Novità a Porto Azzurro

 

Carcere di Porto Azzurro (Livorno)

trasferiti il direttore e un detenuto simbolo

 

Liberazione, 25 novembre 2003

 

Una volta considerata il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria, la casa di reclusione di Porto Azzurro sta oggi vivendo un declino preoccupante e drammatico. Lettere e telefonate al circolo di Rifondazione comunista e all’associazione Papillon di denuncia della situazione di degrado ambientale e sociale di un carcere ritenuto "modello" ci hanno imposto fin da settembre un approfondimento conoscitivo.

Che fine aveva fatto il progetto di un museo criminologico, quello di visite guidate all’interno della Fortezza del ‘500 ma, soprattutto, come si spiegava la chiusura della tipografia (che stampava anche un giornalino interno redatto dai detenuti), della falegnameria e della tessitoria pensate, a suo tempo, con l’ottica di costruzione di percorsi di recupero e di reinserimento sociale? Come spiegare le tante voci che circolavano, su condizioni di vita sempre peggiori dei detenuti e sulle condizione di lavoro sempre più pesanti degli agenti di custodia?

Dietro queste considerazioni e sollecitati dalle denunce, coordinandoci con l’associazione romana Papillon di Rebibbia, io stesso, come rappresentante del circolo di Rifondazione dell’Elba, e Giovanni Barbagli, consigliere regionale toscano del Prc, abbiamo effettuato una visita conoscitiva ed ispettiva. Con il direttore del carcere, Pier Paolo D’Andria, si era subito stabilito il carattere non rituale della visita ma che l’obiettivo era quello di dare risposte e fare luce sulle reali condizioni del penitenziario. Il bilancio dell’ispezione era stato da un lato drammatico per il riscontro oggettivo delle denunce ricevute, ma, dall’altro positivo perché aveva aperto un possibile spiraglio sul futuro. Il direttore si era dichiarato disponibile a consentire la formazione di un comitato composto da detenuti preposti a fare da tramite tra popolazione carcerata e amministrazione carceraria, con la prospettiva e l’intento di raggiungere a piccoli passi un programma di ripristino delle attività lavorative nel carcere e garantire condizioni di vita accettabili, re-instaurando un rapporto ormai deteriorato fra detenuti, agenti di custodia e direzione.

Ma che cosa aveva determinato un degrado di tale portata? Quattro le cause principali:

l’avvicendarsi inspiegabile di ben cinque ispettori in missione che per la breve durata del loro incarico e per le condizioni oggettive di passaggi di consegne, aveva creato uno stato di tensione, alimentato forse anche volutamente, degenerato in rapporti avvelenati fra detenuti e agenti di custodia;

in presenza di diverse etnie la gestione del carcere, anziché lavorare verso l’integrazione, aveva acuito strumentalmente i rapporti interpersonali;

le condizioni croniche di sott’organico del carcere: circa 70 agenti in meno del previsto e solo 2 educatori sui 9 previsti dal regolamento per una popolazione di oltre 300 detenuti. Il che significa pesanti doppi turni, malcontento, disagio, tensione nei rapporti tra agenti di guardia e detenuti, frustrazione professionale degli educatori e assenza totale di assistenza psicologica;

la carenza di misure sanitarie giunte a livelli di allarme per le condizioni igienico sanitarie e per la diffusione di malattie in cui versa la popolazione carcerata.

La delegazione di Rifondazione aveva incontrato i detenuti fra cui Gilberto Brega, uno dei più anziani fondatori dell’associazione Papillon, costituito un comitato composto da quattro detenuti in rappresentanza delle tre principali etnie (italiana, slava e africana), programmato un incontro fra direzione e comitato e verifica dei risultati attraverso una successiva visita, programmata proprio in questi giorni. Notizia dell’oggi.

Il direttore è stato trasferito ad altro istituto. Non abbiamo più notizie sulla futura direzione del carcere e abbiamo seri dubbi sulla futura destinazione del Forte cinquecentesco, che risulta iscritto nell’elenco dei beni di proprietà dello Stato che sono stati giudicati alienabili (insistente è la voce che la fortezza che oggi ospita il carcere possa essere venduta a privati, e che l’interesse sia quello di farci un Casinò a gestione privata. Sarà vero? Di certo si spiegherebbero molte cose). L’associazione Papillon ci ha inoltre comunicato che il detenuto Brega, punto di riferimento del comitato che, fra l’altro, è ammalato, è stato trasferito al carcere di Alessandria. Se questo trasferimento non dovesse risultare motivato seriamente "è da considerarsi - commenta Vittorio Antonini vice-presidente dell’associazione - una vera e propria provocazione effettuata contro quei detenuti che hanno dimostrato un’estrema maturità nell’organizzazione delle proteste pacifiche svoltesi nell’ultimo anno all’interno delle carceri italiane. Ci auguriamo che i parlamentari più sensibili si decidano finalmente a presentare una proposta di legge che garantisca ai detenuti il diritto di associarsi liberamente". "Questo trasferimento, - conferma Giuliano Pisapia, deputato di Rifondazione comunista che già in passato si è occupato del carcere di Porto Azzurro - è da considerare inaccettabile perché ha un chiaro sapore punitivo nei confronti proprio di chi, più di altri, si impegna nella difesa dei diritti democratici nelle carceri". Il parlamentare presenterà un’interrogazione urgente alla Camera sia per verificare i motivi alla base di queste azioni sia per stigmatizzare l’utilizzo a fini punitivi delle misure adottate. Rifondazione intende procedere urgentemente con una nuova visita al carcere, verificando queste notizie, preoccupati dell’involuzione del percorso fin qui costruito per fare luce completa sulla grave situazione del carcere di Porto Azzurro.

 

 

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