente in tutti e cinque gli istituti penitenziari di Roma (Rebibbia Penale, Regina Coeli, Rebibbia Femminile, Rebibbia Terza Casa Penale, Rebibbia Nuovo Complesso), e nel corso del 2003 ha svolto colloqui mirati con 245 detenuti, 58 dei quali stranieri. In un anno sono stati avviati al lavoro all’esterno del carcere oltre 30 reclusi, attraverso borse di studio e inserimenti mirati. A questi vanno sommati una ventina di detenuti in misura penale esterna, le cui iniziative di auto-imprenditorialità sono state finanziate grazie ai fondi della legge 266 del 1997.

Napoli: nasce l’Osservatorio Permanente sul Carcere

 

Il sindaco Iervolino: "Una delle prime iniziative: destinare un appartamento sequestrato alla camorra all’accoglienza dei detenuti che non hanno una famiglia"

 

Redattore sociale, 14 maggio 2004

 

Prevenire i reati offrendo reali opportunità di recupero e di reinserimento sociale ai detenuti, soprattutto a quelli con bassa soglia di pericolosità sociale: è l’obiettivo dell’Osservatorio Permanente sul Carcere, costituito dal Comune di Napoli in collaborazione con le organizzazioni che operano nei penitenziari e su sollecitazione del Laboratorio per le città sociali, associazione costituita da Magistratura Democratica, Psichiatria Democratica, Funzione Pubblica Cgil e Cantieri Sociali. L’Osservatorio si collega a quanto previsto dall’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario che valorizza la partecipazione della comunità al percorso di reinserimento e di umanizzazione della custodia.

"Abbiamo sentito il dovere – spiega il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino – di fare da perno alla società civile all’interno delle mura carcerarie, facendoci carico dei diritti dei cittadini detenuti. Per questo una delle prime iniziative dell’Osservatorio sarà quella di destinare un appartamento sequestrato alla camorra all’accoglienza dei detenuti che non hanno una famiglia da cui tornare una volta lasciato il carcere".

L’Osservatorio sarà anche il luogo in cui acquisire elementi di conoscenza diretta sulle strutture carcerarie napoletane, per monitorare le condizioni di vita dei detenuti, la situazione sanitaria, le condizioni dei detenuti extracomunitari.

"L’idea – spiega l’Assessore agli Affari Sociali Raffaele Tecce – è di mettere insieme avvocati, magistrati e organismi socio-sanitari per garantire pari opportunità alle persone detenute e fare inserimento sociale dentro e fuori il carcere". Stabilendo un rapporto di collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’Osservatorio promuoverà corsi di lingua per i detenuti stranieri e corsi di formazione professionale; aprirà sportelli di informazione sul territorio e nelle carceri e costituirà comunità di accoglienza per gli ex detenuti.

Avezzano: detenuto marocchino si impicca nella cella d’isolamento

 

Il Messaggero, 14 maggio 2004

 

Misterioso, quanto terribile nella sua estrema drammaticità, suicidio ieri all’interno della casa circondariale di pena del San Nicola di Avezzano. Un ragazzo di venti anni di origine marocchina, Mohamed Abrufay, ha trovato la morte dopo una tremenda agonia consumatasi in parte all’interno della cella del carcere ed in parte su un lettino del Pronto soccorso dell’ospedale civile di Avezzano dove ha ricevuto le prime cure dal primario Ranalletta.

Alla base della decisione del giovane di togliersi la vita un contrasto, non si sa quanto duro, verificatosi la sera prima all’interno del carcere con alcuni suoi connazionali. Occorre comunque sottolineare che su tutta la vicenda si deve procedere con molta cautela. Non si sa esattamente come siano andate le cose dato il più assoluto riserbo che la circonda. Riserbo del resto comprensibile trattandosi di una casa circondariale.

E, dunque, ipotizzare che il suicidio sia una conseguenza della lite appare del tutto rischioso. Si sa bene, infatti, che quando un giovane decide di togliersi la vita molte sono le concause che lo spingono a compiere quel gesto: ed in questo caso sono immaginabili. Tra l’altro si è appreso che il ventenne straniero si è lasciato penzolare stringendosi la gola con un lenzuolo e non è stato fermato dal momento che si trovava in isolamento. Chi lo ha scoperto ieri mattina tramortito ha avvertito subito la dirigenza del carcere ed il giovane è stato trasportato a bordo di una vettura di ordinanza all’ospedale civile di Avezzano. Qui ha cessato di vivere poco dopo. Ormai la situazione di asfissia gravissima che aveva vissuto fino a quel momento non dava la possibilità di sperare.

Una serie di concause hanno determinato la morte del ventenne sulle quali certamente la magistratura aprirà un’inchiesta. Non resta che sottolineare il fatto evidente che la vittima deve aver sofferto moltissimo e il suo decesso si è certamente consumato tra sofferenze atroci. Chi ha appreso la notizia, ieri mattina, ne è rimasto sconvolto e quanti hanno provveduto a trasportarlo in ospedale portavano i segni di questa storia assurda sui volti. La solitudine, il dramma vissuto lontano da casa e tutto il resto debbono aver condizionato la psiche del giovane ventenne del quale non è stato reso noto neanche il passato giudiziario e non si sa perché sia stato recluso. Pare, tra l’altro, che non abbia ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale.

Como: straniero clandestino, alla fame, chiede di andare in carcere

 

La Provincia di Como, 14 maggio 2004

 

"Signor giudice, per pietà, mi mandi in galera. Ho fame, ho sonno, non ho di che vivere. Se non può arrestarmi, per favore mi faccia tornare in Russia perché sono un clandestino". Nella supplica pronunciata tramite interprete ieri mattina davanti al giudice monocratico Luca De Matteis, che lo stava processando per il tentato furto di 5 bottiglie di vino in una villa di via Bellinzona, c’è tutta la vita agra di Valery Agheev, 46enne moscovita, in Italia e in particolare a Como da chissà quanto, trascinato da un marciapiede all’altro senza nessuna prospettiva per il futuro. Supplica - è subito il caso di chiarire - che il magistrato non ha accolto perché - vedi i paradossi della vita - il buon Valery risulta incensurato (come il 90% dei clandestini, del resto) e quindi ha "diritto" alla condizionale che non vuole.

L’uomo è stato arrestato ("No, mi sono fatto arrestare volontariamente", ha corretto in udienza) ieri notte nel pergolato di una villa di via Bellinzona, sotto braccio 5 bottiglie di buon vino prese dalla cantina. I carabinieri lo hanno ammanettato, appunto, per tentato furto aggravato, esattamente come voleva e come aveva previsto. La vicenda di Valery, che da stanotte riprende dal punto in cui si era interrotta all’alba di ieri, è purtroppo il paradigma di tante storie di emarginazione urbana di clandestini privi di "appoggi" intraetnici (generalmente malavitosi).

Da alcuni giorni il russo bussava ad ogni porta, compresa quella della questura, per ottenere davvero un tozzo di pane e un materasso. Ma "per legge" nessuno - tantomeno l’istituzione - può occuparsi di un senzatetto clandestino che non parla una parola di italiano, che non ha un centesimo in tasca e neppure un "amico" che lo mandi in giro a rubare o a spacciare. Già due volte negli ultimi giorni Valery era stato soccorso dal 118, e sempre per lo stesso motivo: non si reggeva in piedi per la fame e per gli stenti di una vita all’aperto 24-ore-24.

Mandarlo al Bassone? Non si può, almeno fino ai prossimi 2 o tre arresti. Caricarlo sul primo Aeroflot per Mosca? Impossibile, almeno fino a quando il clandestino non esibisca un passaporto valido, che smorzi ogni contenzioso con il Paese d’origine. E neppure questo probabilmente basterebbe a soddisfare il sogno di Valery, per la cronica mancanza di cargo-clandestini.

Austria e Svizzera: politiche di "globalizzazione carceraria"

 

La Sicilia, 12 maggio 2004

 

Ci hanno pensato gli austriaci e, trattandosi di un’idea che comporta un considerevole risparmio economico, si sono subito fatti avanti gli svizzeri. Di che si tratta? Il ministro della giustizia austriaco, Dieter Boehmdorfer, conservatore di destra ha proposto al governo di costruire con danaro austriaco un carcere in Romania: quando si dice la globalizzazione.

No, non si tratta di filantropia penitenziaria, ma di banali conti della serva. I rumeni che commettono reati in terra crucca, una volta arrestati costano fior di quattrini ai contribuenti: pagnotta più pagnotta meno, 100 euro al giorno. E allora perché non rispedire a casa i condannati in un carcere costruito ad hoc dove la spesa è di soli 10 euro giornalieri?

D’altronde, insiste l’illuminato Boehmdorfer, tirare su una nuova prigione a Bucarest costa il 10 per cento che a Vienna. Esaltato dal successo ottenuto fra i colleghi del governo, anche se il ministro delle Finanze ha subito detto che non caccerà una lira, il ministro ha invitato tutti i paesi dell’Unione europea a fare altrettanto.

Certo non fa un bell’effetto immaginare un brulicare di imprenditoria carceraria europea in Romania, in Tunisia, e magari nello Sri Lanka o alle Mauritius. In Iraq magari no. Come dire che la grassa Europa che non si sbraccia per aiutare i Paesi extracomunitari, è pronta a creare carceri modello a costo quasi zero. C’è da augurarsi che siano solo gli svizzeri a far conti e a dar conto a Herr Dieter Boehmdorfer.

Napoli: piano del Comune per il lavoro agli ex detenuti

 

Il Mattino, 15 maggio 2004

 

Conoscere direttamente le condizioni di vita nelle strutture penitenziarie, approfondire i problemi relativi alle condizioni sanitarie, affrontare la situazione relativa alla detenzione degli extracomunitari: sono i motivi che hanno indotto il Comune a varare l’osservatorio permanente sul carcere. Struttura nata su sollecitazione del "Laboratorio per le città sociali" e nel solco dell’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario che valorizza la partecipazione della comunità al percorso di reinserimento e di umanizzazione della custodia.

"Il primo passo dell’osservatorio - spiega il sindaco - è la destinazione a una comunità di un appartamento tra quelli confiscati alla camorra per dare un alloggio a chi, una volta uscito dal carcere, non ha famiglia. Poi, anche con il coinvolgimento di Italia Lavoro, l’obiettivo è di trovare un’occupazione".

Roberto De Masi, assessore alla legalità è l’ideatore del progetto: "L’Osservatorio rappresenta una delle risposte al problema della criminalità - racconta De Masi - bisogna intervenire su quel circuito perverso che oggi vede il carcere come un momento di intervallo tra un reato e l’altro. Intendiamo attivare una serie di iniziativa concrete in collaborazione con le realtà istituzionali e associative del territorio che hanno aderito all’iniziativa. Con l’osservatorio intensifichiamo ulteriormente l’attività dell’amministrazione sul terreno della prevenzione e della sicurezza urbana e riaffermiamo principi di solidarietà che sono alla base della democrazia".

Padova: i detenuti, per un giorno, più vicini al mondo esterno

 

Il Gazzettino, 15 maggio 2004

 

Detenuti, per un giorno, più vicini al mondo esterno. L’occasione è avvenuta ieri nella casa di reclusione Due Palazzi che ha ospitato nella palestra il convegno "Carcere: l’alternativa che non c’è". Punto focale del meeting, coordinato da Alberto Romano, criminologo e presidente dell’associazione Carcere e Territorio di Brescia, i temi inerenti ai percorsi di reinserimento sociale e alle risorse che il territorio offre ai carcerati una volta scontata la pena.

"Non è la prima volta - commenta il direttore dell’istituto penitenziario Salvatore Pirruccio - che in carcere organizziamo eventi di questo genere e sono importanti perché permettono al detenuto di impegnare positivamente il tempo e vanno a sensibilizzare l’opinione pubblica.

Le misure alternative - continua Pirruccio - si riferiscono esclusivamente a detenuti già condonati, non a chi è ancora in attesa di giudizio. Si tratta di semilibertà o di affidamento ai servizi sociali. Nel carcere di Padova circa il dieci per cento su 700 detenuti può beneficiare di una delle due misure alternative. Una percentuale piuttosto buona".

La semilibertà consiste nel trascorrere il giorno fuori dal carcere, per lavorare e curare le relazioni famigliari e sociali, mentre la sera il detenuto torna in prigione. Questa misura alternativa possono ottenerla i condannati che abbiano scontato almeno metà della pena oppure i due terzi se detenuti per reati gravi.

L’affidamento ai servizi sociali, invece, è una vera e propria alternativa alla detenzione e vi possono essere ammessi i condannati con una pena (o residuo di pena) inferiore ai tre anni o ai quattro se si tratta di tossicodipendenti o alcolisti.

"Le misure alternative al carcere - sottolinea Pirruccio - sono valide nello stesso modo per i detenuti extracomunitari. In più, se vi sono le giuste caratteristiche, può essere dato al detenuto in semilibertà la possibilità di lavorare anche con un contratto di collaborazione, non esclusivamente di lavoratore dipendente".Una giornata diversa da tutte le altre per i detenuti.

A raccontarla è Marino, redattore di "Ristretti Orizzonti", la rivista del carcere. "Questo avvenimento lo abbiamo preparato da sei mesi. Organizzare un convegno in prigione non è per nulla facile perché ovviamente ci vogliono molti permessi. Comunque ci siamo riusciti e viste le quasi 400 persone che sono venute tra volontari e addetti ai lavori è un successo.

Abbiamo preparato pure un buffet multietnico perché quasi il cinquanta per cento sono carcerati stranieri. Importante - continua Marino - è lo scopo di questo incontro, ovvero educare e dare un futuro ai detenuti. Poi c’è anche l’aspetto umano e sociale. Per noi impegnare il tempo con lavori all’interno del carcere significa restare vivi".

Brescia: teatro per rinnovare dialogo tra carcere e mondo esterno

 

Giornale di Brescia, 15 maggio 2004

 

Il teatro come strumento per far dialogare il "mondo esterno" e "l’universo interno" del carcere. E per dare voce ai problemi, ai sogni, alle attese dei detenuti e delle detenute, contribuendo all’importante cammino di rieducazione di chi vive l’esperienza del carcere. Idee e motivazioni che sono il fulcro del progetto "L’Isola di Verziano", promosso dal Comune e dalla Provincia di Brescia, in collaborazione con la Casa Circondariale di Verziano. Il progetto, che coinvolge alcune detenute della Sezione femminile della Casa Circondariale di Verziano, integra momenti diversi: "Il progetto, sostenuto anche da alcune associazioni e da altre realtà - spiega la presidente del Consiglio comunale, Laura Castelletti - nasce dal desiderio di dare seguito all’iniziativa teatrale "Qui al circo", conclusasi nel giugno dello scorso anno, con uno spettacolo all’interno del carcere di Verziano. Il primo momento del progetto - continua la Castelletti - è il laboratorio teatrale nel carcere di Verziano, condotto dalla regista Sara Poli con l’aiuto regista Daniele Squassina e i musicisti Alberto Pezzagno, Stefania Maratti e Alessandro Bono. Il laboratorio, iniziato nel marzo scorso, si concluderà a novembre". L’iniziativa, come sottolinea la presidente del Consiglio provinciale, Paola Vilardi, " pone al centro la persona del detenuto e il desiderio di contribuire al suo cammino di rieducazione. La sinergia tra le realtà coinvolte nel progetto - prosegue la Vilardi - è stata fondamentale". "Siamo convinti che questo progetto - conferma la direttrice delle Case Circondariali di Canton Mombello e di Verziano, Gloria Manzelli - sia un’esperienza preziosa per le detenute e per creare un ponte con l’esterno".

A completare il percorso iniziato, con il laboratorio teatrale saranno due "prove aperte" dello spettacolo "L’Isola di Verziano", scritto da Paola Carmignani, e due rappresentazioni della medesima opera previste, per la fine di novembre, al Teatro di Buffalora e programmate per le scuole e la cittadinanza. "Le due "prove aperte" - specifica la Castelletti - si svolgeranno rispettivamente l’otto giugno, alle 14, nella palestra del carcere di Verziano e l’11 giugno, alle 14.30, nel teatro di Canton Mombello. La prima - prosegue la Castelletti - è riservata ai detenuti e alle detenute di Verziano, mentre la seconda è destinata ai detenuti di Canton Mombello e ad alcuni operatori del settore e partecipanti al progetto". Nel corso del laboratorio teatrale, le detenute rielaboreranno ed integreranno il testo di Paola Carmignani. "I protagonisti dell’opera - riassume la Carmignani - approdano su un’isola in seguito ad un naufragio. Le scene - aggiunge la Carmignani - sono contrappuntate da momenti di musica, danza e canto. Il progetto - conclude la Carmignani - prevede anche una mattinata di studio sul teatro in carcere, promossa in collaborazione con l’Università Cattolica di Brescia, in programma per l’11 giugno, a partire dalle 9.30, nella sede di via Musei dell’ateneo".

Vicenza: condizioni di lavoro disagiate per gli agenti

 

Il Giornale di Vicenza, 15 maggio 2004

 

Il dossier "carceri cadenti" si arricchisce di un nuovo capitolo. Lalla Trupia, deputata dei Democratici di sinistra, accompagnata dal capogruppo ds in Consiglio comunale Gigi Poletto, ha fatto una visita al carcere di San Pio X. Alcuni giorni fa la Cgil aveva lanciato un atto di accusa: "In Finanziaria hanno tagliato i fondi per le carceri. A rimetterci sono gli agenti e tutti i dipendenti".

Sergio Merendino, segretario provinciale della funzione pubblica, accompagnato da Gianpiero Pegoraro, suo collega regionale, e Luca Di Mola, responsabile sicurezza penitenziaria, avevano raccontato le difficoltà degli operatori all’interno del carcere di San Pio X. Muri scrostati, carenza di igiene, fognature fatiscenti, fili dell’alta tensione "penzolanti": una serie di situazioni al limite della sicurezza. O forse più in là del limite.

"Tutti i motivi della denuncia del sindacato sono fondati", ha detto la parlamentare alla fine della visita. "Il personale è ridotto, notevolmente sotto organico. Le condizioni di lavoro sono effettivamente disagiate. Mentre le funzioni aumentano, mancano le risorse per adeguare gli organici". Sembra che le condizioni di sicurezza per i lavoratori "non siano garantite".

Lo Spisal ha fatto un sopralluogo; i risultati si sapranno a breve. "Gli agenti lavorano in reparti con troppi detenuti" ha detto ancora la Trupia. Eppure per gli ospiti, pur se in sovrannumero (75 per sezione invece che 25), ci sono garanzie: alcuni servizi sono ben fatti, l’offerta sanitaria è adeguata, anche per i tossicodipendenti e per gli alcolisti le cure appaiono buone. "Possiamo dire che la sanità è un fiore all’occhiello dell’amministrazione carceraria berica" conferma la Trupia. "Merito della direttrice che ha impostato servizi di mensa, sanitari e di formazione del personale con lodevole iniziativa".

La parlamentare invece sottolinea come la situazione strutturale sia ampiamente inadeguata. "Non è la gestione attuale sotto accusa, quanto la politica del Governo che ha tagliato i fondi per le carceri". Trupia ha intenzione di fare due interpellanze urgenti, in commissione Giustizia e affari sociali, per sapere dove va a parare la politica carceraria. Anche Gigi Poletto ha avuto parole di elogio per la gestione della direttrice.

"Tra l’altro a Vicenza la situazione è resa più complicata anche perché la direttrice sta in maternità ed è sostituita a scavalco da un collega che non può garantire la presenza continua". Ad ogni buon conto Poletto presenterà una mozione in Consiglio comunale in cui chiederà la riattivazione della "Consulta per le problematiche carcerarie" e per la predisposizione di un "Progetto Carcere di Vicenza".

La consulta era operativa in passato, formata da rappresentanti del Consiglio Comunale e di associazioni di volontariato. Aveva avviato importanti programmi di risocializzazione e di reinserimento dei detenuti che finivano di scontare la pena detentiva.

Dopo il carcere, i primi problemi insuperabili che i detenuti si trovano ad affrontare sono la casa ed il lavoro. "Il progetto per il carcere di Vicenza - ha detto Poletto - deve offrire percorsi di reinserimento nel tessuto civile per quei cittadini che hanno pagato il loro debito con la giustizia".

 

 

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