Rassegna stampa 18 agosto

 

"Detenuto in attesa di giudizio", articolo di Andrea Fabozzi

 

Il Manifesto, 18 agosto 2004

 

Se il suicidio è una richiesta d’aiuto, potevamo sperare in un supplemento d’intelligenza, quando non di rispetto, invece della consueta zuffa politica che approfitta ma poi se ne frega del cadavere del sindaco di Roccaraso. Invece come personaggi di un autore senza fantasia, i maggiorenti della maggioranza azzannano i magistrati (di Sulmona) e minacciano nuove manovre a tenaglia contro la magistratura (d’Italia).

I maggiorenti della minoranza, intanto, in maggioranza tacciono. L’imbarazzo si comprende. Perché ormai le parti sono assegnate e la destra ha preso quella dei garantisti, per applicarla poi alla difesa di un solo uomo. Eppure bisognerebbe provare a forzare lo schema, anche davanti al mistero di una morte che forse è stata l’ultimo atto di un colpevole, forse la denuncia di un innocente. Importa poco, ormai. Importa molto guardare al cuore del "caso" giustizia di cui, a dispetto di centinaia di ore di discussione in parlamento e più spesso fuori, e contrariamente a quanto può sembrare al pubblico del telegiornale, si parla poco o nulla.

Il nostro è ancora il paese in cui il 36% dei detenuti è in attesa di giudizio. Più di uno su tre, e sono dati elaborati dai radicali pochi giorni fa: la situazione nell’ultimo anno è persino migliorata. Qui sta il guaio di un paese che dovrebbe discutere di sistemi alternativi al carcere e invece si trova davanti alla questione elementare di non tenere in galera chi è ancora considerato innocente. Non una delle rumorosissime "riforme" imposte dai garantisti del centrodestra in questa legislatura ha affrontato il problema: non la Cirami, non il lodo Schifani, non la legge sulle rogatorie. E nemmeno la riforma Castelli che è ancora in discussione e che al contrario allungherà i tempi dei processi peggiorando la situazione.

Ma non è di una riforma che l’istituto della custodia cautelare ha bisogno. È una misura prevista dalla Costituzione, dove da una parte si definisce ogni imputato innocente fino alla condanna definitiva e dall’altra si legittima la carcerazione preventiva ma in maniera limitata. Così sono solo tre i casi previsti dal codice in cui si può arrestare prima di una condanna, in più serve il parere favorevole di un giudice e infine resta aperta la possibilità di ricorrere in Cassazione.

E poi che riforma potrebbero proporre questo governo e questa maggioranza di garantisti? C’è bisogno di ricordare l’esultanza davanti alla messe di carcerazioni preventive per il G8? O la legge Bossi-Fini dove non solo la carcerazione ma soprattutto l’espulsione viene anteposta al giudizio? Non è un caso che gli spiriti animali vengano poi fuori, e il ministro leghista possa commentare il suicidio di Sulmona dicendo che ci sono già abbastanza assassini e delinquenti in libera circolazione.

È opinione diffusa che durante gli anni di Tangentopoli i magistrati abbiano abusato della custodia cautelare, facendone uno strumento di pressione per ottenere le confessioni. Non è vero, rispondono sempre i magistrati di Mani pulite: la durata della carcerazione preventiva nei nostri processi è inferiore alla media. Ma la risposta, purtroppo, in una situazione come quella italiana non prova nulla. Se la legge è buona, l’applicazione che ne si fa è spesso pessima. Il Pm chiede il carcere preventivo troppo spesso e il giudice troppo spesso acconsente, quando ci sono sistemi alternativi - gli arresti domiciliari - che per esempio nel caso in questione potevano servire allo scopo.

E tuttavia, se esiste un problema nel rapporto tra Pm e giudice, e in alcuni casi esiste, non è però togliendo il Pm dalla cultura della giurisdizione e trasformandolo in un super poliziotto che lo si risolve. Sono altre le riforma da fare, e già pronte. Perché quando la politica volle affrancarsi dalla famosa "supplenza" della magistratura riuscì persino a varare una commissione parlamentare anticorruzione, che elaborò una mezza dozzina di proposte di legge per moralizzare la vita pubblica. Sono passati sette anni e sono ancora lì.

Sulmona: tante domande per un suicidio

 

Panorama, 18 agosto 2004

 

Istigazione al suicidio è l’accusa, estremamente labile da dimostrare, ipotizzato, peraltro contro ignoti, dopo la morte in carcere del sindaco di Roccaraso. Vogliamo scommettere che finirà nel nulla? Normale che il Pm titolare - il primo di una lunga sfilza - in piena estate disponga l’arresto di una persona e poi se ne vada in aspettativa all’estero per un anno? Normale che altri tre magistrati della stessa procura, tra i quali il procuratore capo, siano sfiorati da indagini per favoritismi o per conflitti d’interesse? E perché la maggior parte dei suicidi in carcere avvenga a ridosso dell’estate, coinvolgendo soprattutto i detenuti in attesa di giudizio?

"Istigazione al suicidio": è questo il reato ipotizzato, peraltro contro ignoti, dopo la morte in carcere del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini. La storia è ormai nota: Valentini, a capo di una giunta di centrosinistra, era finito il 13 agosto nel carcere di Sulmona con l’accusa di concussione.

Il 16 si è tolto la vita infilandosi un sacchetto in testa e stringendosi intorno al collo i lacci delle scarpe da ginnastica.

Istigazione al suicidio è un’accusa estremamente labile da dimostrare, tanto più se come adesso coinvolge oltre 30 persone, tra magistrati e altro personale della procura di Sulmona. Vogliamo scommettere che finirà nel nulla? Del resto i precedenti non mancano, dal caso di Enzo Tortora al suicidio analogo del presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari.

Vicende tutte diverse (quello di Tortora fu al tempo stesso un clamoroso errore e una persecuzione giudiziaria, per la quale non pagò nessuno), ma accomunate da un elemento: la sostanziale irresponsabilità formale dei Pm, cioè dei magistrati inquirenti che richiedono il carcere, accompagnata da un’analoga discutibile sensibilità personale.

Occorre pesare bene le parole. Ma è sconcertante che Maria Teresa Leacche, la prima della sfilza di Pm che hanno seguito il caso Valentini, il 17 luglio abbia firmato la richiesta di arresto e subito dopo sia partita per gli Usa, in aspettativa familiare, dove ha intenzione di trattenersi almeno un anno assieme al marito, funzionario del Fondo monetario internazionale. La Pm era andata ad arredare un appartamento affittato a Washington.

Ora, riferisce il marito "è sconvolta ma rifarebbe tutto". Come si possa in piena estate disporre l’arresto di una persona e poi andarsene in aspettativa all’estero per un anno, è un po’ difficile da capire.

Anche perché la Procura e il carcere di Sulmona non sono luoghi qualsiasi. Come ha scritto Panorama, la Procura appare una specie di grand hotel: gente che va, gente che viene. Dopo la Leacche l’inchiesta è stata affidata a un altro sostituto, il quale il 17 luglio, a suicidio avvenuto, è a sua volta andato in ferie. Lo rimpiazza un terzo magistrato che dovrà contemporaneamente indagare sui reati addebitati a Valentini e sulle eventuali manchevolezze dei colleghi.

In mezzo a tutti loro, c’è il Gip che ha firmato l’ordine di arresto: rientrato in anticipo dalle ferie per sostituire un collega assente, ha esaminato le carte dei Pm e, sulla base di quelle, ha agito. Ora si è chiuso in casa proclamando di aver fatto solo il proprio dovere, e alla sua sincerità bisogna credere.

Il Consiglio superiore della Magistratura, sul cui tavolo il caso finirà per approdare, giudicherà normale tutto questo? Normale che altri tre magistrati della stessa procura, tra i quali il procuratore capo, siano sfiorati da indagini per favoritismi o per conflitti d’interesse? Ma c’è un aspetto più generale. Il numero di detenuti nelle carceri italiani ha raggiunto i 57 mila, 13 mila in più della "soglia di tollerabilità" individuata dal ministero della Giustizia.

I suicidi in carcere oscillano tra i 53 e i 65 a seconda delle fonti (anche qui: possibile che in luoghi "vigilati" per definizione non si possano avere statistiche certe?), la maggior parte di questi avviene d’estate o a ridosso dell’estate, e soprattutto coinvolge i detenuti in attesa di giudizio.

I quali hanno la sensazione che li si tenga dentro per ottenere delle confessioni, sensazione acuita dal caldo, dalle condizioni igieniche e ambientali al limite, dalle ferie e dalle assenze dei magistrati inquirenti.

Sono anni che si parla di questi problemi, anni che non vengono risolti. Quando Tangentopoli investì la vecchia classe dirigente della Dc e del Psi, la sinistra rifiutò di affrontarli.

Oggi che tocca a un amministratore di sinistra, il centrodestra parte all’attacco, mentre c’è incertezza nell’Ulivo (neppure questa è una novità). Vannino Chiti, coordinatore dei Ds ed ex presidente della regione Toscana, accusa: "Il carcere preventivo non può essere usato come strumento di confessione". È per ora una voce minoritaria.

Autorevoli esponenti della sinistra e della magistratura, da Anna Finocchiaro a Giuliano Pisapia, fino a Saverio Borrelli, l’ex capo del pool di Milano, sottolineano che il codice è già sufficientemente garantista.

Forse il codice è garantista, di certo non è garantista una pratica quotidiana che permette suicidi come quello del sindaco di Roccaraso. Né possono definirsi garantisti comportamenti come quelli dei magistrati che indagano sulle tangenti Enipower, che hanno già annunciato di voler "fare impallidire Tangentopoli". Come al solito, abbiamo leggi e regolamenti sulla carta quasi perfetti. Il problema è il passaggio dalla teoria alla pratica, dai codicilli alle persone, al loro protagonismo o alla loro burocratica leggerezza.

Un affare che non può essere lasciata né alla sinistra né alla destra: i diritti dei cittadini dovrebbero essere o un tema condiviso, oppure riguardare la libertà di coscienza dagli schieramenti.

Sulmona: ipotesi di reato: "induzione al suicidio"

 

Il Messagero, 18 agosto 2004

 

Il fascicolo. Secondo quanto si apprende nel fascicolo d’inchiesta c’è l’ipotesi di "istigazione o aiuto al suicidio", reato punito dall’articolo 580 del codice penale. Un accusa grave, ma che rientrerebbe comunque in una normale prassi adottata anche in precedenti casi di suicidio avvenuti all’interno dell’istituto di pena di Sulmona. E per ora va ricordato il fascicolo aperto sulla vicenda di Valentini resta "contro ignoti".

Il nuovo pm. Si chiama Simonetta Ciccarelli, viene dalla Procura dell’Aquila, e ha preso servizio nell’ufficio di Sulmona per un periodo di applicazione deciso dal procuratore generale presso la Corte d’Appello, Bruno Paolo Amicarelli. A firmare invece la richiesta di custodia cautelare nei confronti di Valentini, lo scorso 17 luglio, era stata invece Maria Teresa Leacche, ora in aspettativa per un anno.

Situazione di transitorietà. E sempre più caos nella gestione degli intricatissimi faldoni sulle irregolarità amministrativa di Roccaraso: lo stesso capo della Procura sulmonese, Giovanni Melogli, risulta anche lui indagato per una vicenda relativa all’assunzione di un vigile urbano (la posizione del magistrato è stata stralciata e trasmessa per competenza a Campobasso). Su questo, però, oggi è giunta la precisazione dello stesso Melogli: "Sono stato indagato per un fatto del tutto estraneo alle vicende giudiziarie in cui Valentini era indagato. Il problema è nato da una telefonata fatta dalla mia convivente, di cui io non sapevo nemmeno l’esistenza. Le indagini portate avanti dalla procura generale dell’Aquila hanno confermato che io nella storia non c’entravo niente".

Il caso arriva al Csm. Il suicidio del sindaco finisce al Consiglio Superiore della Magistratura. Il consigliere Nicola Buccicco, della Casa delle Libertà annuncia che domani inoltrerà la richiesta di aprire una pratica per valutare "comportamenti e condotte" del pm e del gip che hanno, rispettivamente, richiesto e convalidato l’ arresto del sindaco di Roccaraso. Buccicco ha definito un "comportamento imprudente" la circostanza che a Valentini siano stati lasciati dagli agenti penitenziari del carcere di Sulmona i lacci delle scarpe".

Le polemiche politiche. E, mentre l’autopsia ha confermato che la morte è stata provocata da soffocamento tramite un sacchetto di plastica calato sul capo, non si placano le polemiche politiche: oggi è intervenuto il vicepresidente forzista della Camera, Alfredo Biondi: "La vicenda del suicidio del sindaco di Roccaraso è un’altra tragedia giudiziaria che si basa sulla "galera anticipata" all’insegna del "prima ti arresto poi ti interrogo".

Suicidio sindaco: domani ispettori nel carcere di Sulmona

 

Agi, 18 agosto 2004

 

L’ispezione ministeriale nel supercarcere di Sulmona comincerà domani. Lo ha detto il magistrato applicato alla Procura di Sulmona, Romolo Como, al termine della riunione che si è svolta oggi negli uffici giudiziari.

La riunione è servita a chiarire alcuni aspetti relativi al suicidio del sindaco di Roccaraso. I lacci per chiudere la busta di plastica intorno al collo e uccidersi, Camillo Valentini, li avrebbe sfilati dalle scarpe da tennis con cui è entrato lunedì scorso nel supercarcere di Sulmona. L’elemento è stato confermato nel vertice che si è tenuto questa mattina in procura e al quale hanno partecipato i magistrati titolari dell’inchiesta sul suicidio del sindaco di Roccaraso e il direttore del carcere Domenico Siciliano. I lacci delle scarpe vanno tolti ai detenuti instabili psicologicamente o depressi.

Non è stato ancora chiarito se Valentini, il giorno in cui è finito in carcere, ha avuto l’incontro con lo psicologo che presta servizio nella struttura. Un altro elemento che sarebbe stato chiarito nel corso del vertice riguarda la busta di plastica che Valentini si è infilato in testa. Conteneva, è emerso, gli indumenti intimi del detenuto. Resta da chiarire, anche, se Valentini sia morto nel carcere o durante il trasporto in ospedale.

La riunione di magistrati, alla quale non hanno partecipato Maria Teresa Leacche, che ha richiesto l’ordine di arresto di Valentini, e Salvatore Campochiaro, applicato a Sulmona in sostituzione di Leacche, ha affrontato anche il nodo dell’inchiesta sugli appalti per i mondiali di sci. Sono otto faldoni e migliaia di pagine "da vedere con calma", si è limitato a dire il sostituto procuratore applicato a Sulmona, Romolo Como. Como ha anche ridimensionato la natura della riunione di oggi a Sulmona. "Sono venuto solamente - ha spiegato - per firmare il verbale di possesso dell’incarico".

Pisapia: "Giusto indignarsi, ma la destra lo fa a senso unico"

 

L’Unità, 18 agosto 2004

 

Avvocato Pisapia, il suicidio del sindaco Valentini poteva essere evitato?

"Nel caso specifico è difficile dare un giudizio perché gli atti sono coperti dal segreto. Certo è che le norme sono, giustamente, molto garantiste. In modo sempre più netto dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, ogni modifica è tesa a rendere la custodia cautelare in carcere una misura estrema. Il testo dell’art. 275 è chiaro: "quando ogni altra misura risulti inadeguata". Oltre a gravi indizi di colpevolezza servono effettive e non teoriche esigenze cautelari".

 

Sotto accusa sono i magistrati: l’arresto estivo di una persona pubblica e "radicata" in città - è la tesi - non era la tappa cruciale di un’inchiesta bensì un atto volto a strappare la confessione.

"È sbagliato l’attacco generalizzato alla magistratura, ma una riflessione è opportuna. Ritengo l’arresto eccessivo nei confronti di una persona incensurata, già dimessasi dalla carica, coinvolta in un’inchiesta che prosegue da anni corredata di prove documentali. Se si voleva impedire che il sindaco avesse contatti con altri indagati o inquinasse le prove, sarebbero stati sufficienti gli arresti domiciliari magari con stacco del telefono. Credo si potesse evitare una misura così drastica evitando anche una scelta irreversibile".

 

An vuole abolire la carcerazione preventiva. Serve una riforma delle misure cautelari?

"No: leggi da cambiare non ce ne sono. Le norme sono garantiste, è impossibile trovarne di migliori che contemperino le esigenze processuali con quelle di tutela della dignità della persona. Sarebbe sbagliato toccarle sull’onda emotiva di una tragedia. Ma nell’applicazione concreta ci sono eccessi e serve un confronto tra operatori del diritto. Colpisce però che il centrodestra reagisca solo quando questi fatti tragici riguardano politici, imprenditori o personaggi noti, mentre ogni giorno si suicidano poveri cristi in ogni carcere d’Italia".

 

Lei auspica una riflessione nei magistrati. Intanto i laici del Csm chiedono l’apertura di un’inchiesta per accertare le responsabilità. È un segnale?

"Tutti gli accertamenti sono giusti, ma più che la volontà punitiva verso il singolo magistrato serve una discussione più ampia su una questione che riguarda tanti poveretti. L’impressione è che ancora troppo spesso il ricorso alla carcerazione preventiva sia usato come un’anticipazione della pena, contro il principio di non colpevolezza, o come strumento coercitivo per ottenere confessioni o chiamate di correità".

 

Il regolamento del carcere di Sulmona consente ai detenuti di tenere i lacci delle scarpe, previa visita psicologica, e questo sarebbe il terzo suicidio con quel metodo. Le sembra possibile?

"Per la mia conoscenza i regolamenti carcerari dovrebbero vietare i lacci. Quanto al supporto psicologico, fondamentale per chi è alla prima esperienza in prigione, oggi è del tutto inadeguato alle necessità del mondo carcerario".

 

Sergio Cusani denuncia la stessa inadeguatezza negli anni di Mani Pulite. Dieci anni dopo, la situazione delle carceri non è cambiata?

"A livello legislativo è migliorata. Il Parlamento ha varato norme che prevedono e finanziano concorsi e assunzioni di psicologi e assistenti sociali. Norme rimaste disattese perchè i ministri non hanno mai dato loro corso".

 

E in concreto è cambiata?

"Sì. In peggio. Dopo gli anni ‘92-’94, le carceri sono tornate ad essere popolate di marginali ed extra-comunitari con il conseguente calo di attenzione".

Il rispetto delle garanzie e le polemiche sbagliate

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2004

 

Quando un uomo si uccide in carcere, al di là della sua tragedia personale, si registra sempre una sconfitta da parte dello Stato. Tanto più quando si tratta di un detenuto in attesa di giudizio, come nel caso di Camillo Valentini, sindaco di Roccaraso. Si registra obiettivamente una sconfitta dello Stato, rappresentato nella specie dagli organi dell’amministrazione penitenziaria, quanto meno perché questi ultimi non hanno potuto (o saputo) assicurare l’incolumità di una persona che, una volta varcate le mura carcerarie, era affidata alla loro vigilanza.

Ma è praticamente inevitabile che, in ipotesi del genere, venga posto in discussione anche l’operato degli organi della magistratura (del pubblico ministero che ha richiesto, e del giudice che ha adottato, il provvedimento di custodia), di fronte al dubbio che possa essersi trattato di una misura detentiva indebitamente applicata: ad esempio perché sproporzionata rispetto alle circostanze del caso concreto. Un dubbio che, peraltro, ormai potrà essere risolto solo all’epilogo del procedimento concernente l’intera vicenda di malaffare politico amministrativo, su cui indaga la Procura di Sulmona.

È questo, del resto, un interrogativo che - in termini più o meno intensi - si pone ogniqualvolta un indiziato viene messo in carcere. Sebbene sia naturale, poi, che tutto si carichi di angoscia, quando si verifichino drammi come quello consumatosi nel carcere abruzzese.

Tuttavia, nel contempo, bisogna anche evitare di generalizzare la portata di episodi che, per fortuna, sono assolutamente eccezionali, essendo per lo più riconducibili alla reazione improvvisa e disperata di un uomo sottoposto (di solito per la prima volta) al trauma dell’esperienza carceraria, e gravato dal peso di un’accusa non lieve. Il che, se da un lato induce ad esigere il massimo di attenzione e di assistenza (anche psicologica, se del caso) da parte del personale penitenziario, proprio nei confronti dei detenuti maggiormente "a rischio", dall’altro non può condurre a conclusioni emotive ed indiscriminate circa il presunto "cattivo uso" della carcerazione preventiva.

Senza dubbio è necessario sottolineare, oggi più che mai, come la custodia in carcere costituisca l’ultima possibile risorsa tra quelle a disposizione del giudice che debba adottare una misura cautelare a carico di un indiziato.

Questo il codice lo dice con parole esplicite, prevedendo che venga adottata la misura carceraria solo quando ogni altra misura non sarebbe adeguata a soddisfare le esigenze cautelari (pericolo di inquinamento delle prove, ovvero pericolo di fuga, o di commissione di altri reati) accertate in concreto dal giudice. Sennonché non ci sono elementi per ritenere che tale rigido criterio non sia stato osservato anche dal giudice di Sulmona, quantunque si avverta qualcosa di strano in un provvedimento detentivo disposto alla vigilia di Ferragosto, a quasi un mese di distanza dalla richiesta del Pubblico ministero.

Per il resto, risulta che tutte le più importanti garanzie tipiche della custodia cautelare erano state rispettate nei confronti del sindaco Valentini. In particolare, già nel primo giorno di carcere aveva avuto un colloquio con il suo difensore (pur potendo tale colloquio essere differito fino a cinque giorni), e l’interrogatorio difensivo di fronte al giudice era stato fissato nel giro di circa 48 ore (pur essendone previsto lo svolgimento entro il termine di 5 giorni).

Un interrogatorio nel quale l’indiziato aveva fatto intendere di voler rilasciare importanti dichiarazioni, il che rende ancora più misteriose le ragioni del suo suicidio. È giusto, dunque, indagare a fondo per capire cosa sia accaduto, come e perché, ad ogni livello. Non è giusto, invece, trarne pretesto per delegittimare comunque l’operato della magistratura, oltre che per rinfocolare antiche polemiche, spesso strumentali, sulla disciplina della carcerazione preventiva: al punto da auspicare una sua (non giustificabile) esclusione per i reati relativi alla sfera della pubblica corruzione.

Enrico Buemi (Sdi): una proposta di legge sulla detenzione

 

L’Unione Sarda, 18 agosto 2004

 

La vicenda del suicidio del sindaco di Roccaraso, per il responsabile giustizia dello Sdi Enrico Buemi, "solleva tre problemi" che devono essere affrontati "per evitare che i magistrati si muovano con troppa disinvoltura e, a volte, con scarso senso della loro funzione". Perciò Buemi annuncia una proposta di legge che "determini meglio gli ambiti in cui si debbano muovere i magistrati".

La prima riflessione: "Il Codice prevede la carcerazione preventiva solo quando ogni altra misura risulti inadeguata". La seconda: "Ci devono essere situazioni di particolare gravità per giustificare la detenzione". Terzo problema, per Buemi la motivazione dell’arresto cautelare deve essere espressa "in maniera specifica" quando l’atto che i giudici emanano riguarda "la privazione della libertà di una persona".

Tutte e tre le questioni quindi "devono indurre i magistrati a sentire maggiormente la responsabilità degli atti che emanano quando si tratta di privare le persone della libertà". Secondo l’esponente Sdi, "i giudici, nel caso del sindaco di Roccaraso, non hanno considerato i riflessi psicologici negativi. Fatico a comprendere le esigenze cautelari". La proposta di legge crea due percorsi distinti: uno per i detenuti con condanna definitiva e uno per "chi viene trattenuto per motivi di sicurezza", per cui "vale sempre la presunzione di non colpevolezza".

Sulmona: la Casa delle libertà porta il caso davanti al Csm

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2004

 

Il sindaco di Roccaraso Camillo Valentini, trovato all’alba di lunedì senza vita nella sua cella nel carcere di Sulmona (L’Aquila), dove era detenuto dal 14 agosto con l’accusa di concussione e peculato, è morto soffocato dal sacchetto di plastica calato sul capo e serrato intorno al collo con lacci da scarpe provenienti dalle calzature da ginnastica dello stesso Valentini.

È il risultato dell’autopsia. Dopo 4 ore di esami, i medici legali hanno così dato la prima risposta agli interrogativi sospesi sulla fine del primo cittadino. "Asfissia compatibile con suicidio", è questo il verdetto dell’esame autoptico svoltosi all’obitorio dell’ospedale di Sulmona. Nei prossimi giorni cominceranno gli esami tossicologici e quelli istologici su alcuni campioni di polmone. I risultati definitivi saranno depositati in procura tra due mesi.

L’unica parte presente all’esame era quella della famiglia della vittima tramite l’avvocato Margiotta e il medico legale Bolino. Sul fronte investigativo continuano le sorprese. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha aperto un’inchiesta amministrativa per stabilire le eventuali responsabilità del carcere. E la procura di Sulmona ha aperto un fascicolo "contro ignoti" diretto ad accertare se ci siano altre persone coinvolte. Movimenti anche tra i magistrati abruzzesi che per mercoledì hanno annunciato un vertice. Questo mentre il "caso Valentini" rischia di finire sul tavolo del Csm. Il consigliere Nicola Buccicco, della Casa delle libertà, ha annunciato che inoltrerà la richiesta di aprire una pratica per valutare "comportamenti e condotte" del pm e del gip che hanno, rispettivamente, richiesto e convalidato l’ arresto del sindaco di Roccaraso.

Intanto dai parenti di Valentini arriva l’annuncio della convocazione di una conferenza stampa che si terrà mercoledì. Lo fa sapere l’avvocato Giovanni Margiotta, spiegando che i parenti di Valentini approfitteranno dell’incontro con i giornalisti per precisare che i fatti contestati nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, a carico del sindaco suicida, "nulla hanno a che fare con tangenti, mazzette e appalti". La conferenza stampa si terrà dopo i funerali di Valentini, previsti in mattinata.

Sul fronte indagini, sarà un nuovo magistrato appena arrivato alla Procura di Sulmona a coordinare l’indagine sulla morte in carcere di Valentini, e ad occuparsi degli "atti urgenti" relativi all’inchiesta sugli appalti e le opere pubbliche del centro sciistico abruzzese, nell’ambito della quale era stato deciso l’arresto del primo cittadino con le accuse di concussione e calunnia. Il sostituto procuratore Simonetta Ciccarelli, della Procura dell’Aquila, ha già preso servizio nell’ufficio di Sulmona.

La pm Ciccarelli sostituirà l’altro sostituto Salvatore Campochiaro, in ferie. A sua volta, Campochiaro, sempre su mandato della procura generale, aveva sostituito la Pm titolare dell’inchiesta su Roccaraso, Maria Teresa Leacche, che il 17 luglio scorso aveva firmato la richiesta di custodia cautelare nei confronti del sindaco Valentini, e che dal 20 luglio si trova negli Stati Uniti con un periodo di aspettativa di un anno. Si accentua, dunque, la situazione di transitorietà nella gestione degli intricatissimi faldoni sulle irregolarità amministrativa di Roccaraso, considerando anche che il capo della Procura sulmonese, Giovanni Melogli, risulta egli stesso indagato per una vicenda relativa all’assunzione di un vigile urbano (la posizione del magistrato è stata stralciata e trasmessa per competenza a Campobasso), mentre l’altro sostituto Aura Scarsella si è sempre astenuta dalle questioni del Comune montano perché il marito è titolare di una farmacia in paese.

Luciano Violante: "basta scontri, ripartiamo dalle carceri"

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2004

 

"Sarebbe utile per i Poli partire da questa tragedia per avviare una riflessione seria sul mondo delle carceri". Luciano Violante, presidente dei deputati Ds, avverte che gli "errori si possono correggere anche punendo i colpevoli". Il messaggio è rivolto ai magistrati: "Il Csm deve andare in fondo a questa vicenda per verificare eventuali violazioni commesse dal Pm o dal Gip".

"Piuttosto che aprire una polemica giustizialisti - garantisti, sarebbe utile partire da questa tragedia per avviare una riflessione approfondita sul mondo delle carceri e sul rispetto delle garanzie, riconosciute sia ai detenuti sia al personale che lavora negli istituti". Luciano Violante ricorda bene gli schieramenti in campo dopo il suicidio in carcere di Gabriele Cagliari e, per questo, ora teme che lo schema si ripeta: "Il vecchio scontro tra pretesi garantisti e pretesi repressori non ci ha fatto fare un passo avanti. Dovremmo partire da problemi concreti, non da contese ideologiche".

Detto questo, il presidente dei deputati Ds ritiene che il suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso possa e debba interessare l’organo di autogoverno della magistratura: "Nell’ambito delle sue prerogative, il Consiglio superiore deve andare in fondo a questa vicenda dal punto di vista di eventuali violazioni commesse da parte di taluno dei magistrati intervenuti in questa storia. Un uomo è morto in carcere: la famiglia e tutti quanti devono sapere se era detenuto legittimamente o per abuso. La magistratura non si deve adontare per questi accertamenti. Sono necessari proprio per i grandi poteri che hanno i magistrati nella società contemporanea".

 

Nel ‘95, tutti i partiti tranne la Lega approvarono una riforma che, dopo Tangentopoli, ha reso più difficile l’applicazione della custodia cautelare. Serve una modifica in senso ancor più garantista?

"La custodia cautelare è ridotta giustamente all’essenziale: non vedo la necessità di ulteriori modifiche. Tant’è che il rimprovero più frequente non riguarda l’eccesso dell’uso di custodia cautelare ma, piuttosto, il suo non uso: il ladro che esce dal carcere pochi giorni dopo il furto è un esempio. Ma qui i giudici non c’entrano, c’entrano le leggi".

 

A Sulmona l’avvocato del sindaco di Roccaraso ha detto che il pm non ha voluto interrogare il suo assistito e anche che l’arresto a Ferragosto si poteva evitare.

"Serviranno gli accertamenti del Csm. Mi sembra risibile contestare l’arresto a Ferragosto, accettandolo magari tre giorni dopo".

 

Valentini, però, non ha retto l’impatto con il carcere.

"Chi entra in carcere deve recidere da un momento all’altro i suoi legami e deve ricostruirne coattivamente altri in un mondo in cui è oggetto e non più soggetto. Il suicidio e l’autolesionismo in carcere sono problemi drammatici e più estesi di quanto non si sappia. Ma se ne parla solo quando il caso riguarda un "colletto bianco". Il 2 agosto si è suicidato a Livorno un detenuto cileno; il 26 luglio un ragazzo di 25 anni si è suicidato nel carcere di Lecce: e nessuno ne ha parlato. Il mondo penitenziario, purtroppo, è entrato in un cono d’ombra di disattenzione".

 

Bisogna ripartire dalla gestione delle carceri, dunque?

"I problemi non riguardano solo i detenuti ma anche gli agenti penitenziari, gli educatori, i medici, i direttori. In alcune carceri il sovraffollamento rende la vita impossibile, specialmente d’estate. A Regina Coeli ci sono 750 posti e 1.600 detenuti".

 

Il Parlamento di recente ci ha provato con l’indultino.

"Quel provvedimento non è servito a niente".

 

Gaetano Pecorella (FI) ha ripetuto che sarebbe stato meglio varare l’amnistia.

"Nessuna amnistia ha risolto questi problemi. Bisogna affrontare il mondo delle carceri, da lì dobbiamo partire".

 

Come, onorevole Violante?

"Bisogna mettere la polizia penitenziaria in condizione di svolgere bene il suo lavoro. La situazione è drammatica e non so per quanto tempo si potrà andare avanti in queste condizioni".

 

Il ministro Castelli non la pensa così.

"Non mi interessa polemizzare. Il tasso di suicidi in carcere è di 19 volte superiore alla media dei suicidi tra le persone libere: colpisce prevalentemente i giovani, i detenuti in attesa di giudizio e, in genere, quelli condannati per reati non gravi. Spero che il comitato carceri della Camera acquisisca tutti i dati e presenti rapidamente al Parlamento un rapporto completo che ci consenta di intervenire razionalmente e in tempi brevi".

 

I numeri

 

Nelle carceri italiane ci sono 55.400 detenuti. Nel marzo scorso era stata raggiunta la cifra di 57.000: ben 13 mila in più rispetto alla soglia di tollerabilità. Con una media di 135 persone ogni 100 posti l’Italia è al 3° posto nella graduatoria europea della "densità carceraria"

Il tasso di suicidi dietro le sbarre è 19 volte più alto di quello registrato fra le persone libere. In carcere si tolgono la vita soprattutto i giovani, i detenuti in attesa di giudizio e quelli condannati per reati non gravi.

Castelli: evitare sospetti di volontà persecutoria dei magistrati

 

Apcom, 18 agosto 2004

 

La custodia cautelare non va abolita, ma applicata come estrema ratio, o al limite modificata solo al fine di evitarne un uso discrezionale. È questo l’orientamento prevalente nella Casa delle Libertà all’indomani del suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini. Ma non manca chi, soprattutto dalle fila di Forza Italia, chiede un cambiamento netto delle norme trovando piena sintonia nelle posizioni dei Radicali.

La carcerazione preventiva, dunque, continua a tenere banco nella discussione politica. Anche se dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, arriva un segnale ben preciso. "La norma è equilibrata. Il problema fondamentale - spiega - è che la magistratura appaia al di sopra di ogni sospetto di parte o di volontà persecutoria. Purtroppo in Italia non è sempre così. Su questo occorre lavorare". Parole pressoché identiche a quelle di un altro ministro leghista, Roberto Calderoli, che spiega: "La custodia cautelare resti così com’è. Di sbagliato eventualmente c’è il odo in cui taluno lo applica".

Ma nella Cdl c’è anche un’ala più drastica. Dal partito azzurro, infatti, arrivano le richieste di una netta inversione di tendenza. Secondo il vice presidente dei Deputati di Forza Italia, Alfredo Biondi, la vicenda del sindaco di Roccaraso "è un’altra tragedia giudiziaria all’insegna del prima ti arresto poi ti interrogo".

Una posizione in piena sintonia con quella dei Radicali che, con il segretario Daniele Capezzone, parlano di "obbrobrio di norme in materia di carcere preventivo che farebbero orrore a qualunque paese democratico". A chiedere l’abolizione del carcere preventivo nelle fila di Forza Italia c’è anche Osvaldo Napoli, che però aggiunge: è necessario "quanto meno di limitarne le fattispecie e di sottrarla alla discrezionalità del Gip e del magistrato, smettendola con la finzione ipocrita dell’obbligatorietà dell’azione penale".

L’orientamento prevalente nella Cdl tuttavia chiede una giusta applicazione della norma, o al massimo una modifica che ne eviti l’uso discrezionale. Per il capogruppo di An alla Camera, Gianfranco Anedda, "il problema non è di cambiare la norma, ma di applicarla in termini corretti valutando caso per caso". Posizione simile a quella di Luigi Vitali, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera, convinto che "semmai si dovrebbe incidere sull’elemento del libero arbitrio dei magistrati.

Ma a quel punto si tratterebbe di un salto culturale che compete alla magistratura". "La custodia cautelare va mantenuta, bisogna però rivedere le procedure che ne consentono un uso troppo discrezionale" spiega il senatore di An Luigi Bobbio, che ipotizza un doppio canale diversificato per reati gravi, come ad esempio quelli di mafia, e gli altri casi, in primis quelli che riguardano i "colletti bianchi".

Il Nuovo Psi invita la Cdl ad una "profonda riflessione" sull’argomento. "Così come abbiamo trovato il tempo di approvare la Cirami, è il momento che la Cdl vari una seria riforma della giustizia e la faccia approvare rapidamente in Parlamento" dichiara il vice segretario del partito, Donato Robilotta. Richiesta a cui si associa anche Erminia Mazzoni, capogruppo Udc in commissione Giustizia alla Camera, che vede il ripensamento della norma sulla custodia cautelare come un tassello di quella revisione dell’ordinamento giudiziario che in Parlamento attende ancora il sì del Senato.

Dall’opposizione le critiche puntano piuttosto sull’urgenza di una riforma carceraria. "Al di là del triste episodio del sindaco suicidatosi in carcere, rimane il fatto non smentibile che, a differenza di quanto pensa il ministro Castelli, le prigioni italiane non sono certo hotel" afferma l’euro parlamentare del Pdci, Marco Rizzo mentre Sandro Battisti della Margherita sostiene che "le modalità della morte del sindaco di Roccaraso sollevano più di un interrogativo sui controlli che avrebbero potuto evitare questo drammatico evento".

Vincenzo Siniscalchi: il problema delle carceri è la vigilanza

 

Adnkronos, 18 agosto 2004

 

Più che le questioni legate alla custodia cautelare, il suicidio del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini ripropone quelle relative al modo con cui viene attuata la vigilanza nelle carceri. Lo dice all’Adnkronos il deputato dei Ds Vincenzo Siniscalchi, membro della commissione Giustizia e presidente della Giunta delle Autorizzazioni a procedere della Camera.

"Fatti del genere - afferma l’esponente della Quercia - più che portare a generiche discussioni sulla custodia cautelare, debbono far riflettere su come viene realmente attuata la vigilanza in carcere, sui controlli riguardanti le condizioni fisiche e psichiche dei detenuti, senza dimenticare quelle ambientali, vista anche la dinamica di quest’ultimo drammatico episodio. Ancora una volta occorre sottolineare allora l’incapacità del governo a realizzare quella riforma del sistema carcerario tante volte annunciata".

Sulmona: polemiche su uso del carcere preventivo

 

Agi, 18 agosto 2004

 

Simonetta Ciccarelli della Procura della Repubblica dell’Aquila è il nuovo magistrato applicato dal procuratore generale all’ufficio inquirente della Procura di Sulmona. Il magistrato ha preso servizio stamane negli uffici sulmonesi per un periodo di applicazione nel corso del quale dovrà occuparsi del fascicolo d’inchiesta aperto sul suicidio del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini.

Sarà anche competente dell’inchiesta sugli appalti al comune di Roccaraso. Di fatto, il nuovo sostituto assumerà le funzioni e i compiti del precedente collega Campochiaro, applicato alla Procura di Sulmona il 15 luglio scorso. Proprio per mancanza del titolare dell’ufficio, ieri è saltata l’autopsia sul corpo di Camillo Valentini. L’esame autoptico si svolgerà oggi.

Calderoli (Lega): la custodia cautelare va bene così com’è

 

Agi, 18 agosto 2004

 

"La custodia cautelare va bene così com’è". Lo afferma Roberto Calderoli, coordinatore delle segreterie nazionali della Lega nord e ministro per le riforme, che aggiunge: "Ce ne sono già abbastanza di assassini e delinquenti in libera circolazione in attesa di una condanna finale che solitamente richiede tempi biblici, magari anche per mamme che hanno ucciso il proprio figlio". Per Calderoli "di sbagliato eventualmente c’è il modo con cui taluno la applica. Se un chirurgo sbaglia - osserva - paga e lo si cambia, ma non si abolisce per questo il protocollo chirurgico e così dovrebbe essere anche per i magistrati".

Roma: Regina Coeli, scoppia la protesta dei detenuti

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2004

 

Esplode la protesta dei detenuti di Regina Coeli. Ieri sera alcune decine di reclusi si sono rifiutati di rientrare nelle celle ed è iniziata una lunga trattativa con i responsabili della direzione. Attorno a mezzanotte, nel carcere di via della Lungara è arrivato anche il Pm Adriano Iasillo: irrintracciabile il Procuratore aggiunto Achille Toro, il magistrato ha deciso di intervenire per verificare cosa stesse accadendo e se ci fossero responsabilità.

Per precauzione, le strade attorno al penitenziario sono state chiuse al traffico da mezzi di polizia e carabinieri per parecchio tempo. La tensione nella struttura era cominciata gradualmente a salire lunedì mattina, quando alcuni detenuti avevano organizzato una "sciopero" rifiutandosi di compiere i soliti lavori giornalieri: inizialmente avevano deciso di non tornare nelle celle, ma convincerli a desistere era stato molto meno complicato.

Nel pomeriggio di ieri, prima che la tensione ricominciasse a crescere, a lanciare l’allarme era stato invece il Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera: "Nelle carceri italiane la situazione è esplosiva e tutto ciò denuncia l’inutilità dell’indultino, misura che ha dato la libertà non ai diecimila detenuti previsti ma solo alla metà. A Regina Coeli, come nel penitenziario di Sulmona e negli altri del Paese - aveva sottolineato il deputato dell’opposizione - il sovraffollamento e le carenze igienico sanitarie rendono disumane le condizioni dei detenuti, di cui oltre il 60 per cento si trova in attesa di giudizio".

Secondo l’esponente dei Verdi, "il suicidio del sindaco di Roccaraso è solo uno dei tanti atti di autolesionismo: è grave - aveva osservato Cento - che le forze politiche si ricordino di questo problema solo quando riguarda detenuti "eccellenti". Inoltre, non si può tacere sul fallimento del ministro Castelli, che ha gettato via tre anni di lavoro parlamentare senza giungere ad una profonda riforma della giustizia e, dunque, anche della carcerazione preventiva. L’unico obiettivo del Guardasigilli e del governo di centro destra - ha sostenuto il deputato - è quello di mettere sotto controllo i pubblici ministeri".

Cento (Verdi): sciopero detenuti denuncia situazione esplosiva

 

Asca, 18 agosto 2004

 

Lo sciopero dei detenuti di Regina Coeli segnala, secondo il Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, "una situazione esplosiva nelle carceri italiane e denuncia il fallimento dell’indultino, misura che ha dato la libertà non ai diecimila detenuti previsti ma solo alla metà. Nel carcere romano, come in quello di Sulmona e negli altri penitenziari italiani, il sovraffollamento e le carenze igienico - sanitarie rendono disumane le condizioni dei detenuti di cui oltre il 60% si trova in attesa di giudizio".

"Il suicidio del sindaco di Roccaraso è solo uno dei tanti atti di autolesionismo - prosegue Cento - è grave che le forze politiche si ricordano di questo problema solo quando riguarda detenuti eccellenti".

"Inoltre - conclude il vicepresidente - non si può tacere sul fallimento del ministro Castelli che ha gettato via tre anni di lavoro parlamentare senza giungere ad una profonda riforma della giustizia, e dunque anche della carcerazione preventiva, perché l’unico obiettivo del Guardasigilli e del governo di centro destra è quello di mettere sotto controllo i pubblici ministeri".

Roma: degenera la protesta, Castelli nella notte a Regina Coeli

 

Ansa, 18 agosto 2004

 

Visita notturna del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, al carcere di Regina Coeli dove è in corso una protesta dei detenuti che la notte scorsa ha assunto le caratteristiche della rivolta, poi sospesa dopo un incontro con i responsabili del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria.

Il ministro è stato all’ interno del carcere per un paio d’ ore ed ha concluso la sua visita poco dopo la mezzanotte anche se, secondo quanto appreso, non avrebbe direttamente incontrato i detenuti.

La protesta ha raggiunto il suo punto più alto nella quarta sezione attorno alle 22, con il via dato dallo scoppio di bombolette di gas da campeggio utilizzate dai detenuti per cucinare nelle celle. Successivamente i detenuti, circa 150, che avrebbero agito a volto coperto, hanno danneggiato le tubature dell’ acqua facendola versare, insieme a sapone, lungo le scale per rallentare l’ eventuale intervento degli agenti della polizia penitenziaria. Due agenti sarebbero rimasti lievemente contusi e la quarta sezione è ancora inagibile.

Non è stato necessario tuttavia l’ intervento, che era già stato predisposto, dei Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria che abitualmente viene chiamato in caso di sommosse.

Assieme a Castelli si sono recati a Regina Coeli il vicecapo del Dap Emilio Di Somma, il dirigente Enrico Ragosa, il provveditore regionale del Dap Ettore Ziccone. Ad interloquire con i detenuti sarebbero stati un funzionario del provveditorato ed il comandante della polizia penitenziaria di Regina Coeli.

La protesta, in corso da alcuni giorni, fino a ieri sera era andata avanti pacificamente con lo sciopero del vitto e la battitura delle inferriate da parte dei reclusi. I detenuti chiedono, tra l’altro, l’istituzione di una commissione investigativa che faccia chiarezza sulle modalità di applicazione della custodia cautelare.

Inoltre viene reclamata la cancellazione automatica dei precedenti penali ogni cinque anni, l’abrogazione delle leggi sulla custodia cautelare, la concessione di un indulto ogni tre anni, le modifiche delle norme del codice di procedura penale sulla valutazione della prova e l’abolizione dell’ art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario che vieta la concessione di permessi premio nei confronti di detenuti per narcotraffico, associazione a delinquere di stampo mafioso e per sequestro di persone. In ultimo, infine, chiesto anche l’aumento della liberazione anticipata a quattro mesi.

Roma: Regina Coeli, detenuti fanno esplodere bombolette gas

 

Ansa, 18 agosto 2004

 

Visita notturna del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, al carcere di Regina Coeli dove la protesta dei detenuti ha assunto le caratteristiche della rivolta, poi sospesa dopo un incontro con i responsabili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Il ministro si è recato all’interno del carcere per un paio d’ore ed ha concluso la sua visita poco dopo la mezzanotte. Secondo indiscrezioni non avrebbe direttamente incontrato i detenuti.

La protesta ha avuto il suo culmine nella quarta sezione attorno alle 22, con il via dato dallo scoppio di bombolette di gas da campeggio utilizzate dai detenuti per cucinare nelle celle. I detenuti, circa 150, hanno danneggiato le tubature dell’acqua facendola versare, insieme a sapone, lungo le scale per rallentare l’ eventuale intervento degli agenti della polizia penitenziaria. Due agenti sarebbero rimasti lievemente contusi e la quarta sezione è ancora inagibile.

Non si è reso necessario l’intervento dei Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria che abitualmente viene chiamato in caso di sommosse.

La protesta, in corso da alcuni giorni, fino a ieri sera era andata avanti pacificamente con lo sciopero del vitto e la battitura delle inferriate da parte dei reclusi. I detenuti chiedono tra l’altro l’istituzione di una commissione investigativa sull’applicazione della custodia cautelare, la cancellazione automatica dei precedenti penali ogni cinque anni, l’abrogazione delle leggi sulla custodia cautelare, la concessione di un indulto ogni tre anni, le modifiche delle norme del codice di procedura penale sulla valutazione della prova e l’abolizione dell’ art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario che vieta la concessione di permessi premio nei confronti di detenuti per narcotraffico, associazione a delinquere di stampo mafioso e per sequestro di persone.

Regina Coeli, detenuti in rivolta: interviene il ministro

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2004

 

La quarta sezione di Regina Coeli, da ieri pomeriggio, è finita sotto il controllo dei 130 detenuti che vi sono rinchiusi. E fino a notte inoltrata la situazione non si è sbloccata, neppure quando in serata è arrivato il ministro di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli, che ha voluto sincerarsi direttamente, in prima persona, della situazione e parlare con il personale del carcere che stava gestendo l’emergenza.

Quando il ministro è uscito da Regina Coeli, era quasi l’una, e ha spiegato: "La situazione è comunque sotto controllo, la direzione del carcere ha tutto il mio appoggio. Tutti stanno dimostrando grande professionalità. Piuttosto, devo dire che quello che è successo oggi è il risultato dell’azione di qualche apprendista stregone". Cosa significa?

"Andate a vedervi la lista di chi ha fatto visita ai detenuti ultimamente, capirete che qualcuno ha alimentato la tensione. Questi sono i risultati che hanno ottenuto". Ha trattato direttamente con i detenuti? "Assolutamente no, quello non è compito mio". Dopo di che il ministro ha lasciato la zona di Regina Coeli, che continuava a essere presidiata in forza dalle volanti della questura e dalle gazzelle dei carabinieri della compagnia Trastevere, intervenute in supporto agli agenti di polizia penitenziaria. Questi ultimi, in forze, erano dentro al carcere, per tentare di riportare ordine, mentre il Lungotevere continuava a essere presidiato.

La protesta dei detenuti di Regina Coeli stava andando avanti da due giorni. Era stata rumorosa e visibile anche all’esterno, con lanci di pezzi di carta infuocati dalla finestra. Fra le ragioni all’origine delle manifestazioni, il sovraffollamento, la carenza di igiene, il ricorso alla carcerazione preventiva con troppa frequenza.

A sostegno delle ragioni dei detenuti avevano speso parole il presidente della consulta per il carcere del Comune di Roma, Lillo Di Mauro, che ieri alle 11 è andato anche a incontrarli. La parlamentare diessina Marcella Lucidi aveva accusato il Governo di "distrazione rispetto ai problemi dei detenuti".

Poi, nel pomeriggio, la protesta all’interno della quarta sezione, che presenta problemi dal punto di vista strutturale, è degenerata. I detenuti hanno preso il controllo di quella parte di Regina Coeli, si parla anche di pesanti azioni di danneggiamento. La tensione è rapidamente salita e i soli rinforzi di agenti in tenuta antisommossa di polizia penitenziaria non sono risultati più sufficienti. Per maggiore prudenza sono stati mobilitati anche polizia e carabinieri, che hanno presidiato tutta la zona del carcere, sul Lungotevere fino a notte inoltrata.

"Tutto è sotto controllo - è stata la rassicurazione consegnata nella notte dal ministro Castelli - la situazione viene seguita con grande professionalità. Piuttosto faccia un esame di coscienza chi ha alimentato questa tensione".

Regina Coeli, 40 rivoltosi spostati in altra sezione carcere

 

Ansa, 18 agosto 2004

 

Quaranta dei 158 detenuti della quarta sezione di Regina Coeli che la notte scorsa hanno partecipato alla rivolta nel carcere romano (leggi qui) sono stati trasferiti nella prima sezione dell’Istituto di pena. Il direttore del carcere, Renato Tedesco, ha spiegato che il provvedimento si è reso necessario poiché la scorsa notte i detenuti hanno rotto e aperto le porte di legno delle loro celle.

Gli atti di violenza, ha detto il direttore, sono cominciati con l’esplosione delle bombolette di gas dei fornelletti che hanno in dotazione i detenuti, poi sono state spaccate una quarantina di porte delle celle, rotti alcuni vetri e dato fuoco ad alcuni oggetti. Due detenuti, ha aggiunto il direttore, si sono prodotti lesioni e sono stati medicati direttamente all’interno del carcere. La situazione oggi è tornata tranquilla, ma sono stati chiesti dalla direzione 50 uomini di rinforzo da altri penitenziari.

Roma: dopo rivolta torna la calma a Regina Coeli

 

Adnkronos, 18 agosto 2004

 

Torna la calma nel carcere romano di Regina Coeli dopo la rivolta dei detenuti scoppiata nei giorni scorsi. "La situazione volge al meglio. Ho passato la notte con i detenuti ed ora sembra essere tornata la calma", ha detto il sostituto del direttore del penitenziario, Renato Tedesco. "La protesta è provocata dalla situazione che si vive nel carcere - spiega Tedesco - sul sovraffollamento e sui tempi lunghi di attesa per i processi. Fortunatamente non ci sono stati feriti".

Dopo la visita della scorsa notte nel carcere romano alla ricerca di chiarimenti su quanto stava accadendo, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli oggi accusa: "Questi episodi avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi".

Pur non citandoli, sembra chiaro il riferimento ai radicali. "Vi sono molti modi per assicurarsi spazi sui giornali di agosto - continua il Guardasigilli - soprattutto da parte dei partiti che hanno pretese di governo ma che dimostrano invece solo volontà di strumentalizzazione. La situazione dei penitenziari italiani è nota ed è uguale sia a gennaio che ad agosto. Possibile che qualche partito si accorga di questo stato di cose soltanto nel mese di agosto?".

La conclusione di Castelli è tutta all’insegna dei "cattivi maestri". "Ricordo che chi si fa bello sui giornali non paga alcuna conseguenza di ciò che è accaduto ieri sera a Regina Coeli, mentre invece - dice Castelli - quei detenuti che eventualmente si siano lasciati influenzare dai cattivi maestri dovranno necessariamente, visto che in Costituzione è prevista l’obbligatorietà dell’azione penale, pagare le conseguenze dei loro gesti inconsulti".

Immediata la replica degli esponenti radicali. "Ora basta. Preannunciamo al ministro Castelli - affermano Rita Bernardini e Daniele Capezzone, tesoriera e segretario dei Radicali italiani - che sarà denunciato, e dovrà rispondere in ogni sede delle sue affermazioni offensive e calunniose".

Roma: procura aprirà inchiesta su protesta a Regina Coeli

 

Ansa, 18 agosto 2004

 

Prima dell’apertura del fascicolo, il Pm Adriano Iasillo attende il rapporto della polizia penitenziaria sia in relazione all’ipotesi di reato di danneggiamenti sia a quella eventuale di sommossa. I reati, comunque, verranno stabiliti soltanto dopo la lettura della relazione, così come l’individuazione dei detenuti coinvolti nella vicenda.

La protesta è durata quasi un’ora. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, è arrivato nell’istituto di pena per rendersi conto della situazione verso le 23, quando la tensione era ormai rientrata e i reclusi avevano cominciato a rientrare nelle celle.

"I detenuti - ha spiegato Emilio Di Somma, vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che ieri ha seguito i fatti personalmente e ha ricevuto il ministro a Regina Coeli - avevano preannunciato una protesta pacifica di tre giorni consistente nel battere le inferriate. Così era successo l’altro ieri e anche ieri mattina tutto si era svolto senza problemi. Verso le 20.30, però, quando hanno cominciato a percuotere le inferriate con un leggero anticipo, si è capito subito che le cose avrebbero preso una piega diversa. Oggi, il terzo giorno di protesta si sta svolgendo regolarmente".

I danneggiamenti provocati dai rivoltosi sono durati fino alle 22. Poi la direzione del carcere ha intavolato una trattativa con i portavoce dei detenuti e intorno alle 22.30 è cominciato il loro rientro nelle celle. "Per una quarantina di persone - ha detto Di Somma - si è reso necessario lo spostamento dalle celle della quarta sezione, inagibili a causa delle devastazioni, a quelle della prima, situate sullo stesso piano". È stata una operazione che ha richiesto un certo tempo, sia per asciugare l’acqua che era defluita dalle tubature divelte, sia per il trasferimento di bagagli e suppellettili".

"La nostra preoccupazione immediata - ha spiegato il vice capo del Dap - era che la situazione tornasse tranquilla al più presto. I motivi della protesta dovranno essere accertati dall’inchiesta interna che verrà svolta dal provveditore regionale delle carceri e da quella avviata dalla autorità giudiziaria. Inizialmente i detenuti volevano richiamare l’attenzione sul sovraffollamento e sulle condizioni di vita nelle carceri. Se poi a questi motivi si è aggiunto quello della carcerazione preventiva, lo ritengo un fatto occasionale legato alla vicenda del suicidio del sindaco di Roccaraso".

Le autorità penitenziarie ritengono che l’episodio debba considerarsi circoscritto al carcere romano di Regina Coeli: se i detenuti di altri istituti avessero voluto seguire la protesta, è stato fatto notare, lo avrebbero fatto immediatamente.

Castelli: questi episodi accadono dopo visite soliti personaggi

 

Agi, 18 agosto 2004

 

Episodi come quelli nel carcere di Regina Coeli "avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi. È un caso? Invito tutti alla massima responsabilità". Lo dice il ministro della Giustizia Roberto Castelli in una nota diramata oggi, a distanza di poche ore dalla visita a sorpresa che lo stesso castelli ha effettuato nell’istituto di pena romano dove da tre giorni è in atto la protesta dei detenuti, specie da parte di quelli reclusi nella quarta sezione. Qui ci sono stati anche incendi e scoppi di bombolette di gas per fornelletti, con danneggiamento di materassi e porte, e immediato spiegamento delle forze dell’ordine all’esterno e all’interno del carcere.

"Grazie alla professionalità e sangue freddo del personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - dice Castelli - l’inizio di rivolta che si è avuto nella notte a Regina Coeli non è degenerato. Da parte mia non posso non segnalare che, come negli altri anni, questi episodi, che se non gestiti con tempestività possono generare situazioni che possono mettere a repentaglio l’incolumità dei detenuti e degli agenti, avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi. È un caso? Invito tutti alla massima responsabilità".

A giudizio del ministro "vi sono molti modi per assicurarsi spazi sui giornali di agosto, soprattutto da parte dei partiti che hanno pretese di governo, ma che dimostrano invece solo volontà di strumentalizzazione". Casteli sottolinea poi che "la situazione dei penitenziari italiani è nota ed è uguale sia a gennaio che ad agosto.

Possibile che qualche partito si accorga di questo stato di cose soltanto nel mese di agosto? Ricordo che chi si fa bello sui giornali non paga alcuna conseguenza di ciò che è accaduto ieri sera a Regina Coeli, mentre invece quei detenuti che eventualmente si siano lasciati influenzare dai cattivi maestri dovranno necessariamente - visto che in Costituzione è prevista l’obbligatorietà dell’azione penale - pagare le conseguenze dei loro gesti inconsulti".

Castelli: c’è chi strumentalizza per andare sui giornali

 

Apcom, 18 agosto 2004

 

"Grazie alla professionalità e al sangue freddo del personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria l’inizio di rivolta che si è avuto nella notte a Regina Coeli non è degenerato". È quanto afferma il ministro della Giustizia, Roberto Castelli. "Da parte mia non posso non segnalare - aggiunge - che, come negli altri anni, questi episodi che, se non gestiti con tempestività possono generare situazioni che possono mettere a repentaglio l’incolumità dei detenuti e degli agenti, avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi".

Il Guardasigilli si domanda se questo sia "un caso". "Invito tutti alla massima responsabilità. Vi sono molti modi per assicurarsi spazi sui giornali di agosto - osserva - soprattutto da parte dei partiti che hanno pretese di governo, ma che dimostrano invece solo volontà di strumentalizzazione".

"La situazione dei penitenziari italiani - sottolinea Castelli - è nota ed è uguale sia a gennaio che ad agosto. Possibile che qualche partito si accorga di questo stato di cose soltanto nel mese di agosto? Ricordo che chi si fa bello sui giornali non paga alcuna conseguenza di ciò che è accaduto ieri sera a Regina Coeli, mentre invece quei detenuti che eventualmente si siano lasciati influenzare dai cattivi maestri dovranno necessariamente, visto che in Costituzione è prevista l’obbligatorietà dell’azione penale, pagare le conseguenze dei loro gesti inconsulti".

Radicali a Castelli: lo denunceremo per le sue calunnie

 

Asca, 18 agosto 2004

 

"Ora basta. Preannunciamo al Ministro Castelli che sarà denunciato, e dovrà rispondere in ogni sede delle sue affermazioni offensive e calunniose". Rita Bernardini e Daniele Capezzone, tesoriera e segretario di Radicali italiani reagiscono indignati alla nota del Guardasigilli, che ha definito come una conseguenza alle visite di esponenti politici nelle carceri le manifestazioni di protesta dei detenuti. Ultima l’inizio di rivolta di questa notte a Regina Coeli a Roma.

"Delle due l’una, infatti - sostengono i radicali - se Castelli parla della nostra visita a Regina Coeli di sabato (70 minuti per raccogliere firme sul referendum sulla fecondazione assistita) è vittima di una grave topica. Da trent’anni, i radicali sono nelle carceri, al fianco di detenuti, agenti di custodia e direttori, che con tanta responsabilità fronteggiano una situazione esplosiva. Nelle carceri, Pannella e i radicali hanno curato e curano il fiore delicato del dialogo e della nonviolenza, fino a pagine commoventi, come quella - due estati fa - di migliaia di detenuti di 26 diverse nazionalità che affiancarono Pannella in un lungo sciopero della fame sui temi della legalità costituzionale".

"Volesse il cielo - aggiungono Bernardini e Capezzone - che l’Italia avesse, prima o poi, un Ministro dotato del senso della legalità che mostrano - lo ripetiamo - detenuti, agenti di custodia e direttori. Ma - ahinoi - abbiamo invece un Ministro che confonde le visite dei radicali nelle carceri con le ronde delle camicie verdi o dei ranger padani.

"Se invece Castelli si riferisce al nostro dossier sulla situazione carceraria, viene da pensare al colpo di sole - incalzano i radicali - ma come? Le carceri scoppiano, il sovraffollamento esplode, emerge il dramma dei suicidi, e il Ministro - anziché provare a porre rimedio a una realtà mal governata (in primo luogo da altri) per decenni - se la prende con chi la fa conoscere, la illustra, la denuncia, mettendo anche il suo Ministero in condizione di funzionare un poco meglio?".

"Un anno fa, l’incauto Ministro non trovò di meglio che evocare gli alberghi di lusso per descrivere la realtà delle nostre galere; stavolta, sceglie la carta della provocazione" concludono gli esponenti radicali che rivolgono un invito a Castelli: "Ferma restando la denuncia, che presenteremo, gli ribadiamo l’invito a farsi una settimana di carcere. Gli basterà poco per capire: qualche giorno in sei/sette in una cella di pochi metri, con una doccia a settimana. Poi ne riparliamo...".

Rivolta a Regina Coeli, Castelli accusa i Radicali

 

Ansa, 18 agosto 2004

 

È diventata un caso politico la rivolta dei detenuti avvenuta la notte scorsa nel carcere romano di Regina Coeli, dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che a sorpresa aveva visitato l’istituto di pena a tarda ora, poco dopo che la protesta era rientrata. Così Castelli: "Questi episodi avvengono sempre a pochi giorni di distanza dalle visite in carcere dei soliti personaggi. È un caso?", riferendosi alla visita fatta dai radicali a Regina Coeli e Rebibbia il 14 agosto per raccogliere le firme tra i detenuti per il referendum abrogativo della legge sulla procreazione assistita.

Pronta la replica dei radicali: "Preannunciamo al ministro che sarà denunciato e dovrà rispondere in ogni sede delle sue affermazioni offensive e calunniose". E sembra così sfumare il riavvicinamento tra il partito di Pannella e la Cdl, che alcuni esponenti del centrodestra avevano auspicato in vista delle prossime elezioni.

Intanto, sulla rivolta, la procura di Roma aprirà un’inchiesta in relazione all’ipotesi di reato di danneggiamenti e a quella eventuale di sommossa. I reati, comunque, verranno precisati soltanto dopo la lettura della relazione dell’autorità penitenziaria e l’individuazione dei detenuti coinvolti.

Dei 158 che hanno partecipato all’allagamento della Quarta sezione del carcere, dopo aver distrutto idranti e tubature, soltanto una trentina resterà a Regina Coeli, mentre gli altri saranno trasferiti a Rebibbia, Velletri, Cassino e Civitavecchia.

Radicali a Castelli: "Sei tu il responsabile dell’illegalità!

 

Radicali Italiani, 18 agosto 2004

 

Dichiarazione di Rita Bernardini e Daniele Capezzone: "Bella questa! Secondo il Ministro della Giustizia Castelli, la protesta dei detenuti di Regina Coeli sarebbe stata provocata dalla nostra visita per raccogliere le firme dei referendum e dal dossier - verità che riporta pari pari i dati del Ministero!

Consentire ai cittadini detenuti che non hanno perso i diritti politici di esercitare il diritto costituzionale a sottoscrivere i referendum è per Castelli inconcepibile, così come denunciare le condizioni disumane delle carceri italiane. Ci dica piuttosto se sono veri o no i dati che abbiamo presentato sul sovraffollamento, sulle schifose condizioni igieniche, sullo stato di totale inattività alla quale sono costretti quotidianamente i detenuti.

La realtà è che le carceri italiane sono nella più totale illegalità: non sta scritto in alcuna legge della nostra Repubblica che, oltre alla privazione della libertà, si debbano subire le pene accessorie dei topi che scorazzano nelle celle e nei letti, del dover fare i propri bisogni davanti agli altri e magari quando si mangia e si cucina, del non poter essere curati, del non potersi fare una doccia se non una volta a settimana, dell’essere sottoposti al rischio concreto di prendersi malattie infettive di ogni genere. È la situazione di illegalità ad essere nei fatti una vera e propria istigazione alla rivolta o, quando si è persa ogni speranza, al suicidio come drammaticamente mostrano le cifre e le storie che abbiamo presentato nel nostro dossier.

Cosenza: appello di Corbelli (Diritti Civili) per un detenuto

 

Asca, 18 agosto 2004

 

Il leader del Movimento "Diritti Civili", Franco Corbelli, ha reso noto di aver ricevuto una lettera, dal carcere di Paola (Cs), di un detenuto, G.G., che afferma di star male, di essere rimasto solo al mondo; grida la sua innocenza e chiede di poter ritornare, per scontare la sua pena, nella casa dei poveri, dove era rimasto, agli arresti domiciliari, prima della sentenza definitiva, e si augura, se questa sua richiesta non venisse accolta, di poter morire per porre fine alla sua sofferenza.

"Dopo aver ricevuto la lettera di questo detenuto, rimasto solo al mondo - dice Corbelli - ho ritenuto doveroso divulgarla per rendere noto il disperato appello che mi ha rivolto, chiedendomi di aiutarlo ed evitargli così di morire, come lo stesso si augura in modo preoccupante e inquietante, che avvenga, qualora dovesse restare ancora nel carcere di Paola.

Quest’uomo, che era agli arresti domiciliari in una casa di accoglienza dei poveri, quando la sua condanna è divenuta definitiva è stato trasferito nel carcere di Paola per scontare la pena inflittagli, nonostante lo stesso abbia sempre gridato la sua innocenza".

"Chiedo - dice Corbelli - per salvare quest’uomo, prima che sia troppo tardi, un atto di giustizia giusta e umana: il ritorno agli arresti domiciliari nella casa dei poveri. Spero che le tragedie che stanno accadendo proprio in questi giorni nelle carceri italiane servano ad evitare questo nuovo preannunciato drammatico evento!".

Graziano Mesina, dopo 40 anni di carcere, chiede la grazia

 

L’Unione Sarda, 18 agosto 2004

 

La pratica con la domanda di grazia del detenuto Graziano Mesina a settembre tornerà sulla scrivania del ministro Roberto Castelli. Una formalità, perché poi verrà spedita direttamente al capolinea, ovvero al Quirinale dove il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dovrà analizzarla e poi prendere una decisione. Quella di Ciampi è l’ultima frontiera, l’ultima chiave capace di aprire la cella nella seconda sezione del carcere di massima sicurezza di Voghera, dove Graziano Mesina è rinchiuso da dodici anni.

La sua richiesta, inviata nel luglio dello scorso anno, secondo quanto hanno appreso i familiari direttamente dall’ex Primula rossa del Supramonte, in prima battuta sarebbe stata respinta. Così ha detto amareggiato il decano dei detenuti, quarant’anni di servizio tra le carceri italiane. Una versione che tuttavia fa a pugni con quella - ufficiale - del ministero della Giustizia che anche ieri, attraverso fonti molto vicine al ministro Roberto Castelli ancora smentiva: "Ribadiamo: non è stata presa alcuna decisione.

È vero, siamo alle battute finali, ma non c’è ancora alcun parere". E allora perché a Mesina è stata fatta la comunicazione, è stato detto che la sua domanda di grazia, come si dice in gergo, era stata rigettata? Grazianeddu peraltro in questi ultimi giorni è apparso molto scosso, e il suo avvocato Enrico Aimi, che nello studio di Modena ha preparato la domanda di grazia, è apparso piuttosto preoccupato. "Non c’è alcuna novità, a noi non hanno notificato alcun atto, e dunque attendiamo di capire cosa sia realmente accaduto", spiegano dall’ufficio di Aimi (che è ancora in vacanza).

Perché allora dalla direzione del carcere è stato comunicato - come ha spiegato Mesina alla sorella Peppedda al telefono - che la grazia era stata appunto rigettata? Il funzionario che ha convocato Grazianeddu evidentemente a sua volta ha ricevuto una lettera o un fax con richiesta di girarla al detenuto. Altrimenti che interesse avrebbe avuto a esporsi? Altro dettaglio affatto irrilevante: la richiesta era stata presentata un anno fa. Dopo mesi di silenzio erano affiorate indiscrezioni, una prima risposta sarebbe dovuta arrivare proprio in questi giorni. Ed è accaduto.

Graziano Mesina, che ha superato i 62 anni, attende le altre mosse. Ha passato quarant’anni in carcere, è l’unico italiano al quale sia stato applicato un articolo del codice Rocco che ha trasformato in ergastolo (cumulo di condanne) due pene a 24 anni, una per tentato omicidio e l’altra per omicidio.

Mesina è preoccupato. Ha paura d’essere risucchiato nelle polemiche legate alla grazia, al no preventivo del ministro della Giustizia, al dibattito e agli appelli che si succedono per il caso di Adriano Sofri, che tuttavia non ha mai firmato alcuna domanda. Lui sì. "Sarò libero soltanto da morto", aveva confidato un anno fa: "Ecco perché, sia pure con una pietra nel cuore, chiederò la grazia". E in questi mesi aveva tenuto un profilo basso: silenzio.

Probabilmente scottato dall’avventura del 1992, quando uscì in libertà condizionata e rimase invischiato nel sequestro di Farouk Kassam. "Mi hanno riarrestato nel 1993 e condannato a sei anni e mezzo. Poi un’altra condanna a due anni e tre mesi. La somma, se non sbaglio, fa otto anni e nove mesi. Io sono in carcere da oltre cinque anni", aveva raccontato sempre un anno fa.

Dieci anni con giornate sempre uguali: quattro ore di passeggiata ("la mia ginnastica"), quando c’è un lavoro da muratore o imbianchino viene chiamato, due volte alla settimana l’appuntamento in un campo di calcio (dove però sta soltanto a guardare gli altri), il resto è tempo che scorre lento in cella. E non c’è neanche più il vecchio amico Indro Montanelli, che aveva sposato la causa della libertà di Mesina: "Da me troverà sempre un letto e un piatto di minestra", aveva scritto in uno dei suoi brucianti editoriali. Rimane il presidente della Repubblica, con Castelli in agguato.

 

 

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