Intervista a Tinebra, direttore del DAP

 

Tinebra: "Servono più carceri per separare i detenuti pericolosi"


Il Messaggero, 20 luglio 2002


La commissione Antimafia ha detto sì alla stabilizzazione del 41bis e lui, Giovanni Tinebra, direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aveva già dato il suo parere positivo in sede di audizione. Bisognerà gestirlo, il carcere duro non più fluttuante tra un decreto e l’altro. Bisogna gestirli i detenuti in 41bis che mandano messaggi minacciosi allo Stato. Regime duro e regime separato, non solo sulla carta, dal resto della popolazione penitenziaria. Come se fosse facile, con un sovraffollamento così: 57mila detenuti, 43mila posti. Giovanni Tinebra, capo della procura di Caltanissetta dai giorni dell’attentato a Borsellino all’anno scorso, è tutt’altro che sorpreso dalla "vertenza" dei boss mafiosi. Ma il sistema penitenziario non riguarda solo loro, dice, è un mondo complicato. Non è il mondo dei sogni però non è vero che non c’è via d’uscita, da questa estate bollente, con i detenuti che chiedono speranze, e spazio vitale.


Donato Capece, leader del Sappe, il più potente sindacato di polizia penitenziaria storicamente schierato per la custodia dura, chiede per i detenuti l’indulto o l’amnistia. Così, dice, non si va avanti...


«Andremo avanti. Con l’affollamento e tutto il resto. Ci sono 90 progetti di ristrutturazioni e ampliamenti per altrettante carceri, di cui molti già in atto. Altri lavori sono previsti nel 2002, e la costruzione di nuovi istituti, ne servono venti-venticinque. Poi ci sono gli accordi con l’Albania e il Marocco per il rimpatrio dei detenuti. Dalle nostre carceri usciranno tremila marocchini e duemila albanesi. Non è poco.»


In Albania c’è un carcere in costruzione con ditte e finanziamenti italiani. Cos’è, la sperimentazione di un sistema penitenziario transnazionale?


«E una collaborazione che già funziona. Un contingente di poliziotti penitenziari italiani è in missione in Kosovo, insegna ai colleghi albanesi la gestione delle carceri».


Al di là dell’estetica penitenziaria, i poliziotti dicono che sono pochi, i direttori in Sardegna e altrove reggono due o tre carceri per uno, a Roma spuntano "mele marce", poliziotti infedeli che trafficano droga e affari con i detenuti...


«Va razionalizzato il lavoro degli agenti. Nuovi concorsi e una nuova normativa risolveranno i problemi dei direttori. Le mele marce non dovrebbero esistere. Purtroppo ci sono, ma si tratta di casi rarissimi, come sono rarissime le evasioni; siamo in fondo alle classifiche europee».


I circuiti-fantasma, la chiusura delle carceri nei centri storici, Pianosa e l’Asinara da riaprire, la commissione per scoprire come mai i detenuti si suicidano. Leggende, metafisica carceraria...


«Ma no, i circuiti per gravità di reato si possono fare, fuori dall’emergenza del sovraffollamento. Le isole-carcere, se potessimo usarle, ospiterebbero detenuti a bassa pericolosità. Del resto, ben 36mila sono le esecuzioni penali esterne, decine di migliaia le richieste di misure alternative che giacciono nei tribunali di sorveglianza».


Giace anche la gestione della sanità in carcere, a metà strada tra il ministero della Giustizia e quello della Salute. E per i tossicodipendenti non c’è che la comunità-carcere, l’appalto ai privati...


«La gestione della sanità penitenziaria sarà decisa in commissione mista. I tossicodipendenti potrebbero scegliere la custodia attenuata, ma quasi tutti preferiscono restare in sezione con gli altri detenuti. E la comunità non è un obbligo ma una scelta, un percorso di ritorno nel mondo».

 

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