Riapriamo Pianosa e l’Asinara

 

Tinebra: subito nuove prigioni Riapriamo Pianosa e l’Asinara

 

Corriere della Sera, 18 ottobre 2003

 

"Il nostro sistema penitenziario è il migliore del mondo...". L’inizio dell’intervista conferma che Giovanni Tinebra è un uomo con uno spiccato senso dell’umorismo. Il seguito dice che il direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), insomma il capo delle carceri italiane, ha opinioni e idee chiare sullo stato del nostro sistema di reclusione. n magistrato siciliano che nel luglio 2001 ha abbandonato la Procura di Caltanissetta (che dirigeva dal 1992), per ‘sedersi su una delle poltrone più difficili d’Italia, è consapevole di gestire un’emergenza, quella delle carceri, dove è difficile trovare la bacchetta magica. A quasi tre mesi dalla sua approvazione, Tinebra dice che l’indultino da solo non può bastare, che bisogna darsi una mossa per accelerare la costruzione di nuove strutture, che la privatizzazione delle carceri, ovvero li modello americano, è meglio lasciarlo li dov’è. E chiede la "restituzione" degli ex penitenziari sulle isole dell’Asinara e di Pianosa.

 

Facciamo finta di non aver sentito la prima frase, dottor Tinebra...

"Era un paradosso. Un modo per dire che la situazione non è così drammatica come viene dipinta. È a macchia di leopardo: alcune cose davvero ottime, altre molto meno".

 

Un paradosso. Come quelli del Ministro Castelli quando dice che le nostre carceri "sono hotel a cinque stelle".

"Il ministro sa bene che il carcere a cinque stelle non esiste. In nessuna parte del mondo. I penitenziari Si dividono in vivibili e non vivibili. E Castelli forse voleva sottolineare come in Italia ci siano anche situazioni altamente positive".

 

Ma comunque sovraffollate.

"Difficile negarlo".

 

L’indultino funziona?

"A fine settembre aveva fatto uscire 1.400 detenuti. Non sappiamo quante pratiche inevase giacciano nei Tribunali di sorveglianza, ma qualche piccolo effetto lo sta avendo".

 

I detrattori dell’indultino dicono che non serve a niente. I detenuti che escono vengono subito "sostituiti" dai nuovi arrivi. È così?

"No. Non c’è un "travaso" così veloce. Una valutazione definitiva la faremo a fine anno ma non sono pessimista. Il vero snodo sono i Tribunali di sorveglianza, che devono decidere sui singoli casi. Tempi troppi lunghi, e conseguente "ingorgo". Sarebbe il caso di pensare a un congruo aumento del personale in questo settore. Aiuterebbe a "sveltire" le pratiche per la concessione dell’indultino e ne accentuerebbe così gli effetti benefici".

 

Un bilancio?

"Nel primo semestre del 2003 avevamo quasi 57 mila detenuti. Oggi siamo intorno ai 55.400. Un miglioramento c’è".

 

Una piccola boccata d’ossigeno?

"Mettiamola così. Ma l’indultino da solo non basta a risolvere il problema del sovraffollamento".

 

Lei era favorevole?

"Lo sono prima di tutto un magistrato. Credo alla certezza della pena. La strada da percorrere non è quella dei provvedimenti di clemenza".

 

Qual è, allora?

"Una seria politica di edilizia penitenziaria".

 

Costruire nuove carceri. Sembra ce ne siano 23 in arrivo.

 

"Alcune sostituiranno edifici fatiscenti, altre sorgeranno ex novo".

 

Tutti verbi coniugati al futuro.

"Il problema è questo. Ci dobbiamo sbrigare. Possiamo vincere la lotta al sovraffollamento solo se questo programma viene completato entro 8 - 9 anni".

 

E per farcela cosa ci vuole?

"Occorre darsi una mossa. Invertire la tendenza secondo la quale ogni anno si inaugura un carcere che colma a malapena i nuovi arrivi di detenuti. Capisco le difficoltà burocratiche, la macchina è complessa: lo Stato finanzia, l’ente committente è il ministero della Giustizia, quello delle Infrastrutture costruisce. Ma bisogna andare più spediti".

 

Ci sono anche carceri fatiscenti che non si possono chiudere. E le condizioni dei detenuti...

"Stiamo adegUando tutti i penitenziari italiani alle nuove norme europee. Faccio un esempio che conosco bene: il carcere di Caltanissetta, una volta finito il "restauro", avrà due celle più grandi laddove prima ce n’erano tre".

 

Meno detenuti, quindi…

"Ma più comodi. La strada è obbligata. Ma anche per questo si deve fare in fretta con le nuove strutture. Poi, ce ne sono alcune vecchie che rivorremmo indietro".

 

Quali?

"L’Asinara e Pianosa. Per un carcere aperto, senza sbarre".

 

Ma quelle isole sono diventate Parchi nazionali importanti, ci vanno i turisti...

"E rispettando i giusti vincoli ambientali, si può dare una possibilità a detenuti che lavorano a basso costo per la manutenzione di quelle due isole, evitando che vadano in rovina le strutture esistenti, come accade adesso. Reciproci vantaggi.

 

E magari, dopo qualche anno, un po’ di boss mafiosi in regime di carcere duro.

"No, assolutamente. Non è più tempo di 41-bis sulle isole, ci siamo attrezzati diversamente. È una paura ingiustificata. Pensi che su quelle due isole potrebbero finirci 800 detenuti, quasi un mezzo indultino...".

 

Si parla anche di privatizzare le carceri italiane, secondo il modello americano…

"La gestione privata della sicurezza in Italia non può essere affidata ai privati. Non mi sembra un modello esportabile".

 

Se l’aspettava un lavoraccio del genere?

"Noi lavoriamo su un elefante, lo dico sempre. So che quando me ne andrò, non si vedranno neppure i risultati della fatica fatta da questa amministrazione. E’ normale che sia così, ma un po’ spiace.

 

 

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