Privatizzare le carceri?

 

Intervista a Giovanni Tinebra, Direttore del D.A.P.
(realizzata da "Le Due Città" nel dicembre 2002)

 

Sull'esempio di ciò che avviene in America, anche in Italia si comincia a parlare della partecipazione dei privati alla gestione del carcere. Il Capo del D.A.P. precisa i confini di questa proposta.

 

C'è un tema nuovo che negli ultimi anni è entrato con forza nell'economia: le privatizzazioni. Attraverso il graduale passaggio nelle mani dei privati di imprese e di servizi pubblici, il volto del sistema economico italiano è cambiato e ha seguito le trasformazioni avvenute in altri Paesi. Così è stato, ad esempio, per i telefoni e per la siderurgia, oggi totalmente privatizzati. E così sta avvenendo in altri settori strategici come l'energia. Lo Stato arretra e la sua presenza si diluisce in favore di una pluralità di soggetti che lo sostituiscono nelle sue funzioni tradizionali.
È immaginabile che qualcosa di simile possa avvenire anche in settori delicati e complessi come il sistema penitenziario? Si può ripetere in Italia ciò che è già - almeno in parte - realizzato in America, dove accanto alle prigioni federali (prisons) vi sono istituti (jails), che dipendono dalle autorità locali?
Su questi temi "Le Due Città" ha sentito l'opinione del Direttore del DAP, Giovanni Tinebra, che nel corso di un recente viaggio negli Stati Uniti, ha osservato da vicino queste nuove realtà.

Presidente Tinebra, quale impressione ha ricavato dalle esperienze americane di gestione privata delle carceri?
"Da un punto di vista gestionale l'impressione è stata assolutamente positiva anche perché ho avuto modo di vedere a New York un carcere interamente automatizzato, con un'unica sala regìa e con una serie di supporti tecnologici che gestiscono tutto il carcere. Le aperture interne ed esterne sono gestite da due operatrici, con un coefficiente di sicurezza massimo perché grazie a un impianto audio e video, sono perfettamente in grado di controllare chi si presenta alle porte".

Quindi il massimo dell'efficienza tecnologica e un abbattimento di costi eccezionale...
"Non solo abbattimento dei costi, ma anche miglior utilizzo del personale, che invece di star fermo vicino alle porte - come succede per gran parte del personale addetto ai nostri istituti - si muove, ha più contatto con i detenuti, fa il suo lavoro in maniera meno monotona, e quindi è anche meglio disposto alla parte umana del suo lavoro, al recupero, al colloquio, a quelle attività che devono finalizzare la nostra opera".

Ritiene che l'esempio di New York sia trasferibile in Italia?
"Quel modello ci è molto piaciuto, ci ha dato dei suggerimenti, ma non siamo assolutamente nell'ordine di idee di seguire questo esempio nella sua interezza. In questo momento il privato ci interessa solo come possibilità di realizzare in minor tempo un maggior numero di carceri. Noi abbiamo una serie di problemi: il primo è rappresentato da un trend di aumento della popolazione carceraria che ci preoccupa. È un trend che non accenna a diminuire e se la situazione socio-normativa rimane la stessa non credo che diminuirà. Se poi questa tendenza cambierà faremo le nostre valutazioni sulla base dell'esperienza da maturare insieme. Questo fattore, unito al fatto che per una buona metà i nostri istituti sono vecchi, distribuiti in maniera ormai superata e con problemi grossissimi relativi anche alla sicurezza, rende più urgente la ricerca di soluzioni".

Quindi l'attenzione principale è rivolta al problema della costruzione di nuovi istituti?
"Con i finanziamenti tradizionali abbiamo un programma che prevede la realizzazione, al posto di altrettante carceri, di 21 istituti che devono sostituire negli stessi luoghi quelli dismessi. Il programma che abbiamo e le contingenze economiche ci consentono di stabilire, molto prudentemente, che non riusciremo sicuramente a realizzare più di due carceri all'anno, per un totale in cinque anni di otto, nove carceri, non di più, forse meno. Il che ci consente di prevedere che le nostre emergenze non verranno superate, nel senso che nel frattempo la popolazione carceraria aumenterà e aumenterà anche il degrado di molti istituti. Sarà la solita goccia nel mare. Avremmo perciò bisogno di un sistema che consentisse di realizzare nello stesso periodo di tempo un maggior numero di carceri".

Come si può affrontare questa emergenza?
"Si può affrontare immaginando di coinvolgere in questo programma i privati, una serie di privati, un cartello di banche o di imprese, oppure di banche e imprese insieme, che si offra di realizzare gli istituti nelle zone che vogliamo secondo il modello da noi apprestato, con l'adozione di norme tecnologiche da noi previste e volute. Questi interventi si potrebbero avviare con un rapporto di leasing finanziario, dandoci la possibilità di pagare in quindici anni il costo della struttura al quale vanno aggiunti, naturalmente, il guadagno della ditta e gli interessi. In questo modo, con 100 miliardi, che basterebbero a malapena per un carcere medio-piccolo, potremmo avviare 10 carceri insieme, spendendo 100 miliardi l'anno. In cinque anni avremmo 10 carceri, mentre con 100 miliardi l'anno oggi possiamo costruire un solo carcere. A noi interessa avere subito il maggior numero possibile di nuovi istituti, per dare un segnale forte, per un inizio robusto alla soluzione dei problemi di capienza e di qualità di vita all'interno delle carceri. Questo è il primo stadio del nostro intervento programmato nei confronti del privato".

Su questa strada si può immaginare che i privati possano arrivare a gestire il carcere?
"Non vedo nel prossimo futuro la possibilità di estendere al privato anche la gestione delle carceri, perché da noi vi sono una Costituzione e una serie di norme di legge, che prescrivono come compito dello Stato la sicurezza dell'esecuzione della pena, un compito demandato al Dipartimento e al Corpo di polizia penitenziaria.
Ciò che si potrebbe studiare, con molta cautela, è la possibilità di privatizzare alcuni servizi, cosa che, in realtà, già esiste: per esempio, il servizio mensa, che di solito viene appaltato a ditte esterne. Questo tipo di esperienza con la partecipazione dei privati si potrebbe estendere al servizio lavanderia, al servizio bar, etc. In Francia, per esempio, hanno anche privatizzato il servizio traduzioni, ma da noi questo è impensabile. Guardiamo quindi con molta attenzione, ma anche con molta cautela, all'intromissione del privato nel pubblico, che noi consideriamo ammissibile solo nei casi dei quali ho parlato e, ovviamente, con le massime precauzioni".

E per ciò che riguarda il trattamento?
"In America ho notato che nelle carceri gestite dai privati il trattamento, cioè tutta la serie di attività che non sono dirette alla custodia, ma piuttosto al mantenimento dell'equilibrio psicofisico, al recupero dei valori morali, al conseguimento di un titolo di studio o di lavoro esistono, ma sono un po' trascurate. Che questo accada è normale perché in questo caso, ossia rispetto alle attività di trattamento, il rapporto costi - benefici che regola l'attività privata è molto poco palpabile, e poco fruibile.
In realtà oggi esistono molti privati che attraverso il volontariato ci aiutano molto. Ma non dobbiamo confondere le due cose. Allo stesso modo siamo interessati a tutte le iniziative che vedono i privati impegnati a offrire opportunità di lavoro. Ma questo è un altro problema, non ha niente a che vedere con la gestione del carcere. Noi non facciamo altro che chiedere in giro ad imprese private, se hanno interesse, se ci consentono di stabilire dei punti di lavoro che abbiano come soggetto subordinato il detenuto lavoratore. In questo senso esistono già moltissimi esempi".

Anche perché in questo modo il privato ritrova un suo interesse...
"Anche a noi interessa che il privato entri nel carcere con i suoi impianti, con la sua tecnologia e ci aiuti a fare di un detenuto un soggetto che impara un lavoro e lo sa fare così bene, con tanta volontà, e che quando esce continua a farlo. Questo fa parte delle nostre finalità istituzionali".

Un'ultima domanda, sempre sull'America: ritiene che dopo l'11 settembre la gestione delle carceri locali da parte dei privati, potrà essere rimessa in discussione?
"Sono stato negli Stati Uniti dopo l'11 settembre e non ho trovato nessun segno di ripensamento alla soluzione che loro hanno dato ai loro problemi. Ripeto, non ci sono carceri federali a gestione privata. Sono carceri statali, o di contea. La scelta è stata fatta in questa direzione, quindi il problema non esiste".

Favorevoli e contrari alla privatizzazione delle carceri negli U.S.A.

di Carlo Corti - responsabile dell'Ufficio Coordinamento

Affari Internazionali (U.C.A.I.) del Ministero della Giustizia

 

Il contesto in cui si colloca il moderno fenomeno della privatizzazione è rappresentato da alcune caratteristiche essenziali del sistema penitenziario statunitense quali:

la struttura del sistema che riflette la natura federale degli USA ed i vari livelli di government. Vi sono pertanto prigioni federali - nettamente minoritarie e relative a reati federali - prigioni degli Stati e infine istituti dipendenti da autorità locali, detti "jails" per distinguerli dalle "prisons" statali e federali;

l'esplosione della popolazione carceraria a partire dalla metà degli anni '70, con un trend di crescita particolarmente elevato nei primi due terzi degli anni '90. Da un rapporto fra detenuti e popolazione paragonabile a quello italiano di 100 per 100 mila abitanti, si è passati, nel volgere di circa venticinque anni, a livelli ben sei o sette volte superiori. In assoluto le cifre raggiunte sul finire degli anni '90 sono di circa 100mila detenuti per le carceri federali, oltre 1,2 milioni per quelle statali ed oltre 600mila per le jails, o prigioni locali. Il totale è dunque vicino a 2 milioni. Nella sola California i detenuti sono circa il triplo, in assoluto, che in Italia.

La privatizzazione appare svilupparsi nello scorso decennio in risposta alle esigenze degli Stati e delle Contee di:

contenere le spese per i propri sistemi penitenziari in una fase di grande espansione degli stessi;

accelerare i tempi per le nuove costruzioni.

Il fenomeno appare particolarmente diffuso negli Stati del Sud, ma va espandendosi anche nel resto del Paese. Gli istituti a gestione privata costituiscono una porzione crescente dell'insieme delle carceri statunitensi, anche se i detenuti ivi ospitati rappresentano ancora solo pochi punti percentuali sul totale dell'enorme popolazione carceraria statunitense.

Considerazioni generali


Contro

 

Si teme una delega impropria di potere coercitivo in mani private, e che il profitto venga posto al di sopra degli interessi pubblici e di quelli dei detenuti. Prigioni per profitto non sono eticamente accettabili.

 

A favore

 

Le compagnie private hanno interesse ad un trattamento corretto dei detenuti per abbassare i costi ed assicurare il rinnovo del contratto, ed il sistema dei contratti rende più flessibile la risposta del sistema penitenziario al mutare delle esigenze, aiutando altresì a definire meglio le finalità e le regole della detenzione. Per il detenuto non fa differenza che a sorvegliarlo sia un dipendente pubblico o privato. Il governo conserva la responsabilità etica di assicurare un trattamento adeguato attraverso la stipulazione di contratti ben scritti e ben monitorati.

Costi


Contro

 

Si aggiunge un margine di profitto ed il costo della stessa contrattazione agli altri costi, oltre al rischio che offerte basse vengano poi seguite da rialzi dei prezzi nei contratti successivi. Vi sono poi i costi sociali per i lavoratori pubblici che perderebbero il proprio posto.

 

A favore

 

La costruzione degli istituti è più rapida e meno costosa. Viene contrastata la tendenza degli enti governativi a massimizzare il proprio bilancio e si fanno emergere i veri costi, rendendoli visibili, analizzandoli e comparandoli. Si procede a procedure di acquisto più snelle e si mantengono scorte meno vaste. Gli ormai numerosi studi condotti su questo punto, sembrano indicare che la privatizzazione comporterebbe un risparmio medio, a pari condizioni, nel costo giornaliero per detenuto nell'ordine del 10 - 15%.

Trasparenza e controllo


Contro

 

Si teme un rimpallo di responsabilità fra attori pubblici e privati, anche per la complessità dei contratti.

 

A favore

 

Si ritiene che sia più facile per un ente governativo monitorare un privato che se stesso. La privatizzazione promuoverebbe poi lo sviluppo e l'applicazione di criteri oggettivi di performance, con le compagnie sottoposte ad un'elevata visibilità e pronte a controllare i risultati dei concorrenti.

Qualità


Contro

 

La qualità può essere abbassata dalla pressione a tagliare i costi. Si segnala il rischio che i privati raccolgano la "crema" dei detenuti lasciando al governo gli istituti a più elevata sicurezza, il che renderebbe spuria la comparazione fra regime privato e regime pubblico. La privatizzazione può inoltre abbassare la professionalità del personale che si sente meno sicuro nella propria carriera.

 

A favore

 

I contratti consentono una comparazione che motiva i privati ed il pubblico a competere sulla qualità non meno che sui costi. Un cattivo trattamento dei detenuti creerebbe risentimento ed ostilità che renderebbero più difficile e costosa la gestione. Il creare un'alternativa alza gli standard anche nel pubblico, che viene a sua volta forzato a valutare le spese attentamente. La privatizzazione porta nuove idee e nuove professionalità.

Quantità


Contro

 

Si può creare una lobby per l'espansione dell'incarcerazione. I privati, poi, percependo una tariffa per prigioniero e per giorno, sono incentivati a trattenere i detenuti il più a lungo possibile. Rendendo più realizzabile l'espansione della capacità del sistema penitenziario, la privatizzazione può indebolire la ricerca di alternative alla detenzione.

 

A favore

 

Per converso, la presente crisi di capacità può essere alleviata edificando nuovi istituti più velocemente di quanto possa fare il governo, e sarà possibile in futuro rispondere più celermente a mutate esigenze.

Flessibilità


Contro

 

La privatizzazione riduce la flessibilità con il rifiuto di andare oltre i termini del contratto senza rinnegarlo.

 

A favore

 

Viene promossa l'innovazione, e si riducono i livelli della burocrazia. Viene promossa la specializzazione per trattare con particolari categorie di detenuti. Gli amministratori pubblici, sgravati dalle preoccupazioni della routine, possono più liberamente dedicarsi alla pianificazione, a fissare le politiche e alla supervisione.

Sicurezza

Contro

 

Vi può essere un livello inadeguato di addestramento del personale. Aumentano i rischi di scioperi, che non possono essere considerati illegali in campo privato.

 

A favore

 

Dall'altra parte viene semplicemente sostenuta la visione opposta: che l'addestramento può essere migliore e la propensione allo sciopero minore, anche per il rischio di licenziamento. I contratti devono comunque prevedere un numero ed un addestramento adeguati per il personale.

La DIRSTAT - Penitenziaria è contraria alla privatizzazione

 

Sulla privatizzazione degli istituti e dei servizi dell'Amministrazione penitenziaria, ha espresso un giudizio nettamente negativo Roberto Liso, rappresentante della DIRSTAT - Penitenziaria. L'occasione è stata il Forum della Pubblica Amministrazione 2002, nel quale è stato presentato un contributo di cui riportiamo un ampio stralcio.
Le carceri italiane debbono rimanere un'istituzione solamente pubblica, come è espressione della funzione penale nella fase penitenziaria.
(...) si ritiene incongruente ogni ipotesi di "privatizzazione" dell'istituzione - carcere in Italia (ed anche nell'Europa continentale).
L'esperienza mista statunitense (che però non ha mai soppresso i "penitenziari di stato"), affonda le radici su un terreno socio-culturale diverso, ispirato a ben altre tradizioni (dall'anglosassone "giurisprudenza creatrice di diritto" ai criteri stessi ed alle finalità che presiedono al recupero dei condannati: spazi territoriali molto ristretti, elevato sviluppo tecnologico della struttura penitenziaria unito a forti economie di personale, pene molto dure ma controbilanciate da un impegnativo sforzo per il successivo reinserimento dei condannati nel circuito socio-economico e produttivo della Nazione statunitense). Si tratterebbe di prendere il meglio da tali esperienze, contemperandolo però con la nostra complessiva realtà giuridico-amministrativa e con gli scopi innanzitutto umanitari garantiti in materia dalla vigente Costituzione italiana.
La "privatizzazione" delle carceri avrebbe allora un senso solamente se accompagnata:

ad un'univoca e capillare capacità di controllo gestionale (in senso lato, e non solamente tecnico-contabile né con riferimento esclusivo al sistema dei controlli "di" o "sulla" gestione) da parte dell'istituzione pubblica centrale;

ad un tale grado di autonomia "manageriale" per i responsabili delle singole strutture (nel nostro ordinamento: i "direttori di carcere", dirigenti o funzionari direttivi) e ad una quantità così "americanamente" rilevante di risorse economiche e strutturali, da garantire a questi operatori un margine accettabile per impostare nella singola unità penitenziaria una conduzione aderente alla fattispecie concreta (in senso sociologico, strutturale, territoriale etc.).

Nella realtà europea e soprattutto italiana, al contrario, gli esistenti vincoli normativi e soprattutto economici (anche i forti e condizionanti limiti retributivi uniti però ad un robustissimo e sproporzionato regime di responsabilità dirigenziale-direttiva, segnatamente e specificatamente in Italia) farebbero fallire in partenza ogni ipotesi (o sfida...) di questo genere nel nostro Paese, a meno che i "gestori privati" non ricevano finanziamenti erogati con criteri che in atto non si sarebbe in grado d'individuare neppure ipoteticamente: su un argomento di tanta e delicatissima importanza per la vita della Nazione italiana, si riterrebbe comunque inaccettabile qualunque caduta nel madornale equivoco del "privato è sempre buono, pubblico è sempre cattivo"!

 

 

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