Rassegna stampa 11 maggio

 

Stanziati 58 milioni di euro per costruire nuove carceri

 

Vita, 10 maggio 2004

 

Due nuovi istituti penitenziari a Varese e Pordenone e lavori di ampliamento della casa di reclusione di Milano Bollate. È quanto prevede il decreto del Ministero della giustizia 12 gennaio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 99, del 28 aprile 2004. Il provvedimento dispone uno stanziamento di circa 58 milioni di euro per acquisire 690 nuovi posti. Le carceri di Pordenone e Varese saranno acquisite con lo strumento della locazione finanziaria: un contratto che consente di disporre di un bene in cambio di un canone periodico e, al termine del contratto, di maturare il diritto di riscattarlo. Per la casa di reclusione di Milano Bollate, i fondi serviranno, invece, per finanziare i lavori di ampliamento.

 

Decreto 12 gennaio 2004

Piano straordinario pluriennale di interventi di edilizia penitenziaria

(GU n. 99 del 28-4-2004)

 

Il Ministro della Giustizia

Vista la legge 14 novembre 2002, n. 259 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 11 settembre 2002, n. 201, recante misure urgenti per razionalizzare l’Amministrazione della giustizia" che dispone, all’art. 6, lo stanziamento di Euro 93.326.896 per l’attuazione di un piano straordinario pluriennale di interventi di edilizia penitenziaria;

Visto che, in virtù del medesimo articolo, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, deve provvedersi, sentito il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, alla

predisposizione del predetto piano straordinario, da attuare utilizzando prioritariamente gli strumenti previsti dall’art. 145, comma 34, lettera c), della legge 23 dicembre 2000, n. 388;

Visto che, come riportato nella relazione di accompagno al disegno di legge di conversione del sopracitato decreto, il finanziamento assentito consente di acquisire due nuovi penitenziari con lo strumento della locazione finanziaria, atto a contenere i tempi di realizzazione delle opere, e di destinare la somma residua al potenziamento della capacità ricettiva degli istituti penitenziari della regione Lombardia, al fine di fronteggiarne il pressante sovraffollamento, provvedendo all’ampliamento della casa di reclusione di Milano Bollate;

Visto il verbale del Comitato paritetico per l’edilizia penitenziaria (Ministero della giustizia - Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), che definisce l’elenco, in ordine prioritario, degli istituti penitenziari da dismettere e sostituire con nuove strutture;

Visto che da tale verbale si evince che per i primi nove di tali istituti è stato assentito il finanziamento di cui al programma ordinario di edilizia penitenziaria, e che nell’ordine prioritario delle opere non finanziate seguono gli istituti di Varese e Pordenone;

Valutato e convenuto congiuntamente in seno al Comitato paritetico di individuare nei nuovi istituti di Varese e di Pordenone le opere da realizzare con lo strumento della locazione finanziaria;

Sentito il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che con nota n. 72 del 7 marzo 2003 ha espresso parere favorevole;

Visto il parere favorevole espresso dalla competente Commissione Giustizia nella seduta del 28 luglio 2003;

formula

 

il seguente piano straordinario pluriennale di interventi di edilizia penitenziaria:

  1. acquisizione nuovo istituto penitenziario di Varese: capacità ricettiva duecento posti, costo Euro 43.282.000,00;

  2. acquisizione nuovo istituto penitenziario di Pordenone: capacità ricettiva centocinquanta posti, costo Euro 32.462.000,00;

  3. ampliamento casa di reclusione Milano Bollate: capacità ricettiva trecentoquaranta posti, costo Euro 17.582.896,00.

 

Roma, 12 gennaio 2004

 

Il Ministro: Castelli

Registrato alla Corte dei conti il 9 marzo 2004

Ministeri istituzionali, registro n. 2 Giustizia, foglio n. 273

Pescara: detenuto muore in ospedale per colicisti perforata

 

Il Tempo, 10 maggio 2004

 

Sarebbe morto per una coliciste perforata, Nicola Labbate, il pescarese trentottenne detenuto al San Donato, deceduto la notte di venerdì all’ospedale civile dopo che in carcere aveva accusato dolori fortissimi all’addome. Questo è infatti il primo responso (ma per l’esito finale si dovranno ancora attendere i risultati degli esami tossicologici) scaturito dall’esame autoptico, condotto nella mattinata di ieri dal dottor Cristian D’Ovidio.

Sulla vicenda la Procura, come avevamo anticipato ieri, ha già  aperto un’inchiesta. L’uomo infatti, dopo aver accusato forti dolori all’interno della cella del San Donato dove era ristretto, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale. Qui i medici ne hanno disposto il ricovero nel reparto di Rianimazione, dove si è deciso di sottoporlo ad un lungo e delicato intervento chirurgico.

Non c’è stato però nulla da fare: il cuore di Nicola Labbate, che in precedenza aveva sofferto di malattie di fegato, ha cessato di battere. La Procura ha già  disposto il sequestro delle cartelle cliniche e di tutto l’incartamento relativo alla patologia di cui soffriva. Labbate era stato arrestato il 26 aprile scorso, durante un blitz effettuato dai carabinieri del Comando di Pescara al quartiere Rancitelli. Un’operazione che aveva portato all’arresto di numerosi residenti del quartiere, tutti accusati più o meno direttamente di traffico di sostanze stupefacenti. Ora, sulla base di queste prime risultanze dell’esame autoptico, la Procura dovrà  esaminare il caso globalmente e dare risposte ad una serie di quesiti irrisolti. Ne sapremo di più nei prossimi giorni.

Bologna: giovedì parte congresso medicina penitenziaria

 

Adnkronos, 10 maggio 2004

 

Si svolgeranno dal 13 al 15 maggio prossimo, all’hotel "Alla Rocca" di Bazzano (Bologna) il XXVII Congresso nazionale di medicina penitenziaria e il III Congresso nazionale della Società italiana di medicina penitenziaria con l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica, dell’Assessorato alle politiche sociali della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bazzano.

Tinebra: ideale avere 500 detenuti in 41 bis, 611 sono troppi

 

Apcom, 11 maggio 2004

 

Seicentoundici detenuti sottoposti al regime del 41 bis "sono un po’ troppi: il numero ideale sarebbe intorno a 500, per far sì che, più ristretto, l’istituto sia più efficace". Lo ha affermato il direttore generale del Dap Giovanni Tinebra ascoltato oggi in un’audizione parzialmente secretata dalla commissione parlamentare antimafia.

Le dichiarazioni di Tinebra facevano riferimento alle capacità organizzative degli istituti di pena. Sono "13" complessivamente quelli in cui sono detenute persone sottoposte al regime del carcere duro. "Gli istituti vanno bene", ha detto Tinebra. Il fatto che i 41bis siano distribuiti in vari istituti "serve a fornire garanzie in più per la tenuta dell’istituto stesso", in quanto è necessario "creare nuclei nutriti, ma non eccessivamente numerosi, che ci consentano di porre un riparo alle incursioni esterne".

Tinebra ha fornito i dati delle revoche dei 41bis nel primo quadrimestre del 2003 e nello stesso periodo del 2004: l’anno scorso erano state disposte "30" revoche, quest’anno si è a quota "12". Un risultato, ha spiegato, frutto del lavoro che il Dap ha "iniziato già a luglio del 2003", subito dopo l’allarme sul consistente numero di revoche accordate.

Milano: togliamo i bambini dal carcere di San Vittore

 

Corriere della Sera, 9 maggio 2004

 

"Lo scandalo dei bambini in carcere è una barbarie: la soluzione è possibile, basta la volontà". È questo l’appello rilanciato da Luigi Pagano, direttore di San Vittore, dopo l’articolo-denuncia di Candido Cannavò sul Corriere di qualche giorno fa. "Perché è vero - insiste Pagano - che i bambini detenuti con le loro madri sono pochi. Ma, a parte che il problema sarebbe grave anche se riguardasse un solo bambino, proprio l’esiguità del numero dovrebbe costituire una facilitazione nel risolverlo: e non, come invece ha detto qualcuno, un motivo per non affrontarlo". A San Vittore attualmente sono quattro. Tutti figli di detenute straniere: che non avendo un domicilio fisso, per esempio, non possono accedere ai benefici della legge Finocchiaro neppure quando la loro posizione giuridica lo consentirebbe. La soluzione, come si ricorderà, poco più di un anno fa sembrava cosa fatta: in via Zama era già stato individuato un edificio, con tanto di finanziamento stanziato da parte di Comune e (soprattutto) Regione, da adibire a "casa protetta" per le detenute con figli. Ma il progetto venne alla fine abbandonato dall’assessore alla sicurezza Guido Manca: "La legge Finocchiaro sugli arresti domiciliari per le madri detenute - ha spiegato a più riprese - lo rendeva superato". In quell’edificio di via Zama, decise il Comune, era più urgente una scuola. Il fatto è che la legge Finocchiaro, sottolinea da tempo lo stesso Pagano, mette tali e tanti paletti che la sua applicazione è rarissima.

"L’idea di via Zama - dice - era giusta e tale la trovarono un ministro della Giustizia, i vertici dell’amministrazione penitenziaria, oltre a diverse associazioni, dal Rotary a Telefono azzurro, che avevano già raccolto i fondi per gli arredi: dovrebbe essere ripresa". Nel frattempo, però, anche il progetto della scuola in cui il quartiere Zama aveva iniziato a sperare è rimasto fermo al palo. E l’edificio in questione, a tutt’oggi, continua ad essere vuoto.

 

Il progetto Maiolo

 

15 mini-appartamenti per le madri a fine condanna Se quello dei "bambini-detenuti" è l’aspetto numericamente ridotto ma almeno emotivamente più triste della questione, assai più vasto e non meno problematico è il pianeta dei bambini fuori ma con le madri dentro: donne per le quali, senza un marito o un lavoro o una famiglia alle spalle, anche una volta uscite di prigione non è facile dare una svolta in meglio alla propria vita. È soprattutto per loro, invece, che l’Associazione per la lotta all’Aids (Ala) ha studiato un progetto già finanziato dalla Cariplo e, in collaborazione con la direzione di San Vittore, giunto quasi in fase operativa: cinque mini-appartamenti dove altrettante madri senza domicilio, arrivate a fine condanna o a qualche forma di pena sostitutiva del carcere, potranno andare a vivere con il loro figli. Il progetto si chiama "Libere ancora di essere madri", e l’avvocato Marco Pino spiega che prevede "un’assistenza di almeno un anno comprendente un corso professionale, un inserimento lavorativo protetto, nonché un’attività di nursery reciproca: gli appartamenti saranno nello stesso caseggiato e ogni donna, grazie a orari di lavoro differenziati, potrà occuparsi dei figli delle altre". L’inizio è previsto per il prossimo autunno. "Un servizio analogo - spiega nel frattempo l’assessore ai Servizi sociali Tiziana Maiolo - sarà svolto anche dal Comune nell’ambito del progetto "Un tetto per tutti": che destinerà 15 mini-appartamenti (5 per San Vittore, 5 per Opera e 5 per Bollate) a donne o uomini usciti dal carcere e privi di domicilio, ma con un programma di reinserimento".

Sassari, cresce la protesta degli agenti: "Dateci rinforzi"

 

L’Unione sarda, 11 maggio 2004

 

L’ultima provocazione è nei confronti del provveditore regionale delle carceri: "Se davvero a San Sebastiano va tutto a gonfie vele come dice, compili lui il brogliaccio mensile, coi turni, i riposi, le ferie".
Esplode la rabbia degli agenti di polizia penitenziaria del carcere sassarese, per una situazione che ha portato a una pioggia di certificati medici, davanti a riposi e ferie che slittano a data indefinita. "Si assiste persino ai certificati del fine settimana: si va in malattia il sabato, si rientra il lunedì. Per molti è l’unico modo di sopravvivere ai diritti negati - dice un agente - Il problema è che a pagare sono i colleghi che restano in servizio". I sindacati, Sappe e Cgil, puntano il dito sull’ultima emergenza, i piantonamenti, il servizio di scorta ai detenuti ricoverati in strutture ospedaliere fuori dal carcere: "Soltanto la settimana scorsa avevamo un piantonamento a Ittiri, due a Sassari nell’ospedale di piazza Fiume, altri due in Cardiologia. Tutto a fronte di un nucleo ridotto all’osso, 25 unità per la provincia più estesa d’Italia. Ma il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a quest’orecchio non ci sente", sottolinea Antonio Cannas, del Sappe. "Questo è un posto dove si chiamano le televisioni a inaugurare un campetto di calcio dove non si potrà mai giocare: come lo utilizzano i detenuti se non ci sono guardie sufficienti nemmeno per presidiare i passeggi?".
"Se tutto quello che è successo il tre aprile di quattro anni fa (un maxi pestaggio di detenuti qualche giorno dopo una loro protesta ndr) fosse successo altrove, a Roma o a Milano, nulla sarebbe rimasto come prima e gli organici sarebbero stati riadeguati.

Invece nulla è cambiato, mancano almeno venti persone, quelle che ci garantirebbero il rispetto del contratto, che prevede riposi e ferie, e soprattutto una pianificazione mensile dei turni. Che invece ci vengono comunicati giorno per giorno". Hanno provato di tutto per richiamare l’attenzione del dipartimento su numeri inquietanti, ad esempio un solo poliziotto che tiene a bada 100 detenuti. Ma ora nemmeno loro ci credono più e ai sit in sono sempre di meno.

L’ultima protesta nel carcere di Tempio è servita soltanto a tenere le pance vuote, dopo quindici giorni di autoconsegna, rispedendo indietro i pasti mensa. Hanno persino chiesto per iscritto al dipartimento il permesso di scioperare.

Sono passati quattro anni senza che si sia mossa foglia. Fino a ieri senza una guida, con un direttore latitante, finalmente soppiantato da una reggente, Patrizia Incollu, che non si risparmia sul lavoro, a parere degli stessi agenti, chiamata però a rispondere di carenze croniche. Nei confronti del provveditore regionale gli agenti non mostrano la stessa comprensione: "È arrivato a fare un richiamo scritto a un collega, dopo il suicidio di un detenuto.

Ma quel poliziotto era di sentinella, perché non c’era nessun altro. Il procuratore della Repubblica aveva archiviato, lui no". Scene di ordinaria disperazione in una delle ultime galere d’Italia mentre si celebra il processo per la manciata di agenti che non avevano accettato di venire processati dietro le porte chiuse di un’udienza preliminare. Il processone davanti al gup si era invece concluso con un’assoluzione quasi totale per l’impossibilità di dare a tutti gli agenti picchiatori un nome e un cognome. Soltanto i capi erano stati condannati: il provveditore regionale Giuseppe Della Vecchia, la direttrice del carcere Cristina Di Marzio, il comandante delle guardie Ettore Tomassi.

U.S.A.: sette milioni di prigionieri

 

Il Manifesto, 9 maggio 2004

 

Stati uniti a stelle e sbarre Tanti sono negli Usa. Oltre due milioni nelle varie carceri federali, statali, distrettuali e minorili, gli altri in libertà condizionata. Situazione insostenibile anche economicamente.

Gli Stati uniti stanno forse per risolvere il problema della massima detenzione possibile. Il problema è il seguente: se il numero di cittadini che commette un crimine cresce indefinitamente, quale è la soglia oltre la quale la società non può più affrontare il costo di incarcerarli tutti? È chiaro che se metà della popolazione adulta assume droga, non puoi imprigionarla tutta, perché l’altra metà che sta fuori dalle sbarre non produce abbastanza reddito da mantenere la metà che sta dentro. E anche se i detenuti lavorassero forzatamente, i secondini sarebbero talmente tanti, e del tutto improduttivi dal punto di vista economico, che la società nel suo complesso andrebbe in rovina. Ora gli Stati uniti sembrano avvicinarsi alla soglia massima. Da quando è iniziata l’era reaganiana gli Usa hanno sperimentato una carcerarizzazione senza precedenti della società e il numero dei detenuti si è più che quadruplicato. La popolazione carceraria statunitense si divide in tre categorie: 1) i detenuti nei penitenziari federali e statali (pen in gergo); 2) i reclusi nelle carceri locali (jails), che assommano in media alla metà dei detenuti nelle prigioni statali e federali; 3) i minorenni in riformatorio. Per ottenere il totale delle persone sorvegliate dal sistema giudiziario, a queste tre andrebbe aggiunta una quarta categoria: i cittadini in libertà condizionata, o su parola. E i totali fanno paura: nel 2002 erano dietro le sbarre più di 2,2 milioni di americani e la popolazione sotto controllo giudiziario degli Stati uniti era di quasi sette milioni di persone.

Peggio della Russia Mentre per quarant’anni (1930-1970) i detenuti nelle prigioni federali e statali hanno sempre oscillato intorno ai 100 ogni 100.000 abitanti, nel 1990 erano diventati 311 ogni 100.000 abitanti e i dati del 2002 davano 480 reclusi ogni 100.000 abitanti. Ancora più impressionanti le cifre assolute: da meno di 200.000 prigionieri nel 1970 a un milione 361.000 nel 2002. A costoro bisogna aggiungere 666.000 detenuti nelle jails, i 111.000 rinchiusi nei carceri minorili, i 29.000 prigionieri in altri tipi di carceri (militari, per indiani, speciali), così che il totale dei reclusi alla fine del 2002 era di 2 milioni, 166.000 statunitensi. Ben 766 carcerati su 100.000 abitanti: a titolo di paragone, in Giappone nel 2000 vi erano solo 47 detenuti per 100.000 abitanti; in Norvegia 56; in Francia 80; in Italia 94; in Germania 97. Cioè negli Usa ci sono 16 volte più prigionieri che in Giappone e 8 volte più che in Italia. Solo la Russia del dopo guerra fredda ha cifre paragonabili: 730 detenuti ogni 100.000 abitanti. Se a costoro si aggiunge chi è in libertà condizionata o per buona condotta, negli Usa il totale dei sorvegliati superava i 4,3 milioni di persone nel 1990 e superava i 6,9 milioni alla fine del 2002. Cioè, a ogni momento, più di due persone (2,5) su cento negli Stati uniti sono prese nelle maglie della giustizia.

Ma queste cifre non dicono ancora tutto. Poiché la stragrande maggioranza dei detenuti è di sesso maschile, le persone sotto controllo giudiziario rappresentano il 5% dei maschi. Se si escludono i minori di 14 anni e gli anziani ultra 65-enni, questa percentuale sale al 7,6%. Cioè, un maschio adulto su 13 è sotto vigilanza giudiziaria in ogni e qualunque anno. La situazione è ancora più pazzesca se si considera la componente afro-americana. Poiché i neri costituiscono il 12,7% della popolazione statunitense, ma sono il 43,6% dei carcerati, a ogni momento, il 18,6% dei maschi neri è sotto sorveglianza giudiziaria. Se si considerano solo i maschi neri adulti, questo porta il totale al 27,5%: a ogni momento, più di un maschio nero adulto su 4 è sotto sorveglianza giudiziaria. Il che vuol dire che nel corso della sua vita un maschio nero ha più della metà di probabilità di finire in galera.

Quando in Sorvegliare e punire Michel Foucault parlava del "grande internamento", non aveva ancora visto gli Stati uniti all’inizio del terzo millennio. Uno studio condotto dall’Urban Institute rivela che il numero di prigioni e penitenziari federali e statali (escluse le jails) è passato da 61 prigioni nel 1923 a 592 nel 1974 a 1.023 nel 2000. Gli stati che hanno avuto il maggior boom edilizio carcerario sono stati quelli governati dai due Bush, il Texas e la Florida. Dal 1980 al 2000 il Texas ha costruito 120 nuove prigioni, circa 6 all’anno, con un aumento del 706%: adesso in Texas sono i funzione 137 prigioni. La Florida è seconda, avendo costruito 84 nuove prigioni.

Molte contee competono per ricevere una prigione e ottenere così i fondi federali per il loro funzionamento. Ma naturalmente questi fondi sono sottratti allo stato sociale, gettando così molte famiglie indigenti nella miseria e alimentando la spirale del crimine.

 

167 miliardi di dollari

 

E questo smisurato internamento costa. L’ufficio statistiche del ministero della giustizia ha appena divulgato i dati economici relativi al 2001: combattere il crimine è costato negli Usa 167 miliardi di dollari, 20 miliardi in più (13,6%) di due anni prima, il 1999, e il 350% in più di 19 anni prima (1982), quando la spesa era stata di 36 miliardi di dollari (la percentuale tiene conto della perdita del potere d’acquisto del dollaro a causa dell’inflazione). Di questi 167 miliardi, ecco le singole voci di spesa:

polizia, 72 miliardi di dollari;

prigioni e jails, 57 miliardi di dollari (erano 9,6 nel 1982);

sistema giudiziario (tribunali): 38 miliardi di dollari.

Il sistema giudiziario dà lavoro a 2,3 milioni di persone, di cui 747.000 secondini, e rappresenta il 7% di tutte le spese statali, provinciali e comunali: quanto il sistema sanitario pubblico nel suo complesso. E inevitabilmente, più si spende per le prigioni, meno si spende per la salute, e questo porta al secondo grande fattore d’internamento: i malati mentali sono stati buttati per strada senza servizi alternativi e la prigione è diventata un sostituto dei manicomi che erano stati chiusi perché carcerari. Non esistono studi complessivi, ma ricerche dell’Human Rights Watch e della Correctional Association di New York sui detenuti nelle prigioni dello Stato di New York mostrano che il 45% dei prigionieri ha tentato il suicidio, più di un terzo si è automutilato e il 20% aveva in precedenza ricevuto trattamenti in ospedali psichiatrici.

Il dato più stupefacente della spesa carceraria è però che quest’esplosione del numero di detenuti non corrisponde a un significativo aumento né degli arresti né dei processi. Mentre i detenuti si sono più che triplicati (300%), gli arresti sono cresciuti solo dell’11,4% (passando da 12 milioni nel 1982 a 13,7 milioni nel 2001) e il numero dei casi discussi in tribunale è passato da 86 milioni nel 1984 a 92,8 milioni nel 2001 con una crescita solo del 7%.

 

La guerra alla droga

 

Significa che il grande internamento non corrisponde né a un aumento del crimine né a un maggiore controllo della polizia, ma solo a un insensato inasprimento delle pene. La grande responsabile della carcerazione è l’assurda guerra alla droga, responsabile di più della metà delle detenzioni, la prima di quelle tante guerre che non sono tali, ma finiscono per essere altrettanto distruttive. Questo è un paese in cui basta essere colti a fumare uno spinello per finire in galera, e in molti stati (California, ma non solo) basta essere colti tre volte a fumare uno spinello per essere condannati all’ergastolo: è la famosa legge dei three strikes: tre volte e sei dentro fino alla morte. Uno studio condotto lo scorso novembre dalla Little Hoover Commission ha concluso che il sistema di libertà su parola è costato allo stato di California 1,46 miliardi di dollari: le persone in libertà vigilata che sono state imprigionate di nuovo erano 2.995 nel 1980 e sono state 89.363 nel 2000. Cioè lo stato californiano spende un mare di soldi per liberare dei carcerati per poi incarcerarli di nuovo, spesso per infrazioni minime.

Il sistema è diventato così costoso che anche i politici più demagogici non sono più tanto irruenti nel chiedere l’inasprimento delle pene. Un articolo pubblicato nello scorso novembre dal New York Times racconta come nel 2003 25 dei 50 stati Usa hanno alleggerito le leggi detentive. Persino il repubblicano Norm Maleng, che era stato il procuratore generale di Seattle e che aveva promosso la legge che raddoppiava le sentenze per le condanne di droga, l’anno scorso ha contribuito a far approvare dallo stato di Washington (che era stato il primo a emanare la legge dei three strikes) nuove leggi che riducono le pene per i reati di droga, anticipano i termini della libertà condizionata, eliminano la sorveglianza della libertà vigilata per i detenuti rilasciati considerati a basso rischio.

Il Kansas ha approvato una nuova legge che raccomanda il trattamento terapeutico, invece della detenzione, per chi ha commesso per la prima volta reati di droga non violenti. In Michigan i condannati per droga non potevano ricevere sentenze minori di una pesantissima soglia minima che è stata abolita. Missouri e Wisconsin hanno emendato le leggi che eliminavano la possibilità per i detenuti di ottenere la libertà su parola prima di aver scontato quasi tutta la condanna. Il Missouri ha approvato una nuova legge che consente ai detenuti condannati per reati contro la povertà (furti, scippi..) di chiedere il rilascio dopo appena quattro mesi invece di scontare almeno un terzo della pena (da 4 a 7 anni). Il Colorado ha ridotto il numero di liberati su parola che vengono rispediti in prigione per infrazioni minori (saltare un test dell’urina, non rispettare un appuntamento con il sorvegliante). Persino l’Alabama, uno degli stati più repressivi, ha messo su una commissione per rivedere le proprie leggi draconiane.

Il problema è che con l’aumento del deficit pubblico voluto dall’amministrazione Bush e con l’astronomico aumento delle spese militari, a farne le spese sono tutti i servizi pubblici, scolastici, sanitari, sussidi alla povertà. La spirale della criminalità si alimenta così da sola. Una soluzione ragionevole al problema della massima detenzione sarebbe di dichiarare una tregua (o anche firmare una pace) nella guerra contro la droga e di spendere di più in welfare. Ma l’estrema destra americana preferisce un’altra soluzione: ricorrere sempre più alla pena di morte. Perché tenerli in carcere, dove costano, quando possiamo sbarazzarcene? Se poi con le loro salme l’industria dell’allevamento producesse farine animali per il bestiame, Jonathan Swift avrebbe la soddisfazione di vedere aggiornata e realizzata in modo industriale la sua fulminante Modesta proposta, la cui lettura è vivamente consigliata.

 

 

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