Luigi Pagano

 

"Dalla parte della vittima, ma anche del colpevole"

di Emilia Patruno

 

Famiglia Cristiana, 4 aprile 2004

 

Luigi Pagano, direttore del carcere di San Vittore: "Dalla parte della vittima, ma anche del colpevole"

 

VII° comandamento: non rubare

Luigi Pagano, avvocato, criminologo, direttore del carcere di San Vittore di Milano dal 1991, il settimo comandamento ce l’ha sotto gli occhi da 25 anni. "Il carcere non è l’osservatorio privilegiato per capire com’è cambiata l’interpretazione di questo comandamento, se non in negativo. Le stime dicono che gran parte dei furti non viene denunciata. Il comandamento infranto da questo osservatorio coincide con il reato, e questo è difficilmente accertabile, scappa alle definizioni".

 

E quindi...

"E quindi il furto potrebbe avere una connotazione classista: si pensa che il ladro rubi perché ha fame. E in genere è così, almeno dal punto di vista dell’autore del reato. Molti, poi, rubano piccoli oggetti, pochi spiccioli. Da una parte, questo denota la necessità. Dall’altra, una capacità criminale bassa. Significa che "dentro" ci stanno quelli che sono stati "beccati" e quindi sono tra i ladri meno capaci. Certo, visto dalla parte della vittima il furto è dirompente, perché ti senti violato. Cesare Beccaria considerava il furto come una trasgressione che deve far ripensare il sistema dei valori, soprattutto il diritto di proprietà. Sono cose che vanno abbinate".

 

Il furto non va punito?

"Ci mancherebbe! Ma prima dell’articolo 27 della Costituzione, che riguarda la pena, c’è l’articolo 3, che dice: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…".

 

Ma allora i ladri le sono "simpatici"?

"Paradossalmente, alcuni suscitano una certa ammirazione. Ci sono topi d’albergo, che io ho visto in azione, qui, salire sul tetto per protesta, con una capacità di arrampicamento fenomenale. Ci sono il "poveraccio" e chi si ingegna alla grande, e anche il ricco, più elegante, più raffinato, che però sempre ladro è. Bisogna vedere il contesto. C’è senza dubbio il furto che passa sotto silenzio e assume una dimensione sociale e poi politica. Anche ai tempi di Tangentopoli c’era qualcosa che poteva rientrare nel furto: la capacità di far saltare le regole della convivenza, della legalità; ma in quel caso le vittime non erano facilmente individuabili".

 

E l’impatto sulla vittima?

"Non si può dimenticare, certo. Il furto è uno sfregio alla persona, che colpisce e un po’ annienta. Di ladri, ne ricordo qualcuno in particolare. Per esempio: uno che ho conosciuto a Pianosa, un milanese molto fantasioso, un po’ sbruffone. A suo dire, "le più meravigliose" rapine, senza spargimento di sangue, s’intende, erano opera sua. Pure in carcere aveva cercato di truffare. Ma era molto abile manualmente e per questo era libero di andare in giro a riparare i guasti. Ma anche in quei casi combinava piccole truffe: danneggiava le cose per poi poterle aggiustare. Forse aveva bisogno di rendersi indispensabile".

 

Altri ricordi?

A Brescia c’erano due talenti criminali da film comico. Per esempio: rubavano una ruspa e imboccavano l’autostrada. Rubavano una partita di scarpe, ma solo le sinistre; in una salumeria, avevano preso i salami di plastica della vetrina. Uno era balbuziente. Quando doveva dire: "Questa è una rapina!", ci metteva mezz’ora. Folgorato dall’incontro con il "socio", era passato al furto; ma era un "ladro individuale", nel senso che rubava auto, biciclette, solamente per farsi un giretto. Era l’altro che lo trascinava. Parevano Totò e Peppino.

 

 

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