"Meals to die for"

 

"Meals to die for" (Pasti da morire)

 

Panorama, 2 aprile 2004

 

Per undici anni Brian Price è stato cuoco nel carcere di Huntsville ed ora, da ex detenuto, ha scritto un libro sull'ultimo pasto dei condannati a morte

 

Non molti possono raccontare di aver cucinato l'ultimo pasto di un condannato a morte: ma Brian Price detiene un primato, in questa categoria, essendo stato per undici anni lo "chef" del penitenziario texano di Huntsville, dove ha "servito" trecento detenuti del braccio della morte. Brian ha narrato la sua esperienza in un libro dal discutibile titolo "Meals to die for" (Pasti da morire), nel quale insegna a cucinare piatti come l'insalata di patate postuma, la zuppa di patate dell'autopsia o il chili con la scossa, in tre livelli di piccante, 5 mila, 10 mila e 20 mila volt, a seconda della quantità di peperoncino usato.  

Intervistato dal quotidiano britannico "Observer", lo chef del braccio della morte ha raccontato di aver trascorso 15 anni a Huntsville: era stato condannato nell'89 per violenza sessuale ai danni di una ex moglie. "Se non fossi stato detenuto per tanto tempo non avrei scritto il libro e non starei con la mia attuale moglie, non vivrei in un ranch di quattro ettari vicino al lago e non sarei il conduttore di un programma radiofonico", dichiara. "Dio è stato buono con me". In cella Brian ha incontrato Gesù, e una volta uscito e' andato a lavorare in una radio di ispirazione cristiana. Brian quando era fuori faceva il fotografo e lavorava saltuariamente come musicista: ma in carcere non c'e' molto bisogno di specialisti in questo campo, perciò gli dissero che doveva imparare a cucinare. 

"Ho fatto amicizia con un ragazzo gay che si chiamava Kerry Parrack e che era stato chef in un ristorante a quattro stelle di El Paso - racconta Brian. - Lo avevano soprannominato il Ratto, perché riusciva a portar via dalle cucine qualsiasi cosa. Una volta si legò col cellophane un barattolo da un chilo di burro di noccioline a una gamba e un barattolo di gelatina all'altra, e nessuno se ne accorse". "Mi insegnò le cose fondamentali e cominciai a cucinare ogni giorno per 1.800 detenuti: due anni dopo mi incaricarono di cucinare per quelli che stavano nel braccio della morte".  

Il menù dell'ultimo pasto di un condannato a morte viene abitualmente comunicato alla stampa dopo l'esecuzione: ma Brian Price rivela che non sempre quello che i morituri chiedono e' quello che effettivamente ottengono. "Il giornale locale dice sempre che hanno mangiato 24 tacos e 12 enchiladas, ma in realtà gli diamo quattro tacos e due enchiladas", spiega, riferendo che il suo primo "ultimo pasto" lo cucinò per un omicida, Laurence Buxton, che chiese un filetto ma ebbe una bistecca: Brian si commosse quando il condannato a morte gli mandò a dire che la cena gli era piaciuta molto. "Gli avevo dato un po' di gioia, per distrarlo un attimo prima dell'esecuzione. E' qualcosa che ti fa sentire piccolo e al tempo stesso ti da' da pensare, e da allora ho recitato una preghiera ogni volta che preparavo un ultimo pasto".  

A chi gli fa notare che nel suo libro c'e' qualcosa di morboso, Brian ribatte che e' il governo a fare una cosa morbosa, "quando incatena una persona per ammazzarla come un animale davanti a decine di testimoni". L'ultimo pasto più richiesto, in ogni caso, e' hamburger con patate fritte; quello più insolito gli fu chiesto da un condannato che voleva solo un barattolo di sottaceti. Price racconta poi che la prima donna a essere giustiziata in Texas dal 1863, Carla Faye Tucker, chiese due banane, quattro pesche, una prugna, un cetriolo e un'insalata mista: "Ma in realtà non toccò niente". Chiese invece due bistecche, ma si vide servire un hamburger, Kenneth MacDuff, condannato a morte per aver torturato e ucciso diverse persone, mentre l'unico per cui Price si rifiutò di cucinare fu un messicano, Leopoldo Narvaiz, che aveva ucciso quattro ragazze tra gli 11 e i 19 anni, tutte amiche di scuola della figlia del cuoco.  

L'ultimo pasto, rivela Brian, deve essere pronto per le 3 e 45 del pomeriggio: a quell'ora il cuoco sistema i piatti sul vassoio e li copre con un foglio di carta, "per rispetto, così nessuno può vedere cosa mangia il condannato". Una guardia prende il vassoio e attraversa il cortile per raggiungere l'ala nord orientale del carcere, in cui si trova la cella della morte. Il condannato mangia alle 4, e due ore dopo viene ucciso con una iniezione letale. "Dopo aver servito il pasto, facevo una doccia e tornavo in cella verso le 5 - racconta Brian. - Mi chiedevo perché quel tale avesse chiesto le cose che aveva chiesto, mi chiedevo che gli frullava per la testa, e fissavo l'orologio che ticchettava in un angolo. Le cinque e 55, le cinque e 56... A quell'ora l'avevano già legato al lettino e lui aveva pronunciato le sue ultime parole. Alle sei mi immaginavo la guardia che dava il segnale. Dalla mia cella avevo una buona visuale, vedevo ripartire il furgone nero delle pompe funebri".  

Una volta, confida Brian, un condannato a morte gli chiese di cucinargli la zuppa di fagioli che faceva sua madre quando era piccolo: "Era molto complicata, ci ho messo parecchio. Un altro detenuto, un vecchio nero che si chiamava Monroe, sentì l'odore e disse: Hmmm, fagioli, buoni, per chi sono? Io gli risposi: Sono per quello che ammazzano stasera. E lui: Allora niente da fare, non voglio i fagioli di un morto, ho già abbastanza guai per conto mio".

 

 

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