Rassegna stampa 5 agosto

 

Detenuti suicidi, Castelli minimizza: "In cella si muore, ma poco"

 

Il Manifesto, 5 agosto 2004

 

Sarebbero soltanto 55 - su una popolazione totale di oltre 54mila persone - i detenuti suicidatisi nelle carceri italiane lo scorso anno. Un dato - quello fornito ieri dal ministro della Giustizia - che Roberto Castelli sembra quasi considerare rassicurante. Rispetto ai 53 suicidi del 2002 - spiega infatti il ministro - "si può affermare che la situazione resta stabile". Anzi, aggiunge, possiamo registrare un gran passo avanti rispetto al 2001 quando i suicidi accertati furono ben 69. In definitiva, "ciò che si può affermare è che la frequenza dei suicidi all’interno del sistema penitenziario italiano si è fortemente attenuata".

Di più: dal confronto con l’Europa, l’Italia esce addirittura vincente. Il tasso di suicidio nelle nostre carceri - secondo il dicastero della giustizia - è di circa 10 detenuti su 10mila. Una "bazzecola" rispetto a Francia e Austria (24), Belgio (19), Danimarca (15), Irlanda e Inghilterra (14).

Ma i dati forniti dal ministero cozzano con quelli raccolti dall’associazione "A buon diritto" e pubblicati nel Secondo rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane. Così il presidente dell’associazione, Luigi Manconi, commenta le dichiarazioni di Castelli: "Innanzitutto contestiamo le cifre presentate dal ministro: nel 2002 i suicidi sono stati 57; 65 nel 2003 compresi due minorenni. In secondo luogo, numerosi decessi per avvelenamento da fornelletto avvenuti in cella vengono rubricati dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sotto la voce "overdose". Per non parlare di quanti tentano il suicidio in carcere per poi essere trasportati in ospedale: in caso di decesso, la loro morte è considerata "esterna"". E i dati - quelli che si vogliono ufficiali - ne risultano irrimediabilmente falsati.

Dal rapporto presentato da "A buon diritto", inoltre, si scopre che nelle carceri italiane ci si uccide circa 17 volte di più di quanto accada fuori dagli istituti di pena. E a decidere per la scelta estrema sono soprattutto giovani tra i 18 e i 25 anni. Il 25% di loro si suicida nei primi 6 giorni di detenzione, oltre il 51% nel corso del primo anno di pena.

"Che i morti suicidi siano 55 o 65 - afferma Patrizio Gonnella di Antigone - non cambia poi molto. Le cifre, comunque, non sono certo tranquillizzanti".

Che pena la sanità in carcere: meno farmaci, mezzi e medici

 

Il Manifesto, 5 agosto 2004

 

In pochi anni i fondi per il diritto alla salute nei penitenziari sono stati ridotti di oltre un terzo, mentre i detenuti sono più che raddoppiati e oggi sono circa 58 mila, su una capienza complessiva di 35 mila. E la riforma Bindi, approvata nel ‘98, rimane lettera morta.

Non vedo, non parlo, non sento. La gente non vede che la sanità in carcere è una condanna in più per i detenuti, lo stato non parla, non fornisce risposte istituzionali al problema, anzi, rincara la dose, e il detenuto non sente affatto i benefici di cure che non gli arrivano. Paese Italia, storia di una quotidiana gara al ribasso sulla pelle di chi sta male.

Le statistiche ufficiali dicono che i detenuti sono 53-54 mila. In realtà superano le 58 mila unità, su poco più di 35 mila posti disponibili. "Tutti lodano le retate fatte in continuazione. Ora le carceri sono piene di extracomunitari, drogati, prostitute, un sottobosco sfortunato che potrebbe fare altro. E che in carcere prende la sua bella patologia. Se gli va bende esce con l’epatite, se va male con l’Hiv".

Lo dice Francesco Ceraudo, presidente del Consiglio internazionale dei servizi medici penitenziari (Icpms) e dirigente sanitario della casa circondariale di Pisa. "Non chiedo più al carcere di migliorare la salute di chi sta dentro - dice Ceraudo - però pretenderei che non la peggiorasse. E invece non solo crea la malattia, ma la ingigantisce quando c’è già. Il carcere deprime gli anticorpi, induce stress, rende l’organismo più debole, a rischio tracollo.

Il risveglio della tubercolosi è un esempio di questo tipo di situazione". Tutto questo senza soldi, medici, medicine e strutture. E con una legge che c’è ma non viene fatta partire. Soldi. Tagli, tagli, tagli. Se la sanità penitenziaria fosse una minigonna, sarebbe indecente. Si è passati dai 230 miliardi di lire (più di 118 milioni e mezzo di euro) spesi per la sanità penitenziaria nel 1998 ai 78 milioni di euro del 2003.

Vuol dire un taglio del 35 e mezzo per cento, circa. Col piccolo problema che i detenuti invece sono aumentati. Anzi, sono più che raddoppiati, se è vero che nel 1990 le statistiche contano circa 26 mila detenuti. Il doppio della gente si cura con un terzo in meno di risorse. Vuol dire meno farmaci (-12%), apparecchiature (-10%), guardie mediche (-8,5%). E non finisce qui. I medicinali di fascia C sono a carico del detenuto.

Aspirina, tachipirina, antinfiammatori, antistaminici, sciroppi per la tosse. Ma voi ce lo vedete, ad esempio, un pachistano meno che 30enne dentro per piccoli furti che si compra qualcosa per la febbre? Un tossicodipendente, magari debilitato per fatti suoi, che tossisce sangue e si compra sciroppo? "Anche in carcere esiste una disparità forte tra ricchi e poveri. I ricchi sono quelli che hanno specialisti che vengono in carcere, medici e medicine".

Comunque sia, per le emergenze ci sono i medici penitenziari. Quelli "incaricati", cioè direttamente dipendenti del ministero della Giustizia - la sanità penitenziaria non dipende da quello della Salute - sono 350, a cui vanno aggiunti 1400 medici del servizio di guardia e 1200 specialisti. Che hanno davanti 58 mila potenziali malati, spesso in ambienti malsani e sovrappopolati. Tra loro 20 mila tossicodipendenti, 6500 sieropositivi, di cui 600 in aids conclamato, 9 mila disturbati mentali. Senza contare cardiopatici, alcol-dipendenti, persone con handicap fisici. E si tratta di dati sottostimati. Sono meno di un terzo i detenuti che fanno il test per l’Hiv.

 

Droga

 

Capitolo droga. In teoria, l’unica parte attuata con decreto di una legge scritta, approvata e mai applicata, firmata dall’allora ministro per la Sanità Rosy Bindi nel 1998. Questa legge stabilisce il passaggio della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello per la Sanità. Non se ne è mai fatto nulla. Una prima fase di sperimentazione si è conclusa nel 2001, con un fallimento. L’unico risultato concreto della legge Bindi è stato far entrare i Ser.T. (Servizi regionali per le tossicodipendenze) in carcere. A metà. Lo dice Giulio Starnini, direttore dello staff tecnico dell’ufficio sanità del ministero di Giustizia.

"I Ser.T. non coprono più del 60% dei detenuti che ne avrebbero bisogno. Dall’estate scorsa la competenza in materia di tossicodipendenza è passata tutta alle regioni. Però non c’è la minima chiarezza normativa, perciò si realizza tutto a metà. Le regioni sono preoccupate dall’aspetto finanziario, dall’assenza di fondi". Chi ne fa le spese, ovviamente, è l’anello debole di turno. Il detenuto. Così si creano situazioni al limite del grottesco, come quella del carcere romano di Regina Coeli: 421 tossicodipendenti e 42 alcol-dipendenti, in tutto 463 persone con problemi di dipendenza.

E un solo medico incaricato. Altro problema la somministrazione controllata di metadone, dato a bassissime percentuali. Su una cifra che oscilla tra i 20 e i 26 mila tossicodipendenti, risultano in trattamento con metadone in 5 mila. Gli altri o fanno il cosiddetto "trattamento in bianco", cioè attraversano le varie crisi d’astinenza, oppure si drogano. In carcere la droga non manca. Mancano le siringhe, e chiaramente attività di riduzione del danno, come lo scambio di siringhe, non sono neppure lontanamente concepibili. Fortuna che aiuta l’italica arte d’adattarsi: si usa un po’ di tutto, dalle siringhe di chissà chi alle penne bic.

Certo, così è un po’ più probabile contrarre infezioni, epatiti, trombosi. E aids. A proposito: la legge stabilisce categoricamente che un detenuto che abbia un Cd4 (cioè un livello di globuli bianchi che si abbassa al progredire dell’infezione) al di sotto della soglia dei 200, riscontrato in due esami successivi a 15 giorni di distanza, debba essere scarcerato. Ma non succede spesso. "Se è un ladro di polli - dice Francesco Ceraudo - con una condanna a due, tre mesi, va fuori. Se invece deve scontare una pena di un anno e mezzo, due, tre, allora la trafila si allunga. Ci sono almeno 1200, 1500 persone che dovrebbero andar fuori e invece stanno dentro".

 

La legge Bindi

 

C’era una volta, e c’è ancora, tanto tempo fa, per la precisione il 30 novembre del 1998, una legge firmata dall’allora ministro per la Salute Rosy Bindi. Questa legge stabiliva - stabilisce, all’articolo 5, "specifiche modalità per garantire il diritto alla salute delle persone detenute o internate mediante forme progressive di inserimento, con opportune sperimentazioni di modelli organizzativi anche eventualmente differenziati in relazione alle esigenze e alle realtà del territorio, all’interno del Servizio sanitario nazionale, di personale e di strutture sanitarie dell’amministrazione penitenziaria". In parole povere, sancisce il passaggio della sanità penitenziaria, che dipende dal ministero per la Giustizia, a quello della Sanità. La legge non è mai entrata in vigore. La fase "sperimentale" si è conclusa nel 2001, bollata dal giudizio negativo del comitato per il monitoraggio. Tutto da rifare. Chi la vuole e chi no.

Di Mauro: i medici penitenziari non vogliono essere controllati

 

Il Manifesto, 5 agosto 2004

 

"I medici penitenziari non vogliono il passaggio alla Sanità perché non vogliono poter essere controllati". Lillo Di Mauro è il combattivo presidente della Consulta permanente del Comune di Roma per i problemi penitenziari, che lotta da otto anni per il passaggio al ministero della Sanità, da quello della Giustizia, della medicina penitenziaria. Di Mauro, tra le altre cose, fa da anni l’operatore carcerario.

 

Di Mauro, perché è favorevole al passaggio della medicina penitenziaria al ministero della Salute?

Perché il ministero della Giustizia non ha le competenze necessarie per occuparsi di sanità. Ha pochissimo personale qualificato, già adesso è costretto ad affidarsi a consulenze esterne. I medici al servizio della Giustizia non sono assolutamente sufficienti alle esigenze di una popolazione in continuo aumento.

 

Ma c’è chi la legge Bindi proprio non la vuole.

Perché si preferisce gestire il carcere in maniera chiusa. Farci entrare le Asl vuol dire gestire e controllare l’operato del carcere. E il carcere non vuole controllo.

 

Perché voi invece, come Consulta permanente del comune di Roma, siete a favore?

Principalmente per tre motivi. Il primo è che la Sanità, per strumenti e professionalità, è l’unico ministero che possa occuparsene. Il secondo è che già adesso, se non ci fossero protocolli di intesa con le Asl, la sanità penitenziaria non funzionerebbe. E poi finalmente i detenuti sarebbero parificati ai liberi.

 

Cioè?

I detenuti non sono animali, sono persone che stanno male come tutti gli altri, e come tutti gli altri hanno bisogno di cure. Perché si preferisce gestire il carcere in maniera chiusa. Farci entrare le Asl vuol dire gestire e controllare l’operato del carcere. E il carcere non vuole controllo.

Ceraudo: il medico penitenziario non può dipendere da nessuno

 

Il Manifesto, 5 agosto 2004

 

Francesco Ceraudo mastica carcere da trent’anni. Direttore sanitario del carcere di Pisa da 25 anni, è il presidente dell’Icpms, il Consiglio internazionale dei servizi medici penitenziari, che si occupa di coordinare, informare e mantenere in rapporto realtà carcerarie internazionali. Ceraudo è contrario al trasferimento della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute, come prevede la riforma Bindi. A lui abbiamo rivolto qualche domanda.

 

Ceraudo, allora, la legge Bindi non le piace proprio. Come mai?

I principi ispiratori sono giusti, il resto no. Comunque è stata realizzata male perché nessuno ha chiesto il nostro parere. Io ad esempio sono contro il passaggio alle Aziende sanitarie locali (Asl) della competenza in materia di sanità penitenziaria.

 

Perché?

L’Asl è un’azienda, e come tutte le aziende ricerca il profitto. Il carcere invece è una specie di pozzo di San Patrizio, un mondo a cui non ci si può avvicinare con l’idea di guadagnarci su. E poi ci sarebbero anche problemi di competenze.

 

Si spieghi meglio.

In carcere esistono leggi scritte e non scritte. Tutti quelli che ora rispondono al direttore col passaggio alle Asl risponderebbero anche al direttore generale. E due galli in un unico pollaio sono destinati a beccarsi. Invece un medico penitenziario non può dipendere né dal ministero della Giustizia né da quello della Sanità. Deve essere un libero professionista, che ha come unico padrone la tutela della salute del suo paziente.

Sassari: morte di un detenuto a due passi dalla libertà

 

L’Unione Sarda, 5 agosto 2004

 

Morire di carcere a pochi giorni dalla libertà. Salvatore Tommasini, detenuto a San Sebastiano, è morto ieri mattina in un letto del Policlinico sassarese, dove era ricoverato per un intervento chirurgico a un occhio.

L’operazione era perfettamente riuscita, oggi Tommasini sarebbe stato dimesso, ma forse proprio il terrore di rientrare in cella lo ha ucciso. La sua reclusione aveva i giorni contati: gli era stata concessa la libertà anticipata, e fra un paio di settimane sarebbe stato un uomo libero. "Quando ha saputo che sarebbe ritornato in cella si è sentito subito male", raccontano i familiari "era molto agitato, e tremava all’idea di finire ancora dietro le sbarre". Ieri mattina, non è riuscito a superare l’ansia e la paura.

In carcere Tommasini entra cinque anni fa, condannato per avere inferto una coltellata contro la moglie dopo un litigio fra le mura domestiche. I suoi giorni a San Sebastiano sono una vera tortura, fisica e psicologica. Si ammala subito, "ma i medici del carcere non gli hanno mai creduto", denuncia la famiglia. Poco tempo dopo la condanna Salvatore Tommasini è operato d’urgenza per un ematoma al cervello.

Quindi un secondo intervento, perché il primo non ha ottenuto gli effetti sperati. Tommasini non si riprenderà mai del tutto, e la permanenza in carcere non fa che aggravare il suo stato di salute. Ha crisi continue, e alterna momenti di apparente lucidità a svenimenti, crisi epilettiche e malori insopportabili.

La reclusione prosegue, anche se i medici gli avevano diagnosticato una grave forma di "disturbo dell’adattamento, che tende a peggiorare ogni volta che fa rientro in carcere". La famiglia chiede un’infinità di volte un incontro con il direttore del carcere: "Non ci hanno mai risposto - denunciano i familiari -.

Dal carcere hanno sempre sostenuto che fosse solo un visionario nevrotico. Per questo non gli hanno mai somministrato le cure necessarie". Un’accusa grave, sostenuta anche dai Radicali Italiani, che da tempo chiedevano la scarcerazione di Tommasini.

Massa Carrara: "Il Pungiglione" dà lavoro a 10 detenuti ed ex

 

Redattore Sociale, 5 agosto 2004

 

Circa 1000 alveari, dai 350 ai 400 quintali di miele biologico ad annata, di acacia, castagno, millefiori. Siamo in Lunigiana - nel Comune di Mulazzo, provincia di Massa Carrara - all’estremo nord della Toscana, dove la cooperativa sociale "Il Pungiglione" gestisce l’intera filiera del miele, dalla costruzione degli alveari alla produzione e vendita.

E si avvale del prezioso lavoro di una decina di persone provenienti dal carcere, ex detenuti o detenuti che stanno scontando la pena e si trovano in affidamento sociale, in libertà vigilata o agli arresti domiciliari. Un progetto ampio, ambizioso, che unisce la ricchezza e la tipicità di una terra pregiata al tentativo di favorire l’inclusione sociale e lavorativa di persone a rischio di emarginazione.

"Il Pungiglione" fa parte del Consorzio "Condividere Papa Giovanni XXIII", che racchiude le cooperative promosse e sostenute dall’Associazione riminese Comunità Papa Giovanni XXIII. "Io e mia moglie, insieme ai miei figli, gestiamo da anni una casa famiglia, nel Comune di Mulazzo (Ms), - spiega Mauro Cavicchioli, responsabile del settore apicoltura - accogliendo soprattutto persone legate alla realtà del carcere.

Nel 2000 siamo riusciti a dar vita alla cooperativa sociale, partendo dalla necessità di fornire un’occupazione e un interesse ai nostri ospiti, 10-12 persone, in maggioranza uomini dai 30 anni in su, ma abbiamo con noi anche alcune ragazze che arrivano dalla strada. L’apicoltura nasce dalla storia di famiglia che io ho portato avanti, pensandola come risorsa per creare opportunità, educative e lavorative".

Gli alveari sono dislocati nei Comuni di Mulazzo, Villafranca Lunigiana, Filattiera, Pontremoli ed Aulla. Il progetto, cui Cavicchioli e la sua famiglia hanno dato la spinta iniziale, ha poi trovato l’appoggio e il sostegno economico degli enti di competenza della zona: i Comuni in cui sono collocati gli alveari, la Comunità Montana della Lunigiana, la Provincia di Massa Carrara, l’Asl 1 di Massa Carrara, i servizi sociali e territoriali e del carcere di Pontremoli, il Cssa di Massa, il Centro Igiene Mentale di Aulla e la Conferenza dei Sindaci.

"Siamo ancora in fase di completamento del progetto - precisa Cavicchioli - abbiamo dovuto investire molte risorse nell’acquisto di macchinari e strutture. Per il momento siamo in grado di offrire ai ragazzi ospitalità e opportunità di impegnarsi in un’iniziativa che cresce e sta dando soddisfazioni, con la prospettiva di creare veri e propri posti di lavoro".

Le attività prevedono varie fasi, da quella direttamente a contatto con le api - per avere sotto controllo anche lo stato di salute - a quella in laboratorio, dove viene portato il miele prelevato dagli alveari. Qui si procede attraverso una serie di operazioni fino all’invasettamento e alla commercializzazione del prodotto finito.

Nella falegnameria si producono alveari che raggiungono tutta l’Italia, è in cantiere il progetto di dar vita ad un nuovo laboratorio per la lavorazione della cera, e circa un mese fa il miele prodotto in questa zona ha ottenuto, unico in Italia, il marchio D.o.p. (denominazione di origine protetta). "Il Pungiglione non è solo quello delle api - aggiunge Cavicchioli - Vorremmo pungolare e stimolare le politiche sociali, pensando a quello che si può fare per chi ha più bisogno".

Varese: firme per il parco e contro nuovo carcere a Bizzozero

 

Varese Social Forum, 5 agosto 2004

 

Continuano le iniziative a sostegno della costituzione del parco e contro il nuovo carcere previsto nell’unica area verde disponibile nel quartiere di Bizzozero a Varese.

Sabato e Domenica scorsi abbiamo raccolto oltre 200 firme a sostegno della petizione che chiede di istituire un parco locale di interesse sovra-comunale nell’area interessata dalla variante urbanistica votata in consiglio comunale. Sono ormai più di 1.000 i cittadini del quartiere che hanno sottoscritto questa richiesta (sostenuta anche dal comune limitrofo di Gazzada che ha presentato un ricorso giudiziario contro la delibera della giunta di Varese) e la raccolta continuerà nei prossimi fine settimana in occasione della festa del quartiere.

Venerdì, sabato e domenica saremo presenti con il nostro banchetto, dalle ore 18.30 alle 23, durante la festa in Viale Borri (nell’area retrostante il supermercato GS - tanto per confermare come nella zona non vi siano spazi verdi disponibili).

Con la riforma Nordio meno carcere e più pene accessorie

 

Adnkronos, 5 agosto 2004

 

Meno carcere, al quale si ricorre come extrema ratio, più sanzioni interdittive e pene accessorie. Ergastolo confermato, ma solo per i casi più gravi. Mentre le pene pecuniarie vengono mantenute in vita soltanto per i reati di competenza del giudice di pace. Tra le cause che estinguono la pena entra il perdono giudiziale.

Sono alcune delle linee lungo le quali si muove il capitolo di modifiche al sistema sanzionatorio contenuto nella proposta di riforma del codice penale, messa nero su bianco per la parte generale dalla commissione ministeriale presieduta da Carlo Nordio.

Un lavoro al quale presto si affiancherà anche quello di riscrittura del codice di procedura penale: al ministero della Giustizia è stata istituita infatti una commissione che entro dicembre potrebbe avanzare la sua proposta per un ddl che riformi in modo organico il codice, tenendo conto soprattutto dei principi del giusto processo inseriti in Costituzione. Per il 13 settembre è fissata la prima riunione del gruppo di lavoro.

Reggio Calabria: Meduri "quali interventi per polizia penitenziaria?"

 

Quotidiano di Calabria, 5 agosto 2004

 

Il rafforzamento degli organici della polizia penitenziaria di Reggio Calabria e maggiori investimenti per attrezzature tecniche in dotazione "per rafforzare gli standard di sicurezza e la qualità del servizio all’interno dei locali istituti di pena" sono stati chiesti dal deputato Luigi Meduri, della Margherita, in una interrogazione al Ministro della Giustizia.

I sindacati della Polizia Penitenziaria di Reggio Calabria, ha sostenuto Meduri, "stanno protestando da settimane per il grave stato di disagio in cui si trovano a dover operare. Carenze di personale, turni con orari eccessivi, sistematico ricorso ad un abnorme straordinario incompatibile con le normali esigenze di un essere umano, sistemi di sicurezza inadeguati, attrezzature vecchie e insufficienti".

"Mentre nelle realtà locali come quella di Reggio Calabria si registrano questi disagi - ha proseguito Meduri - una Commissione istituita presso il Dap ha stilato una pianta organica dalla quale risulterebbero ben 500 esuberi. Si tratta di una situazione allarmante.

La chiusura di istituti penitenziari quali quello di Lamezia Terme e di Cosenza avrebbe indotto a pensare ad una riorganizzazione territoriale del personale in servizio assicurando quanto meno un rafforzamento nei servizi di traduzione detenuti e di piantonamento. Questo non è avvenuto e il personale è stato addirittura allocato in altre regioni.

Questa situazione desta allarme soprattutto sotto il punto di vista della sicurezza considerato che le strutture penitenziarie calabresi soffrono di un patologico e grave sovraffollamento". Meduri chiede quindi al Ministro "quali iniziative il governo intenda adottare per dare immediate risposte al personale della Polizia penitenziaria della provincia di Reggio Calabria"

Orvieto: maggiori cautele nel concedere permessi ai detenuti

 

Orvieto.it, 5 agosto 2004

 

Si fanno più fitte le maglie di sicurezza del carcere di Orvieto. Dopo il susseguirsi dei recenti fatti di cronaca che hanno fatto registrare ripetuti episodi di mancati rientri nella casa di reclusione di via Roma il direttore, Giuseppe Donato, annuncia la volontà di adottare, nei prossimi mesi, nuovi provvedimenti. Saranno ispirati a una maggior cautela nel concedere la possibilità ai detenuti di uscire dal carcere.

"È necessario correre ai ripari - spiega Donato - anche per non trasmettere una immagine del carcere fallimentare e sbagliata". Sono sette attualmente i detenuti che lavorano all’esterno e fanno ritorno all’interno dei cancelli di via Roma alla sera. Uno invece è in regime di semilibertà.

"La personalità di ogni detenuto è tenuta sotto costante osservazione grazie alla collaborazione di assistenti sociali e psicologi - spiega il direttore che ricopre l’incarico da 18 anni - ed è poi il tribunale, sulla base di queste perizie, che può decidere se concedere o meno eventuali agevolazioni di pena".

"La nostra è classificata come una casa di reclusione di media sicurezza - prosegue -. Accoglie, infatti, detenuti già condannati (a Orvieto lo sono il 95 per cento ndr) che per i reati commessi non sono particolarmente pericolosi sotto il profilo associativo".

Proviamo allora ad aprire i cancelli del carcere. La casa di via Roma, dentro, è una piccola città. Innanzitutto c’è da sgombrare il campo dalla leggenda metropolitana "dell’ora d’aria". I detenuti sono "liberi" fino alle 19. Quando sono "dentro" vivono all’interno di stanze - con bagni e tv - dai 3 ai 7 posti.

Le attività ricreative possono essere svolte nelle diverse strutture presenti all’interno del carcere: palestra, campetto da calcio, cinema e teatro. Una volta a settimana i detenuti possono ricevere la visita di familiari, o conviventi more uxorio. Prestano 40 ore settimanali di lavoro nelle officine meccaniche interne, le sartorie, i laboratori di ceramica e di falegnameria. Il committente è l’amministrazione carceraria anche se per il prossimo anno sono in corso contatti con alcune fabbriche esterne che gestiranno la produzione della falegnameria.

Qualcuno studia. Dentro le mura del carcere c’è una scuola elementare. "Oltre la metà dei detenuti sono stranieri - spiega Donato - molti sono analfabeti e moltissimi non sono arrivati a conseguire la licenza media. Quest’anno poi, grazie a una collaborazione esterna con l’Istituto statale d’arte, qualcuno si prepara alla maturità".

Salerno: rinviati i lavori alla Sezione Detenuti dell’Ospedale

 

La Città di Salerno, 5 agosto 2004

 

E’ polemica sui lavori per la ristrutturazione della sezione detenuti del "Ruggi". Il restyling della struttura, più volta finita nel mirino di sindacati per le gravi carenze che la caratterizzano, è stato infatti rinviato.

"Non si comprende se i motivi del rinvio siano da attribuirsi all’esigenza di una riprogettazione dei lavori - scrive Enzo Maddaloni della Uil in una nota indirizzata al direttore generale dell’azienda ospedaliera, Domenico Pirozzi - o alla indisponibilità dei fondi prima dati per disponibili (150.000 euro)". Il timore del sindacato è che il budget stanziato per la ristrutturazione dei locali della sezione detenuti possa invece essere stornato per altri interventi di manutenzione o di rifacimento. "Resta da capire i 150.000.00 euro che fine hanno fatto" scrive ancora Maddaloni, precisando che il Provveditorato delle carceri di Napoli aveva dato nulla osta ai lavori "previa modifica di alcune finestre dei bagni per una variazione della spesa preventivata e resa già disponibile dalla delibera".

Verona: interrogazione Valpiana (Prc) su situazione sanitaria

 

Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute

 

Per sapere - premesso che:

le Commissioni congiunte Affari Sociali e Giustizia della Camera dei deputati hanno deliberato un’indagine conoscitiva sulla salute penitenziaria per valutare lo stato del diritto alla salute tutelato dalla nostra Costituzione all’interno del mondo carcerario, anche in relazione alla riforma che avrebbe dovuto vedere il passaggio della competenza sanitaria dal ministero della giustizia a quello della salute;

in relazione al lavoro svolto nell’indagine conoscitiva, l’interrogante in base all’articolo 67 della legge n. 354 del 26 luglio 1975, ha effettuato una visita nella casa circondariale di Verona - Montorio, constatando una situazione igienico sanitaria gravissima;

in una struttura progettata per un numero di detenuti da 250 ad un massimo di 400 erano rinchiusi 665 detenuti, 63 detenute e 29 persone in regime di semilibertà;

tale situazione di sovraffollamento comporta, evidentemente, una serie di conseguenze drammatiche sia sul piano della vivibilità e dei rapporti interpersonali, sia della sicurezza, sia delle condizioni materiali di vita: a causa del consumo di acqua evidentemente superiore al dimensionamento previsto, per esempio, in questi caldi giorni di luglio l’erogazione di acqua subisce una sospensione di alcune ore giornaliere, generalmente dalle 14 alle 19;

le celle, costruite per ospitare un detenuto ciascuna, passati in un secondo tempo a due, ora ospitano tutte un terzo letto (a castello) con la conseguente riduzione degli spazi di vita, di quelli dei servizi igienici e della possibilità stessa di rimanere in piedi contemporaneamente, costringendo così anche durante le ore giornaliere a lunghe ore di ozio stesi sulle brande;

mentre i detenuti presenti in ogni sezione sono quindi passati da 50 a 75, a causa della mancanza di fondi, dopo i tagli contenuti nell’ultima finanziaria alle spese per la giustizia, i turni di pulizia affidati ai detenuti sono stati ridotti da sei ore a un ora e mezza quotidiana, con la prospettiva di una ulteriore riduzione a turni di mezz’ora, scelta che ha gravissime ripercussioni oltre che sul piano igienico sanitario, anche sulla possibilità di lavoro dei detenuti, che vedono così assottigliarsi le già magrissime possibilità di guadagno e di recupero insito nella possibilità stessa di essere impegnati in un lavoro anche se modesto e parziale;

inoltre sono ormai quasi del tutto esauriti i fondi a disposizione della direzione del carcere per le spese di manutenzione, da tempo del tutto assente, nonostante lo stabile e le strutture interne, usurate anche a causa del costante sovraffollamento ne avrebbero assoluto bisogno, come è dimostrato particolarmente dalla incivile e invivibile situazione in cui versano i locali delle docce, scrostati, ammuffiti, sporchi;

nei giorni scorsi, inoltre, i detenuti e il personale di polizia penitenziaria sono stati messi in forte allarme dal fatto che sono state prese nuove misure per poter inserire un eventuale terzo letto sopra ai due a castello, e paventano che possa iniziare ad arrivare un quarto detenuto per cella, cosa, a giudizio dell’interrogante, impensabile e inaccettabile anche dal punto di vista meramente fisico, vista l’incompenetrabilità dei corpi;

nelle scorse settimane si è verificato un caso di tubercolosi, tanto che l’intera popolazione carceraria e alcuni operatori sono stati sottoposti alle indagini mediche del caso, con la rilevazione di 260 positivi ai test che sono stati condotti ad effettuare controlli ed esami radiologici presso l’Azienda Ospedaliera di Verona, rilevando due casi "dubbi" e una decina in cui saranno necessarie ulteriori verifiche;

è evidente quanto si tratti di una situazione allarmante sul piano epidemiologico, e quanto la situazione di promiscuità della vita carceraria non possa lasciare tranquilli circa lo sviluppo di possibili ulteriori epidemie, ma tale vicenda pone anche interrogativi circa gli ingenti costi economici determinati da una simile situazione, sia sul piano dell’impiego di agenti per i trasferimenti all’ospedale, sia per i costi sanitari che, in assenza del completamento della prevista riforma della sanità penitenziaria gravano sul già sempre più ridotto bilancio del ministero della giustizia, sia per l’impatto sulla struttura ospedaliera pubblica che ha avuto notevoli difficoltà nell’affrontare un simile aggravio di lavoro;

altrettanto grave è la situazione in cui lavorano gli agenti di polizia penitenziaria e tutti gli altri operatori, con un organico sottodimensionato di almeno un centinaio di persone e con turni di lavoro massacranti, vista l’impossibilità di godere dei turni di riposo, delle ferie, e della retribuzione di molte ore di lavoro straordinario che oltrepassano il monte ore consentito; un solo agente gestisce nei reparti oltre 70 detenuti, con conseguente affaticamento eccessivo e turn-over di chi lavora nei reparti detentivi, il che spesso richiede la sostituzione in caso di assenza o malattia, da parte del personale impiegato negli uffici, nei quali, conseguentemente, si accumulano arretrati che vanno a scapito dei detenuti stessi;

d’altra parte, frequentemente, si verificano situazioni assolutamente impossibili, come la mancanza di carta e altro materiale di cancelleria, tanto che il personale stesso, dopo mesi di attesa, si è auto tassato per poter acquistare una stampante indispensabile per lavorare;

il numero degli educatori a fronte dell’aumentata popolazione carceraria è ancora di 4 unità, il che rende impossibile svolgere più del lavoro di ufficio, rendendo sempre più aleatoria la possibilità da parte dei detenuti di avere un colloquio;

risulta inoltre che nel periodo da giugno a fine settembre il magistrato di sorveglianza del carcere sia assente, e non sia stato nominato un sostituto, cosa che ha provocato l’annullamento di due udienze del tribunale di sorveglianza per impossibilità a costituire il collegio giudicante;

in una simile situazione - e molte altre carenze potrebbero essere elencate - appare evidente l’assoluta impossibilità di poter svolgere il compito rieducativo, riducendo l’istituzione carceraria a puro contenitore;

appare del tutto evidente come, in tale situazione, solo il buon senso e il senso di collaborazione tra detenuti e polizia penitenziaria consenta di sopravvivere senza che si verifichino manifestazioni di protesta e esasperazione.

 

chiede

 

come intenda intervenire per porre fine immediatamente a nuovi ingressi nel carcere di Montorio e come intenda migliorare le disumane condizioni di vita dei detenuti e del personale carcerario che condivide con i reclusi mancanze e rischi sanitari.

Reggio Calabria: interrogazione Meduri (Ulivo) su carenza personale

 

Al Ministro della giustizia

 

Per sapere, premesso che:

le organizzazioni sindacali della Polizia Penitenziaria di Reggio Calabria stanno protestando da settimane per il grave stato di disagio in cui si trovano a dover operare con carenze di personale, turni con orari eccessivi, sistematico ricorso ad un abnorme straordinario incompatibile con le normali esigenze di un essere umano, sistemi di sicurezza inadeguati, attrezzature vecchie e insufficienti;

mentre nelle realtà locali come quella di Reggio Calabria si registrano questi disagi una Commissione istituita presso il Dap ha stilato una pianta organica dalla quale risulterebbero ben 500 esuberi;

si tratta di una situazione allarmante;

la chiusura di istituti penitenziari quali quello di Lamezia Terme e di Cosenza avrebbe indotto a pensare ad una riorganizzazione territoriale del personale in servizio assicurando quanto meno un rafforzamento nei servizi di traduzione dei detenuti e di piantonamento;

questo non è avvenuto e il personale è stato addirittura allocato in altre regioni;

questa situazione desta allarme soprattutto sotto il punto di vista della sicurezza considerato che le strutture penitenziarie calabresi soffrono di un patologico e grave sovraffollamento.

 

chiede

 

quali iniziative il Governo intenda adottare per dare immediate risposte al personale della Polizia Penitenziaria della provincia di Reggio Calabria assicurando un rafforzamento degli organici e maggiori investimenti per attrezzature tecniche in dotazione per rafforzare gli standard di sicurezza e la qualità del servizio all’interno dei locali istituti di pena.

Napoli: interrogazione Bulgarelli (Verdi) su Roberto Nicolosi

 

Al Ministro della giustizia

 

Per sapere - premesso che:

l’interrogante ha illustrato in una precedente interrogazione 4/10291 la vicenda del detenuto Roberto Nicolosi che, secondo testimonianze di numerosi suoi compagni, risulta abbia subìto due violenti pestaggi nel carcere di Nuoro per opera di un brigadiere in servizio presso l’istituto di pena;

il Nicolosi è ora detenuto nel carcere di Poggioreale, Napoli, e ha indirizzato una lettera all’interrogante in cui afferma di essere stato oggetto di minacce di morte da parte di elementi della direzione del carcere e di temere per la sua incolumità.

 

chiede

 

se voglia predisporre le opportune indagini per accertare la veridicità delle affermazioni del Nicolosi e individuare gli eventuali responsabili delle minacce riferite da quest’ultimo.

Napoli: interrogazione Meduri (Verdi) su Francesco Racco

 

Al Ministro della giustizia

 

Per sapere - premesso che:

Racco Francesco è deceduto lo scorso 13 luglio 2004 presso il centro clinico di Secondigliano nel quale era detenuto;

il Racco scontava la pena di dieci anni per una sentenza passata in giudicato irrogatagli dalla corte di assise di appello di Reggio Calabria per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e di associazione a delinquere finalizzata alla commercializzazione di sostanze stupefacenti;

Racco era interessato da una grave patologia renale ed era costretto a continue dialisi;

il Racco dapprima detenuto presso la casa circondariale di Locri è poi stato trasferito presso il centro di Secondigliano perché lì avrebbe potuto usufruire delle necessarie cure;

nonostante l’evidente stato precario della salute del Racco non veniva lui riconosciuta la compatibilità tra condizioni di salute e status carcerario dall’Ufficio di Sorveglianza di Secondigliano;

il caso del Racco conclusosi tragicamente riporta alla luce il grave stato del nostro sistema carcerario;

nel Paese di Beccaria simili storie non possono verificarsi;

l’esecuzione della pena non può tradursi in un maltrattamento del detenuto contraddicendo la funzione stessa della pena ai sensi della nostra Carta Costituzionale;

il diritto alla salute deve essere riconosciuto e tutelato anche all’interno delle strutture detentive;

i continui tagli alle risorse destinate alla sanità penitenziaria e la mancata applicazione del decreto legislativo Bindi n° 230 del 1999 costituiscono un aggravamento della difficile situazione all’interno delle carceri che pongono a rischio sia i detenuti sia gli operatori tutti;

presso le Commissioni affari sociali e giustizia della Camera è in corso una indagine conoscitiva sullo stato della sanità penitenziaria in Italia;

dai resoconti delle audizioni emerge un quadro assolutamente drammatico soprattutto in merito ai detenuti interessati da alcune patologie infettive in particolare affetti da Aids.

 

chiede

 

quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza per fronteggiare l’emergenza sanitaria all’interno delle carceri nel nostro paese; quali risorse intenda assicurare alla sanità penitenziaria a partire dalla prossima finanziaria per evitare che casi tragici come quello del Racco possano verificarsi nella indifferenza delle istituzioni responsabili.

 

 

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