Rassegna stampa 10 agosto

 

Marco Rizzo (Prc): Castelli è l’uomo sbagliato nel posto sbagliato

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

"Castelli è l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Speriamo il governo Berlusconi se ne vada prima di essere costretti a vedere i roghi nelle piazze": lo afferma il presidente della delegazione dei comunisti italiani all’europarlamento Marco Rizzo.

"Occhio per occhio, dente per dente. Un modello di giustizia medievale" ispirerebbe, infatti, il Guardasigilli secondo Rizzo. "L’ostruzionismo, nemmeno troppo velato, alla grazia a Sofri, è uno dei tanti episodi che servono a confermare la totale assenza di pietà che contraddistingue Castelli - prosegue l’eurodeputato - la Lega Nord e il ministro della Giustizia, per gli atteggiamenti razzisti, intolleranti, xenofobi di cui fanno sfoggio, contribuiscono ad allontanarci dall’Europa".

Verona: non solo tubercolosi, ora scoperte anche le piattole

 

L’Arena di Verona, 10 agosto 2004

 

Ancora una notizia che fa discutere sul carcere di Montorio. Dopo i casi di tubercolosi segnalati tra i detenuti, ecco un altro caso sconcertante: in carcere ci sono le piattole. Il fastidioso parassita è stato scoperto nella "quarta sezione". A ogni detenuto sono stati dati due litri di candeggina a tutela dell’igiene in cella e nelle docce. Ma le condizioni igienico - sanitarie generali sono evidentemente inadeguate.

Le condizioni igienico-sanitarie sono insufficienti La popolazione carceraria chiede di essere messa nelle condizioni di pulire celle e corridoi per evitare contagi. "Dateci mattonelle e malte" dicono gli ospiti, "sistemiamo noi i bagni". Ma la direzione non autorizza alcun lavoro all’interno.

Dopo la tubercolosi, le piattole. Tempi difficili davvero per chi vive o passa tanto tempo nel carcere di Montorio, che dimostra una condizione igienico sanitaria davvero insufficiente.

Le piattole sono i pidocchi del pube (pediculus pubis) conosciuti per la loro forma con il popolare nome di "piattole". Possono trasmettersi durante un rapporto sessuale, ma anche da lenzuola o bagni non lavati in maniera accurata. Hanno la forma del corpo piatta e le zampe come quelle di piccoli ragni chiari.

A portarle in carcere è stato un detenuto, che condivide la cella con altri due compagni nella quarta sezione. Per qualche giorno s’è cercato di tenere nascosta la situazione persino agli altri compagni di cella, anziché disinfestare i sei metri quadrati e i tre letti, ma poi il caso è esploso.

Venerdì mattina scorso i detenuti, per protestare e per farsi ascoltare da chi di dovere non volevano risalire nelle celle dopo l’ora d’aria. Hanno ottenuto ben due bottiglie di candeggina per lavare le docce. Ma soltanto per quel giorno, poi la situazione è tornata quella di sempre. Una bottiglia la settimana per docce in cui transitano una settantina di persone a turno.

"Nelle altre carceri ogni venti giorni passano addetti con tanto di tute e maschere a gettare acidi e disinfettanti nelle docce e nei posti dove potrebbero riprodursi insetti", dicono i detenuti, "ma nella nostra struttura il direttore ritiene che sia una prassi superflua, così noi ci ritroviamo con la Tbc e le piattole. Possiamo trasmettere le malattie ai nostri familiari che vengono ai colloqui, così come gli agenti possono portarle all’esterno".

La situazione in carcere per caldo e scarsa igiene è ormai insostenibile: "Un tempo potevamo frequentare la palestra una volta alla settimana, adesso lo possiamo fare due volte al mese dalle 13.30 alle 15.20, ma se non ci sono agenti disponibili, salta. In questo periodo, come d’inverno, i blidati (porte di ferro delle celle con la sola fessura per il cibo) di notte vengono chiusi nonostante le celle abbiano anche i cancelletti, così non passa un filo d’aria. E molte celle sono esposte tutto il giorno al sole, quindi arrivano ad avere temperature interne insopportabili.

Un tempo c’era anche il campo esterno di pallavolo, ma sono anni che i detenuti non hanno accesso a questo campetto. In magazzino inoltre giacciono sei gazebo che dovevano essere messi nel giardinetto realizzato dai detenuti in collaborazione con la Coldiretti e la Regione. Piantumate le piante, finito il corso per giardinieri, non se n’è fatto più niente. Eppure l’iniziativa era stata presentata in pompa magna, l’autunno scorso, sottolineando che il giardinetto in primavera ed estate, avrebbe accolto i colloqui dei detenuti con figli, per loro, quel posto sarebbe stato adatto più delle sale interne, aveva detto lo stesso direttore ai rappresentanti dei media accorsi per pubblicizzare l’iniziativa.

I detenuti lamentano la scarsa igiene, le sei ore di pulizia sono state ridotte a una e mezza al giorno, troppo poco per una popolazione carceraria di quasi 800 detenuti.

"Noi chiediamo di essere messi in condizione di poter pulire il nostro carcere", continuano i detenuti, "di sistemare le docce che hanno gli scarichi intesati, le mattonelle che si alzano, i tubi arrugginiti. Molti di noi sono stati muratori, che ci diano il materiale e i permessi, li sistemiamo noi i bagni. Che ci venga data la possibilità di fare sport, così che possiamo scaricare le tensioni. Stiamo 22 ore in cella. È ovvio che poi ci siano discussioni e liti", continuano. "Abbiamo sbagliato, è giusto che paghiamo, ma in condizioni dignitose. Qui invece la burocrazia blocca tutto. Il tribunale di sorveglianza non concede permessi, non applica nemmeno le leggi. Se consideriamo quello che accade in altri carceri e con altri tribunali, sembra di vivere in Paesi diversi. Eppure se ci fossero più permessi, la gente uscirebbe per qualche ora, il carcere sarebbe meno sovraffollato, ci sarebbero meno tensioni. Lo steso dicasi per le pulizie. Ce le facciano fare, ci diano i prodotti non possiamo vivere tra piattole, pidocchi e Tbc".

Belluno: carenza di organico e gravi problemi con la direzione

 

Redattore Sociale, 10 agosto 2004

 

Stanno per terminare i lavori al carcere di massima sicurezza Baldenich di Belluno, iniziati nel febbraio del 2003, in applicazione del Decreto presidenziale del giugno 2000 emesso da Carlo Azeglio Ciampi. L’intervento, costato in lire due miliardi e mezzo, è servito a rimodernare la struttura e rendere le celle più vivibili per i detenuti. Finestre più luminose, luci soffuse per i controlli notturni del personale di guardia, acqua calda e interruttori della luce in cella e spazi di preghiera per tutte le religioni. Una sezione più ampia rispetto alla precedente potrà accogliere fino a 13-15 collaboratori di giustizia, i "pentiti". Ma il numero potrebbe salire anche fino a una trentina se si decidesse di sistemarne due per ogni cella.

Non è certo è una novità assoluta per il carcere bellunese, che si è trovato anche in passato ad ospitare sia pentiti, sia detenuti "eccellenti", come i boss mafiosi Raffaele Cutolo e Giovanni Brusca. Tuttavia, il clima in cui si terrà l’inaugurazione del "nuovo" carcere di Baldenich, evento previsto al massimo fra due mesi, non è ancora del tutto tranquillo.

"Ci sono infatti gravi problemi di carenza di organico e di direzione - dice Roberto Agus, rappresentante sindacale Cisl. - A metà luglio abbiamo inviato una lettera a tutti i nostri referenti, dal Provveditore per il Veneto fino al Prefetto di Belluno, in cui chiediamo che venga rivisto l’organico prima dell’apertura dell’ala destinata ai collaboratori di giustizia. Altrimenti per noi si tratterà di un ulteriore carico di lavoro che interesserà un po’ tutti i settori, da quello amministrativo, a quello della sicurezza".

Secondo Agus l’organico è carente del 20 per cento. Secondo le mie valutazioni sarebbero necessarie 175 unità. Oggi l’organico è di 110 unità ma, fra distacchi e missioni, i presenti sono 103. "Considerato che le unità devono essere distribuite su quattro turni giornalieri afferma Agus - è un numero impossibile.

E infatti qua produciamo 28mila ore di straordinari all’anno, con l’esclusione il più delle volte di riposi e recuperi. Se ci sono malattie o altro il collega non viene sostituito. A queste proteste legate alla situazione dell’organico, si aggiungono quelle relative all’incompatibilità ambientale sia con il direttore della struttura, Immacolata Mannarella, sia con il comandante del reparto.

"In passato - continua Agus - abbiamo preso diverse iniziative in segno di protesta: dall’autoconsegna all’interno dell’istituto per tre giorni non consecutivi (che significa restare all’interno del carcere per 24 ore di fila), al sit-in davanti al penitenziario. Siamo in stato di agitazione da oltre un anno".

Taranto: iniziativa di reinserimento segnalata a livello nazionale

 

Gazzetta del Sud, 10 agosto 2004

 

Martina Franca esempio di attenzione per i cittadini disagiati: il riconoscimento viene anche da altre parti d’Italia e nei giorni scorsi, la rivista "Ristretti orizzonti", bimestrale del carcere di Padova, ha in qualche modo certificato a livello nazionale questo successo di Martina.

Lo si deve, nel caso specifico, all’assessore ai servizi sociali, e vicesindaco martinese, Antonio Fumarola: infatti, la rivista "Ristretti orizzonti" ha raccontato del primo progetto di reinserimento sociale per i detenuti (l’articolo si intitola proprio così) realizzato nella nostra cittadina. Progetto che a Martina ormai è partito da quasi un anno, era settembre 2003, e che dunque volge al termine (essendo, appunto, annuale) ma per il quale c’è da auspicare una replica. Ha dato modo a dieci detenuti di lavorare, come operai di primo livello, in ambito comunale. Si occupano della pulizia delle banchine stradali. L’iniziativa era stata messa in cantiere nei mesi ancora precedenti, sin dalla primavera dell’anno scorso, ed era finalizzata, ricorda Fumarola, "alla soluzione di problematiche dei detenuti ed ex detenuti, per poter assicurare e promuovere il loro reinserimento sociale o lavorativo, con ricadute anche sui loro nuclei familiari".

A questo scopo è stata fondamentale la collaborazione fra il servizio sociale comunale e l’ufficio tecnico, con l’utilizzo (al costo di 140 mila euro, nell’ambito del settore lavori pubblici) di dieci fra detenuti in misura alternativa ed ex detenuti, da inquadrare come operai di primo livello per un anno. Questi operai, nell’ambito della gestione affidata ad una cooperativa sociale di tipo B (tipologia finalizzata proprio al contenuto sociale e riabilitativo) svolgono questi servizi: "taglio e raccolta dell’erba, carico del materiale cumulato, pulizia del brecciolino, pulizia di eventuali canali, canalette e scoli" rammenta Fumarola.

Il quale dice: "fino ad oggi i risultati sono stati positivi per un duplice motivo, il servizio reso alla collettività e la valenza riabilitativa per le persone impiegate, che vedono riconoscersi dignità attraverso il lavoro". Un ruolo amministrativo che non è stato esclusivamente dell’assessore ai servizi sociali, ma anche di quello ai lavori pubblici, Rosanna Strippoli, oltre che del centro di servizio sociale per adulti di Taranto.

Salerno: per sezione detenuti dell’ospedale subito i lavori

 

La Città di Salerno, 10 agosto 2004

 

Reperire con urgenza i fondi per procedere al restyling della sezione detenuti del "Ruggi". L’appello arriva dalla Uil sanità, che nella giornata di ieri, ha indirizzato un nuovo documento di protesta al direttore generale dell’ospedale di San Leonardo, Domenico Pirozzi ed all’assessore regionale alla sanità Rosalba Tufano.

La sezione detenuti versa infatti in situazioni particolarmente critiche, come denunciato dalle organizzazioni sindacali, dallo stesso personale medico e para medico e dal comitato per l’applicazione della 626 (la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro), oltre che dalle note stilate, nei mesi scorsi, da numerosi parlamentari che hanno effettuato visite ispettive in ospedale.

Tanti i problemi sul tappeto: dalla pavimentazione completamente rovinata e dunque rischiosa, alla necessità di rifare le finestre dei bagni, fino all’adeguamento dei posti letto ed alla messa in sicurezza degli impianti.

I lavori di restyling avrebbero dovuto iniziare proprio in questo periodo o al massimo dopo l’estate. Invece, il manager Pirozzi ha di recente comunicato alle organizzazioni sindacali che quei soldi, inizialmente stanziati per la ristrutturazione del reparto (che ammontano a circa 150.000.00 euro) non erano più disponibili.

"Se l’obiettivo del nostro direttore generale è quello di caricare sul conto capitale, a fronte del conferimento d’incarico ad un nuovo ingegnere, anche i lavori in questione (giusta procedura di appalto in corso anche se al momento sospesa per vizi procedurali e dovrà essere ripubblicata) - scrive Enzo Maddaloni della Uil in una nota - non si comprende a questo punto perché non si può caricare su questo capitolo, ex art. 20 della legge 67/88, anche la spesa per i lavori di ristrutturazione del servizio cucina senza caricare il budget sul bilancio corrente (come il direttore generale ha predisposto con la gara in corso di esecuzione e fortemente contestata dal sindacato) - si legge ancora nella nota - e quindi perché non sospendere la procedura di appalto in corso, alla luce del fatto che anche questa procedura è stata sbagliata e deve essere riformulata per vizi di forma già pure contestati dalle ditte partecipanti?".

Secondo la Uil sanità, l’avvio dei lavori di ristrutturazione non può essere più rimandato. Fra l’altro, sottolinea Maddaloni nella sua lettera di protesta, non solo i fondi sono stati stanziati, ma anche il Provveditorato delle carceri di Napoli, attraverso proprio personale tecnico, "ha già dato il nulla osta all’intervento previa modifica di alcune finestre dei bagni ed altre piccole ma non significative variazioni, ai fini di una modificazione della spesa preventivata e resa già disponibile".

La Uil ha dunque chiesto l’intervento dell’assessore regionale alla sanità affinché possa sbloccare le procedure e consentire il tanto atteso avvio dei lavori. Del problema si discuterà nei prossimi giorni, nel corso di un incontro a cui parteciperanno le rappresentanze sindacali di base e i componenti del comitato per l’applicazione della legge 626: obiettivo dei sindacati è quello di avere un nuovo confronto con il manager.

Interpellanza Radicali piemontesi su scarsità educatori a Vercelli

 

Gruppo Consiliare Radicale del Piemonte, 10 agosto 2004

 

I sottoscritti consiglieri regionali, a seguito della visita ispettiva effettuata nella Casa Circondariale di Vercelli da parte di una delegazione del gruppo radicale (in base all’articolo 67 della legge 354 del 1975), considerato che:

la suddetta delegazione ha appreso dalla direzione del carcere i seguenti dati: al 14 luglio 2004 il numero dei reclusi era di 347 persone (rispetto ad una capienza prevista di 201 unità);

i detenuti extracomunitari erano 130;

93 le persone in attesa di giudizio;

120 i cittadini tossicodipendenti (di cui 3 sieropositivi);

solo una decina i trattamenti metadonici;

anche a Vercelli è riscontrabile l’inadeguatezza quantitativa di tali trattamenti (percentuale trattamenti/totale td.ti pari all’8,3%;

la percentuale nazionale è pari al 13%; la percentuale trattamenti metadonici/totale utenti dei Ser.T. è del 50% - fonte: Relazione del Governo al Parlamento sullo stato delle td.ze in Italia nel 2003). Rispetto al dato qualitativo, è apprezzabile che siano effettuati a Vercelli anche trattamenti a mantenimento (nella maggioranza delle carceri i trattamenti sono solamente a scalare). I detenuti per reati connessi allo spaccio di stupefacenti erano 150 (quasi la metà). Gli atti di autolesionismo verificatisi dal 1°/01/04 erano stati 10. Infine, i detenuti che prestavano attività lavorative all’interno del carcere erano 98 (trattasi di lavori relativi all’ordinaria amministrazione del carcere, effettuati dai detenuti a rotazione);

gli educatori presenti sono due;

la delegazione radicale ha appreso che un terzo educatore, da tempo fattosi trasferire nell’ufficio ragioneria, continua a essere conteggiato nell’organico degli educatori;

la delegazione radicale ha appreso, altresì, che il nuovo educatore assegnato al carcere di Vercelli - grazie al concorso indetto sulla scorta dello stanziamento deciso dalla Giunta Regionale - ha rinunciato a ricoprire il posto e non è stato sostituito;

la delegazione radicale aveva visitato precedentemente il carcere di Biella, dove un’analoga situazione era stata risolta attingendo dalla graduatoria del concorso svoltosi a Torino;

la delegazione radicale ha incontrato le quattro detenute che si dedicano alla produzione di capi d’abbigliamento per il mercato esterno, con grande passione e professionalità;

al 14 luglio 2004 il numero degli agenti di polizia penitenziaria in forza effettiva all’istituto era pari a 204 unità (l’organico previsto è di 240 unità);

esiste un protocollo di intesa fra Regione Piemonte e Provveditorato Regionale alle Carceri, sottoscritto nel 1992 e che da anni necessita di essere rivisto ed ampliato;

l’ordine del giorno approvato dal Consiglio Regionale il 23 dicembre scorso impegna la Giunta Regionale a sollecitare al Ministero di Giustizia l’assunzione degli agenti di polizia penitenziaria "secondo ruoli regionali" (per evitare la "fuga" degli assunti dalle sedi ritenute più disagevoli);

le modalità di gestione degli attuali organici della polizia penitenziaria rischia di mettere in crisi anche tutti gli interventi di assistenza, di sanità, di recupero, di reinserimento e di formazione programmati e finanziati dalla Regione Piemonte;

il 18 febbraio 2004, il Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende (Dpr. 30 giugno 2000 n° 230, artt. 121/130) ha finalmente approvato il regolamento interno per la disciplina delle modalità di presentazione di progetti finalizzati al reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti.

 

Interpellano la Giunta Regionale e in particolare l’Assessore regionale alle Politiche Sociali:

per sapere quali iniziative urgenti la Giunta Regionale intenda assumere nei confronti del Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria affinché: sia finalmente assegnato al carcere di Vercelli un nuovo educatore, attingendo, se possibile, dalla graduatoria di Torino; sia reso pubblico il prospetto di suddivisione definitiva dei 22 nuovi educatori nelle 13 carceri piemontesi;

per sapere quali iniziative la Giunta Regionale intenda assumere per valorizzare ed incentivare la piccola realtà lavorativa esistente nel reparto femminile del carcere di Vercelli;

per conoscere l’orientamento politico della Giunta Regionale rispetto alla riscrittura del Protocollo di Intesa fra Regione e Provveditorato regionale alle Carceri, al fine di valorizzare e salvaguardare gli interventi regionali in un contesto di gestione complessiva degli istituti che rischia di disperdere le risorse stanziate dalla Regione;

per sapere a quale punto sia la predisposizione del nuovo Protocollo di Intesa e per conoscere quale sia la data limite entro la quale la Giunta ritenga necessario procedere alla sottoscrizione del documento;

per conoscere se la Giunta Regionale non ritenga utile ed necessario acquisire immediatamente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Giustizia copia del regolamento e del bilancio della Cassa delle Ammende.

 

Bruno Mellano (primo firmatario), Carmelo Palma

Interpellanza Radicali piemontesi su situazione sanitaria Vallette

 

Gruppo Consiliare Radicale del Piemonte, 10 agosto 2004

 

Premesso che:

il tardivo passaggio alle AA.SS.LL delle competenze funzionali e gestionali dei servizi tossicodipendenze interni agli istituti di pena fa emergere, a partire dal caso delle carcere torinese delle Vallette, il rischio di un vero e proprio disastro, da ben pochi previsto e annunciato; fra i pochi, i radicali, che da anni denunciano la mancata attuazione del decreto legislativo 230/99 (Riordino della medicina penitenziaria);

la nota del 22 dicembre 2003 inviata dalla Direzione della Programmazione Sanitaria alle AA.SS.LL competenti si è limitata a garantire che l’ammontare dei finanziamenti riconosciuti per l’esercizio 2004 sarà pari alle richieste delle Aziende (e quindi sensibilmente superiore ai circa 850.000 euro impiegati nell’esercizio 2003);

il "caso Vallette" è emerso agli onori delle cronache per le proteste degli attuali operatori che, con il passaggio delle competenze all’A.S.L, rischiano di non essere confermati. Dietro questa questione, di natura sindacal-contrattuale, c’è però ben altro, cioè una logica di distruzione e annientamento di un servizio, e di pratiche consolidate negli anni (che puntavano su di un patrimonio di competenze e interventi di natura psicologico-sociale) e la sua sostituzione con un modello di "Ser.T. di territorio", in cui hanno (giustamente) la priorità interventi di natura medico-sanitaria;

le AA.SS.LL rischiano di commettere rispetto alla tossicodipendenza carceraria lo stesso errore che hanno commesso per 20 anni rispetto alla tossicodipendenza da strada: quella di "pensarla" e di trattarla secondo un modello burocraticamente ambulatoriale. Questa scelta non contrasta solo con il buon senso, ma anche con le disposizioni del D.M. 21 aprile 2000 (Progetto Obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario), che impone, nel passaggio delle competenze alle AA.SS.LL, la garanzia della "necessaria continuità assistenziale";

l’interruzione della continuità dei trattamenti per i detenuti tossicodipendenti delle "Vallette" è particolarmente grave, proprio perché si inserisce in un progetto/percorso ampiamente strutturato e sperimentato (dalle sezioni di primo livello sino alla sezione a custodia attenuata Arcobaleno);

se l’A.S.L 3 ritiene di potere eludere il problema della continuità degli interventi e di un progetto che riconosca ed affronti la specificità della "tossicodipendenza carceraria", il risultato sarà doppiamente negativo: si interromperanno una serie di trattamenti e si minerà la stessa sicurezza del carcere.

 

Interpellano l’Assessore regionale alla Sanità per sapere:

se ritenga che, di fronte a tutto questo, la Regione possa limitarsi a fare il "passa carte" e il "passa soldi" alle AA.SS.LL o non debba al contrario imporre il rispetto di una serie di criteri e di obiettivi di intervento, a partire dall’adozione di una Carta dei Servizi, prevista come obbligatoria dall’art. 1 del decreto legislativo 230/99;

se in particolare sia vero che l’A.S.L 3 ha programmato alle Vallette una radicale "normalizzazione" dei servizi tossicodipendenze, con il dimezzamento delle ore dedicate ad interventi di carattere psico-sociale;

se più in generale non ritenga che la Regione debba smettere di trattare le tossicodipendenze come una materia residuale, affidata di volta in volta alle convinzioni e alle convenienze personali di qualche dirigente di assessorato o di A.S.L.

 

Carmelo Palma (primo firmatario), Bruno Mellano

Roma: il 15 agosto migliaia di agenti scenderanno in piazza

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

L’appuntamento è per la mattina di Ferragosto a Roma. Proprio il giorno in cui scade l’ultimatum delle brigate "Al Masri" all’Italia ("via dall’Irak o dal 15 agosto colpiremo a Roma e altrove") migliaia di poliziotti scenderanno in piazza, sfilando anche sotto Palazzo Chigi, per protestare contro un governo che "prima promette, poi non mantiene".

E che nella sua politica contrattuale del comparto sicurezza e difesa dimostra "un forte sbilanciamento a favore delle Forze armate a danno delle Forze di polizia". Sotto accusa è non solo il governo, ma anche quella che viene definita la "lobby dei generali" che, nelle commissioni Difesa della Camera e del Senato, "riesce a favorire i militari a scapito delle forze civili".

Le due commissioni svolgono, secondo Filippo Saltamartini, segretario generale del Sap (il sindacato autonomo di polizia), "un’attività contrapposta alla rappresentanza dei sindacati" della polizia. In altre parole, governo e Parlamento privilegerebbero le istanze provenienti dal comparto difesa, essendo sensibili alle pressioni esercitate dagli ex generali che siedono alla Camera e al Senato.

"Nei Paesi democratici – sottolinea Saltamartini – i lavoratori sono rappresentati dai sindacati, non dai generali. Non è possibile che nella Finanziaria 2004 siano stati inseriti 1800 miliardi di vecchie lire per finanziare le missioni militari italiane all’estero, mentre a noi mancano i soldi per rimodernare il parco auto e persino per i pneumatici e la benzina.

La sicurezza interna, in un momento come questo di emergenza legato alla minaccia del terrorismo, è un bene troppo essenziale per essere così trascurato". A portare nelle strade romane la rabbia e la delusione degli operatori di polizia (ma ci saranno anche i familiari dei componenti i Cocer di carabinieri e guardia di finanza: questi ultimi, essendo militari, non possono manifestare pubblicamente contro il governo) sono, oltre al Sap, il sindacato unitario di categoria (Siulp), quello autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), quello del Corpo forestale (Sapas) e altre sigle minori.

"Saremo in piazza il 15 agosto perché è il giorno tradizionalmente riservato ai ringraziamenti del ministro dell’Interno alle forze dell’ordine (il ministro, infatti, visita la questura di Roma, i comandi generali di carabinieri e guardia di finanza, i comandi dei vigili del fuoco e dei vigili urbani, ndr).

Per noi è un giorno di lavoro come gli altri, ma manifestiamo per chiarire che non accettiamo quei ringraziamenti e chiediamo che invece vengano mantenuti gli impegni sottoscritti" spiega Oronzo Cosi, segretario generale del Siulp.

Nel mirino dei sindacati di polizia - ai quali è giunta la "massima solidarietà" da Savino Pezzotta, segretario della Cisl, secondo cui in Parlamento è "indifferibile la creazione di una commissione Interni per bilanciare il peso determinante della commissione Difesa" - è l’ultimo contratto collettivo nazionale con cui, sostengono gli organizzatori della clamorosa protesta, "l’esecutivo ha contenuto al minimo gli incrementi di stipendio appellandosi alla difficile situazione economica del Paese e al nostro senso di responsabilità.

Poi però, una volta ottenuta la firma della pre-intesa, ha dimostrato di avere ulteriori risorse, dapprima approvando un provvedimento sul riallineamento delle carriere dei soli marescialli delle Forze armate, poi accogliendo la revisione della "indennità operativa", che verrà distribuita in parti uguali a tutti gli operatori delle Forze armate, in maniera che i sottufficiali di queste ultime saranno destinatari di ulteriori benefici".

Altamente "penalizzante", infine, viene definita anche la situazione dei dirigenti di polizia ai quali "il governo - accusa il Siulp - nega la possibilità di contrattare tramite i sindacati di categoria il proprio trattamento economico; non a caso sono la categoria che in tutto il pubblico impiego vanta gli stipendi più bassi in assoluto".

Bollate: "Riccardo", film realizzato in carcere, al festival Locarno

 

La Provincia di Como, 10 agosto 2004

 

Uno dei casi del Festival di Locarno è un piccolo film, costato solo diecimila euro, realizzato da studenti dello Iulm (18 ragazze e 4 ragazzi) dentro il carcere maschile di Bollate per la regia di Bruno Bigoni. Riccardo è un libero adattamento del Riccardo III shakespeariano dentro una casa circondariale con l’attore Bebo Storti a interpretare l’ambizioso e folle protagonista in un cast di soli detenuti. Bebo Storti, come ha vissuto questa esperienza?

Avevo già lavorato in carcere a Ivrea, una situazione ancora più dura, con detenuti in attesa di processo. Per otto, nove mesi lavorato su una piece di Edward Bond con lezioni e spettacolo, un lavoro classico, molto diverso da questo, che è stato un’esperienza umana forte. Come è stato recitare a fianco dei detenuti? Io sono arrivato il giorno di inizio riprese, il grosso del lavoro l’hanno fatto Bruno Bigoni e i ragazzi.

Quanto all’attore, là dentro non può recitare. Devi essere te stesso, vivere, lasciarti andare, se reciti sei un sozzone o un pirla. Fare Riccardo in carcere è teatro etico, teatro popolare nel senso vero, non il teatro intellettuale cui siamo abituati. È un teatro che recupera la vita, una cosa che ho visto solo in Carmelo Bene. I detenuti riescono a raccontare sé stessi dentro i loro personaggi. Per loro tutti i giorni è un nuovo risveglio. Me l’ha detto uno di loro: "Per alzarmi tutte le mattine devo pensare che ogni giorno è nuovo, che ricomincio sempre daccapo".

E Riccardo è Riccardo III ma è anche un film sul carcere, chiuso, senza nessuna concessione allo spettatore. Anche i secondini sono veri secondini. Sì, i secondini recitano sé stessi e molto bene, sono giusti, si sono calati proprio dentro la parte. Anche loro in fondo sono dei carcerati, vivono sempre dentro il carcere e diventano cinici e rigidi. Recitando sono più duri con i detenuti rispetto a come sono realmente. Anche nelle scene più difficili sono stati bravi.

Il regista Bigoni ha detto che "Riccardo" è un’anomalia nel cinema italiano, cosa pensa di questo tipo di cinema? Mi ha fatto ridere leggere di George Clooney che non fa sesso per tre mesi perché deve ingrassare per prepararsi a un ruolo. Solo con i soldi per i trailer di un film con Clooney facciamo dieci Riccardo.

È un cinema che non mi interessa, io ho sposato un altro tipo di cinema, che entra nella vita delle persone che guardano, che le tocca, altrimenti non ha senso, passa inutile, come i cartelloni teatrali che mettono Molière e Pirandello che funzionano sempre. Però non c’è mai niente di vero. Il problema per questo film è riuscire a essere visto. Il problema per gli ultimi della terra, che siano carcerati o i poveri da qualsiasi parte del mondo, è la visibilità. Ora farò di tutto perché il film possa essere visto e abbia una distribuzione.

Droghe: tossicodipendenti sono "malati"? Governo diviso

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

Posizioni diverse nel governo sulla lotta alla droga. Mentre il Dipartimento per le politiche antidroga non ha ancora preso il via e si ipotizza l’istituzione di un ministero ad hoc, a sorpresa il ministro delle riforme Roberto Calderoli, lancia una proposta: la tossicomania dovrebbe essere riconosciuta come malattia, e come tale avere "la dignità, le cure, gli specialisti, le strutture, i finanziamenti" che le malattie meritano.

Due rappresentanti dell’esecutivo, il sottosegretario alla salute Antonio Guidi e il sottosegretario al Welfare Grazia Sestini dicono invece che no, la tossicodipendenza non è una malattia e medicalizzare il problema non è la soluzione. "Come medico, come uomo politico e oggi come esponente del governo - afferma il ministro Calderoli - mi sento colpevole responsabile per tutto quello che ancora non si è fatto.

Mi auguro che il neodipartimento possa produrre qualche cosa di più, ma quello che fino ad oggi non si è mai avuto il coraggio di riconoscere è che le tossicomanie sono il sintomo di una malattia dell’animo e che quindi la droga debba essere riconosciuta come una ‘malattia’ che deve avere la dignità, le cure, gli specialisti, le strutture, i finanziamenti cui, sulla carta, ha diritto ogni malattia. Il tossicodipendente deve avere l’obbligo di curarsi così come lo Stato deve avere l’obbligo di fornirgli le cure, senza dimenticarsi che esistono le tossicomanie anche da quelle che, erroneamente, vengono definite droghe leggere".

Una "maggiore attenzione all’aspetto medico della tossicodipendenza è giusta - replica Guidi - ma senza eccedere. La medicina può aiutare ma non risolve". Nella lotta alla droga, "va privilegiato l’approccio multidisciplinare, quello medico, quello psicologico, quello sociale.

Come tutte le difficoltà del vivere anche la tossicodipendenza ha necessità di momenti che richiedono interventi medici, altri legati di più all’integrazione sociale. È tipico delle dipendenze pensare che un atto medico possa aiutare. Ma non risolve".

Per Sestini, "la medicalizzazione ha creato gli zombi schiavi del metadone, proprio quella politica che noi combattiamo. La tossicodipendenza - precisa - non è una malattia anche se in fase acuta ha bisogno di cure specifiche in tal senso. Il compito dello stato è invece mettere i ragazzi e le famiglie nelle condizioni di scegliere fra i vari percorsi educativi finalizzati alla ricostruzione della personalità.

Il problema della droga, infatti, non può prescindere dai problemi sociali". Sestini segnala poi che in tema di lotta alla droga "siamo in un momento di stallo" legato alla fase organizzativa del nuovo dipartimento, non ancora operativo. Livia Turco, responsabile welfare dei Ds, giudica la proposta "l’ennesimo depistaggio ideologico" che copre "il vuoto di politiche del governo.

Calderoli non si avventuri in materie che non gli competono. Pensi, invece, a fare il suo mestiere che è quello di mettere in condizione di lavorare i medici, gli psicologi, gli specialisti, tutti gli operatori che già esistono". Per alcuni addetti ai lavori, invece, la proposta del ministro delle riforme è da prendere in considerazione.

"La proposta ha un senso - dice Alessandro Meluzzi, psichiatra e psicoterapeuta - ma sarebbe sbagliato pensare la questione come un’ulteriore branca specialistica della medicina. Il tossicodipendente va visto nella sua unitarietà. Non c’è più il tossicodipendente puro, quello stile anni ‘70, che per ideologia sceglieva un tipo di vita alternativo. Abbiamo sempre più invece giovani in cui disagi e debolezze si sovrappongono".

Per Meluzzi, interventi ottimali sarebbero quelli legati al welfare delle comunità, case famiglia, che veda impegnati anche il terzo settore, la parrocchia, i movimenti giovanili. Il tossicodipendente è invece un malato per Massimo Barra, fondatore e direttore di Villa Maraini, anzi - dice - "è il prototipo del malato, perché è malato fisicamente, psicologicamente e socialmente. Benvenga, quindi, la proposta di Calderoli".

Contro la droga non c’è un’unica strategia ma un ventaglio di terapie, e quindi, quando serve, va bene il ricorso alla comunità, all’intervento in strada, alla riduzione del danno, alla somministrazione di metadone, alla sperimentazione di assunzione di eroina, ai reparti di disintossicazione.

L’istituzione di un ministero antidroga trova il dissenso di Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni: "l’eventuale creazione di un ministero ad hoc nella migliore delle ipotesi rimarrebbe un provvedimento votato alla propaganda o ad aumentare l’efficacia di politiche fallimentari".

Cento (Verdi): "no a costituzione di un ministero proibizionista"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

"L’ipotesi di realizzare un ministero ad hoc sulle droghe da dare in gestione ad An è l’ennesimo gioco di poltrone realizzato dal centrodestra questa volta sulla pelle di migliaia di tossicodipendenti o peggio di semplici e occasionali consumatori di droghe leggere".

È quanto afferma il deputato Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera. "Il ministero proibizionista - prosegue Cento - coerente con la proposta di legge Fini sulla droga è in realtà un nuovo tentativo di criminalizzare e costringere al carcere chiunque fa uso di sostanze senza alcuna capacità né di prevenire né di combattere seriamente e rigorosamente il grande mercato del narcotraffico".

"Se insistono su questa proposta, che per altro non ha precedenti in Europa - conclude Cento - faremo di tutto per bloccarla in Parlamento e nel Paese".

Corleone (Forum Droghe): "da governo solo probizionismo becero"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

"È scandaloso" che il governo Berlusconi non abbia mai convocato la Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, momento di confronto fra gli operatori del settore prevista dalla legge a cadenza triennale.

Lo afferma Franco Corleone, presidente del Forum Droghe, ricordando che l’ultima conferenza risale al novembre 2000. "Siamo in attesa di una convocazione della conferenza da anni - aggiunge Corleone - quello sarebbe il luogo del confronto fra operatori, politici, esperienze internazionali, il luogo dove potrebbero essere avanzate le modifiche da apportare alla legge.

Il governo non vuole questo confronto nella lotta alla droga, vuole uccidere i Ser.T., vuole il potere e le risorse. Il governo, in particolare Fini ed An, fanno propaganda mediatica per affermare il loro tratto identitario".

Corleone ribadisce le critiche al "licenziamento" del prefetto Pietro Soggiu a capo del dipartimento alla Presidenza del Consiglio e, conseguentemente, all’investitura nello scorso aprile di Nicola Carlesi, ex deputato di An; così come critica l’esclusività delle deleghe passate dal ministero del welfare al vicepremier.

Il presidente del Forum Droghe giudica inoltre negativamente l’ipotesi di un ministero, senza portafoglio, della lotta alla droga, a cui starebbe lavorando An. In questo caso - sottolinea - "si tratterebbe di una becera politica proibizionista. Mi piacerebbe sentire il ministro Martino, liberale ed antiproibizionista, cosa ne pensa".

Meluzzi (Psichiatria Dem.): "un tossico non si cura solo coi farmaci"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

È vero, il tossicodipendente è un malato che va curato, ma non con interventi specialistici come si fa per una gamba rotta o per un infarto: i soli farmaci o alla degenza di ospedale non bastano per curare chi assume. Servono terapie globali che ricostruiscano le relazioni affettive, emotive, comportamentali.

È quanto sostiene lo psichiatra e psicoterapeuta Alessandro Meluzzi che accoglie favorevolmente la proposta del ministro Roberto Calderoli di considerare il tossicodipendente come un malato. E sono malattie tutte le dipendenze, quindi non solo la droga ma anche l’alcol, il cibo, il gioco.

"La proposta - dice l’esperto - ha un senso ma sarebbe sbagliato pensare la questione come un’ulteriore branca specialistica della medicina.

Il tossicodipendente va visto nella sua unitarietà. La pratica clinica ci dice che è sempre difficile trovare ormai una crisi psichiatrica giovanile in cui non siano presenti disturbi comportamentali ed emozionali, problemi familiari e di assunzioni di sostanze. Non c’è più il tossicodipendente puro, quello stile anni ‘70, che per ideologia sceglieva un tipo di vita alternativo.

Abbiamo sempre più invece - aggiunge - giovani in cui disagi e debolezze si sovrappongono". Quali possono essere gli interventi terapeutici? "Non certo l’ospedale o l’ambulatorio - risponde Meluzzi - perché parliamo di patologie della mente, del corpo e anche dell’anima.

È la personalità che va ricostruita. Una delle risposte può venire dalle comunità o meglio ancora dalle piccole forme di convivenza, come le case famiglia. Insomma, un nuovo welfare di comunità che chiama in causa il volontariato, il terzo settore, la parrocchia, i movimenti giovanili". La dipendenza non è questione - sottolinea ancora lo psichiatra - "di analisi, di biologia, né di burocrazia, non si cura solo con i farmaci. Né la psicologia o la medicina possono fare tutto da sole".

Barra (Villa Maraini): "grave che tossico non sia considerato malato"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

"È grave che il tossicodipendente non sia considerato ancora un malato. È una grave violazione nei confronti dei diritti dei più deboli". Lo ha detto Massimo Barra, fondatore e direttore di Villa Maraini, una struttura che a Roma si occupa di lotta alla droga ed assiste i tossicodipendenti, commentando la proposta del ministro Calderoli.

"Il tossicodipendente - ha sottolineato Barra - è il prototipo del malato, perché è malato fisicamente, psicologicamente e socialmente. Non considerarlo malato, la lotta alla droga diventa un’assurda lotta ai tossicodipendenti. Benvenga, quindi, la proposta di Calderoli, ha tutta la mia solidarietà".

A suo avviso, "non basta un’unica strategia di cura ma un ventaglio di azioni e terapie che provengono dall’ esperienza scientifica: la terapia richiede competenza e rigore scientifici, non serve il pregiudizio o la buona volontà o aizzare la gente". Per Barra, la cosa più importante è il trattamento giusto per ogni persona.

E quindi, a seconda dei casi: "la comunità, l’intervento in strada, la riduzione del danno, la somministrazione di metadone, la sperimentazione di assunzione di eroina, i reparti di disintossicazione". Se davvero il tossicodipendente fosse realmente considerato un malato, "sarebbe un bel passo in avanti.

Finora i tossicodipendenti sono invece considerati vuoti a perdere e i fondi pubblici si danno agli amici e agli amici degli amici. La nostra esperienza - conclude Barra - è che non esiste un tossicodipendente che non possa guarire".

Muccioli (S. Patrignano): "è giusto che governo consulti operatori"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

"Non dovrebbe sorprendere, anzi dovrebbe essere considerato positivo da chiunque, il fatto che di fronte ad un dramma quale la tossicodipendenza, un governo abbia la lungimiranza e l’accortezza di chiedere consiglio agli operatori che hanno dimostrato di esser più efficaci nel campo della prevenzione e del recupero dalla droga. Tra questi, è innegabile, c’ è anche San Patrignano".

Andrea Muccioli, responsabile della comunità più famosa d’ Italia è intervenuto nel dibattito in corso da giorni sul dipartimento antidroga e ha voluto anche ricordare la gratuità dei servizi di San Patrignano.

"Alcuni quotidiani commentando il testo di palazzo Chigi, con il quale si riorganizzano le funzioni del dipartimento nazionale antidroga, affermano che San Patrignano ha svolto un ruolo importante nella stesura del decreto e siamo accreditati o accusati, secondo convenienze partitiche o ideologiche, d’essere i consiglieri esclusivi del governo per le politiche sociali sulla tossicodipendenza", era stata la sua premessa.

"Su questi temi - ha spiegato Muccioli - ci offriamo, da sempre, ad un confronto concreto e non ideologico con ogni governo: sia esso di centro, di sinistra o di destra. In alcune occasioni le nostre opinioni sono ascoltate e valorizzate, in altre meno. Ciò che è certo, è che e ogni qualvolta è stata richiesta la valutazione di San Patrignano, ho sempre premesso e sottolineato, con forza, l’importanza di ascoltare le opinioni e le osservazioni di tutte le altre comunità e realtà di volontariato: sempre che si occupino effettivamente di recupero e reinserimento sociale dei tossicodipendenti".

Poi la seconda precisazione: "Riguardo all’abituale insinuazione che ci descrive quale unico destinatario dei finanziamenti governativi, sono ancora una volta costretto a ricordare alcuni fatti, ormai arcinoti all’opinione pubblica e che qualche addetto ai lavori finge sempre di non ricordare. San Patrignano è una delle rare realtà a non percepire rette dei servizi pubblici, ad essere totalmente gratuita per i ragazzi e le loro famiglie, a finanziarsi esclusivamente con donazioni private.

I fondi da noi ricevuti per le ultime due campagne nazionali di prevenzione della droga, realizzate entrambe con la partecipazione di molte altre comunità, sono stati utilizzati, esclusivamente, per realizzare campagne innovative ed efficaci, com’ è testimoniato dalle ricerche sui loro risultati. Non un euro è finito a finanziare l’attività di San Patrignano. Le due campagne sono state aggiudicate attraverso bandi pubblici, cui hanno partecipato decine di soggetti. I progetti sono stati pubblicamente esaminati e valutati secondo le norme di legge e la scelta è caduta su quelli considerati migliori".

Cappato (Radicali): "ministero ad hoc, votato alla propaganda"

 

"La costituzione del dipartimento unico per le politiche antidroga, così come l’eventuale creazione di un ministero ad hoc nella migliore delle ipotesi rimangono provvedimenti votati alla propaganda o ad aumentare l’efficacia di politiche fallimentari". Lo afferma in una nota Marco Cappato segretario dell’associazione Luca Coscioni.

"Mentre lo Stato si occupa di propaganda e repressione - afferma Cappato - le vere politiche sulle droghe sono consegnate dal proibizionismo al coordinamento svolto da mafie, camorre e gruppi terroristici internazionali. Sono loro - conclude - il vero ministero ad hoc, che agisce indisturbato e rafforzato da leggi e politiche che colpiscono con violenza i cittadini e le loro libertà".

Turco (Ds): "dal governo l’ennesimo depistaggio ideologico"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

Se la tossicodipendenza sia o no una malattia "è già una questione risolta. Calderoli non si avventuri in materie che non gli competono. Pensi, invece, a fare il suo mestiere che è quello di mettere in condizione di lavorare i medici, gli psicologi, gli specialisti, tutti gli operatori che già esistono".

Per Livia Turco, responsabile welfare dei Ds, la proposta del ministro Calderoli di considerare la tossicomania una malattia "è l’ennesimo depistaggio ideologico" che copre "il vuoto di politiche del governo". Stessa motivazione, per la diessina, anche per l’ipotesi di istituire un ministero delle politiche antidroga.

"Cosa vuol dire - si chiede Turco - considerare la tossicodipendenza una malattia? Già adesso ci sono i medici, gli psicologi, gli operatori che conoscono la materia ma non sono più in condizione di lavorare perchè tagliano i fondi, chiudono i Ser.T.

Questo governo ha la mania di buttare in ideologia le questioni, invece di affrontare i problemi accende fuochi ideologici. Calderoli anziché discettare su materie che non gli competono faccia il suo mestiere, metta in condizione gli operatori di lavorare". Anche l’ipotesi del ministero antidroga, per Turco, "serve a coprire un vuoto totale di iniziative politiche.

A fronte di un problema che andrebbe monitorato, assistiamo invece ad un vuoto spaventoso. Sono proposte che gettano fumo negli occhi". Fra l’altro, a distanza di diversi mesi dall’approvazione in consiglio dei ministri, il ddl - osserva la parlamentare - non ha iniziato il suo cammino in parlamento: "è una cosa mai successa. Deduco che la legge, dai contenuti molto gravi, non è gradita alla stessa maggioranza".

Guidi (Sottosegr. Salute): "nessuna contrapposizione con Calderoli"

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

Nessuna contrapposizione nel governo sulle politiche per la lotta alla droga. Lo precisa il sottosegretario alla salute, Antonio Guidi, a proposito delle dichiarazioni rilasciate ieri sulla proposta del ministro Calderoli di considerare i tossicodipendenti come dei malati. "Leggo su alcuni quotidiani - sostiene il sottosegretario - di una possibile contrapposizione con il ministro Calderoli.

È evidente che io su certi argomenti, di mia competenza, ho le mie idee, ma non c’è alcuna contrapposizione. Come già detto ieri, ritengo utile una maggior attenzione alle dipendenze, soprattutto quelle che mietono più vittime quali l’alcolismo, il tabagismo e gli psicofarmaci che questo governo da tempo sta contrastando.

Rispetto alle sostanze psicotrope di vecchia o nuova generazione dall’eroina, all’estasi al crac e alle nuove pericolosissime misture, non possiamo negare che superata una certa soglia l’abitudine non può non esser vista come un disturbo da curare e ribadisco con servizi, che non siano più come troppo spesso avviene nei sottoscala o come ruote di scorta di altri servizi.

È evidente, ribadisco ancora, che l’approccio oltre che medico, spesso indispensabile, è necessario un approccio multiprofessionale da parte di psicologi, assistenti sociali, comunità di breve periodo. Non sopporto - sottolinea ancora Guidi - chi cerca ad ogni costo contrapposizioni tra membri della maggioranza e anche fra avversari.

Quando si lotta per un obiettivo comune, non vanno riproposte vecchie o nuove emarginazioni né contrapposizioni inutili. Infine, rispetto alle dichiarazioni dell’on Turco, del quale ho sempre rispettato l’impegno, ritengo assolutamente stonata la sua voce perché prima di dichiarare è meglio informarsi. Anche la politica ha bisogno di salute".

Droghe: in calo morti e sequestri, allarme per la cocaina

 

Ansa, 10 agosto 2004

 

È allarme consumo cocaina (in tre anni l’aumento è stato dell’80%); il 13% dei giovani italiani fa uso abituale di droga; sono in calo i morti per droga ed i sequestri di sostanze stupefacenti; aumentano i nuovi casi ai Ser.T.: è il quadro del fenomeno droga nel nostro paese secondo quanto riferiscono l’ultima relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga ed un’indagine dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

Ecco, in sintesi, alcuni dati. Il 13,2% degli italiani fra i 15 e 34 anni fa abitualmente uso di droga. La percentuale scende al 7,3% nella fascia di età tra i 15 e 54 anni ma sale al 17% fra i 15 e 24. Le sostanze più diffuse sono l’hashish e la marijuana. o 0,7% preferisce l’ecstasy e lo 0,6% assume allucinogeni. Si droga uno studente su tre fra i 15 e 19 anni.

Nel 2003 sono morti 429 persone per droga, - 17% rispetto al 2002. Lo scorso anno sono stati sequestrati complessivamente 46.867 chili di droga, il 10,25% in meno rispetto all’anno precedente.

Le persone che sono in carico ai Ser.T. sono 126.983, un numero superiore rispetto al 2002 quando erano stati contati 126.204 utenti. I nuovi casi sono però passati dai 32.847 ai 33.628. In tre anni, dal 1999 al 2002, il consumo di cocaina è aumentata dell’80%.

Chi assume droghe non è più ragazzo ma anche uomo maturo integrato nel mondo del lavoro. Questo il suo identikit: è uomo, risiede per lo più nel Nord, ha circa 28 anni, possiede la licenza media, nel 50% dei casi vanta un lavoro stabile.

Bologna: la "gabbia" del Cpt per immigrati di via Mattei

 

Repubblica, 10 agosto 2004

 

Una gigantesca stia per polli, un canile. L’aspetto è quello di una gabbia, con le sbarre di lato e in alto. Non è uno zoo e le gabbie sono per gli uomini. È il Cpt, il centro di permanenza temporanea per i clandestini in via Mattei.

La "gabbia" è la zona all’aperto dove gli immigrati hanno diritto al transito, cortili e camminamenti compresi. Un po’ alla volta, alle cancellate che delimitano i confini laterali, si stanno aggiungendo delle grate in alto, orizzontalmente. Un tetto di sbarre, giusto al di sotto dei pannelli anti-scavalcamento. Obiettivo: arginare il più possibile il pericolo di fuga.

Una decisione presa dopo le rivolte e le fughe di immigrati che si sono verificate numerose negli scorsi mesi fra le mura del Cpt e che gli conferisce sempre più l’aspetto di una fortezza. "I lavori sono iniziati a metà giugno circa e, adesso, la copertura è già in fase molto avanzata: siamo già al 70-80 per cento di tutto lo spazio all’aperto in cui si possono muovere gli ospiti del centro, fatta eccezione per il campo di calcetto", spiega una persona che ha modo di entrare lì dentro. E aggiunge: "La parte anteriore, quella che da su via Mattei, è tutta sbarrata". Impossibile verificarlo di persona, poiché l’accesso è rigorosamente vietato. Dalla Prefettura, che ha alcune competenze sul Cpt, arriva solo un "no comment".

Tuttavia, dall’esterno, si scorge una fila di sbarre incastrate, in alto, tra quelle della cancellata. "È una struttura che contraddice il regolamento ministeriale", dice il deputato dei Verdi Paolo Cento, che annuncia: "Domani stesso (oggi per chi legge, ndr) presenterò un’interpellanza al ministero degli Interni per avere spiegazioni e chiedere l’immediata rimozione. In questo modo si tengono le bestie. Tolgono agli immigrati rinchiusi quel poco di dignità che gli resta". Dello stesso avviso la parlamentare di Rifondazione comunista Titti De Simone: "L’ultima volta che sono entrata nel Cpt, agli inizi di maggio, non c’era ancora questo sbarramento. Ma sapevo che l’avrebbero messo per rafforzare la sicurezza, così avevano detto, per ridurre le possibilità di fuga. Non appena tornerò a Bologna, a settembre, tornerò a far visita alla struttura e, poi, ci sarà battaglia contro questa ulteriore limitazione della libertà".

Ma al centro di via Mattei potrebbe arrivare anche un’altra visita. Altre persone - funzionari del Consiglio d’Europa - che potrebbero trovare quelle sbarre non in linea col rispetto dei diritti degli ospiti. Si tratta del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Acronimo, ironia della sorte: Cpt. Una delegazione è attesa a Bologna entro la fine dell’anno. È tutto scritto in una circolare inviata dalla Prefettura alla Questura e alla Croce rossa, coloro cioè che operano nel centro. I delegati del Comitato europeo, oltre a verificare le condizioni generali della struttura, possono controllare ogni cosa, cartelle cliniche comprese, e hanno il diritto di parlare da soli con gli immigrati. La circolare della Prefettura ha il senso di un "avvertimento" a chi lavora al Cpt.

"Da parte dell’ente gestore – sta scritto nel documento - deve essere costantemente osservato il livello igienico-sanitario, lo svolgimento di un’appropriata attività di mediazione culturale, l’esatta applicazione di norme sanitarie, la prestazione di adeguato supporto psicologico etc...". E la raccomandazione finale: "...nel pieno rispetto dei diritti umani e della dignità della persona".

Mappati in tutta Europa i centri di detenzione per immigrati

 

Meltingpot, 10 agosto 2004 

 

Migreurop, una rete di attivisti francesi, italiani e belgi, ha recentemente pubblicato la seconda inchiesta di monitoraggio sui centri di detenzione per cittadini migranti in Europa. Per quanto i centri di detenzione presentino numerose diversità a seconda degli stati europei, essi tuttavia mostrano di avere un certo numero di caratteristiche comuni. La prima sta nei "detenuti": sono tutti cittadini provenienti da paesi extra-europei e non hanno commesso alcun crimine tranne aver oltrepassato frontiere privi di documenti di soggiorno.

La seconda caratteristica è che i migranti così detti "clandestini" sono considerati come gruppo etnico invece di essere trattati come individui con una propria storia personale. La terza è che è praticamente impossibile che i diritti fondamentali vengano rispettati in questi luoghi. Non c’è, ad esempio, libertà di movimento, né diritto di asilo, vita privata e familiare, né vengono tutelati i diritti dei minori mentre all’interno dei cpt il trattamento è spesso sistematicamente disumano e degradante.

Il senso dell’internamento degli stranieri in Europa non è principalmente quello di punirli bensì quello di mostrare alla popolazione autoctona che i migranti, che devono essere controllati, lo sono in maniera efficiente. È una sorta di tacito accordo tra stato e società, che permette allo stato di garantire pubblica sicurezza. Questa la legittimazione dei centri di detenzione. La detenzione fa parte di una serie di misure che vengono definite "politiche di gestione dei flussi migratori e delle richieste di asilo", la cui volontà sta nello spostare il controllo degli ingressi verso l’Unione Europea nei paesi situati ai confini dell’Unione.

I controlli alle frontiera e la lotta contro l’immigrazione clandestina sono oggi giorno centrali nelle politiche europee sull’immigrazione.

Prima dell’11 settembre 2001, la questione dell’immigrazione veniva trattata alla stregua della criminalità e del traffico di droga. Oggi è chiaramente associata al terrorismo. Sempre di più gli immigrati diventano il nemico, e il vocabolario di guerra viene spesso usato per descrivere la situazione e per combatterla: equipaggiamento militare per il controllo del mare, alta tecnologia, muri e barriere, centri di detenzioni ed espulsioni collettive. In questo clima, che è costantemente alimentato, la detenzione di stranieri diventa una risposta logica che viene anche applicata ai richiedenti asilo.

 Con queste politiche l’Unione Europea sceglie di proteggersi dai richiedenti asilo invece di dare loro protezione. Quindi, i nuovi standard europei, che si basano sul concetto che per lo più i richiedenti asilo sarebbero finti, rendono l’accesso alle procedure di asilo sempre più difficili e contribuiscono a diminuire il livello di protezione. La detenzione dei richiedenti asilo sembra essere una risposta adeguata di fronte alla "minaccia" di un numero sempre più crescente di arrivi. Le proposte europee di risolvere questa "minaccia" fanno sempre di più riferimento alla possibilità di detenere i richiedenti asilo fuori dal territorio europeo. Questa "esternalizzazione" si applica sia ai richiedenti asilo che ai confini geografici. Lo scopo è quello di renderli sempre di più impenetrabili. L’esternalizzazione del problema comporta la relazione dei paesi dell’Unione con paesi extra-europei, obbligandoli a cooperare nella lotta all’immigrazione clandestina. Il Marocco è un ottimo esempio di questo sistema: l’Unione Europea finanzia il controllo dei confini di questo paese per combattere l’immigrazione clandestina verso l’Europa. Questo trasforma lo stato terzo in una sorta di "cane da guardia dei confini europei".

Qualsiasi siano le funzioni dei centri di detenzione – contenere i flussi migratori, organizzare le deportazioni dei clandestini, detenere i richiedenti asilo – questi sono parte del meccanismo di esclusione di quanti l’EU designa come un "rischio" o come un "nemico". Sono la materializzazione di un approccio securitario all’immigrazione, di un deterioramento del diritto fondamentale alla libera circolazione dei cittadini.

 

 

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