Rassegna stampa 4 giugno

 

Milano: Luigi Pagano lascia San Vittore dopo 15 anni

 

Corriere della Sera, 4 giugno 2004

 

Il direttore del carcere promosso alla guida del provveditorato regionale. "Abbiamo usato l’arma della ragione". La lettera con la conferma ufficiale gli è arrivata ieri, proprio mentre lui se ne stava sorridente a godersi la riuscita dell’ennesima tra le cento, mille iniziative da lui portate avanti in questi quindici anni, tutte all’insegna di un pallino fisso: far sì che detenuti e mondo fuori "si parlino", malgrado le sbarre, e non solo in nome del "reinserimento" dei primi nella società, ma "nell’interesse della società stessa".

Insomma ieri il direttore di San Vittore, Luigi Pagano, stava trascorrendo la sua giornata circondato dai "suoi" detenuti, più altri di Bollate, e di Monza, più 37 arbitri di calcio ed ex campioni di serie A, da Collina a Bergomi, in preparazione della partita benefica - incasso a favore delle adozioni a distanza - disputata in serata all’Arena. E mentre era lì, come si diceva, gli è stata consegnata la lettera con cui il ministro della Giustizia Castelli ufficializza la notizia che ormai era nell’aria da tempo: Luigi Pagano, cioè, da lunedì prossimo non sarà più il direttore di San Vittore e sarà promosso alla guida del provveditorato regionale per le carceri della Lombardia, al posto di Felice Bocchino che sarà a sua volta trasferito.

La prima domanda è: chi verrà a questo punto in sostituzione di Pagano? "Ma è una domanda - si schermisce lui - di cui ignoro la risposta". La seconda è quale eredità, quali problemi già risolti e quelli ancora da risolvere, troverà il suo successore. E qui Pagano non si sottrae a tracciare un sintetico bilancio del suo quindicennio in piazza Filangieri.

"Il dramma storico di San Vittore è sempre stato il sovraffollamento. Le cose, è vero, sono progressivamente migliorate: quando arrivai qui i detenuti erano 2400 e oggi sono mille in meno". Merito di chi? "È chiaro che i trasferimenti verso Opera e Bollate hanno avuto la loro parte. Ma non è solo questo: a dare più di qualche frutto è stata infatti, se posso dirlo, anche l’insistenza con cui in questi anni è stata portata avanti la politica delle attività esterne".

Politica che suscita polemiche ogni volta in cui, ad esempio, un detenuto in semilibertà viene pizzicato a fare una rapina o magari peggio. Ma è una politica che Pagano difende con i numeri: "Basta considerare che oggi, in Italia, le persone che stanno scontando una pena lavorando comunque fuori dal carcere sono oltre 50 mila. Se li mettiamo sulla bilancia con il numero dei delitti compiuti credo che il bilancio sia ampiamente positivo.

Il carcere - dice il futuro provveditore regionale - è uno strumento punitivo che andrebbe limitato ai casi in cui non esiste veramente alternativa". Buonismo? Tutt’altro: "Punire e rieducare in maniera "diversificata" è non soltanto questione di dignità nei confronti dei detenuti, ma interesse della società. Un detenuto costa allo Stato 150 euro al giorno. Il suo reinserimento lavorativo, oltre che un investimento su di lui, è un vantaggio sociale ed economico per la collettività".

E sul lavoro Pagano ha sempre scommesso: l’ultima iniziativa è stata l’apertura del call center Telecom al terzo raggio. I momenti più critici? "Il momento peggiore è sempre lo stesso, e cioè quando un detenuto muore. Li ricordo tutti, a cominciare da un poveretto che si chiamava Nicolic e si impiccò lo stesso giorno di Cagliari".

San Vittore resterà un carcere o ci faranno un grattacielo come vorrebbe Albertini?

"Sono contrario alle battaglie ideologiche sui simboli. Un carcere deve essere funzionale. San Vittore per certi versi lo è, ad esempio per la comodità dei colloqui e per la vicinanza al palazzo di giustizia. Forse potrebbe esserlo di più, come ho già detto altre volte, se venisse trasformato in cittadella giudiziaria".
Cosa troverà il suo successore? Pagano risponde di getto: "Soprattutto un buon ambiente in cui lavorare. Detenuti abituati, da molti anni, a usare l’arma della ragione. E poi agenti, educatori, personale straordinario a tutti i livelli. Perché il direttore di un carcere è solo un autista. Ma il motore che lo fa marciare sono loro".

Trento: il carcere è una vergogna per tutto il Trentino

 

L’Adige, 4 giugno 2004

 

Il carcere di Trento non fa onore alla nostra autonomia, è un istituto "insano" che potrebbe anche "scoppiare". Non solo a ragione delle difficoltà vissute dai detenuti, ammassati in spazi indegni, ma anche per il personale che per vari aspetti vive gli stessi disagi.

"Oggi stesso ci rivolgeremo al presidente Dellai per capire se la Provincia può fare qualcosa, pur se le competente carcerarie sono dello Stato, anche perché la nuova struttura, prevista agli Spini, sarà pronta solo fra 10-12 anni".

La denuncia è dei consiglieri provinciali Agostino Catalano (Rifondazione) e Paolo Barbacovi (Ds) che il primo giugno hanno visitato la casa circondariale di Trento. "Una realtà difficile - hanno denunciato - per una serie di ragioni.

La struttura dello stabile è fatiscente tanto da costringere i detenuti quasi ad un supplemento di pena". Ma quello che Catalano ha definito "supplemento afflittivo" non tocca solo ai detenuti: anche alle guardie carcerarie. Lo stabile è vecchio, le infiltrazioni di umidità nelle pareti sono cosa comune, i servizi igienici sono di cattiva qualità, le docce pure. Poi, naturalmente, il sovraffollamento e la carenza di personale.

I detenuti dovrebbero essere 85-90, il primo giugno erano 144. "In alcune celle ci sono brande per 6-7 persone e quindi i carcerati non hanno nemmeno lo spazio per scendere dal letto". Le guardie carcerarie, secondo i parametri ministeriali, sono il 30% in meno del numero ideale. "Poi va sottolineato che il carcere dovrebbe avere anche una funzione di recupero dei detenuti. In realtà a Trento i carcerati non possono lavorare se non nelle pulizie e in cucina.

Il ministero sta risparmiando anche su questo e certi detenuti, pur di fare qualcosa, lavorano sei ore al giorno e ricevono il pagamento per 2 ore e 40 minuti. Non possono invece lavorare fuori da quelle mura. E scarsissime sono anche le possibilità di tipo formativo, gli insegnanti ci hanno segnalato gravi difficoltà". E qui un esempio: il Centro S. Chiara aveva offerto ai responsabili della struttura due spettacoli gratuiti. Sono stati rifiutati per mancanza di spazi adatti.

"In carcere - hanno continuato i due consiglieri - si vive una situazione di tensione dovuta anche all´emergenza continua". Barbacovi, ex presidente dell´Ordine dei medici trentini, ha osservato come anche dal punto di vista sanitario l´assistenza ai detenuti lasci a desiderare. "Ci sono i medici ma il personale infermieristico è scarso. C´è una suora che sta operando oltre i limiti del suo pensionamento.

E il medico gestisce materiale e ambienti non adeguati. C´è persino un problema di approvvigionamento dei farmaci di fascia C, ad esempio gli psicofarmaci, molto usati in quella realtà". Ma pare che le cose continueranno a peggiorare. I fondi messi a disposizioni dal ministero sono costantemente in diminuzione: "Ci hanno fatto osservare come ultimamente ci sia stata addirittura scarsità di carta per la stampante: si deve riciclare carta già usata".

Persino lo spazio in cui i detenuti incontrano i parenti è assolutamente piccolo e inadeguato. "Ma i disagi toccano anche i dipendenti. Specie quelli di loro che vivono dentro la struttura, non potendosi permettere un affitto sul libero mercato".

La denuncia, quindi: "Un carcere come questo in provincia di Trento è inammissibile. Oggi stesso chiederemo un incontro con Dellai. Verificheremo con lui la possibilità che la Provincia possa intervenire in qualche modo. Anche perché il nuovo e già previsto carcere, non sarà pronto che tra 10-12 anni. Qui stiamo parlando di una struttura da terzo mondo inserita nel ricco Trentino". E l´allarme: "La situazione potrebbe anche esplodere, detenuti e personale non possono continuare a vivere in questa situazione insana".

Treviso: l’onorevole Luca Volontè visita il carcere

 

Il Gazzettino, 4 giugno 2004

Il carcere di Treviso è drammaticamente sotto organico. Lo ha detto senza giri di parole il direttore Francesco Massimo all’onorevole Luca Volontè, capogruppo alla Camera dell’Udc, nonché candidato nel Nordest alle prossime Europee, venuto ieri in visita alla casa circondariale di Santa Bona: "Qui la situazione è disagiata, anzi disastrosa: abbiamo 280 detenuti, quando invece dovremmo averne 134, e 120 agenti, quando invece ne sarebbero contemplati 187".

Come minimo sarebbero necessari una quarantina di uomini in più: giusto per poter organizzare il lavoro quotidiano in quattro turni da 6 ore l’uno, come previsto, anziché in tre da 8 ore, come accade oggi . "Sono penalizzate la vigilanza interna ed esterna - sottolinea Giovanni Ministeri, comandante della Polizia penitenziaria dell’istituto -, con due persone che si trovano ad operare con 180 detenuti, che devono essere controllati anche nei loro movimenti: le visite mediche, le procedure per la matricola o gli atti giudiziari, i colloqui, la scuola. Per coprire tutto spesso siamo costretti a non concedere riposi e permessi".

La carenza di personale, oltre ai rischi per la sicurezza facilmente intuibili, fa sì, ad esempio, che resti inutilizzata una nuova ala del carcere con cinque moderne celle. Ed ancora, rende pressoché impossibile svolgere le attività collaterali per i carcerati.

Proprio per presentare due programmi per il recupero sociale di chi sta scontando la pena, aveva fatto tappa nella Marca l’onorevole Volontè, accompagnato da Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro, funzionari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria responsabili dei progetti. La prima iniziativa, chiamata

Un libro, una voce, consiste nel far recitare ai detenuti (dopo un apposito corso di dizione) alcuni classici della letteratura, per realizzare degli audio libri su cassetta o cd da destinare alle scuole elementari, ai non vedenti o a soggetti con difficoltà nella lettura. Argo, invece, punta a creare nei giardini interni ai penitenziari una sorta di centri di accoglienza e addestramento per cani randagi, affidati alle cure dei detenuti.

"A finanziare le due proposte, che interessano anche Rebibbia, Como, Verbania, Palermo e Giarre - ha spiegato l’esponente dell’Udc - contribuiscono i parlamentari del nostro partito, versando il 10% del loro stipendio".

A Santa Bona sarebbero ben lieti di attuarle: "Purtroppo con le risorse umane attuali, non possiamo far nulla", ha ammesso Massimo. "È un paradosso che il carcere di un comune e di una provincia governati dalla Lega, la stessa forza politica del ministro di Grazia e Giustizia, viva in queste condizioni", ha concluso Volontè.

Caltanissetta: Sappe denuncia "livelli di sicurezza non rispettati"

 

Giornale di Sicilia, 4 giugno 2004


Il personale in servizio nella casa circondariale di Caltanissetta condivide la presa di posizione assunta dalle segreterie regionale e provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria ("Sappe") di sospendere la propria partecipazione alle contrattazioni sindacali con la direzione dell’Istituto nisseno. Il provvedimento è stato assunto per protestare contro un’Amministrazione che viene ritenuta "ostaggio di una certa "corrente", incapace di cogliere appieno l’evoluzione di una riforma del corpo avvenuta da oltre 14 anni ed indifferente alle molteplici problermatiche che affliggono i poliziotti penitenziari di Caltanissetta".

Il sindacato preannuncia che nei prossimi giorni darà vita ad un sit-in di protesta davanti alla casa circondariale nissena. Nel frattempo però elenca le problematiche che il personale in servizio lamenta, a cominciare "dalle difficili condizioni di operatività, al di sotto dei livelli minimi di sicurezza, a causa dello sconsiderato invio in missione, in altri istituti della Regione, di oltre 33 unità, e alla disastrosa organizzazione del lavoro posta in essere dalla dirigenza".

Il "Sappe" lamenta inoltre il mancato rispetto dell’accordo quadro nazionale, "con particolare riferimento all’assenza di rotazione nei posti di servizio e della iniqua assegnazione dei turni pomeridiani, notturni e festivi". L’elenco delle rivendicazioni è però abbastanza lungo, e comprende anche "l’abbandono in cui è stato lasciato il "N.T.P." a causa della lunga e volontaria assenza del coordinatore e del suo vice, nonostante in Istituto operino numerose unità adatte all’incarico".

Viene inoltre definito "assolutamente inaccettabile per il personale il metodo adottato dalla direzione nella compilazione dei "giudizi complessivi per il 2003" che ha stabilito in abbassamento del punteggio, in base alle assenze per malattia, mascherando tale pratica con motivazioni che offendono e mortificano l’impegno e la serietà cui si opera all’interno di un istituto penale".

Il "Sappe", tramite il delegato nazionale Giuseppe Balsamo, denuncia "gli scandalosi favoritismi nelle assegnazioni di punteggi inesistenti nella mobilità interna", "la mancanza di pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale di tutto il personale in servizio, evidenziata dall’avvio agli specifici corsi dei "soliti privilegiati"", "il dimezzamento degli anticipi di missione e l’incredibile ritardo nella liquidazione delle relative spettanze, che ci ha costretto a presentare già a marzo un decreto ingiuntivo nei confronti della direzione che da 8 mesi non pagava le missioni", "la mancata applicazione (obbligatoria) del decreto legislativo 626/94 sulla sicurezza, igiene e salubrità del posto di lavoro con grave danno per tutto il personale in servizio nella struttura", "la mancata predisposizione di strumenti elettronici capaci di assicurare la vigilanza esterna dell’istituto senza dovere ricorrere alla antieconomici, arcaica e meno efficace "sentinella" sul muro di cinta".

Monza: un seminario per parlare dei diritti dei detenuti

 

Redattore sociale, 4 giugno 2004

 

A Monza si parla dei diritti dei detenuti. La Casa Circondariale di Monza ospita oggi un seminario sul tema "Il garante dei diritti sociali delle persone detenute": iniziativa organizzata dal Comune di Monza, l’Assemblea dei sindaci della Asl MI3 e dal Comitato Carcere e Territorio di Monza.
Il seminario cerca di fare il punto sulla figura del "Garante dei diritti sociali delle persone detenute": nuove figura di tutela civile, individuandone funzioni, contorni operativi, modalità di attuazione.
In Italia sono due i comuni che già si sono dotati di questa nuova figura di difensore dei diritti: Roma e Firenze. Il Garante rappresenta un progresso giuridico a tutela dei diritti umani e sociali di tutti i detenuti così come previsto dalla Costituzione Italiana: viene nominato dal sindaco e rimane in carica per cinque anni. Non è tuttavia dotato di poteri di intervento diretto e svolge attività di controllo e segnalazione (al sindaco e alla giunta comunale) volte al miglioramento della vita dei detenuti, al loro reinserimento sociale e alla sensibilazzazione pubblica sui diritti umani e civili del carcerato. Questo almeno in teoria.

All’incontro nel carcere di Monza intervengono il difensore civico della Provincia di Lecco, Luigi Lia, Maria Monciatti, assessore Politiche Sociali Comune di Firenze e il "Garante delle persone private della libertà" del Comune di Roma, Luigi Manconi. Come spiega Vittorio Pezzago, presidente dell’Associazione dei sindaci Asl-MI3, "l’iniziativa si pone obiettivi assolutamente pragmatici: la delineazione della figura del Garante e la sua istituzione, in tempi brevissimi, in una realtà complessa come quella della Casa Circondariale di Monza".

La proposta, in concreto, cerca di trovare una soluzione alle difficili condizioni di vita dei detenuti della Casa Circondariale di Monza che hanno anche portato a un recente sciopero della fame. La struttura ospita circa 600 persone detenute (tra donne e uomini) e vive una situazione di sovraffollamento.

"Nel carcere ci sono stati detenuti che hanno dormito per terra, molte volte mancano gli elementari servizi igienici, come sapone, carta igienica, spazzolini" racconta l’assessore ai Servizi Sociali Gabriella Rossi del Comune di Monza. E questo nonostante le riconosciute capacità della nuova direttrice Rosalba Casella, ultima di una serie di avvicendamenti alla conduzione della casa circondariale brianzola.

Il seminario in realtà si inserisce nel ciclo di attività promosse dall’Assemblea dei sindaci Asl MI3. L’assemblea comprende 63 sindaci dell’area Monza-Brianza (circa un milione di abitanti), ed é presieduta dal sindaco di Mezzago Vittorio Pezzati.

L’organismo, nato il 26 settembre nel teatro della casa Circondariale di Monza, è firmatario di un documento guida sulle "Politiche sociali a favore delle persone detenute e/o sottoposte a misure restrittive della libertà - Linee guida", in cui sono indicate le competenze e potenzialità di intervento di ciascun Comune.

Bari: centro di permanenza temporanea pronto all’apertura

 

Redattore sociale, 4 giugno 2004

 

Il Centro di permanenza temporanea di Bari sta per essere consegnato - la sua apertura è prevista per i primi giorni dell’estate -, ma le manifestazioni delle realtà cittadine impegnate a difendere i diritti dei migranti non si fermano.

"Rifiutiamo la presenza di un centro di permanenza temporanea, benché previsto da una legge - sottolinea la rete "No Cpt" di Bari (tra gli altri, l’Arci, la Camera del lavoro di Bari, il Laboratorio della disobbedienza, i Missionari Comboniani) -.

Scanzano ha dimostrato che la presa di parola della gente può impedire l’attuazione di scelte legislative ingiuste. Non possiamo accettare che la nostra regione diventi una discarica anche di esseri umani". Le associazioni chiedono, a fronte delle condizioni di crescente precarietà del mercato del lavoro e di generale impoverimento della vita di tutti, che i cinque milioni di euro - tanto è costato il Cpt -, come segno di un radicale cambiamento di prospettiva in materia di politiche di welfare, siano invece ridistribuiti in forma di accesso a diritti primari, quali la casa, la salute, la socialità, il sapere, la mobilità e le forme di accoglienza.

"Chiediamo a tutti - sottolineano - una chiara espressione di contrarietà e di incompatibilità ai Cpt e alle leggi che li hanno istituiti, perché l’immigrazione non è un problema di ordine pubblico. Facciamo appello a tutti perché si manifesti e si sostengano le mobilitazioni contro ogni forma di esclusione, di limitazione della libertà e per una nuova idea di cittadinanza per tutte e tutti, per migranti e non".

Domani, sabato 5 giugno, è previsto un presidio davanti alla Prefettura, alle 18. Saranno presenti anche gli onorevoli Alba Sasso (Ds), Paolo Cento (Verdi), Maria Celeste Nardini (Rifondazione Comunista). Aderiscono anche Associazione 3 febbraio, Associazione per la pace, Cooperativa Un solo mondo Bari, Centro sociale Coppola Rossa, Consulta per la salute mentale, Cristiano Sociali, Fantarca, Finis Terrae onlus, Forum dei diritti, Forum 32, Giovani Comunisti, Giraffa onlus, Italia Giusta per la Costituzione, Mutua Studentesca, Psichiatria Democratica, Saro Wiwa, Servizio Civile Internazionale Bari, Società italiana di ecologia, psichiatria e salute mentale (sezione Puglia e Basilicata).

Drastica diminuzione domande d’asilo nel primo trimestre 2004

 

Redattore sociale, 4 giugno 2004

 

Le statistiche sulle richieste d’asilo per i paesi industrializzati per il primo trimestre di quest’anno, mostrano una drastica e progressiva diminuzione, già iniziata nel 2002.

Lo afferma l’Unhcr, secondo cui quasi tutti i paesi industrializzati e tutte le aree geografiche hanno visto un significativo calo nel numero delle richieste. Nell’intera Europa, il numero dei nuovi richiedenti asilo é diminuito del 18%. Nei 14 paesi dell’Unione Europea, il numero é sceso del 15% (i dati si riferiscono al periodo immediatamente precedente al recente allargamento dell’UE). Non sono disponibili dati per l’Italia. Nell’America del Nord, il numero è sceso dell’8%.

È la prima volta in molti anni - e sicuramente dal 1999, quando le statistiche iniziarono a essere compilate su base trimestrale - che il numero di richiedenti asilo nei paesi elencati é sceso sotto la quota 100.000 per trimestre. Solo sette dei 29 paesi considerati hanno visto una crescita a livello numerico.

Sempre per l’Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 marzo, un totale di 92.700 richieste sono state presentate nei 29 paesi industrializzati, facendo scendere la percentuale del 16% rispetto al trimestre precedente, quando i richiedenti asilo erano stati 110.600.

Il paese che ha ricevuto più richiedenti asilo é stato la Francia con 15.740 domande – ma questo stesso paese ha visto la percentuale scendere di 7 punti rispetto al trimestre precedente. Il secondo paese con il numero più alto di richieste é stato il Regno Unito, sceso del 20% con 10.590 richieste, seguito dalla Germania, scesa del 12% con 10.170 domande e dagli Stati Uniti, che hanno visto una diminuzione del 9% con un totale di 9.710 domande.

Tra gli altri paesi d’asilo, consistenti ribassi sono stati registrati in Svezia (scesa del 25% con 6.242 domande) e l’Austria (scesa del 24% con 5.920). Sostanziali diminuzioni sono state registrate anche in Belgio, Bulgaria, la Repubblica Ceca, Grecia, Norvegia, Polonia e Slovacchia.

I russi – la maggior parte dei quali ceceni - rimangono il gruppo con più richiedenti asilo con 7.508 richieste, malgrado anche questa cifra abbia visto una diminuzione del 26% rispetto al trimestre precedente. Gli afgani e gli iracheni – i due gruppi con più richiedenti asilo nel 2001 e nel 2002 – continuano a diminuire in maniera consistente arrivando a posizionarsi rispettivamente all’undicesimo e al dodicesimo posto.

In tutto, solo cinque delle prime quaranta nazionalità di richiedenti asilo ha realmente visto un aumento. Il numero degli algerini é aumentato del 30% con 2.626 richieste (cifra assimilabile ad uno terzo del numero degli algerini che sono andati in Francia), gli haitiani sono aumentati del 28% con 1.727 (quasi due terzi di loro sono andati negli Stati Uniti e un terzo in Francia) e gli Slovacchi hanno visto il numero aumentare del 109% con 1.052 domande d’asilo (la maggior parte dei quali vanno verso Finlandia, Belgio e Germania).

Forlì: detenuti e riabilitazione, firmato un protocollo

 

Corriere della Romagna, 4 giugno 2004

 

Il reinserimento e la riabilitazione delle persone "ospiti loro malgrado" del carcere, si arricchisce di un protocollo d’intesa. Un documento firmato martedì scorso da Provincia, forze del lavoro, carcere, Comuni e Ausl di Forlì e di Cesena e il terzo settore.Il Protocollo sancisce l’avvio di un patto di collaborazione tra tutte le forze sociali e produttive del territorio per sostenere le iniziative di riabilitazione e inserimento sociale e lavorativo di persone in esecuzione penale.

All’accordo si è arrivati dopo un anno e mezzo di lavoro sul progetto "Carcere e Territorio". Il percorso che ha portato alla firma del Protocollo, gestito dal Consorzio Téchne di Forlì - Cesena, ha coinvolto la totalità delle associazioni datoriali e sindacali dei territori forlivese e cesenate, le quali hanno partecipato ad alcuni incontri preliminari con la direzione del carcere di Forlì, i rappresentanti istituzionali, le Ausl, il terzo settore, oltre a Magistratura di sorveglianza, Questura e altre forze dell’ordine, Direzione provinciale del lavoro, Inps, Ordine degli avvocati.

Per sensibilizzare le imprese all’assunzione di detenuti è stato realizzato un vademecum informativo per le imprese, che sarà distribuito prossimamente su vasta scala ai datori di lavoro e rappresenta un primo concreto passo per dare avvio all’intesa del Protocollo.

Torino: manca il 30% del personale, gli agenti protestano

 

Torino Porter, 4 giugno 2004


"Il Piemonte è la regione italiana più penalizzata, quanto a organico della Polizia penitenziaria: manca il 30% del personale previsto. Nonostante ciò, il Piemonte crea meno problemi rispetto ad altre realtà grazie alla notevole professionalità degli agenti".

È quanto ha sottolineato il segretario nazionale dell’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma degli agenti di custodia, nel sit-it tenutosi venerdì mattina davanti alla sede della Regione, in piazza Castello, a cui hanno partecipato circa 150 agenti penitenziari.

Una delegazione è stata poi ricevuta dall’assessore regionale Mariangela Cotto. L’Assessore ha detto che la Regione si impegnerà a segnalare i gravi disagi evidenziati e la carenza di personale, oltre 1000 unità, al Ministro della Giustizia, Castelli. Cotto ha anche ricordato l’impegno della Regione che, recentemente, con un finanziamento di 600.000 euro, ha inserito 22 nuovi educatori nelle carceri piemontesi, per ovviare alla carenza di queste figure professionali all’interno degli istituti di pena.

Napoli: centri di rieducazione per i minori in ex case di boss


Ansa, 4 giugno 2004

 

Due immobili appartenuti a boss della camorra sono stati trasformati a Napoli in centri di reinserimento e di rieducazione per minori. La casa di esponenti della famiglia Giuliano, nel quartiere di Forcella, accoglierà il centro di aggregazione dell’associazione Prodos.

Nell’edificio del boss Misso, a Largo Donnaregina, nascerà una struttura per il reinserimento sociale e lavorativo di minori uscite dal carcere di Nisida.

Lecco: continua la protesta della polizia penitenziaria

 

La Provincia di Como, 4 giugno 2004

 

Disastrose le condizioni dell’organico della polizia penitenziaria comasca: annunciato dai sindacati di categoria un presidio di protesta domani mattina a Lecco in occasione del taglio del nastro del rinnovato carcere cui è atteso, alle 10.30, il ministro della Giustizia Roberto Castelli.

"Saremo a Lecco dalle 9 del mattino" precisa Giovanni Orrù del Sappe. E prosegue: "L’apertura del carcere di Lecco farà di fatto perdere al Bassone più di una ventina di agenti penitenziari così da 233 si resterà in 210.

Ma, in realtà, siamo sotto organico di un centinaio di persone: ogni giorno, al Bassone, siamo al massimo in 140 a far fronte ai tre quadranti orari. E, cosa pericolosissima, dalle 11.30 alle 13 il personale in servizio per la vigilanza cala del 50%".

Conclude Orrù: "A Lecco andremo a protestare contro l’amministrazione cieca e sorda: chiediamo un organico corretto per tutti gli istituti lombardi. A Lecco, poi, mancano ancora gli arredi e la cucina: i colleghi e i detenuti dovranno mangiare al sacco, una cosa vergognosa...".

In Commissione Cultura del Senato modifiche alla legge "Urbani"

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 4 giugno 2004

 

Verrebbe quasi da stupirsi per la velocità con cui il Senato ha presentato un disegno di legge per rimediare al pasticcio del decreto Urbani. Ancora più stupefacente sarebbe se, come si sussurra, la depenalizzazione dei download di materiale protetto da diritti d’autore avvenisse subito dopo le elezioni europee: significherebbe che la campagna di opinione contro le "manette al file sharing" non era, dopotutto, così campata in aria.

"Ma il download per uso personale non esiste", sbotta il direttore generale della Fimi (discografici), Enzo Mazza. Però il testo presentato dal presidente della commissione Beni culturali del Senato, Franco Asciutti (Forza Italia), prevede tre modifiche alla "Urbani", di cui una fondamentale: la sostituzione della dizione "per trarne profitto" con l’originaria "a fini di lucro" laddove si parla di sanzioni penali.

A rischiare il carcere, insomma, sarebbe chi scarica materiale protetto da Internet e poi lo vende, mentre l’utente "casalingo" rischierebbe al massimo una multa. Le altre due modifiche contenute nel testo riguardano l’abolizione del "bollino digitale" (una sorta di certificato che doveva garantire la provenienza lecita del materiale scaricato: inapplicabile) e della tassa del 3% sui dispositivi di masterizzazione.

Già in sede di approvazione della legge, un mese fa, lo stesso ministro Giuliano Urbani chiese al Senato di non ritardare ulteriormente il provvedimento promettendo che le modifiche sarebbero arrivate successivamente. Un pasticcio all’italiana: una legge che nasce "sbagliata" (per ammissione di chi la propone!) e che poi deve essere corretta. Ed il bello è che, con la proposta di modifica (la Commissione competente dovrebbe agire in sede deliberante, in modo da accorciare i tempi) si tornerebbe al dettato della 633/41, la legge sul diritto d’autore. Tanto rumore per nulla.

Vale infatti la pena ricordare che nell’ordinamento italiano la vendita di materiale duplicato abusivamente è già prevista come reato, mentre l’"uso personale" (ci sono al riguardo due sentenze illuminanti: una del Tribunale di Torino del 13 luglio 2000 e la seconda del Tribunale di Arezzo, del 18 marzo 2003) viene ritenuto un illecito amministrativo, quindi marginale. Con buona pace dei discografici, che vedono così sfumare un bel "regalo" da parte del legislatore.

Ma il punto è: sarebbe stato possibile far applicare la legge Urbani così come è oggi? Sicuramente no. Ed esiste un meccanismo con il quale è possibile controllare l’uso di Internet per prevenire le violazioni del diritto d’autore? No. È dunque velleitario pensare che una legge, per quanto pesante, sarebbe potuta servire come deterrente: passata la paura dei primi titoli di giornale, gli utenti si sarebbero dimenticati del suono lontano delle manette che tintinnano.

Però il problema rimane, perché il copyright serve a tutelare le opere dell’ingegno ed a far sì che gli autori mantengano i diritti di sfruttamento del loro lavoro (seppure per un periodo di tempo limitato): intaccare quel diritto vuol dire privare qualcuno di qualcosa che gli appartiene e che forse gli dà da vivere. Come si concilia la tutela delle "opere dell’ingegno" con l’avanzare delle tecnologie? In attesa che qualcuno tiri fuori dal cilindro una soluzione migliore, oggi la risposta sembra quella di limitare il copyright al solo sfruttamento commerciale.

Tornando al dibattito sulla legge Urbani, c’è da dire che la protesta del popolo della Rete ha colpito con un netstrike il sito del Ministero (www.beniculturali.it), ma anche quelli del Parlamento (www.parlamento.it) e della Siae (www.siae.it). Gli utenti non hanno fatto altro che collegarsi in massa a questi siti (dieci, cento, mille volte in pochi secondi) rendendoli di fatto irraggiungibili: chiamatelo pure girotondo virtuale.

Roma: produzione del Centro Europeo Teatro e Carcere

 

Ansa, 4 giugno 2004

 

La prigione come realtà e metafora, al tempo stesso, di internamento emotivo e psicologico. Temi, questi, che attraversano e riempiono di contenuti lo spettacolo "Il progetto di Bach e Mozart", in scena al Teatro Vascello di Roma dall’8 al 10 giugno.

L’allestimento teatrale, che porta la firma di Adriano Vianello, che ne cura la regia insieme a Donatella Massimilla, è la nuova produzione del Centro Europeo Teatro e Carcere, formato da un gruppo di artisti che si incontrano a partire da percorsi di formazione teatrale dentro e fuori il carcere.

Un progetto che parte dalla lunghissima esperienza della regista Massimilla: il lavoro di oltre dieci anni alla "Nave dei Folli", la compagnia storica del Carcere milanese di San Vittore, il suo lavoro teatrale nelle prigioni europee, la collaborazione con l’autore. Sul palcoscenico del Vascello due uomini, che si fanno chiamare Bach e Mozart, nomi di battaglia per due internati in una clinica psichiatrica, e la loro ostinazione nel perseguire un impossibile progetto di vita.

Bach, che vive in carrozzina, vorrebbe trasformarsi in un dio, Mozart in una donna, e insieme anelano a volare in cielo. Sono due casi senza speranza, dentro una storia che precipita a folle velocità verso un doppio finale a sorpresa. Sempre al Teatro Vascello, mercoledì 9 giugno, come ideale prosecuzione dello spettacolo teatrale, si svolgerà un convegno dal titolo "Arti e prigioni. Le pratiche dello spettacolo", per confrontare le esperienze dei molti operatori che in Italia e all’estero quotidianamente investono energie e risorse per offrire una possibilità di espressione e riscatto ai detenuti.

Milano: arbitri vanno in carcere "per capire cos’è una pena"

 

La Repubblica, 4 giugno 2004

 

Saranno felici i tifosi che, dopo certe direzioni di gara, hanno augurato all’arbitro di andare in galera. Perché in galera gli arbitri italiani, tutti e 37 quelli di serie A e B, ci sono andati davvero. A San Vittore, per una fitta serie di iniziative di solidarietà coi detenuti del carcere milanese, ma anche "per capire fino in fondo il percorso di dolore e sofferenza di chi espia una pena" per dirla col designatore Paolo Bergamo.

Una realtà già nota a due arbitri, Bolognino che insegna educazione fisica nelle carceri (compreso San Vittore, visto che è proprio di Milano), e De Santis, che fa l’ispettore penitenziario. Per tutti gli altri è una novità.

Così come una novità, nella storia del calcio italiano, è che un carcere ospiti il sorteggio degli arbitri, quello per la penultima giornata del campionato di serie B. Ma lo sport dei professionisti va in secondo piano: conta il contorno, contano le continue strette di mano e le richieste di autografi a cui gli arbitri non si sottraggono.

A monopolizzare l’attenzione è ovviamente, Collina: basta che metta naso e pelata sul campetto in sintetico del terzo raggio, che dalle celle che sorgono intorno si alzino grida e incitamenti, "Bravo, sei il migliore del mondo", "Pierluigi, mandaci tutti fuori". Qualcuno arriva a fargli autografare le foto dei bambini, e quasi Collina si mette a piangere commosso.

Al momento del sorteggio, nell’aula scolastica, c’è un piccolo strappo alla regola che vuole che sia un giornalista a estrarre i nomi: è Claudio, "condannato con pena definitiva", ad accoppiare Fiorentina-Torino a De Santis.

Quindi c’è un piccolo botta e risposta tra detenuti e arbitri. Prima domanda: la moviola in campo (risponde Bertini, un po’ imbarazzato: "Se cambiano la regola, ci adegueremo, ma sarebbe un mutamento radicale del calcio"). Seconda domanda: la sudditanza psicologica (risponde Rosetti: "Noi dobbiamo solo pensare a sbagliare il meno possibile, che è anche il modo per fare carriera"). Fine del dibattito, evidentemente condizionato dalla tv, l’unico collegamento vero col mondo qui. "Ma sembrava di essere da Biscardi" scherza un arbitro che chiede l’anonimato. E inizio del pranzo, altro momento di confronto, "commovente" lo definisce Trefoloni.

Dopo mangiato, si inizia a giocare. Prima in carcere, una partita a calcetto e una a pallavolo con le ospiti dell’ala femminile. Poi, a sera, fuori: all’Arena Gianni Brera va in scena il match Aia-Palla al piede. La squadra degli arbitri - Trefoloni in porta, Collina stopper, Bolognino a centrocampo e Rosetti e Paparesta punte - contro quella dei detenuti di San Vittore Bollate e Monza (rinforzati da ex giocatori come Ielpo, Bergomi, Monelli e Leonardo), per cui sono stati venduti diecimila biglietti, col ricavato a favore dell’adozione a distanza di bambini.

Per evitare conflitti di interessi arbitra un giornalista, Fabio Bianchi. "Ma gli faremo capire quant’è duro il nostro mestiere", promette Bergamo ridendo.

Milano: ad Opera un gol apre le porte dei "ragazzi dentro"

 

Avvenire, 4 giugno 2004

 

Il Free Opera Brera è l’unica squadra in Europa composta esclusivamente da detenuti iscritta a un regolare campionato dilettanti di Terza categoria. Ottenuta la promozione, ora vuole "evadere" e giocare fuori dal carcere le gare in trasferta: "Il pallone ci ha unito e insegnato il senso di responsabilità"

"L’ultima volta che ho pianto in vita mia, è stato quando ho visto giocare i ragazzi del Free Opera Brera...". Parola dell’azzurro Ivan Gennaro Gattuso, in arte "Ringhio". Uno di quei rari uomini della nostra serie A, molto più ricco dentro, rispetto al conto in banca del calciatore miliardario che senza indugi una mattina si è presentato alla Casa di Reclusione di Opera.

Solo per trascorrere qualche ora in compagnia di questa splendida squadra di "ragazzi dentro". La prima formazione in Europa composta interamente da detenuti, iscritta a un campionato dilettantistico (Terza categoria lombarda). Risultato finale della stagione: integrazione multietnica riuscita, secondo posto a un punto dalla prima, vittoria della Coppa Disciplina (durante l’intera stagione nessun espulso e un solo squalificato per somma di ammonizioni), promozione alla Seconda categoria.

Ma la vittoria più grande è stata quella contro il pregiudizio, di chi fuori dai cancelli di un carcere pensa che lì dentro viva un’umanità incatenata, senza scampo, praticamente già morta. Nulla di più falso. Basta entrare per capire, per sentire dalle loro voci e cogliere in ogni sguardo la volontà di riscatto. Occorre arrivare poi fino a quel campo di calcio, un lago bianco di ghiaia che sarebbe piaciuto tanto a Pasolini, dove finito l’allenamento di quei ragazzi di vita, scorrazza solitario il simpatico bastardino Fritz: il cane del direttore, Alberto Fragomeni.

Un crotonese, che da 24 anni vive recluso tra i reclusi: "perché il carcere - dice - lo devi vivere per dire di conoscerlo". Di calcio, prima di appassionarsi a questa squadra, non gli importava molto, troppo preso a marcare a uomo Renato Vallanzasca e tutte quelle esistenze evase che per lui non hanno alcuna ragione di scappare. "In tutti i penitenziari d’Italia - spiega convinto - se provassero a lasciare aperti i cancelli, sono sicuro che almeno il 90% dei detenuti non fuggirebbe".

Meglio stare qui, seduti ad ammirare le magie del fantasista Samir ( ex Under 21 della nazionale algerina) o le prodezze dell’albanese Hila. "È venuto Giovanni Bia del Parma - dice compiaciuto Fragomeni - e ha promesso che tornerà a settembre con la prima squadra per disputare una amichevole con noi. Io ho paura solo di una cosa: hanno visto giocare Hila e l’anno prossimo ce lo portano via...".

Che sia Hila l’erede di Gilardino? Ridono sotto la tribunetta i suoi compagni raccolti intorno a capitan Zacco, 33 anni, siciliano, occhi acquosi di influenza e un mare di rimpianti. "Da undici anni sono dentro - dice Zacco - e nessuno mi ha mai dato una possibilità prima di entrare a far parte di questa squadra che ha insegnato a tutti noi il senso di responsabilità".

Una squadra che per 90 minuti ogni settimana fa sognare i suoi 400-500 spettatori, in rappresentanza degli oltre 1.400 detenuti. Gli "abbonati" volontari, paradossalmente la curva più sportiva e meno violenta che esista: "Per dovere di ospitalità - ricorda Monka - spesso fischiano più noi che gli avversari".

Fedelissimi che alla domenica si accalcano alla rete di recinzione per vedere andare in gol il bomber, Cristian Denaro o le sgroppate sulla fascia del "terzino-poeta", Vladimiro Cislaghi, che alla solitudine dell’ala destra di turno che per ruolo è tenuto ad arrestare, preferisce i versi di Milo De Angelis, "Perché mi ha insegnato ad amare la poesia". Gioca un calcio di letteratura la Free Opera, costretta a scendere sempre sullo stesso campo, obbligata nelle mura amiche in cui per deroga della federazione disputa sia le gare casalinghe che quelle esterne.

Sarà così probabilmente anche la prossima stagione, ma la cosa non li turba più di tanto. "Certo - dice Zacco - avere la possibilità di uscire da Opera per le gare in trasferta sarebbe un ulteriore messaggio di apertura. Ma va bene anche così. L’unica cosa che ci dispiace è che per colpa di questa ghiaia non possiamo prenderci per mano e tuffarci davanti ai tifosi dopo una vittoria. Se lo facessimo ci accenderemmo come cerini...".

Un campo infuocato per tutti gli avversari che qui hanno lasciato punti e onore contro una formazione che all’inizio si pensava fosse solo di "rappresentanza" e invece ha imposto la sua invidiabile forza di gruppo. "Nemmeno noi sapevamo quanto fossimo forti - sostengono -. Forse l’esistenza limitata che uno fa in carcere ti porta a pensare che anche nel calcio avremmo avuto più i limiti le potenzialità. E invece....".

Invece hanno dimostrato di essere i più forti. E ora che il passaggio in seconda categoria è cosa fatta ci si può anche dimenticare di qualche calcione di troppo di cui portano ancora i segni sulle caviglie e anche di quell’arbitro che gli tolse la vittoria "fischiando un rigore scandaloso al 96’". Alla fine qui ha davvero vinto il calcio giocato e la voglia di stare insieme.

"Persone che prima magari neanche si salutavano nei padiglioni o pur vivendo nelle stesse celle - dice fiero Luigi Tammaro, l’accompagnatore -, adesso vengono qui al campo ad assistere alle gare. Soffrono con la squadra, e si abbracciano ad ogni gol. Questi ragazzi con le loro imprese trasmettono un senso di normalità e nelle loro vittorie si intravede uno spiraglio di libertà".

 

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