Rassegna stampa 3 luglio

 

Frosinone: si impicca detenuto rumeno di 37 anni

 

Il Messaggero, 3 luglio 2004

 

Fino alla fine ha gridato che era vittima di un errore giudiziario: giurava che qualcuno aveva usato il suo nome e si era spacciato per lui durante un controllo della polizia. A tutti ha ripetuto fino alla noia che non sapeva esistesse un ordine di espulsione dall’Italia a suo nome: lo ha detto agli agenti mentre lo arrestavano per non avere lasciato il territorio dello Stato, lo ha ribadito ai magistrati della procura di Venezia che lo hanno condannato. Ora Nicolae ha smesso di protestare: si è impiccato nella sua cella all’interno del carcere di Frosinone.

Un suicidio strano. Ha annodato i lacci delle scarpe, ha legato le estremità alle sbarre della finestra, ha infilato il collo in quella specie di cappio senza nodi. E si è lasciato andare. Gli agenti della polizia penitenziaria se ne sono accorti poco dopo le 21 di giovedì sera. Si sono lanciati nella cella, hanno tentato di rianimare Nicolae: ma è stato tutto inutile, il polso era assente, il cuore era già fermo. Nicolae aveva 37 anni ed un passaporto rumeno. Era detenuto a Frosinone da metà maggio. Lo avevano trasferito da Regina Coeli a causa del suo caratteraccio, anche in Ciociaria non aveva familiarizzato con gli altri detenuti e alla fine era stato necessario metterlo in una cella da solo. Stava scontando una condanna per furto aggravato, che era diventata esecutiva perché si era aggiunta la pena per non avere lasciato l’Italia nonostante il decreto di espulsione. Sarebbe uscito dal carcere nel 2006.

Delle indagini si sta occupando la polizia penitenziaria: sospetta che Nicolae non volesse suicidarsi ma solo compiere un gesto con il quale attirare su di se l’attenzione della magistratura; poi però la compressione sulla carotide gli avrebbe fatto perdere i sensi facendolo scivolare verso la morte.

Latina: problemi di sicurezza e carenza di organico

 

Il Messaggero, 3 luglio 2004

 

Il ponte dei Sospiri? Attraversa via Aspromonte, si ferma dinanzi la soglia, blindatissima, del carcere giudiziario di Latina. Le sue "segrete" inghiottono Fabrizio Cirilli, presidente della Commissione consiliare speciale sicurezza e lotta alla criminalità della Regione Lazio. La sua è una visita in veste ufficiale, si protrarrà per ore. I suoi ospiti lo attendono con ansia, hanno problemi, urgenze reali da sottoporgli. Il direttore, Claudio Piccari, snocciola le emergenze. Tante. Situazioni gravi, inquietanti, che si trascinano da anni, che da anni attendono risposte, risoluzione.

In primo piano, la sicurezza. Di quanti, avendo commesso reati vi sono reclusi, ma anche di coloro che vi operano, lavorano, dispensano energie professionali. Cirilli ne è turbato. Perentorio, il suo atto di accusa. "Il livello di vivibilità del penitenziario è molto basso. Sovraffollato, nelle celle sono stipati sino a cinque, sei detenuti, a fronte dei tre previsti. Non raramente, com’è accaduto nel maggio scorso, per mancanza di spazio e di letti, dieci nuovi ospiti hanno dormito per terra. Per non parlare delle gravi carenze strutturali, in un edificio ormai reso fatiscente dagli anni, divorato dall’umidità, dalla muffa, nonostante non piova da settimane". Ma l’analisi impietosa investe temi cari ai cittadini, argomenti che, in passato, sono stati i puntelli di propaganda elettorale, poi accantonati a votazioni concluse. La casa circondariale, costruita intorno agli anni ‘50, sorge in pieno centro, in una delle vie storiche della città, zona densamente popolata, trafficata, a due passi dalla scuola materna ed elementare di via Quarto. Come ridurre al minimo i rischi, garantire protezione, sicurezza in caso di allerta?

"È insostenibile continuare a mantenere una simile servitù, con le conseguenze che ne potrebbero derivare, in mezzo all’abitato. Una negligenza grave, che denota mancanza di buon senso", incalza Cirilli. È mergenza anche per gli organici. Gli agenti di custodia, appena 112, lavorano a ritmo incessante. Costretti a "sobbarcarsi turni massacranti su tre quadranti giornalieri (anziché quattro), di fatto la notte rimangono solo tre agenti a sorveglianza dell’intero carcere, a dispetto di 120 detenuti", denuncia ancora il presidente della Commissione speciale che, ora, investirà il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, il Ministero della Giustizia, la Asl del direttore Benito Battigaglia, alla ricerca di soluzioni. Difatti, il sott’organico del personale compromette la copertura di servizi sanitari essenziali. Visite specialistiche, analisi cliniche, radiografie, non raramente ricoveri in ospedale subiscono slittamenti, ritardi in assenza di agenti di sorveglianza disponibili a scortare i detenuti. Così, avviene anche in caso di trasferimento o di traduzione nei Palazzi di Giustizia, nel corso dei procedimenti penali. Diritti umani, civili, sociali trascurati, lesi da una politica penitenziaria approssimativa, trasandata, assente.

Napoli: morto in ospedale il boss Carmine Giuliano

 

Adnkronos, 3 luglio 2004

 

È morto Carmine Giuliano, boss di Forcella. Era ricoverato da due settimane nel reparto Oncologia dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Il camorrista aveva 52 anni ed era malato di tumore alla gola da molto tempo. Giuliano era detenuto nel carcere di Cassino (Frosinone).

Carmine Giuliano ha "governato" con il fratello Luigi per almeno due decenni il rione di Forcella, quartiere generale di tutta la famiglia Giuliano. Soprannominato "o lione", Carmine Giuliano diventò noto negli anni ‘80 per la sua amicizia con Diego Armando Maradona.

Sognava, infatti, di giocare nel Napoli, Carmine Giuliano. Un sogno spezzato a 23 anni quando un killer lo colpì alle gambe con alcuni colpi di pistola. Cinque anni fa fuggì su una sedia a rotelle dalla clinica di Cassino dove si trovava ricoverato per il tumore e agli arresti domiciliari. Giuliano fu poi arrestato la notte di Capodanno del ‘99. Rimase in carcere poco più di un anno poiché la grave malattia aveva indotto i giudici del riesame a concedergli il beneficio degli arresti in clinica.

Agli inizi del 2000 Carmine Giuliano decise di diventare un collaboratore di giustizia. Ma questo suo ravvedimento durò poco, visto che il camorrista ritrattò le proprie dichiarazioni iniziali.

Il Prc del Veneto annuncia una campagna sul carcere

 

Liberazione, 3 luglio 2004

 

Quando lunedì mattina il gruppo regionale del Prc terrà una conferenza stampa sulla sua vicenda, per Paolo Dorigo sarà il trentaduesimo giorno di sciopero della fame. Il detenuto veneziano, incarcerato da dieci anni per reati legati agli anni di piombo, chiede invano da due anni di essere visitato presso una struttura medica pubblica.

Mauro Tosi e Pierangelo Pettenò, i consiglieri regionali Prc che condurranno la conferenza stampa con i legali di Dorigo e il deputato Prc Russo Spena, annunceranno una campagna di mobilitazione sulla questione carceraria in Veneto. Dorigo, che ha già perso oltre dieci chili di peso, fa sapere di non avere alcuna intenzione di sospendere la forma di lotta e il suo avvocato, di fronte all’aggravarsi delle sue condizioni ha presentato un’ennesima istanza di sospensione della pena al magistrato di sorveglianza.

Livorno: morì in carcere, chiesta archiviazione per caso Lonzi

 

Il Tirreno, 3 luglio 2004

 

Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto il 10 luglio scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto. Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria Ciuffi - che ha appreso la notizia telefonando alla cancelleria del tribunale - e dal suo legale, avvocato Vittorio Trupiano. Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo al giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di Lonzi".

Nei giorni scorsi l’avvocato Trupiano aveva chiesto l’effettuazione della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del giovane deceduto conservati - come si legge nell’autopsia - esattamente a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta - spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo ancora l’esito della mia domanda".

"La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Ciuffi - comincia ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso un figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono più sola".

Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle 15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese. "Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre - perché non è solo per me e mio figlio che io cerco la verità su quanto accaduto in quella cella".

Vibo Valentia: l’Università entra nelle carceri

 

Giornale di Calabria, 3 luglio 2004

 

Un altro tassello importante per il rinnovamento ed il rilancio del sistema penitenziario avviato da tempo in Calabria, che mira sempre più al recupero e al riscatto dei detenuti. Così sono stati definiti i protocolli d’intesa che nel nuovo complesso penitenziario di Vibo Valentia, presente il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino, sono stati firmati tra il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), rappresentato dal direttore, Giovanni Tinebra, e dal Provveditore regionale, Paolo Quattrone, e l’Ufficio scolastico regionale con il direttore Ugo Panetta e le università calabresi (Silvio Gambino, per l’Unical di Cosenza; Alberto Scerbo, per la Magna Graecia di Catanzaro, e Pasquino Crupi, dell’Università per stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria), presente anche l’assessore regionale alla Presidenza, Raffaele Mirigliani.

L’iniziativa è stata presentata nel giorno in cui, sempre a Vibo Valentia, è stato celebrato l’annuale regionale della Polizia penitenziaria. I protocolli d’intesa prevedono rapporti stretti di collaborazione tra l’Amministrazione penitenziaria e il mondo accademico calabrese dai quali si attendono importanti ricadute su tre diversi livelli: l’istruzione e la formazione dei detenuti nel settore della scuola dell’obbligo; di quella secondaria, con la possibilità per alcuni detenuti di conseguire anche una laurea; la specializzazione dei giovani laureati calabresi nei settori della criminologia, del penitenziario e della devianza; attività di studio e ricerca, sui fenomeni di criminalità mafiosa e comune, di devianza e disagio sociale.

Al riguardo sono state già avviate con l’Unical di Cosenza alcune forme di collaborazione sugli effetti risocializzanti delle misure alternative alla detenzione e sulla recidiva, nonché un progetto di ricerca-intervento sulle persone detenute per reati di carattere sessuale. In cantiere c’ é anche un altro importante progetto di carattere sociale, d’intesa con Fiaba (Fondo italiano per l’abbattimento delle barriere architettoniche).

Il progetto prevede che squadre di detenuti svolgano interventi presso strutture pubbliche per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Soddisfazione per come hanno risposto le istituzioni, università, regione e mondo della scuola, è stata espressa dal direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni, Tinebra, il quale ha sottolineato "l’importanza della concertazione al fine di offrire al detenuto una possibilità di riabilitazione e di riscatto sociale".

Secondo il sottosegretario Valentino, "l’assenza per lungo tempo di università in Calabria ha determinato la lievitazione del fenomeno criminale soprattutto tra le fasce giovanili. Questa iniziativa mira a favorire nei detenuti sentimenti di maggiore apprezzamento per la società da parte di chi ha sbagliato. In tal modo, dunque, lo Stato paga, anche se con ritardo, un debito antico verso il sud e verso la Calabria in particolare".

Cagliari: il Buoncammino d’oro, serenate oltre le sbarre

 

L’Unione Sarda, 3 luglio 2004

 

Lo spazio compreso tra il carcere di Buoncammino e la chiesa di San Lorenzo diventerà questo pomeriggio alle 19 una Taz, una zona temporaneamente autogestita. Un luogo "politico e poetico" che accoglierà salti in aria ed esercizi alla sbarra, briganti, brigantesse, mangiafuoco, cantastorie e banditori. Aperta a tutti, l’iniziativa "di lotta sociale e creativa contro il medioevo del carcere" vuole essere un segno forte di solidarietà con tutti detenuti, e con Carlo, Luca e Vinicio, i tre giovani arrestati con l’accusa di aver fatto un attentato alla sede quartese di Forza Italia. Protagonisti i performer del Lap, un laboratorio politico/poetico di "sollecitazione ginnico-affettiva per rimuovere il filo spinato della rassegnazione ed emanciparsi dalla clausura del perbenismo. Un modo informale e collettivo di riappropriarsi degli spazi della città, un’occasione per lanciare tra il serio e il faceto la prima edizione del Buoncammino d’oro: un concorso di serenate, che avranno per tema il carcere: un messaggio di solidarietà a chi vive dietro le sbarre. E perde la sua dignità di uomo.

Paola: in scena giovani reclusi per progetto educativo

 

Giornale di Calabria, 3 luglio 2004

 

Quando entri in un carcere per visite, spettacoli e celebrazioni, è facile comprendere uno speciale doppia dimensione: quella dell’esistenza e quella della reclusione. Da una parte la vita quotidiana, dall’altra quella dietro le sbarre di un carcere. Un dimensione dura, dove sono costretti a vivere, a volte per lunghi anni, tanti figli della terra di Calabria o di gente che l’ha attraversata per mille motivi. Burocrazia e controlli, poi i lunghi corridoi. Fuori l’afa di un’estate che risuona alle porte. Paola e San Lucido ai lati, davanti il mare, beffardo e immenso. Nel penitenziario tirrenico, invece, i rintocchi delle vicende quotidiane. Noia e ripetizione. Ai ragazzi reclusi di Calabria, è toccato di incontrare il teatro e le sue gesta. Una buona lotta contro il rintocco ripetitivo del tempo, una terapia contro l’alienazione e un modo per trascorrere lunghe e metodiche sequenze.

Batte forte il cuore del centro storico di Cosenza quando sul palco sale Antonio, fiero, come quando si muoveva nelle stradine della Cosenza storica, mima una rappresentazione, senza parole. Energia pura da vendere. Una corazza umana e gesti di grande intensità. Le corde della commozione. Poi gli applausi, sonori e sentiti. Quelli del pubblico e quelli dei detenuti, compagni di avventura e l’apprezzamento di tutti. Il racconto mimico portava il titolo di "La capanna". Unico e bravo attore Antonio Cristiano.

Nel pomeriggio tirrenico erano presenti la direttrice dell’istituto, i dirigenti scolastici, i docenti, gli educatori, alcuni rappresentanti degli Enti locali e delle Istituzioni e noi, quelli che fermano sulla carta emozioni e vicende.

È stato l’IPSSAR "San Francesco" di Paola, in collaborazione con la Casa circondariale a presentare il Progetto, "Un palcoscenico per sognare: teatroterapia", cofinanziato nel 2003 dal Fondo sociale europeo, per arginare, combattere e limitare danni della dispersione scolastica sul territorio.

Un progetto ben riuscito e sicuramente da replicare (a proposito alle viste nel penitenziario tirrenico un progetto di teatro con la supervisione di Luca Barbareschi) A seguire, su un palcoscenico che profuma di vera umanità, la lettura di poesia sul teatro in una bella sequenza di spontaneità: Il teatro che passione; teatro amico mio; l’attore; luci del palcoscenico; il palcoscenico, l’atmosfera di teatro; parola di teatrante; i semi del teatro; mi hanno detto; chistu è ‘u teatru (della professoressa Pina Dattilo). Ad interpretarlo l’allievo Tiziano Lauteta. Breve pausa, per apprezzare il buon grado di partecipazione del progetto e si cambia atmosfera, ma soprattutto grado di rappresentazione quando si cita e si lavora sui pezzi del grande principe Antonio de Curtis, al secolo Totò. E’ l’ora de "A livella" a cura dell’allievo Carlo De Rosa.

Pezzo forte della giornata, la rappresentazione collettiva "I due gemelli cosentini", scritta, nell’anno scolastico 2003 da Francesco Trausi, allievo dell’IPSSAR di Paola, per il programma "degli scrittori", attività in collaborazione con la compagnia di Luca Ronconi del Piccolo teatro di Milano.

Le musiche e gli effetti sonori sono di Albino Presta; la scenografia, a cura della tipolitografia di Roberto Gnisci, rimanda al gioco del doppio, alla tematica della scissione della fiction che si svolge tra Cosenza e Milano.

Esperto in recitazione, Fernando Di Leo ha curato la direzione artistica e la regia. Di Leo nella sua lunga carriera e passione per il teatro come professore di "Arte drammatica" nei Municipio della città di Buenos Aires, ha sempre pensato all’uomo nel suo realismo e dimensione sociale. Tutors interni sono stati i docenti: Pina Dattilo, Angelina Runco, Albino Presta, Salvatore Oliverio.

Responsabile del Progetto è stata la professoressa Pina Dattilo. i partecipanti all’attività progettuale sono stati 26 allievi di età diversa sui 45 di partenza, che si sono avvicendati per ovvi motivi mantenendo pressoché costante la loro presenza. Complessivamente le ore di attività sono state 150, distribuite in tre moduli di 50 ore ciascuno, così strutturati. Nel primo modulo la lettura espressiva e l’intonazione della voce. Nel modulo 2 l’Educazione al movimento, alle gestualità alla simulazione. Nel Modulo 3 la recitazione con effetti sonori e musica d’ambiente.

L’opera "i due gemelli cosentini", con protagonisti due giovani fratelli innamorati a loro insaputa della stessa ragazza, identici ed interscambiali nelle sembianze ma diversi nel carattere, di ispirazione goliardica ("I due gemelli veneziani"), rappresenta il canone del doppio, della scissione dei gemelli motivo perturbante, quello del sosia che Sigmud Freud definisce "baluardo contro la scomparsa dell’Io, un’energia smentita del potere della morte".

Tutti gli allievi della Casa circondariale che hanno aderito al progetto hanno dimostrato di credere fermamente nel progetto, mettendo in gioco se stessi e le loro buone capacità.

"Il teatro - si legge nella brochure introduttiva - quasi come una "madre a cui ciclicamente si ritorna" vuole offrire a tutta la popolazione detenuta uno spazio educativo e formativo, socializzante ed aggregativi, un armadio per uscire dal dramma della solitudine della incomunicabilità e della monotona esistenziale per esorcizzare problemi angosce in funzione catartica e liberatoria".

Tante belle parole e tanti buoni propositi, ma da giornate come quella vissuta nel penitenziario di Paola, rimane la forza e il calore umano dei ragazzi e degli uomini detenuti. Quell’urlo di presenza, che il teatro ha mediato e trasmesso dall’interno verso l’esterno. Uno spettacolo che ha visto in scena Carlo De Rosa, voce fuori campo, i due gemelli Carmine Cristini e Francesco Mosciaro, intersecati bene e spontanei nelle parti (con l’affetto e l’adesione al dialetto cosentino). E poi il padre, Carlo Mauro, lo zio dei gemelli, elio Cipolla, il portiere, Donato Ferme, Pietro il proprietario del Mc Donald’s, Ferdinando Aliberti, il vicino di casa dei gemelli Antonello Pellicori, il bigliettaio della stazione di Cosenza, Tiziano Lauteta, i passanti delle stazioni di Cosenza e Milano, Salvatore Esposito, Umberto Esposito e Mario De Luca. Li pensiamo con affetto.

Una laurea in carcere: 110 detenuti studiano dietro le sbarre

 

Famiglia Cristiana, 3 luglio 2004

 

Studiare per sapere di più. Per progettare un domani pulito, all’onor del mondo. Per non stare chiusi in cella, come stanno gli altri detenuti, 22 ore al giorno su 24. Per evadere con la testa. Sono tanti i motivi che fanno sì che un uomo, magari non più giovane - con una vita ammaccata, un passato sbagliato e in tasca poche speranze per il futuro - prenda in mano i libri e si iscriva a scuola. Centodieci detenuti italiani si sono iscritti per l’anno accademico 2003-2004 nei quattro Poli universitari carcerari che si trovano negli istituti di pena di Prato, Pisa, Alessandria e Torino "Le Vallette". E a Catanzaro e a Padova si stanno organizzando per seguirne l’esempio.

Un Polo universitario è un progetto cui collaborano atenei locali e amministrazione penitenziaria, un’università cui sono ammessi solo detenuti. Il primo è stato quello di Torino (1998, con un corso di Scienze politiche), che ha preso il via da un’idea nata negli anni ‘80 da un gruppo di docenti che andavano in carcere per fare gli esami agli iscritti. L’idea era di creare una facoltà dentro il carcere. Nel 2000 fu inaugurato il corso di Giurisprudenza. I corsi si svolgono in carcere, e sono condotti da docenti volontari. Gli iscritti sono circa 40. A Prato (12 facoltà diverse, tra cui Comunicazioni sociali e Teologia) hanno cominciato nel 2000-2001; gli studenti sono più di trenta, più circa venti in semilibertà o in lista d’attesa. A Prato l’accordo è stato fatto con l’Università di Firenze.

Ad Alessandria gli studenti sono una decina, tanti quanti più o meno a Pisa. i corsi sono quelli di Informatica, Scienze politiche, Giurisprudenza. Ma anche Teologia e Filosofia vanno forte.

Guido Conti, per esempio, detenuto a San Vittore, ora in articolo 21 (lavora di giorno, rientra la sera in carcere, ndr), sta per laurearsi in Filosofia alla Statale di Milano, con una tesi sul problema dell’alienazione nei manoscritti di Marx del 1844 e l’interpretazione di Sartre, Marcuse, Habermas".

I suoi voti? Tutti 30, tranne il primo (24) e tre 28. Si è iscritto nel ‘97 a Bergamo, e lì, dice, "era una pacchia. Per dare gli esami a Milano, dentro, c’era solo un’ora di trasferimento con il pullman e gli agenti, Arrivavo a San Vittore, mi facevo il mio esame e tornavo indietro". Poi è stato trasferito a Prato (problemi di sovraffollamento). "A ogni esame venivo trasferito, con viaggi allucinanti. Poi vieni preso e ti buttano in una cella "di passaggio" con sei, sette altri detenuti. Tu ti porti appresso i libri, dovresti finire la preparazione dell’esame, se non ti capita che parti il giorno prima e arrivi stravolto. È sempre complicato".

"Ho dato 19 esami, di cui 18 in carcere; il rapporto con i docenti è vario, dipende chi trovi. Un prof, per esempio, mi ha pregato di dare il suo esame per ultimo, di non farla venire a San Vittore. Mi disse che mi avrebbe dovuto mandare un assistente, perché il carcere la opprimeva e non reggeva a situazioni di chiusura". Altri professori sono ben disposti, altri ancora ti premettono: "Noi la consideriamo come qualsiasi altro. Per noi lei non è meglio né peggio di un altro studente". Altri ancora sono intimiditi dagli agenti di Polizia penitenziaria, che talvolta non capiscono bene con chi hanno a che fare. Spesso li fanno aspettare anche più di un’ora per poter far l’esame con un detenuto. Titolari di cattedra, eh?, non giovani assistenti universitari.

"Agli esami, se i magistrati di sorveglianza ti concedono il permesso, in genere vai tu all’università, senza manette. Accompagnato, ma senza manette. Se questi permessi non ti vengono concessi, gli esami li fai dentro".

Ed è facile studiare in galera? "Francamente, no. Uno non ha "diritto" alla cella singola, non c’è scritto da nessuna parte che la devi avere, e gli agenti non hanno troppa sensibilità nei confronti del problema. E come si fa a studiare mentre uno cucina, l’altro sente la musica, un altro guarda la Tv? Allora bisogna parlare con il direttore del carcere o con un educatore per fare in modo che qualcuno si faccia carico del tuo problema. Per le pratiche burocratiche o i libri in genere ci si affida alla famiglia o a un volontario che va all’Università a informarsi per te".

"Un docente, il professor Casalegno (filosofia del linguaggio) mi ha anche mandato i suoi libri in regalo. Un altro problema: uno che studia in carcere non ha contatto con altri studenti. Sei solo davanti al testo. E allora, per esempio su problemi scientifici, se ti blocchi su un passaggio, non vai più avanti, ti areni e tutto diventa molto più difficile. Parlare con qualcuno, aiuta. Aiuta tantissimo".

 

 

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