Il rischio delle carceri private

 

Carceri private, rischio concreto anche in Italia»

Intervista a Stefano Anastasia

 

LIBERAZIONE, 20 aprile 2002

 

Attraverso il grande settore del trattamento penale dei tossicodipendenti rischia di passare in Italia la privatizzazione degli istituti di pena. Il business è da capogiro. San Patrignano si è già assicurato la gestione di una struttura in Emilia. Don Mazzi tenta di ottenere altrettanto nella casa mandamentale di Legnano. Il rischio non è lontano. Non a caso Gianfranco Fini è tornato a parlare di trattamento penale dei tossici». A lanciare l'allarme è Stefano Anastasia, presidente di Antigone. Lo fa da Pisa, dove da ieri è in corso la due giorni di assemblea nazionale dell'associazione che da anni lavora per i diritti e le garanzie nel sistema penale.


Cinquantaseimila detenuti nelle celle italiane, senza contare i centri di detenzione per immigrati. Chi sono?

 

Tossici, minorenni e migranti. Per la maggioranza uomini. La metà è in attesa di giudizio. La gran parte è dentro per l'esecuzione di pene brevi legate alla criminalizzazione del consumo di droghe. O comunque per piccoli furti. Quasi tutti non hanno compiuto la scuola dell'obbligo e non hanno mai avuto un'esperienza lavorativa. Il 30% sono migranti, il 50% viene da quattro regioni italiane: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. La popolazione carceraria cresce con un tasso di mille nuovi detenuti all'anno.


Negli Stati uniti la privatizzazione degli istituti di pena è un'industria in espansione. In Australia il modello è applicato con ferocia e alti profitti ai centri di detenzione per immigrati. Quali sono i varchi accessibili al business penitenziario in Europa?

 

L'Inghilterra sta aprendo il mercato attraverso le comunità per il trattamento dei minori a rischio. Trattamento coatto, ovviamente. La costruzione di un modello terapeutico copre in realtà la costruzione di un modello per la privatizzazione del settore. L'esperienza presa ad esempio è quella statunitense dove non solo sono ormai un centinaio le aziende che gestiscono gli istituti privati, ma dove il volume di affari cresce vertiginosamente anche nel settore pubblico. L'industria penitenziaria pubblica statunitense è per numero di dipendenti la terza impresa del Paese. Segue di poco la General motors. Nel frattempo cresce anche il numero di società private che si candidano ad entrare nel mercato con prezzi competitivi.

 

Nell'orizzonte di una possibile privatizzazione in Italia come si sono concretamente mossi San Patrignano e Don Mazzi?

 

San Patrignano ha cercato di aggiudicarsi la gestione della casa di lavoro di Castel Franco Emilia, in provincia di Modena. La casa di lavoro è già una cosa infame di per sé, essendo deputata all'esecuzione delle misura di sicurezza al termine della pena. Ci finiscono persone ad alta recidiva o considerate socialmente pericolose. A Castel Franco la Regione Emilia e l'amministrazione penitenziaria avevano investito soldi per trasformarla in luogo di custodia attenuata per tossicodipendenti.

San Patrignano ha ritenuto di essere una sorta di candidato naturale e ha presentato un progetto attraverso un bando europeo. Lo ha fatto attraverso una partership con il provveditorato dell'amministrazione penitenziaria dell'Emilia Romagna. Mossa riuscita. Don Mazzi deve aver intuito il business e ha chiesto di poter gestire la casa mandamentale di Legnano. La partita si fa pesante. Di case mandamentali da trasformare in qualcos'altro è cosparso l'intero territorio italiano. Si tratta di piccole strutture legate a uffici giudiziari minuscoli, a piccole preture. Sono dismesse da tempo. Si diceva dovessero essere affidate agli enti locali.

 

E invece...


L'argomento utilizzato per giustificare la privatizzazione è spesso quello della crescita della popolazione carceraria.

Cosa che in Italia è un dato reale. La parallela crescita delle misure alternative alla detenzione, oltretutto, non ha significato una riduzione della permanenza in carcere. Ciò significa che ciò che era stato pensato come un'alternativa al carcere è finito per diventare una forme ulteriore di controllo penale.

 

Non temi che quest'analisi possa essere utilizzata contro la legge Gozzini da chi vuole estendere il controllo anziché ridurlo?

 

Il rischio c'è, ma va segnalato che esiste una forma di coinvolgimento del privato sociale nella gestione del controllo. Poiché dietro c'è un impegno finanziario la mia paura è che, al di là delle buoni intenzioni, gruppi minori possono essere tirati dentro progetti che servono solo a creare altri carceri sotto altro nome. Bisogna evitare carcerazioni mascherate. Bisogna evitare che tossicodipendenti e minori considerati devianti vengano detenuti in strutture identiche al carcere ma chiamate diversamente. Il fenomeno dell'esternalizzazione dell'esecuzione penale è un orrore concreto. Invito a prestarvi attenzione.

 

Come si lavora, allora, per un modello di inclusione sociale che sia davvero alternativo all'ossessione della sicurezza e del controllo?

 

Promuovendo i diritti di tutti, lottando contro l'esaltazione del diritto alla sicurezza di alcuni che è l'asse portante dell'esclusione di altri. Bisogna rompere il meccanismo "sicurezza contro libertà".

 

 

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