Carceri italiane come quelle USA

 

Intervista a Giovanni Tinebra, direttore dell’Amministrazione Penitenziaria

 

"Tra 7 anni le nostre carceri saranno come quelle Usa.

Entro il 2010 appalti per costruire 13 nuove strutture"

 

Libero, 24 agosto 2002

 

Mafia, criminalità nei Balcani, accordi internazionali, garantismo, carceri e articolo 41 bis. E ancora l’inversione del rapporto fra detenuti in attesa di giudizio e condannati con sentenza definitiva. E le prospettive della galassia carceraria. Gianni Tinebra, magistrato e direttore del DAP, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, accetta di parlare a "Libero" a tutto campo.

 

Libero e i radicali, col segretario Daniele Capezzone, hanno sollevato il caso Surace. Una battaglia di civiltà appena vinta, anche se non del tutto ancora...

"Da cittadino sono contento. Quando qualcuno varca in uscita quel portone, è sempre bene. L’informazione in questa vicenda è stata fondamentale. Posso augurarmi che il "caso" si concluda al meglio, definitivamente".

 

Ma non è paradossale quanto accaduto?

"Gli esempi giovano, al legislatore, ai magistrati. La Giustizia è bene prezioso. Da magistrato ribadisco un principio: mi si dia la legge e io l’applicherò".

 

Il ministro Roberto Castelli sta tentando...

"Col ministro c’è piena sintonia".

 

Vale a dire?

"Che da quando mi sono insediato al DAP, nell’agosto dello scorso anno, stiamo portando avanti una linea di ammodernamento delle strutture, nel rispetto di tante e diverse e complesse esigenze. La capienza ideale al momento sarebbe di 44 mila detenuti. I reclusi oggi sono 56 – 57 mila. Gli extracomunitari sono quasi 17mila".

 

C’è da preoccuparsi. Si è parlato di emergenza carceri…

"Emergenza no, problema serio sì. Lo ricordo a me stesso, ma è necessario dosare le parole. Certo, un maggior numero di detenuti comporta attenzione massima per assicurare le condizioni minime di vivibilità, per la sicurezza. Da qualche tempo si sta inaugurando un carcere, o almeno una nuova sezione, all’anno. A Bollate è entrato in funzione un altro impianto, quindi un migliaio di posti in più".

 

Che non bastano…

"È in fase avanzata di studio in piano organico di costruzione di carceri nei prossimi 7 - 8 anni. Al contempo stiamo provvedendo in tempi il più possibile rapidi a portare avanti il piano annuale di ristrutturazione di altri istituti. Posso dire che ci si sta lavorando".

 

Lavorando in che modo?

"Prevedendo la costruzione di altri stabilimenti, da 11 a 13 contemporaneamente. Col leasing finanziario".

 

Quale sarebbe la procedura?

"Si fanno le gare d’appalto. L’amministrazione presenta un progetto tipo e coloro che presentano la miglior offerta per i tempi di realizzazione e i costi lo eseguono. Credo che occorrerebbe più tempo a indire la gara che a realizzare le opere. Molti imprenditori ci chiedono di procedere per contratti chiavi in mano. L’investimento potrebbe essere di un migliaio di miliardi di vecchie lire, si darebbe respiro ulteriore all’economia. Più sicurezza e sicuro risparmio rinunciando, a quel punto, a nuovi aumenti di organico. La tecnologia moderna è una necessità".

 

Il ministero sta valutando, ma avete degli esempi...

"Poco tempo fa ho visitato un penitenziario in America. Informatizzazione, stanze di regia coi monitor. Tutte le aperture gestite attraverso computer. Risultato: lavori meno usuranti per gli agenti e si viene incontro meglio ai bisogni dei detenuti. Oggi le guardie carcerarie sono 42 mila e dovrebbero essere 2 mila in più, quindi ulteriori costi".

 

Ce la farete?

"Serve solo reperire il finanziamento per i ratei del leasing. Ma so che la sensibilità è alta. Più sicurezza ma anche condizioni di miglior vivibilità interna per tutti: guardie, detenuti".

 

E le tensioni del sistema, il 41 bis, ad esempio, sul quale c’è polemica…

 

"Le tensioni sono quasi finite. C’è stata una serie di manifestazioni pacifiche, come succede alla vigilia di un appuntamento che riguarda l’esecuzione della pena. Si è parlato ad esempio di amnistia in occasione del Giubileo. E, comunque, avverto molto senso di responsabilità, fra gli agenti e gli stessi reclusi. Credo sentano un senso di sensibile rispetto per le loro esigenze".

 

Dicevamo del 41 bis...

"È stato fatto un progetto di legge innanzitutto per prorogarlo, perché è in scadenza quest’anno, almeno sino alla fine della legislatura. Ovviamente se si troverà convergenza in Parlamento. E poi, con il medesimo progetto, si regolamenta il contenuto dello stesso articolo. Alcune sentenze della Corte Costituzionale, rispetto al ‘91 - ‘93 ne hanno attenuato di molto il rigore. Ad esempio anche il condannato al 41 bis deve fare socialità per almeno 4 ore, può studiare ed eseguire attività manuali. Oggi può succedere, dopo lo spiraglio aperto dalla Consulta, che un Tribunale di sorveglianza in sede di reclamo da parte del condannato adotti meno rigide di un altro Tribunale di un’altra parte d’Italia. Per evitare disparità di trattamento, nel testo della legge sono stati specificati meglio i contenuti lasciando una minima parte discrezionale. Vengono dettagliati meglio anche i reati, estendendoli al terrorismo".

 

La sorveglianza dei 645 detenuti per il 41 bis richiede una particolare specializzazione da parte degli agenti?

"No. Dove si ritiene necessario, inviamo guardie del Gom, il nostro gruppo operativo mobile di alla sicurezza, un gruppo di qualità che di solito gestisce i servizi di scorta ai dipendenti del Dipartimento".

 

Intanto rispetto al passato si registra una novità: i reclusi condannati con sentenza definitiva sono più di quelli in attesa di giudizio…

 

"Si, sono 30 mila i primi e 27 mila i secondi. Un segno di maggiore attenzione e sveltezza nei processi, forse. Comunque un segno positivo".

 

Dottor Tinebra si sta studiando la depenalizzazione di molti reati.

"È utile saper dosare i provvedimenti, tenendo conto delle istanze sociali, delle regole etiche minime. Le pene alternative al carcere sono utili. Vedrei con preoccupazione una depenalizzazione indiscriminata".

 

Siamo in Sicilia. La mafia è sempre forte, più insidiosa forse di prima, questa almeno è la mia impressione. Anche perché la criminalità del mondo balcanico ha intensificato i suoi rapporti. Dalla Procura di Caltanisetta, indagando sull’assassinio di Falcone, ha potuto osservare il fenomeno a fondo...

"La mafia c’è, ma meno verticalizzata di una volta, senza la potenza totalizzante di un tempo. La mafia non occupa più in maniera esclusiva il territorio. Insidiosa, insidiosissima ma meno forte. Ho l’impressione che operi a due livelli: a livello di base per lo spaccio di stupefacenti e l’altro nel mondo degli affari. Da un’indagine lunga e approfondita, partita proprio da Caltanisetta, abbiamo appurato tempo fa che la Stidda e la mafia di base hanno contatti notevoli con gli albanesi. Il traffico di droga fra l’Albania e il nostro paese è molto intenso con una rete estesissima e ben ramificata. Gli albanesi poi gestiscono quelli che possiamo chiamare "sequestri lampo". Fenomeno quest’ultimo del quale si parla poco. Dalla Procura nissena riuscimmo a sventarne uno. L’opera di prevenzione è continua e l’impegno della nostra intelligence forte".

 

Quanti sono gli albanesi in carcere?

"Intorno ai duemila".

 

Un cancro, quello mafioso, che non si riesce ad estirpare, anche se la coscienza collettiva è cresciuta molto...

"Molto è stato fatto nella lotta alla mafia, molto c’è da fare e tuttavia credo che i passi compiuti siano importanti. La deflazione della popolazione carceraria di questo tipo si ottiene anche con accordi internazionali, convenzioni con singoli paesi: i condannati stranieri scontino nella loro terra le pene. Io dico che, specie in questo periodo, la vigilanza non è mai troppa".

 

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