Carcere, se è questo la giustizia

 

Carcere, se è questo la giustizia

di Luciano Eusebi

 

Giornale di Brescia, 31 marzo 2004

 

 

Un libro-riflessione del cardinal Martini su colpa, pena e parola di Dio

 

Il rapporto con i detenuti ha costituito una costante nell’episcopato del cardinale Carlo Maria Martini, espressa da una fitta corrispondenza epistolare con molti di essi e da visite frequenti ai luoghi di reclusione. Ciò lo ha condotto a sviluppare un’ampia riflessione problematica sulla pena e sulle condizioni di vita in carcere, sia attraverso le parole che rivolge direttamente ai detenuti, sia attraverso testi destinati agli operatori penitenziari, ai cappellani o a convegni giuridici. L’insieme di tali contributi, raccolti nel volume "Non è giustizia. La colpa, il carcere e la parola di Dio", rivela una notevole organicità di analisi, intesa a promuovere forme nuove di risposta al reato, che superino la centralità del carcere e offerta come oggetto di meditazione alla coscienza di ciascun cittadino.

Non si tratta, dunque, di scritti i quali, preso atto dell’esistenza e del ruolo assolto di fatto dal carcere, si limitano all’incoraggiamento, o all’esortazione spirituale, verso chi sta subendo una condanna, oppure a sollecitare, in favore del detenuto, l’intervento di un assistenzialismo religioso acritico. Il percorso svolto dal cardinale Martini va invece al cuore del problema, interrogandosi su che cosa significhi agire davvero secondo giustizia, e fare prevenzione, anche di fronte alla lacerazione dei rapporti umani che in forma più o meno intensa può manifestarsi in un reato.

Ne deriva, mediata attraverso il confronto con il concetto biblico di giustizia salvifica, un’argomentazione politico-criminale assai penetrante, che nell’opera di un non giurista può sorprendere solo se si trascura come l’apertura al nuovo da parte del diritto penale non di rado, nel corso della storia, abbia trovato impulsi esterni ai suoi confini. Nel contempo, l’analisi critica proposta dal cardinale Martini circa le forme in cui tradizionalmente si esprime la giustizia penale risulta applicabile a comportamenti almeno in parte analoghi, che caratterizzano altri ambiti dei rapporti umani, non escluse l’economia, la politica e le relazioni fra gli Stati; il che si manifesta tanto più significativo con riguardo al continuo riproporsi, nel mondo, di logiche le quali mettono in conto la violenza, la ritorsione, la guerra. Più in particolare, i contributi del volume auspicano un profondo ripensamento degli strumenti sanzionatori in un settore, la prevenzione dei reati, troppo spesso soggetto a suggestioni emotive, sebbene al pari di pochi altri espressivo dei livelli di civiltà, ma anche di razionalità e moralità, caratterizzanti una data epoca storica.

Essi, pertanto, rappresentano altresì uno stimolo al dibattito nel momento in cui è avviato, in Italia, l’iter di riforma del codice penale. La riflessione etica e gli impulsi tratti dalla Sacra Scrittura si combinano su questa via, negli scritti del cardinale Martini, con i dati provenienti dalle competenze penalistiche e criminologiche, orientando, in sintesi, a un concetto di giustizia che prenda decisamente commiato dall’idea della ritorsione del male, idea che non può trovare avallo alcuno, si osserva, in riferimenti - antichi o moderni, ma sempre operati in senso strumentale - di ordine religioso.

Nelle pagine attraverso le quali il cardinale Martini affronta il problema della pena emergono due esigenze fondamentali: quella orientata a recuperare un approccio che potremmo definire pensoso - vale a dire non simbolico, ma razionale - in materia di prevenzione dei fatti illeciti; e quella parimenti orientata a recuperare il ruolo che dev’essere riconosciuto, non solo in termini formali, alla dignità umana di ciascuno dei soggetti coinvolti nel reato. E la sfida è data dal convincimento che tra le due dimensioni non vi è antinomia, ma continuità. La giustizia e un impegno serio in senso preventivo hanno a che fare, per il cardinale Martini, con una progettazione secondo il bene anche di fronte al male, con logiche di riparazione, di recupero, di corresponsabilità. Una giustizia, quella delineata, che sappia ricucire i rapporti piuttosto che reciderli, promuovere il consenso ai valori della convivenza civile, portare in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso, aprendosi a una nozione non banale di perdono. (Dall’Introduzione al volume "Non è giustizia. La colpa, il carcere e la parola di Dio", Mondadori 2003).

 

 

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