Sergio Segio e Sergio Cusani

 

L’estate di San Vittore nel girone dei dannati

di Sergio Segio e Sergio Cusani

 

La Repubblica, 31 luglio 2003

 

A scorrere l’elenco dei nomi sembra di fare un viaggio in uno spaccato di mondialità: Antonio Soldano, Ante Kovac, Rezk Mohammed, Vladislav Rusu, Anatoliy Gargolinskiy, Behari Bledar, Marku Alfred, Abdellah Kalifi, Liu Xi, Yu Zhong Chu, Hepa Petrit, e così via. Un elenco di 204 nomi difficili da pronunciare, in cui è arduo distinguere quali siano i cognomi. Nomi scritti, spesso con grafia incerta, in calce a un documento. Viene dal pianeta carcere, girone San Vittore, Milano. Anzi: da uno dei gironi di San Vittore. Perché, proprio come all’inferno, una stessa prigione contiene molti e diversi gironi, vale a dire reparti in cui le condizioni di vita sono sensibilmente differenti.

Il documento arriva da uno dei più duri, il secondo reparto, il C.O.C., che sta per Centro di Osservazione Criminologica. Vi sono detenute le persone tossicodipendenti: verrebbe da dire un porto di mare, se la situazione non fosse, all’opposto, tra le più chiuse. Persone con pene brevi, sovraffollamento cronico e - denuncia il documento - un disagio reso crescente dal caldo estivo e da una vera e propria emergenza sanitaria: riduzione del personale, inesistenza di medici specialistici, farmaci salva-vita introvabili, epidemia di scabbia. Ma, anche e assieme, mancanza di acqua potabile, difficoltà per farsi la doccia, ore d’aria insufficienti.

Il COC è uno dei reparti più difficili e meno presentabili. A parte i volontari e il Progetto Ekotonos, difficilmente arrivano visite di esterni, raramente si organizzano spettacoli e attività, quasi mai si può uscire di cella per lavorare o studiare. Al confronto, il girone successivo, il terzo, non sembra già più parte dell’inferno ma del purgatorio. Pulito e ristrutturato di recente, due persone per cella, prima tappa – e spesso unica - di ogni visita guidata di delegazioni o istituzioni che vengono a ispezionare l’antico carcere milanese. Poco più avanti si ripiomba nell’inferno più cupo, nel pozzo più nero, con gli intoccabili del sesto, il reparto dove stanno i paria tra i paria, gli isolati e gli accusati di reati sessuali.

Tutto questo, un insieme di gironi e realtà assai diverse, è il pianeta carcere. E proprio così viene candidamente definito il sistema penitenziario sullo stesso sito del ministero della Giustizia: pianeta. Come a dire, un mondo a sé. Altro, separato. Se non fosse così, sarebbe meno facile per la coscienza civile accettarlo, o anche solo dimenticarlo e rimuoverlo, com’è più comodo e consueto fare. E dev’essere per questo stesso motivo che da tempo si tenta di togliere San Vittore dal centro cittadino. Per questioni di business, certo. Ma anche per levare questo possibile tarlo dalla vista e dalla consapevolezza dei milanesi. Per renderlo compiutamente isola opaca e a sé stante. Perché sia ancor più difficile visitarlo, parlare con i reclusi, averne notizia.

Un pianeta pericolosamente surriscaldato. Come la legge, anche il caldo non sempre è uguale per tutti. L’"effetto serra" che si vive nelle carceri, infatti, è indescrivibile e non paragonabile all’afa che pure ha particolarmente afflitto tutti quest’estate.

Nel chiuso delle celle sovraffollate il caldo diventa sofferenza aggiuntiva che raggiunge livelli di intollerabilità. Anche perché non ci sono rimedi per ridurre il disagio. Non ci sono ventilatori cui strappare qualche refolo d’aria fresca. Non ci sono gelati per un momentaneo refrigerio. Non ci sono alberi alla cui ombra sostare. Non ci sono frigoriferi per raffreddare una bevanda. Talvolta, in verità, non c’è neppure l’acqua. Solo un cubo di ferro e cemento. L’agosto scorso, criticando il nuovo regolamento penitenziario che, sulla carta, qualche condizione materiale migliore invece prevederebbe, il ministro di Giustizia teorizzò che, tutto sommato, così è bene che sia, poiché le carceri non hanno da essere Grandi Hotel.

Quest’anno, la situazione è ancor più degradata. Lo dicono i numeri delle presenze in carcere (al 7 luglio 2003, 56.578 detenuti, 15.000 in esubero sulla capienza), dei nuovi ingressi (40.932 nel primo semestre di quest’anno, il 39% di stranieri) e soprattutto dei tagli alla sanità: dal 1999 al 2002 il calo per l’assistenza specialistica è stato del 35,5%, in Lombardia del 36,6%. Ma, più delle cifre, lo dice lo stillicidio di suicidi e di gesti di autolesionismo nelle carceri.

In uno dei gironi del carcere milanese di Bollate dove sono rinchiusi molti immigrati, ferite e arti rotti sono all’ordine del giorno, così come i gesti di vandalismo. A prima vista sembrerebbe strano, sia perché le condizioni di vita e la gestione a Bollate sono migliori di altri posti, sia perché si tratta di persone con pene brevi. E proprio questo è il punto e il paradosso: per molte di queste persone la fine della condanna significa solo cambiare cella, da quella del carcere a quella dei cosiddetti Centri di permanenza temporanea, in attesa di espulsione. Allora fanno di tutto per prolungare la permanenza a Bollate.

Dunque: non solo ci sono carceri peggiori di altre, pur se il regolamento e le leggi dovrebbero essere gli stessi, non solo ci sono sezioni di una stessa prigione sensibilmente differenziate in quanto a vivibilità, ma ci sono anche luoghi che nominalmente non sono carceri in cui i diritti sono ancora minori e il trattamento ancora più duro. Il che vale per i CPT, ma, stando alla cronaca, anche per alcune comunità terapeutiche: la scorsa settimana, un tossicodipendente romano di 39 anni, ha abbandonato la comunità dove era agli arresti domiciliari e si è presentato al portone del carcere di Terni, dichiarando di preferire la cella.

Lunedì scorso nella sua cella del carcere di Agrigento si è impiccato un uomo di 50 anni, Antonino Frenna, che il mese prima aveva aggredito con un coltello il futuro genero. Negli stessi momenti, pochi metri più in là, il carcere era in festa per la visita dello scrittore Andrea Camilleri, venuto a presentare il libro di poesie "Oltre le sbarre", scritto dai reclusi. Durante la cerimonia, un responsabile nazionale dell’Amministrazione penitenziaria ha affermato che negli ultimi anni la situazione delle carceri nell’isola è sensibilmente progredita, tanto da essere addirittura "nettamente migliore" rispetto a diversi istituti di pena europei.

Un pensiero che, immaginiamo, potrà rendere più fiduciosi i detenuti e maggiormente sopportabile la vita nelle celle in questo torrido agosto.

 

 

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